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27 aprile 2023
Responsabilità civile e assicurazioni
Gli insegnanti non sono responsabili in caso di foto di una minore ritoccata con contenuti offensivi e diffusa tramite WhatsApp
Nell'ipotesi in cui il minore subisca un danno nel periodo di tempo in cui è affidato all'insegnante, l'ordinamento pone a carico di quest'ultimo una presunzione di omesso rispetto dell'obbligo di vigilanza imposto dal Codice civile.
di Avv. e Giornalista pubblicista Maurizio Tarantino
Il caso

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Tizio e Caia, quali esercenti la potestà genitoriale sulla minore Mevia, convenivano in giudizio l'istituto scolastico, chiedendo di accertare la responsabilità del predetto Istituto e, per l'effetto, la condanna al risarcimento dei danni subìti da Mevia causa di comportamenti vessatori e discriminatori perpetrati nei suoi confronti dalle compagne di classe presso l'istituto medesimo. In particolare, la parte attrice evidenziava che nel corso di appositi incontri con i responsabili dell'istituto, i genitori di Mevia segnalavano che la figlia veniva spesso esclusa dal gioco dalle compagne e da queste discriminata poiché la madre è di colore e di fede musulmana. I comportamenti persecutori nei confronti di Mevia culminavano in un episodio risalente al marzo 2018, allorquando veniva scattata una foto alla minore, ritoccata con contenuti offensivi e, successivamente, diffusa all'interno di un gruppo Whatsapp (i cui partecipanti erano taluni bambini della classe); in particolare, Mevia appariva ritratta all'interno della propria classe con le mani photoshoppate e modificate a forma di “bacon” e con l'aggiunta dell'appellativo “maiale”. L'autrice dell'accaduto riconosceva la propria responsabilità; tuttavia, l'Istituto continuava ad ignorare le ripetute richieste di aiuto avanzate dagli attori, dovute alle discriminazioni subìte dalla figlia e ai comportamenti ostili di alcune mamme “accusatrici”, negando la propria responsabilità. Premesso ciò, alla luce dei fatti allegati e dedotti, secondo gli attori sussisteva la responsabilità per culpa in vigilando dell'Istituto ai sensi degli artt. 2048 e 2049 c.c. e, pertanto, doveva risarcire i danni non patrimoniali patiti da Mevia.

Il diritto

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Dall'istruttoria espletata era emerso che effettivamente vi erano delle problematiche tra Mevia e talune compagne di classe. Invero, alcune compagne di classe tendevano ad escludere e isolare Mevia. Tali condotte, per quanto moralmente riprovevoli e spiacevoli, secondo il giudicante, non erano idonee ad integrare gli estremi del fatto giuridicamente illecito. Dunque, le condotte descritte, di isolamento e di derisione di Mevia, non erano idonee a configurare un fatto illecito, poiché rientranti in ordinarie dinamiche scolastiche, seppur dalla conflittualità accentuata. Non poteva neppure ritenersi sussistente il fatto illecito consistente nelle condotte discriminatorie di cui sarebbe stata vittima Mevia per la fede religiosa ed il colore della pelle della madre: tali condotte, infatti, non risultavano in alcun modo dimostrate in giudizio. 

Quanto alla fotografia (modificata), il giudicante ha ritenuto dover operare una distinzione tra il fatto consistito nello scattare la fotografia a Mevia, la sua modifica in termini offensivi e la successiva divulgazione. Quest'ultima frazione della condotta (modifica della fotografia in termini offensivi e sua divulgazione) integrava senza dubbio un fatto illecito rilevante ai sensi dell'art. 2043 c.c., in quanto condotta lesiva di un interesse meritevole di tutela alla stregua dell'ordinamento giuridico, quale quello all'onore, alla reputazione e all'immagine della bambina in questione. Tuttavia, non vi era prova che la predetta condotta – la modifica della foto nei termini anzidetti e la sua divulgazione nella chat WhatsApp – fosse avvenuta durante l'orario scolastico, lasso temporale in cui era circoscritto il dovere di vigilanza degli insegnanti sugli allievi e, di conseguenza, la correlativa responsabilità di cui all'art. 2048 c.c. (cui consegue la responsabilità indiretta dell'Istituto ex art. 2049 c.c.). 

Al contrario, era più probabile che la predetta condotta fosse stata adottata al di fuori dell'orario scolastico. Con riguardo, invece, al fatto in sé di fotografare Mevia senza il suo consenso, anche tale fatto costituisce un fatto illecito, in quanto lesivo dell'interesse della stessa a non essere ritratta senza il suo consenso. Peraltro, il fatto era oltremodo illecito, poiché posto in essere in violazione delle regole di condotta della scuola; tuttavia, a tale fatto non era riferibile il danno-conseguenza lamentato dalla minore. Per meglio dire, parte attrice aveva dimostrato il fatto illecito (l'essere stata fotografata senza il suo consenso e in contrasto con il regolamento scolastico) e il nesso di causalità materiale tra questo e l'evento lesivo (la lesione dell'interesse all'immagine della minore), ma non aveva, invece, dimostrato il nesso di causalità c.d. giuridica tra l'evento dannoso e il danno conseguenza, ossia non aveva dato prova di quali danni aveva subìto la minore per effetto della mera fotografia “rubata”. In difetto di tale prova, non poteva ravvisarsi una responsabilità del personale insegnante di cui all'art. 2048 c.c. e, di conseguenza, neppure quella indiretta dell'istituto scolastico ai sensi dell'art. 2049 c.c.

In conclusione, la domanda è stata rigettata.

La lente dell'autore

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Nella presente vicenda, gli attori agiscono unicamente nei confronti dell’Istituto ex art. 2049 c.c., quindi, quale committente, eventualmente responsabile in via indiretta dell’illecito dei suoi preposti (gli insegnanti dell’istituto medesimo) e non anche nei confronti di questi ultimi. La responsabilità degli insegnanti, invece, è inquadrabile nel paradigma normativo di cui all’art. 2048, comma 2, c.c., che disciplina la responsabilità dei precettori e di maestri d’arte per il fatto illecito commesso dagli allievi nel periodo in cui sono sotto la loro vigilanza.

La responsabilità di cui all’art. 2049 c.c. è, secondo l’orientamento prevalente, un’ipotesi di responsabilità oggettiva per fatto altrui, che presuppone solo la sussistenza di un rapporto di preposizione e il nesso di occasionalità necessaria tra le mansioni cui è adibito il preposto e la commissione dell’illecito (Cass. civ., sez. III, 19 luglio 2012, n. 12448). L’art. 2048 c.c., invece, configura un’ipotesi di responsabilità per fatto proprio, seppur caratterizzata – in deroga al regime ordinario di cui all’art. 2043 c.c. – da una presunzione di colpa. Infatti, nell’ipotesi in cui il minore subisca un danno nel periodo di tempo in cui è affidato all’insegnante, l’ordinamento pone a carico di quest’ultimo una presunzione di omesso rispetto dell’obbligo di vigilanza imposto dal codice civile. Nel giudizio risarcitorio, pertanto, il danneggiato ha l’onere di provare che il danno è stato cagionato al minore durante il tempo in cui lo stesso era affidato alla vigilanza del personale scolastico, poiché la dimostrazione del fatto costitutivo della propria pretesa è “sufficiente a rendere operante la presunzione di colpa nei confronti del danneggiante, per inosservanza dell’obbligo di sorveglianza” (Cass. civ., sez. III, 10 ottobre 2008, n. 24997). Se l’insegnante non prova l’inevitabilità dell’evento dannoso, sussiste, oltre alla sua responsabilità, la responsabilità indiretta dell'istituto scolastico con il quale detto insegnante intratteneva il rapporto di lavoro, responsabilità che, traendo fondamento dalla rigorosa previsione dell’art. 2049 c.c., non ammette prova liberatoria da parte del datore di lavoro, sul quale grava il rischio di impresa (Cass. civ. sez. III, 18 luglio 2003, n. 11241).

Alla luce di quanto esposto, il provvedimento del Tribunale di Milano porta a diverse letture argomentative: da un lato, riconosce il fatto illecito “modifica della fotografia in termini offensivi e sua divulgazione”, tuttavia, esclude gli effetti/responsabilità in quanto ciò non era accaduto durante gli orari di scuola. Ulteriore riflessione riguarda il danno in sé: il giudice riconosce un fatto illecito (tra l’altro in contrasto con il regolamento della scuola), ma esclude il risarcimento poiché non provato il nesso di causalità, ovvero quali sono i danni “effettivamente” subìti dalla minore.