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Tizio e Caia, quali esercenti la potestà genitoriale sulla minore Mevia, convenivano in giudizio l'istituto scolastico, chiedendo di accertare la responsabilità del predetto Istituto e, per l'effetto, la condanna al risarcimento dei danni subìti da Mevia causa di comportamenti vessatori e discriminatori perpetrati nei suoi confronti dalle compagne di classe presso l'istituto medesimo. In particolare, la parte attrice evidenziava che nel corso di appositi incontri con i responsabili dell'istituto, i genitori di Mevia segnalavano che la figlia veniva spesso esclusa dal gioco dalle compagne e da queste discriminata poiché la madre è di colore e di fede musulmana. I comportamenti persecutori nei confronti di Mevia culminavano in un episodio risalente al marzo 2018, allorquando veniva scattata una foto alla minore, ritoccata con contenuti offensivi e, successivamente, diffusa all'interno di un gruppo Whatsapp (i cui partecipanti erano taluni bambini della classe); in particolare, Mevia appariva ritratta all'interno della propria classe con le mani photoshoppate e modificate a forma di “bacon” e con l'aggiunta dell'appellativo “maiale”. L'autrice dell'accaduto riconosceva la propria responsabilità; tuttavia, l'Istituto continuava ad ignorare le ripetute richieste di aiuto avanzate dagli attori, dovute alle discriminazioni subìte dalla figlia e ai comportamenti ostili di alcune mamme “accusatrici”, negando la propria responsabilità. Premesso ciò, alla luce dei fatti allegati e dedotti, secondo gli attori sussisteva la responsabilità per culpa in vigilando dell'Istituto ai sensi degli artt. 2048 e 2049 c.c. e, pertanto, doveva risarcire i danni non patrimoniali patiti da Mevia. |
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Dall'istruttoria espletata era emerso che effettivamente vi erano delle problematiche tra Mevia e talune compagne di classe. Invero, alcune compagne di classe tendevano ad escludere e isolare Mevia. Tali condotte, per quanto moralmente riprovevoli e spiacevoli, secondo il giudicante, non erano idonee ad integrare gli estremi del fatto giuridicamente illecito. Dunque, le condotte descritte, di isolamento e di derisione di Mevia, non erano idonee a configurare un fatto illecito, poiché rientranti in ordinarie dinamiche scolastiche, seppur dalla conflittualità accentuata. Non poteva neppure ritenersi sussistente il fatto illecito consistente nelle condotte discriminatorie di cui sarebbe stata vittima Mevia per la fede religiosa ed il colore della pelle della madre: tali condotte, infatti, non risultavano in alcun modo dimostrate in giudizio. Quanto alla fotografia (modificata), il giudicante ha ritenuto dover operare una distinzione tra il fatto consistito nello scattare la fotografia a Mevia, la sua modifica in termini offensivi e la successiva divulgazione. Quest'ultima frazione della condotta (modifica della fotografia in termini offensivi e sua divulgazione) integrava senza dubbio un fatto illecito rilevante ai sensi dell'art. 2043 c.c., in quanto condotta lesiva di un interesse meritevole di tutela alla stregua dell'ordinamento giuridico, quale quello all'onore, alla reputazione e all'immagine della bambina in questione. Tuttavia, non vi era prova che la predetta condotta – la modifica della foto nei termini anzidetti e la sua divulgazione nella chat WhatsApp – fosse avvenuta durante l'orario scolastico, lasso temporale in cui era circoscritto il dovere di vigilanza degli insegnanti sugli allievi e, di conseguenza, la correlativa responsabilità di cui all'art. 2048 c.c. (cui consegue la responsabilità indiretta dell'Istituto ex art. 2049 c.c.). Al contrario, era più probabile che la predetta condotta fosse stata adottata al di fuori dell'orario scolastico. Con riguardo, invece, al fatto in sé di fotografare Mevia senza il suo consenso, anche tale fatto costituisce un fatto illecito, in quanto lesivo dell'interesse della stessa a non essere ritratta senza il suo consenso. Peraltro, il fatto era oltremodo illecito, poiché posto in essere in violazione delle regole di condotta della scuola; tuttavia, a tale fatto non era riferibile il danno-conseguenza lamentato dalla minore. Per meglio dire, parte attrice aveva dimostrato il fatto illecito (l'essere stata fotografata senza il suo consenso e in contrasto con il regolamento scolastico) e il nesso di causalità materiale tra questo e l'evento lesivo (la lesione dell'interesse all'immagine della minore), ma non aveva, invece, dimostrato il nesso di causalità c.d. giuridica tra l'evento dannoso e il danno conseguenza, ossia non aveva dato prova di quali danni aveva subìto la minore per effetto della mera fotografia “rubata”. In difetto di tale prova, non poteva ravvisarsi una responsabilità del personale insegnante di cui all'art. 2048 c.c. e, di conseguenza, neppure quella indiretta dell'istituto scolastico ai sensi dell'art. 2049 c.c. In conclusione, la domanda è stata rigettata. |
Nella presente vicenda, gli attori agiscono unicamente nei confronti dell’Istituto ex art. 2049 c.c., quindi, quale committente, eventualmente responsabile in via indiretta dell’illecito dei suoi preposti (gli insegnanti dell’istituto medesimo) e non anche nei confronti di questi ultimi. La responsabilità degli insegnanti, invece, è inquadrabile nel paradigma normativo di cui all’art. 2048, comma 2, c.c., che disciplina la responsabilità dei precettori e di maestri d’arte per il fatto illecito commesso dagli allievi nel periodo in cui sono sotto la loro vigilanza. La responsabilità di cui all’art. 2049 c.c. è, secondo l’orientamento prevalente, un’ipotesi di responsabilità oggettiva per fatto altrui, che presuppone solo la sussistenza di un rapporto di preposizione e il nesso di occasionalità necessaria tra le mansioni cui è adibito il preposto e la commissione dell’illecito (Cass. civ., sez. III, 19 luglio 2012, n. 12448). L’art. 2048 c.c., invece, configura un’ipotesi di responsabilità per fatto proprio, seppur caratterizzata – in deroga al regime ordinario di cui all’art. 2043 c.c. – da una presunzione di colpa. Infatti, nell’ipotesi in cui il minore subisca un danno nel periodo di tempo in cui è affidato all’insegnante, l’ordinamento pone a carico di quest’ultimo una presunzione di omesso rispetto dell’obbligo di vigilanza imposto dal codice civile. Nel giudizio risarcitorio, pertanto, il danneggiato ha l’onere di provare che il danno è stato cagionato al minore durante il tempo in cui lo stesso era affidato alla vigilanza del personale scolastico, poiché la dimostrazione del fatto costitutivo della propria pretesa è “sufficiente a rendere operante la presunzione di colpa nei confronti del danneggiante, per inosservanza dell’obbligo di sorveglianza” (Cass. civ., sez. III, 10 ottobre 2008, n. 24997). Se l’insegnante non prova l’inevitabilità dell’evento dannoso, sussiste, oltre alla sua responsabilità, la responsabilità indiretta dell'istituto scolastico con il quale detto insegnante intratteneva il rapporto di lavoro, responsabilità che, traendo fondamento dalla rigorosa previsione dell’art. 2049 c.c., non ammette prova liberatoria da parte del datore di lavoro, sul quale grava il rischio di impresa (Cass. civ. sez. III, 18 luglio 2003, n. 11241). Alla luce di quanto esposto, il provvedimento del Tribunale di Milano porta a diverse letture argomentative: da un lato, riconosce il fatto illecito “modifica della fotografia in termini offensivi e sua divulgazione”, tuttavia, esclude gli effetti/responsabilità in quanto ciò non era accaduto durante gli orari di scuola. Ulteriore riflessione riguarda il danno in sé: il giudice riconosce un fatto illecito (tra l’altro in contrasto con il regolamento della scuola), ma esclude il risarcimento poiché non provato il nesso di causalità, ovvero quali sono i danni “effettivamente” subìti dalla minore. |
Tribunale di Milano, sez. X Civile, sentenza (ud. 20 aprile 2023) 21 aprile 2023, n. 3265
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
Con atto di citazione ritualmente notificato, P.C. e K.H., quali esercenti la potestà genitoriale sulla minore S.C., convenivano in giudizio La Provincia Lombarda dei (omissis), chiedendo di accertare la responsabilità del predetto Istituto e, per l’effetto, condannarlo al risarcimento dei danni subìti da S.C. a causa di comportamenti vessatori e discriminatori perpetrati nei suoi confronti dalle compagne di classe dall’anno 2013 al 2017/2018, presso l’istituto medesimo, nonché di risolvere il contratto concluso con il predetto istituto per inadempimento dello stesso e, per l’effetto, disporre la restituzione delle rate pagate; infine, chiedendo la pubblicazione del dispositivo su quotidiani di rilevanza nazionale.
In particolare, parte attrice allegava e deduceva:
che, a partire dal 2009, i genitori di S.C. terminavano la loro convivenza more uxorio, decidendo successivamente di avvalersi dell’aiuto di una psicologa specializzata in psicoterapia familiare e infantile, la dottoressa D.Z., per meglio affrontare il loro ruolo genitoriale;
che, nel mese di settembre 2013, S.C. cominciava a frequentare l’Istituto (omissis) e veniva assegnata alla sezione B;
che, sin dai primi anni di scuola primaria, i genitori, P.C. e K.H., venivano ripetutamente convocati dal coordinatore dei docenti, signor A.S., e dalla maestra di S.C., L.G., per presunte problematiche comportamentali della figlia, riferite dalle mamme di alcuni compagni di classe, di cui, tuttavia, non venivano forniti esempi concreti e circostanziati;
che, nello stesso periodo, S.C. frequentava altri contesti sociali (centro estivo e attività ludiche extrascolastiche) e non pervenivano analoghe segnalazioni ai suoi genitori;
che, nel corso di un incontro tenutosi a maggio 2016, cui partecipava anche la dottoressa D.Z., il signor S. informava P.C. e K.H. della possibilità di escludere S. dalla gita di cinque giorni che si sarebbe tenuta a fine anno, poiché alcune madri di compagne di classe di S. gli avevano manifestato la loro contrarietà a che le figlie dormissero in stanza con S.;
che in tale riunione la dottoressa D.Z. spiegava un intervento risolutorio, evidenziando l’opportunità che S. partecipasse alla gita;
che S. partecipava alla gita scolastica e non venivano riscontrate problematiche di alcun tipo;
che da settembre 2016 la classe di S. veniva affidata a un nuovo insegnante, il maestro G.B.;
che, nel corso della prima riunione di classe dell’anno, tenutasi nell’ottobre del 2016, il maestro G.B. evidenziava ai genitori l’assenza di coesione tra gli stessi e il malsano clima di delazione presente in classe;
che, nel corso di appositi incontri con i responsabili dell’istituto, i genitori di S.C. segnalavano che la figlia veniva spesso esclusa dal gioco dalle compagne e da queste discriminata poiché la madre è di colore e di fede musulmana;
che, nonostante le ripetute richieste di intervento da parte dei genitori di S.C., la Scuola non convocava, né interveniva nei confronti dei genitori delle compagne autrici dei comportamenti discriminatori;
che le predette condotte di isolamento e discriminatorie venivano poste in essere soprattutto da una compagna di classe di S.C., C. DU.;
che, il 17 maggio 2017, sui capelli di S.C. veniva attaccata una gomma da masticare, probabilmente da parte di C. DU., ma quest’ultima si dichiarava estranea al fatto;
che, a fronte delle problematiche esistenti nella classe, nel marzo del 2018 veniva inserita una docente con funzione di supporto, la signora F.C., che affiancava il maestro G.B. per alcune ore durante la settimana;
che i comportamenti persecutori nei confronti di S.C. culminavano in un episodio risalente al marzo 2018, allorquando veniva scattata una foto alla minore, ritoccata con contenuti offensivi e, successivamente, diffusa all’interno di un gruppo Whatsapp (i cui partecipanti erano taluni bambini della classe); in particolare, S. appariva ritratta all’interno della propria classe con le mani photoshoppate e modificate a forma di “bacon” e con l’aggiunta dell’appellativo “maiale”;
che C. DU. riconosceva la propria responsabilità in merito al predetto accaduto;
che l’Istituto continuava ad ignorare le ripetute richieste di aiuto avanzate dagli attori, dovute alle discriminazioni subìte dalla figlia e ai comportamenti ostili di alcune mamme “accusatrici”, negando la propria responsabilità;
che, a causa di ciò, la madre di S.C. richiedeva il nulla osta per il trasferimento della figlia in altro istituto per l’anno 2018/2019;
che, nel nuovo istituto, presso il quale S.C. aveva iniziato il primo anno della scuola secondaria, questa aveva ritrovato la serenità e la voglia di andare a scuola;
che, alla luce dei fatti allegati e dedotti, sussiste la responsabilità per culpa in vigilando dell’Istituto ai sensi degli artt. 2048 e 2049 c.c. e che questo è, pertanto, tenuto a risarcire i danni non patrimoniali patiti da S.C., quantificabili in Euro 38.000,00;
che sussiste, inoltre, in capo all’Istituto una responsabilità da inadempimento contrattuale ex art. 1218 c.c. per non aver adeguatamente vigilato sull’incolumità personale dell’allieva S.C.;
che, stante il predetto inadempimento contrattuale, gli attori hanno diritto anche al rimborso delle rate corrisposte all’Istituto per un totale di Euro 21.228,00.
Si costituiva in giudizio La Provincia Lombarda dei (omissis) detti (omissis)- Istituto (omissis), chiedendo, in via preliminare, di chiamare in causa la Compagnia Assicurativa A. S.p.a., dalla quale richiedeva, in subordine, di essere manlevata nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda attorea. In via principale e nel merito, contestava la fondatezza delle domande attoree in fatto e in diritto, per non essersi verificato alcun fatto illecito nei confronti di S.C. e per essersi l’Istituto adoperato attivamente nella risoluzione delle problematiche relative alle dinamiche di classe; contestava, inoltre, la domanda di risoluzione del contratto e restituzione delle relative rette, evidenziando come S.C. avesse in ogni caso usufruito del servizio scolastico.
Si costituiva in giudizio altresì A. S.p.a, associandosi alle contestazioni avanzate dall’Istituto (omissis) nella propria comparsa di costituzione, in punto di an e di quantum. Nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda attorea, chiedeva dichiararsi la Compagnia tenuta a manlevare l’Istituto per le sole somme contenute nei limiti del provato e, comunque, entro il massimale di polizza; per i soli danni conseguenti a condotte poste in essere dopo il termine primo di decorrenza della garanzia, ovvero il 30 aprile 2016; per i soli danni da lesioni personali, stante l’inoperatività della copertura per il danno afferente alla richiesta di rimborso delle rette scolastiche; entro i limiti e nei termini delle ulteriori condizioni di polizza.
Con un primo provvedimento presidenziale, avente efficacia dall’1.7.2019, la causa, dapprima assegnata al dott. L.M., veniva assegnata alla dott.ssa L.F.I..
Con un secondo provvedimento presidenziale avente efficacia dal 28.02.2020, la causa veniva assegnata a questo giudice che, all’udienza di prima comparizione, concedeva alle parti i termini di cui all’art. 183 comma VI c.p.c., fissando per la trattazione in contraddittorio sui mezzi di prova dedotti l’udienza del 23.12.2020.
La causa veniva successivamente istruita mediante l’acquisizione dei documenti prodotti, la prova per testi e interrogatorio formale del legale rappresentante dell’Istituto Scolastico (omissis). Veniva altresì disposta l’acquisizione del verbale di conciliazione giudiziale della causa di cui al n. R.G. 20972/2019, promossa dagli attori nei confronti dei signori DU. e P. in qualità di genitori di C. DU..
All’udienza di precisazione delle conclusioni, celebrata in data 3.11.2022 nelle forme della cd. trattazione scritta ai sensi dell’art. 221, comma 4 d.l. 34/2020, conv. in l. n. 77/2020 e succ. mod., questo giudice tratteneva la causa in decisione, assegnando alle parti i termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
Preliminarmente, in ordine alle istanze istruttorie reiterate dalle parti in sede di precisazione delle conclusioni, si ritiene di dover ribadire le valutazioni già espresse con l’Ordinanza del 18.1.2021 (come modificata con provvedimento del 20.5.2021) e con l’Ordinanza del 15.3.2022; con riguardo, in particolare, all’istanza di accesso agli atti della scuola, la stessa risulta superflua alla luce della documentazione in atti e delle motivazioni che saranno di seguito esposte.
In ordine all’an debeatur, deve rilevarsi quanto segue.
Gli attori propongono domanda di risarcimento del danno nei confronti dell’Istituto (omissis) per non aver adeguatamente vigilato sulle condotte vessatorie e discriminatorie poste in essere dalle compagne di classe ai danni di S.C. e per non aver adottato i provvedimenti opportuni al fine di evitare il compimento di tali fatti illeciti.
A sostegno delle proprie pretese, gli attori evidenziano che S.C. sarebbe state continuamente isolata dalle compagne nonché discriminata per il colore della pelle e la fede religiosa della madre. Tali condotte sarebbero culminate nei due più gravi episodi, innanzi esposti, della gomma da masticare e della foto di S. divulgata sulla chat di WhatsApp. L’Istituto, benché tempestivamente e puntualmente informato dai genitori dei relativi accadimenti, non avrebbe mai adottato le cautele necessarie atte a tutelare l’allieva S.C.. L’istituto sarebbe, quindi, responsabile, ai sensi degli artt. 2048 e 2049 c.c., dei danni occorsi a S.C., in quanto i predetti episodi si sarebbero verificati durante l’orario scolastico e, quindi, nel tempo in cui la minore era sottoposta alla vigilanza dell’istituto.
Occorre premettere in diritto che l’azione proposta da parte attrice nei confronti dell’Istituto (omissis), in quanto scuola privata, deve ricondursi al disposto di cui all’art. 2049 c.c., che disciplina la responsabilità dei committenti per il fatto illecito dei loro preposti (in questi termini Cass. civ. 11241/2003: “Allorché, in relazione al danno ad un terzo cagionato dal fatto illecito dell'allievo, sia stata affermata la responsabilità dell'insegnante di scuola privata "ex" art. 2048 cod. civ. per mancata dimostrazione dell'inevitabilità dell'evento dannoso, sussiste la responsabilità indiretta dell'istituto scolastico con il quale detto insegnante intratteneva il rapporto di lavoro, responsabilità che, traendo fondamento dalla rigorosa previsione dell'art. 2049 cod. civ., non ammette prova liberatoria da parte del datore di lavoro, sul quale grava il rischio di impresa”). Gli attori, infatti, agiscono unicamente nei confronti dell’Istituto (omissis), quindi, quale committente, eventualmente responsabile in via indiretta dell’illecito dei suoi preposti (gli insegnanti dell’istituto medesimo) e non anche nei confronti di questi ultimi. La responsabilità degli insegnanti, invece, è inquadrabile nel paradigma normativo di cui all’art. 2048, comma 2, c.c., che disciplina la responsabilità dei precettori e di maestri d’arte per il fatto illecito commesso dagli allievi nel periodo in cui sono sotto la loro vigilanza (per la definizione di precettore, si veda, tra le tante, Cass. civ., sez. III, 18/07/2003, n. 11241 secondo cui “Ai sensi dell'art. 2048, comma 2, c.c., va qualificato precettore il soggetto al quale l'allievo è affidato per ragioni di educazione ed istruzione, sia nell'ambito di una struttura scolastica (come avviene per i maestri), sia in virtù di un autonomo rapporto privato (quale è quello che intercorre con un institore), sempre che l'affidamento, se pur limitato ad alcune ore del giorno o della settimana, assuma carattere continuativo e non sia, quindi, meramente saltuario”).
La responsabilità di cui all’art. 2049 c.c. è, secondo l’orientamento prevalente, un’ipotesi di responsabilità oggettiva per fatto altrui, che presuppone solo la sussistenza di un rapporto di preposizione e il nesso di occasionalità necessaria tra le mansioni cui è adibito il preposto e la commissione dell’illecito (cfr. (Cass. n. 12448/2012; Cass. n. 6325/2010). L’art. 2048 c.c., invece, configura un’ipotesi di responsabilità per fatto proprio, seppur caratterizzata – in deroga al regime ordinario di cui all’art. 2043 c.c. – da una presunzione di colpa. Infatti, nell’ipotesi in cui il minore subisca un danno nel periodo di tempo in cui è affidato all’insegnante, l’ordinamento pone a carico di quest’ultimo una presunzione di omesso rispetto dell’obbligo di vigilanza imposto dal codice civile. Nel giudizio risarcitorio, pertanto, il danneggiato ha l’onere di provare che il danno è stato cagionato al minore durante il tempo in cui lo stesso era affidato alla vigilanza del personale scolastico, poiché la dimostrazione del fatto costitutivo della propria pretesa è “sufficiente a rendere operante la presunzione di colpa nei confronti del danneggiante, per inosservanza dell’obbligo di sorveglianza” (cfr. Cass. civ. 24997/2008). Spetta invece all’insegnante fornire la prova liberatoria “di non aver potuto impedire il fatto” e a tal fine si sottolinea che “non è sufficiente la sola dimostrazione di non essere stato in grado di spiegare un intervento correttivo o repressivo dopo l'inizio della serie causale sfociante nella produzione del danno, ma è necessario anche dimostrare di aver adottato, in via preventiva, tutte le misure disciplinari o organizzative idonee ad evitare il sorgere di una situazione di pericolo favorevole al determinarsi di detta serie causale” (cfr. ex multis Cass. civ. 9337/2016 e Cass. civ. 9542/2009).
In altri termini, il soggetto danneggiato deve dimostrare soltanto gli elementi oggettivi dell’illecito, vale a dire il fatto illecito e il nesso di causalità tra il fatto e l’evento dannoso; il soggetto chiamato a rispondere dell’illecito dell’allievo potrà al contrario esimersi da tale responsabilità soltanto provando di non aver potuto impedire il fatto. Se l’insegnante non prova l’inevitabilità dell’evento dannoso, sussiste, oltre alla sua responsabilità, la responsabilità indiretta dell'istituto scolastico con il quale detto insegnante intratteneva il rapporto di lavoro, responsabilità che, traendo fondamento dalla rigorosa previsione dell’art. 2049 c.c., non ammette prova liberatoria da parte del datore di lavoro, sul quale grava il rischio di impresa (in questo senso, Cass. civ. sez. III, 18/07/2003, n. 11241).
Nella fattispecie concreta, questo Giudice ritiene che gli attori non abbiano assolto l’onere della prova circa la sussistenza dei menzionati elementi oggettivi dell’illecito contestato.
Dall’istruttoria espletata è emerso che effettivamente vi fossero delle problematiche tra S.C. e talune compagne di classe. Invero, alcune compagne di classe, in particolare C. DU. e J.L., tendevano ad escludere e isolare S.. Ciò risulta dalle dichiarazioni del teste, il maestro G.B., che ha affermato: “ho visto con i miei occhi che anche nell’anno scolastico 2017-2018 le altre compagne di classe, ragazzine, continuavano a discriminare ed isolare S., era una questione femminile. Da un lato la evitavano, non giocavano mai con lei, ma anche lei non voleva giocare con loro; alcune ragazzine la prendevano in giro, ma mai dinanzi a me ho sentito espressioni discriminatorie fondate sulla fede religiosa della mamma di S.. Posso dire che veniva discriminata nel senso di isolata” e che “nel quinto anno C. DU. è stata una delle più ostili nei confronti di S., in quarta invece la situazione era molto fluida, da un lato non vi era J.L. che sicuramente ha consolidato e ha dato sicurezza a C. nell’opporsi a S., sono diventate una coppia ostile e dall’altro ho visto che ci sono stati dei momenti in cui S. si è legata ad alcune compagne anche a C. ma sono stati brevi momenti di unione”; ancora, “l’espressione bullismo che, come dicevo, probabilmente ho riferito all’incontro dell’aprile 2018 si riferiva alle prese in giro che venivano fatte a S., alle alleanze da parte delle due bambine (J.L. e C.) nei confronti di S., ad esempio si verifica la situazione che le due bimbe parlavano tra loro, ridevano e guardavano S.”. (v. verbale udienza del 7.10.2021).
Tali condotte, per quanto moralmente riprovevoli e spiacevoli, non sono idonee ad integrare gli estremi del fatto giuridicamente illecito anche alla luce del contesto in cui si collocano come emerso nel corso dell’istruttoria: la classe di S. era una classe caratterizzata da un clima conflittuale e da una mancanza di coesione tra tutti gli allievi. Ciò emerge dalle dichiarazioni rese dai testi, dottoressa D.Z., (“l’insegnante G.B. ricordo che avesse parlato di come vedeva la classe, nel suo insieme, che non era un gruppo coeso”, v. verbale udienza 20.5.2021), C.R., madre di un compagno di classe di S. (“Nella riunione di classe ricordo che il maestro G.B. aveva riferito di avere trovato una “non classe”, cioè diceva che i bambini regolavano i loro rapporti con la delazione, quindi se una bimba o un bimbo, qualsiasi studente, che vedeva un altro studente che lo disturbava, alzava la mano e denunciava la cosa all’insegnante”, v. verbale udienza 20.5.2021), Raffaella Ferrari, madre di un compagno di classe di S. (“(…)avevo sentito dalle altre mamme, il primo anno forse solo da una mamma, mentre negli altri anni anche da altre mamme, che vi era conflittualità tra le bambine. Per quello che mi è stato riferito, si trattava di una conflittualità tra le bambine direi ordinaria, nulla di particolare mi era stato riferito […] ricordo che siamo stati convocati nell’anno della quinta per problemi relativi alle dinamiche di classe e nello specifico, se non ricordo male, di dinamiche delle bambine di classe, e nel corso della riunione sono emerse questioni relative a frasi dette tra le bambine tra loro”, v. verbale udienza 20.5.2021).
Tali difficoltà relazionali riguardavano soprattutto le bambine della classe e, almeno in parte, potevano essere verosimilmente originate da alcune frasi dette da S., che hanno determinato la convocazione da parte dell’Istituto (omissis) dei genitori della minore. S., infatti, come riconosciuto da parte attrice, avrebbe fatto dichiarazioni sulla morte della nonna che avevano allarmato le compagne di classe (in particolare S. ha dichiarato che la nonna sarebbe morta nell’attentato di Parigi quando questa è in realtà deceduta sempre a Parigi per cause naturali: v. atto di citazione, pp. 7 ss.). Ancora, S. avrebbe fatto dichiarazioni di carattere sessuale idonee a turbare la serenità delle compagne (“Ho il ciclo è fortissimo, tanto sangue”, “Il mio quinto fidanzato mi ha fatto cose molte brutte, sono incinta”, “Ho denunciato il mio fidanzato, state attente ai maschi”, pag. 26 comparsa di costituzione e risposta). Tali circostanze non sono state contestate da parte attrice nella prima difesa utile (memoria ex art. 183, comma VI, n. 1 c.p.c.), pertanto, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., devono ritenersi provate.
Ancora, dalla documentazione in atti, è emerso come tale dinamica conflittuale fosse alimentata anche dalla stessa S.. Dalla corrispondenza intercorsa tra la madre di S. e il maestro G.B., cui la prima si è rivolta per manifestare il disagio e le angosce della figlia per l’isolamento e per le continue prese in giro delle compagne, emerge come anche S. fosse solita tenere condotte non adeguate nei confronti delle compagne (v. doc. 7 fasc. att. e doc. 6 fasc. conv., mail di K.H. al maestro G.B. del 16.1.2018 “Le scrivo perché ho notato che S. torna dalla scuola triste per il comportamento delle sue compagne di classe. La isolano e persino parlano male di mia figlia in sua presenza”, mail di risposta del maestro G.B. a K.H. nello stesso giorno “Grazie, Signora, della segnalazione. Ogni tanto, in effetti, le ragazze ricadono nelle vecchie abitudini, compresa S.”, “Ho sempre difeso S.. Se sua figlia è onesta lo confermerà. Purtroppo, raramente ascolta i miei consigli o mi chiede aiuto, perciò posso sostenerla solo in modo indiretto. Infine in tutta onestà, ha le sue amiche e non è isolata come dice di essere, tranne quando decide lei stessa di starsene da sola”). Da ciò si evince come, da un lato, fosse anche S. a “ricadere nelle vecchie abitudini” (condotte di presa in giro delle compagne) e, dall’altro, che S. non fosse del tutto isolata, come riferito dagli attori, ma avesse anche lei delle compagne con cui era più affine.
Il fatto che la situazione di emarginazione di S. sia stata determinata, quanto meno in parte, da condotte della stessa minore emerge anche dalle dichiarazioni rese dal maestro G.B. nel corso dell’istruttoria orale assunta nel presente giudizio, secondo cui “La situazione a cui faccio riferimento è sia quella di isolamento di S.C. che si era cristallizzato, sia questo pregiudizio personale nei suoi confronti, pregiudizio che era il fatto che diceva cose strane, che punzecchiava nei punti deboli, cose che in parte erano vere, ma su cui si doveva soprassedere, io non potevo tollerare che vi fosse questa spaccatura tra i bambini” (v. verbale udienza. 7.10.2021). È, quindi, verosimile ritenere che anche S. sia incorsa in condotte di presa in giro dei compagni e abbia adottato un linguaggio poco appropriato per un contesto di scuola primaria.
Per tutte le ragioni esposte, si ritiene che le condotte descritte, di isolamento e di derisione di S.C., non siano idonee a configurare un fatto illecito, poiché rientranti in ordinarie dinamiche scolastiche, seppur dalla conflittualità accentuata.
Non può neppure ritenersi sussistente il fatto illecito consistente nelle condotte discriminatorie di cui sarebbe stata vittima S.C. per la fede religiosa ed il colore della pelle della madre. Tali condotte, infatti, non risultano in alcun modo dimostrate in giudizio.
Dall’istruttoria espletata è emerso che S.C. ha subìto prese in giro ed è stata allontanata dalle compagne, non anche che è stata discriminata per le ragioni anzidette. Il maestro G.B. ha, infatti, dichiarato espressamente che “le altre compagne di classe, ragazzine, continuavano a discriminare ed isolare S., era una questione femminile. Da un lato la evitavano, non giocavano mai con lei, ma anche lei non voleva giocare con loro; alcune ragazzine la prendevano in giro, ma mai dinanzi a me ho sentito espressioni discriminatorie fondate sulla fede religiosa della mamma di S.. Posso dire che veniva discriminata nel senso di isolata” (v. verbale di udienza del 7.10.2021).
Gli unici riferimenti all’asserita discriminazione ai danni di S.C. sono contenuti nelle dichiarazioni esclusivamente de relato dei testi dottoressa D.Z. e maestro G.B. i quali, tuttavia, hanno riportato quanto appreso dai genitori di S.C. e non da loro percepito direttamente (teste Z. “ricordo che i signori C. avessero comunicato ai responsabili della scuola che la bambina era triste e riferiva che si sentiva esclusa dal gruppo delle bambine che poi la bimba aveva riportato che le dicevano che aveva la mamma musulmana.”, v. verbale di udienza del 20.5.2021; teste G.B. “Ricordo che i genitori di S. avevano informato la scuola che le altre bimbe si rifiutavano di giocare con S.C. sul presupposto della fede religiosa della madre, ricordo anche che i genitori di S. avevano richiesto alla scuola di intervenire per la tutela della minore”, (v. verbale di udienza del 7.10.2021, pag. 3). Trattandosi di dichiarazioni de relato actoris, non assumono rilevanza probatoria ai fini della formazione del convincimento di questo Giudice. Sul punto si ricorda che “In tema di prova testimoniale, i testimoni "de relato actoris" sono quelli che depongono su fatti e circostanze di cui sono stati informati dal soggetto che ha proposto il giudizio, così che la rilevanza del loro assunto è sostanzialmente nulla, in quanto vertente sul fatto della dichiarazione di una parte e non sul fatto oggetto dell'accertamento, fondamento storico della pretesa” (tra le tante, v. Cass. civ., sez. I, 15/01/2015, n. 569, Cass. civ., sez. VI, 17/02/2016, n. 3137).
In ogni caso, si osserva che nessun riferimento alle predette condotte discriminatorie è stato rinvenuto dalla lettura del diario di S., la cui copia è stata prodotta da parte attrice (cfr. doc. 30 fasc. att.).
Si ribadisce, quindi, l’insussistenza di un fatto illecito rilevante ai sensi dell’art. 2043 c.c. e tale da fondare la responsabilità dell’istituto scolastico. Le condotte descritte, infatti, lungi dal costituire un fatto illecito, si inseriscono in dinamiche di contrasti e screzi tra bambini.
Passando ad esaminare gli ulteriori episodi che hanno visto coinvolta S.C., si osserva quanto segue.
Per quanto attiene all’episodio occorso il 17.5.2017, in cui ai capelli di S. sarebbe stata attaccata una gomma da masticare (senza che questa se ne accorgesse nell’immediatezza ma solo in un momento successivo), non vi è prova di chi abbia tenuto tale condotta. Parte attrice ha, infatti, affermato che probabilmente tale condotta sarebbe stata posta in essere da C. DU., in quanto seduta nel banco dietro a S.. Tuttavia, come emerge dalla corrispondenza intercorsa tra il padre di S.C., P.C., e il maestro G.B., C. DU. ha negato la sua responsabilità in merito all’accaduto (v. doc. 6 fasc. att.). Non è, quindi, possibile stabilire chi concretamente abbia posto in essere la predetta condotta nei confronti di S.C.. Non avendo contezza dell’autore della predetta condotta, non è neppure possibile stabilire se essa sia stata volontaria o accidentale.
Con riguardo all’episodio della foto, parte attrice afferma che nel marzo del 2018 a S. sarebbe stata scattata una foto durante l’orario scolastico senza il suo consenso, fotografia poi modificata in termini offensivi e condivisa su una chat WhatsApp alla quale partecipavano alcuni compagni della classe (non anche S.). Tale condotta risulta provata. Parte attrice, infatti, ha allegato la relativa foto, che ritrae S.C. in classe (ciò si desume dal fatto che la minore indossa il grembiule e sullo sfondo si possono notare i banchi con sopra i quaderni), con, al posto delle mani, due fette di pancetta, e in basso la scritta “maiale vai” (v. doc. 16 fasc. att.); ancora, parte attrice ha allegato gli screenshot della chat WhatsApp in questione, ove è stata inviata la predetta foto e altre di analogo tenore (sempre la stessa foto ma diversamente modificata), al cui invio hanno fatto seguito commenti offensivi dei bambini partecipanti della chat (v. doc. 34, 34bis, 34ter, 34quater, fasc. att.). L’episodio in questione trova conferma anche nelle dichiarazioni del teste G.B., secondo cui “la foto in questione, mi sta venendo in mente solo adesso, era stata inviata a me direttamente e poi io l’avevo fatta vedere alla mamma di S.C. su sua richiesta. Me l’aveva inviata un mio alunno sicuramente, uno di quelli che l’aveva ricevuta sul cellulare” (v. verbale di udienza del 7.10.2021). È, inoltre, pacifico che la predetta condotta sia stata posta in essere da C. DU., la quale ha ammesso la sua responsabilità (v. doc 17 e 18 fasc. att., relativi alla corrispondenza tra gli attori e l’Istituto in merito all’episodio della foto, e doc. 38 fasc. att., pag. 27, atto di citazione notificato ai genitori di C. DU.).
Con riguardo al fatto descritto, occorre operare una distinzione tra il fatto consistito nello scattare la fotografia a S., la sua modifica in termini offensivi e la successiva divulgazione. Quest’ultima frazione della condotta (modifica della fotografia in termini offensivi e sua divulgazione) integra senza dubbio un fatto illecito rilevante ai sensi dell’art. 2043 c.c., in quanto condotta lesiva di un interesse meritevole di tutela alla stregua dell’ordinamento giuridico, quale quello all’onore, alla reputazione e all’immagine della bambina in questione. Tuttavia, non vi è prova che la predetta condotta – la modifica della foto nei termini anzidetti e la sua divulgazione nella chat WhatsApp – sia avvenuta durante l’orario scolastico, lasso temporale in cui è circoscritto il dovere di vigilanza degli insegnanti sugli allievi e, di conseguenza, la correlativa responsabilità di cui all’art. 2048 c.c. (cui consegue la responsabilità indiretta dell’Istituto ex art. 2049 c.c.). Al contrario, deve ritenersi, più probabile che non, che la predetta condotta sia stata adottata al di fuori dell’orario scolastico; ciò a maggior ragione se si considera l’orario in cui alcune di queste foto sono state inviate sul gruppo WhatsApp, ossia alle 23.13 circa (v. doc. 34, 34bis e 34ter fasc. att., screenshot delle conversazioni su WhatsApp). Vi è solo una foto inviata alle ore 9 del mattino, ma non è possibile stabilire se fosse un giorno feriale o festivo e, quindi, se la predetta condotta sia stata adottata durante l’orario scolastico (v. doc. 34 fasc. att.).
Con riguardo, invece, al fatto in sé di fotografare S.C. senza il suo consenso, anche tale fatto costituisce un fatto illecito, in quanto lesivo dell’interesse della stessa a non essere ritratta senza il suo consenso. Peraltro, il fatto è oltremodo illecito, poiché posto in essere in violazione delle regole di condotta della scuola, in particolare del regolamento dell’istituto scolastico che, all’art. 7 vieta l’utilizzo dei cellulari nella scuola (cfr. doc. 16 fasc. conv.). Tuttavia, a tale fatto non è riferibile il danno-conseguenza lamentato dalla minore.
Sul punto occorre, invero, operare una premessa in merito alla struttura dell’illecito aquiliano. Mentre ai fini della sanzione penale si imputa al reo il fatto-reato (il cui elemento materiale è appunto costituito da condotta, nesso causale ed evento naturalistico o giuridico), ai fini della responsabilità civile ciò che si imputa è il danno e non il fatto in quanto tale. È dunque sempre necessario che vi sia un "fatto" affinché sorga la responsabilità civile, giacché l'imputazione del danno presuppone l'esistenza degli elementi strutturali di cui all’art. 2043 c.c.. Pertanto, la nozione di "danno" rileva sotto due profili diversi: sia come evento lesivo, sia come insieme di conseguenze risarcibili, il primo retto dalla c.d. causalità materiale, mentre il secondo dalla causalità c.d. giuridica. Il danno oggetto dell'obbligazione risarcitoria aquiliana è quindi esclusivamente il danno-conseguenza del fatto lesivo (di cui è un elemento l'evento lesivo): se sussiste solo il fatto lesivo, ma non vi è un danno- conseguenza, non vi è l'obbligazione risarcitoria.
Ne consegue che esistono due momenti diversi del giudizio aquiliano: la costruzione del fatto idoneo a fondare la responsabilità “strutturale” (secondo le regole della causalità materiale di cui agli artt. 40 e 41 c.p. ove il danno rileva solo come evento lesivo) e la determinazione dell'intero danno cagionato, che costituisce l'oggetto dell'obbligazione risarcitoria. In questo secondo passaggio dell’accertamento della causalità, occorre fare applicazione della regola di cui all’art. 1223 c.c. (come richiamato dall'art. 2056 c.c.), per il quale il risarcimento deve comprendere le perdite "che siano conseguenza immediata e diretta" del fatto lesivo (cd. causalità giuridica), così da delimitare, con l’individuazione delle singole conseguenze dannose, i confini di una (già accertata) responsabilità risarcitoria (cfr. Cass. civ., sezioni unite, n. 576 del 2008).
Applicando i predetti principi al caso di specie, si osserva che parte attrice, a sostegno della propria richiesta di risarcimento del danno subìto da S., ha affermato che quest’ultima “ha visto limitarsi fortemente e irrimediabilmente (a maggior ragione in considerazione della tenera età) talune componenti primarie psichiche, quali l’affettività, il tono dell’umore, le pulsioni, con un’alterazione del proprio equilibrio psico-fisico di carattere permanente (…) La minore, infatti, ha visto leso il proprio diritto ad un pieno sviluppo della personalità all’interno delle formazioni sociali, di cui all’art. 2 Cost.. Appare chiaro come, in seguito alle continue provocazioni, intimidazioni, insulti e discriminazioni subite, S.C. abbia provato sofferenze tali da pregiudicare le proprie future dinamiche relazionali. In altri termini, la totalità di timori e lo stato di diffidenza verso gli altri che le condotte richiamate si prestano a ingenerare in capo a S.C. imporranno alla stessa un atteggiamento necessariamente diverso nei confronti della società e della vita in generale” (v. atto di citazione, pag. 48 e 49). Dalle argomentazioni di parte attrice si evince, quindi, come il danno lamentato da S. sia riconducibile alle condotte di prevaricazione e discriminazione delle compagne (non provate nei termini di cui si è detto supra) e non anche al fatto in sé di essere stata fotografata senza il suo consenso. Pertanto, parte attrice ha dimostrato il fatto illecito (l’essere stata fotografata senza il suo consenso e in contrasto con il regolamento scolastico) e il nesso di causalità materiale tra questo e l’evento lesivo (la lesione dell’interesse all’immagine della minore), ma non ha, invece, dimostrato il nesso di causalità c.d. giuridica tra l’evento dannoso e il danno conseguenza, ossia non ha dato prova di quali danni avrebbe subìto la minore per effetto della mera fotografia “rubata”. In difetto di tale prova, non può ravvisarsi una responsabilità del personale insegnante di cui all’art. 2048 c.c. e, di conseguenza, neppure quella indiretta dell’istituto scolastico ai sensi dell’art. 2049 c.c..
Parte attrice ha, inoltre, formulato nei confronti dell’Istituto (omissis) domanda di risarcimento del danno ex art. 1218, per non avere l’Istituto correttamente adempiuto all’obbligo di vigilare sulla sicurezza e sull’incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica. L’accoglimento della domanda di iscrizione, con conseguente ammissione dell’allievo alla scuola, determina, infatti, l’instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge a carico dell’istituto l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e sull’incolumità dell’allievo per il tempo in cui fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l’allievo procuri un danno a se stesso (ex multis Cass. civ., sez. un. 27/06/2002, n. 9346).
Anche tale domanda non merita accoglimento. Si ritiene, infatti, che l’istituto abbia correttamente adempiuto agli obblighi gravanti sullo stesso. In particolare, l’istituto, a fronte delle problematiche emerse con S., ha sin da subito preso contatto con i genitori della minore per cercare di far fronte alle criticità emerse: ai primi incontri, oltre ai genitori di S. e i responsabili dell’istituto (in particolare tra il coordinatore docenti, A.S., e la maestra di S. dei primi tre anni di scuola elementare, L.G.), erano presenti anche gli psicologi interni dell’amministrazione scolastica. Ciò risulta dalle dichiarazioni della stessa parte attrice (con riferimento ai primi anni di scuola primaria “erano sempre presenti il sig. S. e la sig.ra G. ed occasionalmente i responsabili del servizio psicologico interno della scuola nella persona dei sigg.ri A.P. e M.A.”, v. atto di citazione, pag. 4) ed è stato confermato dalla teste, dottoressa D.Z. (in merito all’incontro tenutosi nel maggio del 2016, relativo all’eventualità di escludere S. dalla gita scolastica, “Ho partecipato a degli incontri tenutisi presso la scuola in quanto i genitori della bambina mi avevano richiesto di aiutarli a capire cosa stesse succedendo alla bimba dal momento che la scuola riferiva che delle compagne di S. avevano dei problemi con la bimba, come se ci fossero dei problemi. Ricordo che si è tenuta una riunione verso la fine del terzo anno, a maggio, più o meno, c’erano i genitori della bambina, S. che era se ricordo bene il coordinatore scolastico, vi era la maestra di S., L.G., e vi erano gli psicologi della scuola”, v. verbale di udienza del 20.5.2021, pag. 2).
La scuola, infatti, dispone di un servizio di ausilio psicologico per gli allievi e per le loro famiglie, come risulta dalle dichiarazione dei testi, madri di compagni di classe di S., C.R. (che, sul capitolo 4 della memoria ex art. 183, comma VI, n. 2, di parte convenuta “ Vero che l’Istituto (omissis) da moltissimi anni mette a disposizione dei propri alunni e delle loro famiglie un servizio di sostegno psicologico, di cui si occupano il Dr. M.A. e la dr.ssa A.P.”, ha risposto “Si confermo”, v. verbale di udienza del 20.5.2021) e R.R. (“si confermo, io me ne sono anche servita, in particolare in classe terza quando mio figlio ha avuto problemi con l’insegnante L. della classe terza”, v. verbale di udienza del 7.10.2021).
Ancora, alla classe di S. è stato assegnato un docente competente e qualificato, che ha sin da subito instaurato un rapporto empatico con S. (sul punto, si rinvia al contenuto dell’atto di citazione in cui si afferma che “Il maestro G.B., durante la riunione, dava una “puntuale descrizione di S. come un’ottima studentessa ed una bambina intelligente e complessa oltre che diffidente” e raccontava di “come si sia sentito inizialmente studiato e messo alla prova dalla bambina che gli ha poi accordato massima fiducia ed ha stabilito con lui un ottimo rapporto.”, atto di citazione, pag. 17). Il maestro G.B. ha, ove necessario, tutelato S., prendendo le sue difese nei casi in cui questa era presa di mira dalle compagne, e richiamandola quando era lei stessa ad adottare comportamenti non opportuni. Ciò si evince, in primo luogo, dalla corrispondenza del maestro con la madre della minore (cfr. doc. 7 fasc. att. e doc. 6 fasc. conv., mail di K.H. al maestro G.B. del 16.1.2018 “Le scrivo perché ho notato che S. torna dalla scuola triste per il comportamento delle sue compagne di classe. La isolano e persino parlano male di mia figlia in sua presenza. Le chiederei di prestare attenzione alla situazione e di intervenire se necessario visto che il bullismo (di questo si tratta a mio parere) non va mai sottovalutato. Magari, se mi posso permettere, le suggerirei di spiegare in classe cos’è il bullismo e le sue conseguenze in modo da rispegliare un po’ le coscienze (dei bambini e …magari dei genitori)”, mail di risposta del maestro G.B. a K.H. nello stesso giorno “Grazie, Signora, della segnalazione. Ogni tanto, in effetti, le ragazze ricadono nelle vecchie abitudini, compresa S.. Da parte mia faccio il possibile per riportare la serenità, ma non è sempre facile. Comunque, un mese fa ho fatto vedere in classe un video sul bullismo e ne abbiamo discusso insieme. S. era presente”, “Ho sempre difeso S.. Se sua figlia è onesta lo confermerà. Purtroppo, raramente ascolta i miei consigli o mi chiede aiuto, perciò posso sostenerla solo in modo indiretto”); in secondo luogo, dall’istruttoria espletata, in cui il maestro G.B. ha dichiarato che “non ricordo le parole esatte da me utilizzate alla riunione del 9.4.2018, ma il senso era quello, cioè che bisognava prendere una posizione rispetto a quella situazione e far capire alle famiglie di queste ragazzine di porsi dei limiti. La situazione a cui faccio riferimento è sia quella di isolamento di S.C. che si era cristallizzato, sia questo pregiudizio personale nei suoi confronti, pregiudizio che era il fatto che diceva cose strane, che punzecchiava nei punti deboli, cose che in parte erano vere, ma su cui si doveva soprassedere, io non potevo tollerare che vi fosse questa spaccatura tra i bambini” (v. verbale di udienza 7.10.2021, pag. 4).
Inoltre, la scuola, a fronte delle problematiche di classe che erano emerse, ha inserito, in funzione di supporto del maestro G.B., la figura femminile della signora F.C., che ha avuto un impatto positivo nella gestione delle dinamiche relazionali tra le compagne di classe. Ciò risulta, in particolar modo dalle dichiarazioni del maestro G.B. “io nell’anno scolastico 2016-2017 ero insegnante prevalente nella classe IV B, ricordo che dopo un po’ rispetto all’inizio dell’anno è arrivata una tirocinante, apprendista, stava facendo il tirocinio per l’università, F.C., dovevamo lavorare insieme su progetti da lei proposti, nella specie aveva fatto un progetto sulle emozioni che poi le sarebbe servito per il suo percorso formativo universitario; non era un insegnante di sostegno, era un insegnante che era già presente nell’istituto come eventuale supplente o per affiancamento di altri insegnanti; nel momento in cui è venuta in IV B la sua figura è stata molto utile perché le ragazzine si confidavano con lei e lo abbiamo visto nel concreto delle attività quotidiane; questo progetto è stato utile in generale per la classe per far venir fuori le emozioni” (v. verbale di udienza del 7.10.2021, pag. 3).
La presenza della signora F.C., in affiancamento del docente principale, è stata prevista anche per il quinto e ultimo anno di scuola elementare, e ciò proprio a fronte delle sollecitazioni degli attori e della dottoressa D.Z. (benché questa avesse chiesto l’inserimento di soggetti con competenze psicologiche). La dottoressa D.Z., infatti, ha dichiarato che “soprattutto nel quinto anno avevo proposto di fare intervenire gli psicologi della scuola per la risoluzione di queste dinamiche e per lavorare più sull’intervento di gruppo. Ricordo che la scuola aveva risposto alla mia proposta di mettere una insegnante di nome F.C. con l’obiettivo di osservare e facilitare le dinamiche tra i bambini e ciò al posto degli psicologi;”, v. verbale udienza 20.05.2021).
Tutte le circostanze innanzi riportate dimostrano come l’istituto scolastico abbia diligentemente vigilato sull’incolumità dell’allieva in questione e adottato le dovute cautele per preservarne l’integrità psichica.
Il comportamento diligente dell’istituto si evince, inoltre, dalle modalità di gestione dell’episodio della foto scattata a S.. Il maestro G.B., infatti, venuto a conoscenza del fatto, ha informato la madre di S.C., mostrandole la relativa foto, come risulta dalla sua deposizione testimoniale (“la foto in questione, mi sta venendo in mente solo adesso, era stata inviata a me direttamente e poi io l’avevo fatta vedere alla mamma di S.C. su sua richiesta”, v. verbale di udienza 7.10.2021).
L’istituto ha, inoltre, convocato i genitori della minore responsabile del fatto (come emerge dalla deposizione testimoniale di A.S. “confermo che i genitori dell’alunno che aveva effettuato la fotografia sono stati convocati”, v. verbale di udienza dell’1.3.2022, pag. 2, e doc. 18 fasc. att.); ha trasmesso (doc. 7 fasc. conv.) ai genitori degli alunni della classe una comunicazione in cui li informava dell’accaduto, li ha invitati a controllare il cellulare dei figli e a rimuovere il materiale offensivo, facendo richiamo al regolamento scolastico che vieta l’utilizzo dei cellulari a scuola (v. doc. 16, fasc. conv.); infine, la scuola ha organizzato una lezione, tenuta dal maestro L.T., referente per il bullismo e cyberbullismo nella scuola Primaria, coadiuvato dal Maestro G.B., il quale ha ripercorso l’accaduto e ammonito gli allievi al rispetto del regolamento scolastico (il teste G.B. ha, infatti, dichiarato che “Ricordo che responsabile dell’informatica nonché insegnante, L.T., era intervenuto in classe richiamando il rispetto del regolamento (…) A questo proposito mi viene in mente che quando L.T. aveva parlato in classe aveva detto ai bambini di fare vedere le foto ai genitori e di cancellarle insieme a loro”, v. verbale 7.10.2021).
Infine, alcuna negligenza è addebitabile all’istituto per non aver vigilato sull’utilizzo dei cellulari, dal momento che l’utilizzo degli stessi per regolamento scolastico è vietato ed è ragionevole ritenere, data la giovanissima età degli alunni, che questi non disponessero di tali dispositivi. In questo senso, si ricorda che la stessa S. non aveva il telefono cellulare e come lei anche altri compagni di classe (si veda sul punto la testimonianza di C.R. che, a proposito della circolare relativa all’episodio della foto, ha dichiarato “mi sembra di sì, di averla ricevuta, ma poiché mio figlio non aveva il cellulare ai tempi, non ho prestato attenzione alla circolare”, v. verbale di udienza del 20.5.2021, pag. 5)
Per tutte le ragioni esposte, si ritiene che l’Istituto abbia correttamente vigilato sull’incolumità della minore e non sia configurabile a suo carico alcun inadempimento.
Per le medesime ragioni, stante l’insussistenza di un inadempimento da parte dell’istituto, non merita accoglimento la domanda di risoluzione del contratto e di restituzione delle rette pagate. Peraltro, con riguardo a tale domanda, se ne evidenzia l’infondatezza, dal momento che S. per tutti e cinque gli anni ha in ogni caso fruito del servizio scolastico e, dunque, della controprestazione.
Le considerazioni sin qui svolte sono tali da assorbire ogni ulteriore contestazione o domanda proposta, anche in via subordinata o alternativa, rilevandosi che i profili non espressamente esaminati sono stati ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
In ragione del mancato accertamento della responsabilità dell’Istituto, rimane assorbita la domanda di manleva proposta dal convenuto Istituto (omissis) nei confronti della terza chiamata A. s.p.a..
Stante l’esito della lite, in particolare, a fronte del rigetto integrale delle domande attoree e alla luce dell’accertamento in questo giudizio del carattere illecito di talune delle condotte poste in essere ai danni di S.C. seppur in assenza della ulteriore (necessaria) prova del danno c.d. conseguenza, devono ritenersi sussistenti le condizioni per compensare le spese nella misura di 1/4 e di porre i restanti 3/4 a carico degli attori, in solido tra loro (cfr. al riguardo Cass. civ. 3438/2016 in ordine alla sussistenza delle condizioni per la compensazione totale o parziale delle spese processuali e, da ultimo, Cass. civ., sezioni unite, 32061/2022), spese di lite liquidate come in dispositivo in applicazione dei criteri di cui al D.M. 55/2014 e succ. modifiche (tenuto conto di quanto previsto dall’art. 6 del D.M. 147/2022 che prevede l’applicabilità del predetto regolamento alle sole prestazioni professionali esaurite successivamente alla sua entrata in vigore, dunque, nella specie alla sola fase decisoria) e, in particolare, tenuto conto del valore della causa, dell’attività difensiva prestata e delle questioni giuridiche e di fatto trattate.
Quanto al terzo chiamato, le spese di lite devono essere poste a carico di parte attrice secondo il principio di causalità, sulla scorta del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia deve essere posto a carico dell’attore, ove la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall’attore stesso e queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che l’attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda (cfr. ex multis Cass. civ. n. 7431 del 2012 e 31889/2019), spese di lite liquidate come in dispositivo in applicazione dei criteri di cui al D.M. 55/2014 e succ. modifiche (tenuto conto di quanto previsto dall’art. 6 del D.M. 147/2022 che prevede l’applicabilità del predetto regolamento alle sole prestazioni professionali esaurite successivamente alla sua entrata in vigore, dunque, nella specie alla sola fase decisoria) e, in particolare, tenuto conto dell’attività difensiva prestata, del mancato deposito delle memorie istruttorie e, con riguardo alla fase decisoria, del deposito della sola comparsa conclusionale.
P.Q.M.
Il Tribunale di Milano, sezione Decima Civile, definitivamente pronunciando nella causa civile di cui in epigrafe, ogni altra istanza, difesa, eccezione o deduzione disattesa, così provvede:
rigetta le domande proposte da P.C. e K.H., in proprio e quali esercenti la responsabilità genitoriale sulla figlia S.C., nei confronti della Provincia Lombarda dei (omissis);
dichiara assorbita la domanda di manleva formulata da parte convenuta Provincia Lombarda dei (omissis) nei confronti di A. s.p.a.;
previa compensazione delle spese di lite nella misura di un quarto, condanna parte attrice a rifondere a parte convenuta Provincia Lombarda dei (omissis) le spese di lite che si liquidano, per i restanti tre quarti, in Euro 9.209,75 per compensi, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge;
previa compensazione delle spese di lite nella misura di un quarto, condanna parte attrice a rifondere a parte terza chiamata A. s.p.a. le spese processuali che sono liquidate, per i restanti tre quarti, in Euro 5.922,75 per compensi, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.