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Tizio aveva intrattenuto una relazione sentimentale con Caia, dalla quale era nata la piccola Mevia, motivo per cui nell'anno 2013, aveva deciso di andare a convivere con Caia nell'immobile di cui la stessa era comproprietaria insieme alla madre e al fratello. Poiché Caia aveva deciso, sin dall'anno 2012, di ristrutturare la propria abitazione, Tizio era stato coinvolto nella relativa spesa, stante la costituzione del nucleo famigliare. Aveva dunque chiesto diversi prestiti e contribuito all'acquisto del materiale necessario. Tizio precisava che, malgrado l'esborso economico sostenuto per la ristrutturazione dell'immobile, lo stesso aveva comunque continuato a collaborare per il mantenimento del nucleo famigliare. Successivamente, nell'anno 2016, conclusasi la relazione con Caia, aveva effettuato un'operazione di consolidamento debiti al fine di ridurre l'ammontare della rata mensile; Caia aveva continuato a vivere nell'immobile di sua proprietà, unitamente alla figlia, alla di lei madre e con un altro figlio, avuto da un'ulteriore relazione. Premesso ciò, secondo l'attore, durante la convivenza, si era verificato in favore della sig.ra Caia un sensibile spostamento patrimoniale, costituito dall'aver ottenuto dal proprio convivente diverse somme di denaro destinate alla ristrutturazione dell'immobile di proprietà esclusiva della stessa, ove ella abitava anche con la madre. Tale incremento patrimoniale, ad avviso dell'attore, era privo di ragione giustificatrice. Costituendosi in giudizio, Caia, invece, evidenziava che le somme in questione erano state elargite spontaneamente dall'attore in adempimento dei doveri di solidarietà e reciproca assistenza che legano i componenti della famiglia di fatto e che in quanto tali rappresentavano adempimenti di obbligazioni naturali ex art. 2034 c.c. irripetibili. |
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In argomento, giova ricordare che l'azione di arricchimento, i cui principi sono senz'altro applicabili ad un dissolto rapporto di convivenza more uxorio, ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell'altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicché non è dato invocare la mancanza o l'ingiustizia della causa qualora l'arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell'adempimento di un'obbligazione naturale. E', pertanto, possibile configurare l'ingiustizia dell'arricchimento da parte di un convivente "more uxorio" nei confronti dell'altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza - il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto - e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza (Cass. civ., sez. III, 15 maggio 2009, n. 11330). Premesso ciò, nel caso in esame, a parere del giudicante, i conferimenti di denaro che l'odierno attore aveva pacificamente effettuato sul conto della convenuta erano stati senz'altro volontari. Inoltre, la circostanza che l'attore aveva diversamente contribuito al menage familiare aveva trovato solo parziale conferma nella documentazione bancaria depositata dall'attore; gli estratti conto ed i bonifici riguardavano, infatti, solo gli anni 2015 e 2016, mentre la convivenza era senz'altro iniziata prima. In relazione a tali anni, peraltro, l'attore aveva documentato spese senz'altro destinate al menage familiare per poche migliaia di euro. Ciò appurato, l'importo di 34 mila euro riversato sul conto della di Caia non appariva un contributo esorbitante rispetto alle condizioni economiche delle parti, ma proporzionato alle stesse e alla durata della convivenza, specie a partire dal novembre 2012, quando era nata la figlia della coppia. Ed invero, pur tenendo conto degli ulteriori esborsi documentati con gli estratti conto ed i bonifici depositati, l'importo complessivamente conferito dall'attore si attestava poco sopra ai 600 euro mensili. |
In argomento, in diverse occasioni, i giudici di legittimità hanno affrontato la questione dell'indebito arricchimento in relazione ai conferimenti di denaro destinati alla costruzione della casa che doveva essere la dimora comune, effettuati da uno dei due partner in vista della instaurazione della futura convivenza, atteso che la volontarietà del conferimento non era indirizzata a vantaggio esclusivo dell'altro partner - che se ne era giovato dopo scioglimento del rapporto sentimentale in ragione della proprietà del terreno e del principio dell'accessione - e pertanto non costituiva né una donazione né un'attribuzione spontanea (Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 2022, n. 5086). La Corte di cassazione ha spiegato che la volontarietà del conferimento è idonea ad escludere il diritto alla ripetizione di quanto spontaneamente pagato, in quanto essa sia spontaneamente indirizzata ad avvantaggiare il soggetto in cui favore viene effettuato il conferimento, ovvero in quanto essa sia una volontaria attribuzione patrimoniale a fondo perduto in favore di una determinata persona, che il conferente intende sostenere o aiutare economicamente in una sua attività o iniziativa, o esigenza. Laddove, invece, come dedotto nella specie dall'attore, il conferimento di denaro sia destinato per la ristrutturazione della casa che doveva essere la dimora comune, non può dirsi che il conferimento sia stato effettuato in favore esclusivo del partner; al contrario, in tal caso il conferimento è finalizzato alla costruzione di un futuro comune. A questo proposito, altra giurisprudenza ha escluso che i conferimenti connessi alla realizzazione della casa fossero riconducibili nell'alveo delle obbligazioni naturali sulla base di due ordini di considerazioni: perché i due all'epoca erano solo fidanzati ma non ancora conviventi e quindi non formavano ancora una famiglia di fatto - pertanto non sussisteva alcuna obbligazione naturale che giustificasse la non ripetibilità di quei conferimenti; perché si trattava di esborsi consistenti, che si collocavano oltre la soglia di proporzionalità ed adeguatezza rispetto ai mezzi di ciascuno dei partners. Era stato accertato in fatto che essi erano ben superiori al normale tenore di vita dell'attrice, proprio perché finalizzati non ad una liberalità e non al normale contributo alle spese ordinarie della convivenza, ma a realizzare quella che avrebbe dovuto essere la casa della coppia, i conferimenti, cioè, si collocavano al di sopra della soglia che il giudice di merito deve individuare nel rispetto dei principi di proporzionalità ed adeguatezza (Cass. civ., 25 gennaio 2016, n. 1266). In definitiva, in situazioni simili, occorre dunque verificare se all'applicabilità delle norme sull'ingiustificato arricchimento sia d'ostacolo la disciplina delle obbligazioni naturali: è necessario, cioè, stabilire se le somme erogate non siano ripetibili perché effettuate in adempimento di una obbligazione naturale, tali essendo le prestazioni patrimoniali di uno dei conviventi more uxorio quando hanno come effetto esclusivo l'arricchimento del partner e sussiste un rapporto di proporzionalità tra le somme sborsate e i doveri morali e sociali assunti reciprocamente dai conviventi. |
Tribunale di Velletri, sez. II Civile, sentenza (ud. 27 aprile 2023) 28 aprile 2023, n. 832
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
A fondamento della domanda l’attore ha esposto di aver intrattenuto una relazione sentimentale dall'anno 2011 con la controparte, dalla quale in data 27.11.2012, era nata la piccola S., motivo per cui nell'anno 2013, aveva deciso di andare a convivere con la sig.ra C., madre della stessa nell’immobile sito in (omissis) via (omissis)n. (omissis) di cui la Sig.ra C. è comproprietaria insieme alla madre e al fratello. Poiché la signora C. aveva deciso, sin dall'anno 2012, di ristrutturare la propria abitazione, era stato coinvolto nella relativa spesa, stante la costituzione del nucleo famigliare. Aveva dunque chiesto diversi prestiti e segnatamente: a) pubbl. il 28/04/2023 RG n. 5667/2019 finanziamento IPA bancario n. (omissis) del 20.04.2012, dell'importo pari ad € 27.126,00, con rata mensile di ammortamento pari ad € 226,05 per n. 120 rate; b) finanziamento IPA n. 55433 del 20.04.2012, dell'importo pari ad € 16.623,36, con rata mensile di ammortamento pari ad € 173,16 per n. 96 rate; c) finanziamento erogato dalle Poste Italiane , tramite la società Finanziaria D. Bank, dell'importo pari ad € 15.000,00, grazie ai quali aveva versato per la ristrutturazione della casa famigliare le seguenti somme: - € 6.000,00 in data 24.05.2012; - € 12.000,00 in data 07.06.2012; - € 15.000,00 in data 25.10.2012; - € 1.000,00 in data 19.03.2014. Ha aggiunto di aver altresì contribuito all'acquisto del materiale necessario. Ha precisato che, malgrado l'esborso economico sostenuto dall'attore per la ristrutturazione dell'immobile, lo stesso aveva comunque continuato a collaborare per il mantenimento del nucleo famigliare. Ha proseguito sostenendo che, successivamente, nell'anno 2016, conclusasi la relazione con la sig.ra C., il sig. L. aveva effettuato un'operazione di consolidamento debiti, mediante I. BANCA al fine di ridurre l'ammontare della rata mensile, ad oggi, pari ad € 306,00; la sig.ra C. aveva continuato a vivere nell'immobile di sua proprietà, unitamente alla figlia, alla di lei madre e con un altro figlio, avuto da un'ulteriore relazione.
In diritto ha sostenuto che, durante la convivenza, si era verificato in favore della sig.ra C. V. un sensibile spostamento patrimoniale, costituito dall'aver ottenuto dal proprio convivente diverse somme di denaro destinate alla ristrutturazione dell'immobile di proprietà esclusiva della C., ove ella abitava anche con la madre. Tale incremento patrimoniale, ad avviso dell’attore, era privo di ragione giustificatrice.
Si è costituita in giudizio la Sig.ra C. la quale ha sostenuto di aver richiesto personalmente due prestiti per complessivi 30.000,00 euro al fine effettuare i lavori di ristrutturazione e di adeguamento della propria casa, per rendere l’appartamento più consono alle esigenze della famiglia, sostenendo interamente le relative spese, fatta eccezione per l’acquisto del camino; il L. avrebbe anch’egli chiesto dei prestiti, ma per spese ed acquisti personali e solo in parte destinati ai bisogni della famiglia e avrebbe trasferito parte delle somme ricevute in prestito sul c/c della C. al fine di contenere i suoi obblighi di mantenimento nei confronti della ex moglie. Tali somme sarebbero rimaste a disposizione della famiglia C. – L. e nel corso della convivenza sarebbero state utilizzate per far fronte ai bisogni e alle necessità della famiglia. Dunque, le somme in questione erano state elargite spontaneamente dall’attore in adempimento dei doveri di solidarietà e reciproca assistenza che legano i componenti della famiglia di fatto e che in quanto tali rappresentavano adempimenti di obbligazioni naturali ex art. 2034 c.c. irripetibili. Ha aggiunto che le erogazioni in questione non avrebbero mutato la loro natura anche qualora fossero state utilizzate per rendere più confacente l’abitazione alle esigenze della famiglia, in quanto lo stesso Sig. L. ne avrebbe ampliamente beneficiato, vivendo in tale immobile per diversi anni, e continuando a beneficiarne nella misura in cui nell’immobile seguitava a vivere la figlia.
La causa è stata istruita mediante la produzione di documenti, l’acquisizione dell’interrogatorio formale delle parti e l’escussione dei testi: Sig.ra N. L., Sig.ra T. T., Sig. C. G., Sig.ra P. S..
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Preliminarmente, in ordine alla richiesta istruttoria ribadita in sede di precisazione delle conclusioni, si richiama e conferma l’ordinanza di rigetto del 3.2.22. L’ordinanza di ammissione delle prove, contrariamente a quanto sostenuto da parte attrice, non fa esclusivo riferimento alla memoria 183 comma 6 c.p.c. n. 2, con la conseguenza che il provvedimento di ammissione deve intendersi riferito a tutta la prova orale articolata, salve le esclusioni specificamente indicate, motivo per cui parte attrice deve ritenersi decaduta dalla possibilità di sentire il teste F., in quanto non citato per l’udienza fissata per l’acquisizione della prova testimoniale ammessa.
Nel merito va premesso che l’azione di arricchimento, i cui principi sono senz’altro applicabili ad un dissolto rapporto di convivenza more uxorio, “ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell'altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicché non è dato invocare la mancanza o l'ingiustizia della causa qualora l'arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell'adempimento di un’obbligazione naturale. E', pertanto, possibile configurare l'ingiustizia dell'arricchimento da parte di un convivente "more uxorio" nei confronti dell'altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza - il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto - e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza” (Cass. 11330/2009).
La Suprema Corte, in particolare, ha ritenuto operante il principio dell'indebito arricchimento in relazione ai conferimenti di denaro destinati alla costruzione della casa che doveva essere la dimora comune, effettuati da uno dei due partner in vista della instaurazione della futura convivenza, atteso che la volontarietà del conferimento non era indirizzata a vantaggio esclusivo dell'altro partner - che se ne era giovato dopo scioglimento del rapporto sentimentale in ragione della proprietà del terreno e del principio dell'accessione - e pertanto non costituiva né una donazione né un'attribuzione spontanea (Cass. n. 14732/2018; 5086/2022). La Corte di cassazione ha spiegato che la volontarietà del conferimento è idonea ad escludere il diritto alla ripetizione di quanto spontaneamente pagato, in quanto essa sia spontaneamente indirizzata ad avvantaggiare il soggetto in cui favore viene effettuato il conferimento, ovvero in quanto essa sia una volontaria attribuzione patrimoniale a fondo perduto in favore di una determinata persona, che il conferente intende sostenere o aiutare economicamente in una sua attività o iniziativa, o esigenza. Laddove, invece, come dedotto nella specie dall’attore, il conferimento di denaro sia destinato per la ristrutturazione della casa che doveva essere la dimora comune, non può dirsi che il conferimento sia stato effettuato in favore esclusivo del partner; al contrario, in tal caso il conferimento è finalizzato alla costruzione di un futuro comune, con la conseguenza che, nel momento in cui lo stesso progetto di vita comune viene meno, il convivente avrà diritto a recuperare il denaro che ha versato per quella determinata finalità, in applicazione e nei limiti del principio dell'indebito arricchimento.
Premesso quanto sopra, occorre dunque verificare se all'applicabilità delle norme sull'ingiustificato arricchimento sia d’ostacolo la disciplina delle obbligazioni naturali: è necessario, cioè, stabilire se le somme erogate non siano ripetibili perché effettuate in adempimento di una obbligazione naturale, tali essendo le prestazioni patrimoniali di uno dei conviventi more uxorio quando hanno come effetto esclusivo l’arricchimento del partner e sussiste un rapporto di proporzionalità tra le somme sborsate e i doveri morali e sociali assunti reciprocamente dai conviventi (Cass. 3712/2003).
La Suprema Corte, nel caso affrontato in occasione del precedente sopra richiamato (Cass. n. 14732/2018, cit.), ha escluso che i conferimenti connessi alla realizzazione della casa fossero riconducibili nell'alveo delle obbligazioni naturali sulla base di due ordini di considerazioni: perché i due all'epoca erano solo fidanzati ma non ancora conviventi e quindi non formavano ancora una famiglia di fatto - pertanto non sussisteva alcuna obbligazione naturale che giustificasse la non ripetibilità di quei conferimenti; perché si trattava di esborsi consistenti, che si collocavano oltre la soglia di proporzionalità ed adeguatezza rispetto ai mezzi di ciascuno dei partners. Era stato accertato in fatto che essi erano ben superiori al normale tenore di vita dell’attrice, proprio perché finalizzati non ad una liberalità e non al normale contributo alle spese ordinarie della convivenza, ma a realizzare quella che avrebbe dovuto essere la casa della coppia, i conferimenti, cioè, si collocavano al di sopra della soglia che il giudice di merito deve individuare nel rispetto dei principi di proporzionalità ed adeguatezza (Cass. n. 1266 del 2016).
Venendo al caso in esame, i conferimenti di denaro che l’odierno attore ha pacificamente effettuato sul conto della convenuta sono stati senz’altro volontari: secondo il L., tuttavia, essi non erano diretti in favore esclusivo del partner ma destinati alla realizzazione di un progetto comune, ovvero alla ristrutturazione della casa in proprietà della signora C., ove avrebbero vissuto con la figlia in arrivo. In tal senso ha deposto la sorella del L., che ha peraltro precisato di aver appreso l’informazione del fratello. Invero, solo uno dei bonifici effettuati dal L. in favore della signora C., ovvero quello di ottobre da 15.000,00 euro, reca tale specifica causale.
La convenuta ha contestato che l’attore abbia contribuito alla ristrutturazione della casa; ha sostenuto che il L., con lo scopo di alleggerire il proprio conto corrente in sede di separazione dalla ex moglie, aveva riversato parte delle somme ricevute a titolo di erogazione dei finanziamenti sul conto della convenuta, quale contributo per la convivenza, durata cinque anni, ovvero dal 2011 al 2016.
L’attore, oltre a contestare che la convivenza fosse iniziata già dal 2011, si è offerto di dimostrare di aver diversamente contribuito alle spese del menage familiare, depositando gli estratti conto e i bonifici emessi nel corso della convivenza. Sono stati in tal senso segnatamente richiamati i seguenti versamenti afferenti al pagamento delle utenze telefoniche (v. (omissis)), all'acquisto dei pannolini per la figlia (v. estratto conto Poste Italiane 24.03.2015); al pagamento delle rate della scuola (v. (omissis) ); all’acquisto di generi alimentari ( v. (omissis)); al pagamento dell’utenza elettrica (v. (omissis)), all’acquisto di abbigliamento per la minore (v. (omissis)), e del materiale relativo alla ristrutturazione abitazione C. (v. (omissis)), nonché al pagamento dell'utenza telefonica della madre della sig.ra C., sin dal febbraio 2013 nonché della fornitura del gas ((omissis)).
Va detto che gli addebiti documentati per l’utenza telefonica riguardano il pagamento della linea internet che la C. ha confermato in sede di interrogatorio formale, precisando, tuttavia, senza contestazioni sul punto ex art. 2734 c.c., che la linea internet era stata voluta dal L. e dunque serviva all’attore. Anche gli esborsi per la spesa hanno trovato conforto nelle risposte rese dalla C. in sede di interrogatorio formale. La documentazione richiamata ha comprovato un esborso complessivo di circa 592 euro, salvo errore di conteggio, in relazione agli anni 2015-2016. La C. ha inoltre confermato che il L. aveva pagato le bollette per la fornitura elettrica; la documentazione in atti dimostra versamenti a tale titolo per circa 1.529,89 euro, salvo errore di conteggio, nel corso del medesimo periodo. Si dubita, invece, che gli ulteriori addebiti asseritamente riferiti alla ristrutturazione riguardino i lavori dell’immobile; stante la contestazione sul punto di parte convenuta, che ha riferito di aver provveduto direttamente, si osserva che si tratta di pagamenti documentati da giugno 2015 in poi, quando ormai i lavori erano terminati (in tal senso anche la testimonianza della sorella del L.).
D’altro canto, la convenuta ha prodotto documentazione attestante le spese per l’acquisito del materiale per la ristrutturazione della casa, dalla quale si evince che la maggior parte di esse riguarda il periodo antecedente i bonifici effettuati dal L.; le fatture successive al primo bonifico ammontano ad un migliaio di euro, euro 979,43 per l’esattezza, a parte ulteriori 5.600,00 euro portati da assegni, tuttavia destinati all’acquisto di arredi.
La circostanza che il L. abbia diversamente contribuito al menage familiare ha trovato solo parziale conferma nella documentazione bancaria depositata dall’attore; gli estratti conto ed i bonifici riguardano, infatti, solo gli anni 2015 e 2016, mentre la convivenza è senz’altro iniziata prima: se non a luglio 2011, come sostiene la convenuta - sul punto confortata dalle dichiarazioni rese dalla madre, che avrebbe ospitato la coppia fino al termine dei lavori di ristrutturazione, e dal fratello -, quanto meno a partire dal 2012, come la stessa difesa dell’attore lascia intendere (vedi memorie conclusionali). In relazione a tali anni, peraltro, l’attore ha documentato spese senz’altro destinate al menage familiare per poche migliaia di euro.
Ciò appurato, ne consegue che l’importo di euro 34.000,00 riversato sul conto della C. non appare un contributo esorbitante rispetto alle condizioni economiche delle parti, ma proporzionato alle stesse e alla durata della convivenza, specie a partire dal novembre 2012, quando è nata la figlia della coppia. Ed invero, pur tenendo conto degli ulteriori esborsi documentati con gli estratti conto ed i bonifici depositati, l’importo complessivamente conferito dall’attore si attesta poco sopra ai 600 euro mensili.
Si deve pertanto rigettare la domanda di parte attrice condannandola alla liquidazione delle spese di lite, che si determinano tenuto conto dei valori medi dello scaglione corrispondente al valore della causa.
L’infondatezza della domanda non giustifica di per sé la condanna al ristoro dei danni per lite temeraria, null’altro essendo stato dedotto dalla convenuta al fine di fondare l’accoglimento della relativa istanza.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
- Rigetta la domanda attorea;
- Condanna parte attrice al pagamento delle spese di lite determinate in 7.616,00 euro oltre spese forfettarie ed altri oneri e accessori di legge.