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Tizia conveniva in giudizio il Comune al fine di sentirne accertare la responsabilità per la caduta, con condanna al risarcimento dei danni subiti. In particolare, l'attrice riferiva che mentre percorreva una determinata via per recarsi al lavoro, cadeva a terra per la presenza di ghiaccio formatosi sulla strada, riportando lesioni. Dunque, si rivolgeva al Pronto Soccorso dell'Ospedale dove le veniva diagnosticata una “frattura malleolo peroneale sx scomposta” e le veniva prescritto il ricovero per sottoporsi ad intervento chirurgico. Ritenendo il Comune l'unico responsabile dell'infortunio occorsole, ai sensi dell'art. 2051 o dell'art. 2043 c.c., per non aver garantito la sicura circolazione delle persone in giornate caratterizzate da forti nevicate e freddo intenso, l'attrice formulava richiesta di risarcimento del danno. Costituendosi in giudizio, il Comune eccepiva la nullità dell'atto di citazione e, nel merito, precisava che anche laddove la caduta fosse ritenuta provata, essa doveva essere ascritta all'imprudenza della stessa attrice e all'eccezionalità delle condizioni metereologiche di quei giorni, tali da integrare il caso fortuito ed escludere la responsabilità del custode. |
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Nel caso di specie, l'infortunio subìto dall'attrice era stato confermato dalla documentazione sanitaria e, in particolare, dal referto di pronto soccorso. Inoltre, era notorio che in quei giorni di febbraio nel territorio di Rimini si erano verificate precipitazioni nevose intensissime unite a temperature molto rigide, come riconosciuto dallo stesso convenuto, laddove invocava l'eccezionalità delle condizioni atmosferiche per escludere la propria responsabilità in presenza di una lastra di ghiaccio sul marciapiede percorso dall'attrice e che questa costituisse un'insidia in quanto invisibile, anche a causa dell'orario notturno. In primo luogo, infatti, l'attrice si era limitata ad allegare genericamente di essere scivolata mentre percorreva il marciapiede, senza indicare il punto preciso in cui la caduta sarebbe avvenuta e senza descrivere le condizioni della strada in quel tratto, quali il grado di illuminazione artificiale e l'eventuale presenza di passaggi alternativi più sicuri. Le circostanze esposte in atto di citazione non potevano, inoltre, essere considerate provate sulla base dell'unica testimonianza assunta. Peraltro, la stessa attrice affermava che le intense nevicate andavano avanti da tempo e che il tratto di strada in cui si era verificata la caduta era quello da lei percorso per recarsi al lavoro. Premesso ciò, secondo il giudice, in tali condizioni metereologiche, definite dalla stessa attrice come eccezionali, in orario notturno, quando le temperature sono più fredde, e in un tratto di strada noto all'attrice, che verosimilmente era in quelle condizioni da giorni, la presenza del ghiaccio sul marciapiede doveva considerarsi del tutto prevedibile utilizzando l'ordinaria diligenza e ciò imponeva l'adozione di particolari cautele da parte degli utenti della strada. Alla luce di quanto sopra, l'attrice non aveva provato né che la caduta era avvenuta con la dinamica da lei indicata, né la sussistenza del nesso di causalità tra la cosa in custodia e il danno. Da ciò conseguiva il rigetto della domanda. |
In argomento, giova ricordare la responsabilità per danno cagionato da cosa in custodia assume natura oggettiva e trova fondamento nella mera relazione intercorrente tra la res e colui che su di essa esercita l'effettivo potere: di conseguenza, la prova del nesso causale grava necessariamente sull'attore - danneggiato. Al riguardo, costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui la disposizione di cui all’art. 2051 c.c. non richiede necessariamente che la cosa sia suscettibile di produrre danni per sua natura (Cass. civ., sez. VI, 27 novembre 2014, n. 25214). In particolare, qualora il danno non derivi da un dinamismo interno della "res", in relazione alla sua struttura o funzionamento, ma presupponga un intervento umano che si unisca al modo d'essere della cosa inerte, il danneggiato può provare il nesso causale tra evento dannoso e bene in custodia unicamente dimostrando l'obiettiva situazione di pericolosità dello stato dei luoghi, tale da rendere probabile, se non inevitabile, il danno stesso (Cass. civ., sez. VI, 20 ottobre 2015 n. 21212). Dunque, è onere del danneggiato provare il fatto dannoso ed il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno e, ove la prima sia inerte e priva di intrinseca pericolosità, dimostrare, altresì, che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il verificarsi del secondo, nonché di aver tenuto un comportamento di cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l’ordinaria diligenza, atteso che il caso fortuito può essere integrato anche dal fatto colposo dello stesso danneggiato (Cass. civ., sez. VI, 11 Maggio 2017 n. 11526). Dalla natura oggettiva della responsabilità in questione consegue che è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno arrecato, senza che rilevi la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza: in tal senso, il nesso viene escluso solo in presenza della prova del fortuito. Invero, una volta fornita la prova dell’evento dannoso e del nesso di causalità, spetta al custode, presunto responsabile, fornire la prova liberatoria del caso fortuito, che, come affermato costantemente dalla giurisprudenza, «può essere rappresentato - con effetto liberatorio totale o parziale - anche dal fatto del danneggiato, avente un'efficacia causale idonea a interrompere del tutto il nesso eziologico tra cosa ed evento dannoso o ad affiancarsi come ulteriore contributo utile nella produzione del danno; il giudizio sull'incidenza del comportamento del danneggiato nella produzione del danno non può prescindere dalla considerazione della natura della cosa e deve tener conto delle modalità che in concreto e normalmente ne caratterizzano la fruizione» (Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 2011, n. 4476). Premesso ciò, conformemente al ragionamento del giudice di Rimini, altro precedente ha evidenziato che è infondata la pretesa risarcitoria esperita dall'attrice nei riguardi dell'Amministrazione comunale in relazione ai danni subiti in conseguenza della caduta nella quale sia incorsa scivolando rovinosamente a terra su una lastra di ghiaccio formatosi per effetto di una forte nevicata. In tal caso non è ravvisabile il rapporto di causalità fondamentale ai fini dell'addebitabilità del fatto alla responsabilità dell'ente. L'intrinseca pericolosità del manto stradale e la gelata caduta per effetto delle rigide temperature, interrompe il dinamismo causale del danno sino ad escludere la responsabilità del custode ai sensi dell'art. 2051 c.c. Ne consegue pertanto che l'abbondante nevicata e la temperatura rigida, dovevano indurre l'attrice ad ipotizzare la formazione del ghiaccio e quindi a prestare maggiore attenzione, esclude ogni forma di responsabilità dell'ente pubblico (Trib. Milano 14 gennaio 2011, n. 432). |
Tribunale di Rimini, sez. Unica Civile, sentenza 6 aprile 2023, n. 327
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
Le parti hanno concluso come da verbale d’udienza di precisazione delle conclusioni.
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
1. Con atto di citazione ritualmente notificato, M.C.R. conveniva in giudizio il comune di rimini al fine di sentirne accertare la responsabilità per la caduta verificatasi il 07/02/2012, con condanna al risarcimento dei danni subiti, quantificati nella somma di € 52.000,00.
In particolare, l’attrice riferiva che quel giorno, verso le ore 03.00, percorreva la via (omissis) a (omissis) per recarsi al lavoro, quando cadeva a terra per la presenza di ghiaccio formatosi sulla strada, riportando lesioni. Ella, quindi, si rivolgeva al Pronto Soccorso dell’Ospedale di (omissis), dove le veniva diagnosticata una “frattura malleolo peroneale sx scomposta” e le veniva prescritto il ricovero per sottoporsi ad intervento chirurgico di osteosintesi.
L’intervento veniva eseguito presso il reparto di ortopedia dell’ospedale di (omissis) in data 15/02/2012. L’odierna attrice veniva dimessa il giorno seguente ma, il successivo 12/03/2012, era costretta ad un nuovo ricovero nel reparto di cardiologia dell’ospedale di (omissis) per l’insorgenza di una “embolia polmonare dx in recente intervento chirurgico ortopedico”.
Dopo il ricovero, concluso il 19/03/2012, seguivano numerose visite di controllo, da cui emergevano difficoltà di guarigione della ferita chirurgica.
Nel novembre 2012 ella continuava a lamentare gonfiore alla gamba e al piede e decideva di sottoporsi a visita medico-legale, all’esito della quale venivano riscontrate “- inabilità temporanea totale valutabile in complessivi gg 50; - inabilità temporanea parziale valutabile in complessivi gg 30 al 50% e gg 30 al 25%; - invalidità permanente valutabile nella misura del 20% (venti per cento) della totale”.
Ritenendo il Comune di (omissis) l’unico responsabile dell’infortunio occorsole, ai sensi dell’art. 2051 o dell’art. 2043 c.c., per non aver garantito la sicura circolazione delle persone in giornate caratterizzate da forti nevicate e freddo intenso, l’attrice formulava richiesta di risarcimento del danno. Non avendo ottenuto riscontri, ella instaurava il presente giudizio.
2. Si costituiva in giudizio il Comune di (omissis), eccependo la nullità dell’atto di citazione, in quanto non conteneva l’esposizione dei fatti e degli elementi e di diritto costituenti le ragioni delle domande risarcitorie svolte, in particolare per quanto riguarda quella proposta in via principale ai sensi dell’art. 2051 c.c.
Nel merito, il convenuto contestava la domanda svolta dall’attrice sia nell’an sia nel quantum. In particolare, affermava che non erano provate né la caduta e la sua dinamica, né la presenza di neve e ghiaccio sulla strada. In ogni caso, anche laddove la caduta fosse ritenuta provata, essa doveva essere ascritta all’imprudenza della stessa attrice e all’eccezionalità delle condizioni metereologiche di quei giorni, tali da integrare il caso fortuito ed escludere la responsabilità del custode.
3. Depositate le memorie ex art. 183, comma VI, c.p.c., la causa veniva istruita mediante la testimonianza di A.R., madre dell’attrice.
All’esito di tale testimonianza, la causa veniva ritenuta matura per la decisione e veniva fissata udienza di precisazione delle conclusioni.
4. Così riassunto lo svolgimento del processo, occorre preliminarmente trattare dell’eccezione di nullità dell’atto di citazione ai sensi dell’art. 164, comma IV, c.p.c., reiterata dal convenuto in sede di comparsa conclusionale.
L’eccezione non merita accoglimento, dal momento che la sanzione della nullità è prevista solo qualora l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto posti a fondamento della domanda sia omessa o risulti assolutamente incerta, ciò a tutela del contraddittorio perché, a fronte di una domanda indeterminata, il convenuto non avrebbe la possibilità di difendersi adeguatamente.
Per tale ragione, l’art. 164 c.p.c., comma V, c.p.c. prevede che, qualora il Giudice ravvisi la nullità dell’atto di citazione ai sensi del comma IV, disponga l’integrazione della domanda, non certo che la rigetti.
Nel presente giudizio, l’atto di citazione contiene un’esposizione sufficientemente chiara sia dei fatti costitutivi della domanda di parte attrice (la caduta a causa del ghiaccio avvenuta nelle prime ore del 07/02/2012 a (omissis) in via (omissis)), sia degli elementi di diritto su cui la stessa si fonda (la responsabilità per danno da cosa in custodia ex art. 2051 c.c., o in via subordinata la responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c.) e ciò ha consentito al convenuto di difendersi pienamente nel merito.
Non vi è, dunque, alcun interesse da parte del convenuto a reiterare l’eccezione, che avrebbe l’unica conseguenza di far regredire la causa allo stadio iniziale.
5. Venendo al merito, oggetto del presente giudizio è l’accertamento della responsabilità del Comune di (omissis), inquadrata da parte attrice nell’ambito di applicazione dell’art. 2051 c.c. o in quello generale dell’art. 2043 c.c., per la caduta occorsa alla stessa il 07/02/2012 verso le 03.00 del mattino, mentre percorreva la via (omissis) a (omissis).
Quanto al primo profilo, occorre premettere che la responsabilità per danno cagionato da cosa in custodia assume natura oggettiva e trova fondamento nella mera relazione intercorrente tra la res e colui che su di essa esercita l'effettivo potere: di conseguenza, la prova del nesso causale grava necessariamente sull'attore - danneggiato.
Al riguardo, costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui la disposizione di cui all’art. 2051 c.c. non richiede necessariamente che la cosa sia suscettibile di produrre danni per sua natura (Cass. Civ., n. 25214/2014). In particolare, “qualora il danno non derivi da un dinamismo interno della "res", in relazione alla sua struttura o funzionamento, ma presupponga un intervento umano che si unisca al modo d'essere della cosa inerte, il danneggiato può provare il nesso causale tra evento dannoso e bene in custodia unicamente dimostrando l'obiettiva situazione di pericolosità dello stato dei luoghi, tale da rendere probabile, se non inevitabile, il danno stesso” (Cass., Sez. 6 - 3R, OGrdinna.n3za0n2. 2/2018 21212 del 20/10/2015).
Dunque, “è onere del danneggiato provare il fatto dannoso ed il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno e, ove la prima sia inerte e priva di intrinseca pericolosità, dimostrare, altresì, che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il verificarsi del secondo, nonché di aver tenuto un comportamento di cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l’ordinaria diligenza, atteso che il caso fortuito può essere integrato anche dal fatto colposo dello stesso danneggiato” (Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 11526 del 11/05/2017).
Dalla natura oggettiva della responsabilità in questione consegue che è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno arrecato, senza che rilevi la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza: in tal senso, il nesso viene escluso solo in presenza della prova del fortuito (Cass. Civ., n. 20334/04; Cass. Civ., n. 472/03).
Una volta fornita la prova dell’evento dannoso e del nesso di causalità, spetta al custode, presunto responsabile, fornire la prova liberatoria del caso fortuito, che, come affermato costantemente dalla giurisprudenza, “può essere rappresentato - con effetto liberatorio totale o parziale - anche dal fatto del danneggiato, avente un'efficacia causale idonea a interrompere del tutto il nesso eziologico tra cosa ed evento dannoso o ad affiancarsi come ulteriore contributo utile nella produzione del danno; il giudizio sull'incidenza del comportamento del danneggiato nella produzione del danno non può prescindere dalla considerazione della natura della cosa e deve tener conto delle modalità che in concreto e normalmente ne caratterizzano la fruizione” (Cass., n. 4476/11).
6. Nel caso di specie, può ritenersi provato l’infortunio subito dall’attrice, che è confermato dalla documentazione sanitaria in atti e, in particolare, dal referto di pronto soccorso del 08/02/2012 alle ore 22.49 (doc. 1 fasc. attrice), in cui si legge: “ieri caduta accidentale contusione piede sin nega traumi in altre sedi presenza di ematoma al piede…”. A seguito di accertamenti radiografici e di visita ortopedica, all’attrice è stata diagnosticata una “frattura malleolo peroneale sx scomposta” (docc. 2-3 fasc. attrice).
Può, inoltre, ritenersi notorio che in quei giorni di febbraio del 2012 nel territorio di (omissis) si sono verificate precipitazioni nevose intensissime unite a temperature molto rigide, come riconosciuto dallo stesso convenuto, laddove invoca l’eccezionalità delle condizioni atmosferiche per escludere la propria responsabilità.
Tuttavia, l’attrice non è riuscita a provare che l’infortunio si sia verificato proprio a causa della presenza di una lastra di ghiaccio sul marciapiede da lei percorso e che questa costituisse un’insidia in quanto invisibile, anche a causa dell’orario notturno.
In primo luogo, infatti, l’attrice si è limitata ad allegare genericamente di essere scivolata mentre percorreva il marciapiede di via (omissis), senza indicare il punto preciso in cui la caduta sarebbe avvenuta e senza descrivere le condizioni della strada in quel tratto, quali il grado di illuminazione artificiale e l’eventuale presenza di passaggi alternativi più sicuri.
Le circostanze esposte in atto di citazione non possono, inoltre, essere considerate provate sulla base dell’unica testimonianza assunta.
La teste A.R., infatti, si è limitata a confermare i capitoli di prova formulati dalla difesa di parte attrice ma, a fronte delle richieste di chiarimenti del Giudice, ha reso dichiarazioni contrastanti e in parte incompatibili con la documentazione presente in atti.
La testimone, in primo luogo, ha dichiarato che: “Si vedeva che c’erano neve e ghiaccio sul marciapiede” e ciò contrasta con la asserita insidiosità dello stato dei luoghi, per come descritta da parte attrice. Quest’ultima ha riferito che la lastra di ghiaccio non era individuabile a causa del buio e comunque in quanto coperta dal manto nevoso, mentre dalle dichiarazioni della testimone sembrerebbe che la presenza del ghiaccio fosse normalmente percepibile.
Peraltro, occorre osservare come sia la stessa attrice ad affermare che le intense nevicate andavano avanti dal 31/01/2012 e che il tratto di strada in cui si è verificata la caduta era quello da lei percorso per recarsi al lavoro. Ebbene, in tali condizioni metereologiche, definite dalla stessa attrice come eccezionali, in orario notturno, quando le temperature sono più fredde, e in un tratto di strada noto all’attrice, che verosimilmente era in quelle condizioni da giorni, la presenza del ghiaccio sul marciapiede doveva considerarsi del tutto prevedibile utilizzando l’ordinaria diligenza e ciò imponeva l’adozione di particolari cautele da parte degli utenti della strada.
La testimone, inoltre, alla richiesta del Giudice di riferire circa i soccorsi prestati alla figlia dopo la caduta, ha dichiarato che: “Sì è stata chiamata l’ambulanza…dopo la caduta abbiamo chiamato l’ambulanza e siamo andate subito al Pronto Soccorso”, mentre dalla documentazione sanitaria in atti risulta che M.C.R. si è recata al Pronto Soccorso solo la sera del giorno successivo (08/02/2012 ore 22.49) con mezzo autonomo, dunque non trasportata in ambulanza (doc. 1 fasc. attrice).
La madre della odierna attrice, pertanto, dimostra quanto meno di non ricordare con sufficiente precisione gli accadimenti di quel giorno e, pertanto, le sue dichiarazioni non possono essere poste a fondamento di una condanna del convenuto.
Alla luce di quanto sopra, deve ritenersi che l’attrice non abbia provato né che la caduta è avvenuta con la dinamica da lei indicata, né la sussistenza del nesso di causalità tra la cosa in custodia e il danno.
Da ciò consegue il rigetto della domanda svolta ai sensi dell’art. 2051 c.c.
7. Una volta esclusa la sussistenza del danno da cosa in custodia ex art. 2051 c.c., la responsabilità del Comune non appare configurabile nemmeno ai sensi dell’art. 2043 c.c.
Come è noto, nella responsabilità da fatto illecito è onere del danneggiato dimostrare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’azione e, quindi, del fatto doloso o colposo, del nesso di causalità e delle conseguenze dannose.
Nel caso di specie, oltre a non essere dimostrata la dinamica della caduta, secondo quanto si affermato sopra, manca la prova anche che la stessa sia stata determinata da una omissione colposa da parte del Comune, posto che, in situazione metereologiche come quelle descritte, il ghiaccio, soprattutto in orario notturno, può formarsi anche malgrado l’adozione di cautele, quali la periodica pulizia delle strade e lo spargimento del sale.
In conclusione, quindi, la domanda va integralmente rigettata.
8. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, tenuto conto della natura della fattispecie.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
1. rigetta la domanda;
2. condanna la parte attrice a rifondere al convenuto le spese di lite, che si liquidano in € 5.000,00 per compensi professionali, oltre a spese generali, i.v.a. e c.p.a. di legge.