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Tizio conveniva in giudizio l'Osteria di Caio per chiederne la condanna al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subìti a causa di una caduta dalla sedia su cui la stessa era seduta in occasione di un pranzo consumato presso il ristorante convenuto. Esponeva, in particolare, che mentre si trovava a pranzo con la propria figlia presso l'Osteria, la sedia su cui la stessa attrice era seduta restava bloccata in un dislivello della pavimentazione (originato dallo spostamento dello zerbino dalla sua sede originaria) causandone la rovinosa caduta al suolo. In conseguenza di tale caduta, l'attrice veniva trasportata – a mezzo ambulanza - presso il Pronto Soccorso ove le veniva diagnosticata una “frattura di colles a sinistra” e una “frattura pertrocanterica femore sinistro”. Quanto alla parte convenuta, all'udienza, verificata la ritualità della rinotifica, constatata la mancata costituzione di quest'ultima, il giudice ne dichiarava la contumacia. |
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Secondo il giudicante, nel caso in esame, l'attrice aveva certamente dimostrato che il danno lamentato era conseguenza diretta della sua caduta dalla sedia in uso presso l'Osteria, così provando sia il fatto storico, sia il nesso eziologico tra questo e il danno di cui in questa sede si richiede il risarcimento. Ed invero, la ricostruzione attorea era comprovata dalla testimonianza resa dalla figlia, la quale confermava la caduta per effetto di un dislivello. Quanto poi alla prova della custodia, non era dubbio che sulla società convenuta, quale proprietaria del ristorante in cui era avvenuto l'incidente, gravasse l'obbligo di custodire gli oggetti in uso alla stessa, quale la pavimentazione e la sedia su cui l'attrice era seduta per consumare il pranzo. Nel caso di specie non era stata dimostrata la ricorrenza del “caso fortuito”, non essendo stata allegata – e afortiori nemmeno provata – alcuna circostanza idonea a recidere il nesso di causalità tra la cosa custodita e l'evento dannoso. Oltre a ciò, osserva il giudice, che la responsabilità del custode non derivava da una cosa c.d. seagente (ove l'apporto concausale della condotta dell'uomo è limitato o addirittura assente), ma era cagionato da cosa inerte in cui il danno si era verificato con la necessaria interazione della condotta umana, la quale era quindi indispensabile per la produzione dell'evento. Pertanto, il concorso della condotta del danneggiato nella causazione dell'evento era elemento che necessariamente interveniva nella serie causale che portava alla verificazione dell'evento di danno. In tali casi, il comportamento del danneggiato poteva escludere la responsabilità del custode solo se detta condotta fosse stata eccezionale, abnorme, del tutto imprevedibile ed inevitabile da parte del custode stesso; invece, nel caso di specie, non era emersa alcuna condotta negligente della vittima e, pertanto, doveva sostenersi l'esclusiva responsabilità della convenuta ex art. 2051 c.c. (Trib. Milano, sent. n. 5886/2021). Per le ragioni esposte, la domanda è stata accolta. |
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In argomento, in base all'orientamento giurisprudenziale, si osserva che l'art. 2051 c.c., nel qualificare responsabile chi ha in custodia la cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione della responsabilità che prescinde da qualunque connotato di colpa, sicché incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l'evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima. La deduzione di omissioni, violazioni di obblighi di legge di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell'art. 2043 c.c., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno, a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l'evento dannoso. Dunque, secondo la giurisprudenza, il caso fortuito, rappresentato da fatto naturale o del terzo, è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode; peraltro le modifiche improvvise della struttura della cosa incidono in rapporto alle condizioni di tempo e divengono, col trascorrere del tempo dall'accadimento che le ha causate, nuove intrinseche condizioni della cosa stessa, di cui il custode deve rispondere (Cass. civ. n. 27724/2018, Cass. civ. n. 4588/2022, nonché da Cass. civ. Sez. Unite, Ord. n. 20943/2022). |
Tribunale di Milano, sez. X Civile, sentenza 5 maggio 2023, n. 3640
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
Con atto di citazione ritualmente notificato L.G.V. conveniva in giudizio l’(omissis) S.a.s. di D.M., in persona del legale rappresentante pro tempore, per chiederne la condanna al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti in seguito ad un incidente occorso all’attrice in data 19.3.16.
All’udienza del 20.10.20, il Giudice, rilevato che la notifica dell’atto di citazione alla convenuta non era andata a buon fine, assegnava all’attrice termine fino al 10.12.20 per la rinotifica dello stesso e rinviava così l’udienza al 16.3.21.
All’udienza del 16.3.21, verificata la ritualità della predetta rinotifica nei confronti della convenuta, constatata la mancata costituzione di quest’ultima, ne dichiarava la contumacia e concedeva i termini di cui all’art. 183, co. 6, c.p.c.
Con ordinanza emessa fuori udienza in data 7.7.21 il Giudice ammetteva parzialmente le istanze istruttorie dedotte dalle parti.
Alla successiva udienza del 2.2.22, il Giudice dava atto che la convenuta contumace non si era presentata, senza giustificato motivo, per rendere l’interrogatorio formale deferitole, nonostante la rituale notifica del mezzo istruttorio. Nella stessa udienza, il Giudice assumeva la testimonianza dell’unico teste ammesso e disponeva CTU medico-legale sulla persona dell’attrice.
All’udienza del 15.9.22, il Giudice, ritenuta la causa matura per la decisione, rinviava per la precisazione delle conclusioni all’udienza del 21.2.23.
All’udienza del 21.2.23, il Giudice, fatte precisare dall’attrice le proprie conclusioni, concedeva allo stesso termine fino al 24.4.23 per il deposito della comparsa conclusionale e, alla scadenza di tale termine, tratteneva la causa per la decisione.
2. Sull’an debeatur
Ritiene questo Giudice che le domande proposte in giudizio dall’attrice debbano essere accolte.
La Sig. V. agiva in giudizio al fine di far accertare la responsabilità dell’(omissis) S.a.s. di D.M. per i danni subiti dall’attrice a causa di una caduta dalla sedia su cui la stessa era seduta in occasione di un pranzo consumato presso il ristorante convenuto in data 19.3.2016. Esponeva, in particolare, la sig. V. che, nella data suindicata, mentre si trovava a pranzo con la propria figlia presso l’(omissis), la sedia su cui la stessa attrice era seduta restava bloccata in un dislivello della pavimentazione (originato dallo spostamento dello zerbino dalla sua sede originaria) causandone la rovinosa caduta al suolo (v. fotografia di cui al doc. n. 3 allegato all’atto di citazione).
In conseguenza di tale caduta, l’attrice veniva trasportata – a mezzo ambulanza - presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale Niguarda Cà Granda di Milano ove le veniva diagnosticata una “frattura di colles a sinistra” e una “frattura pertrocanterica femore sinistro” (v. doc. n. 4 allegato all’atto di citazione).
Ritiene questo Giudice che la domanda proposta in giudizio dall’attrice debba essere accolta nei confronti della convenuta in quanto, dai documenti prodotti, risultano provati i fatti costitutivi del diritto fatto valere.
In particolare, la fattispecie prospettata dall’attrice rientra nell’ambito applicativo dell’art. 2051 c.c., relativo alla responsabilità per cose in custodia, disposizione che, secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione, integra un’ipotesi di responsabilità oggettiva, che – come tale - prescinde da qualunque indagine in ordine al profilo soggettivo del custode.
Al riguardo, la Suprema Corte, con le note sentenze c.d. “gemelle” n. 2480, n. 2481 e n. 2482 del 2018 (poi confermate da Cass. n. 27724/2018, Cass. n. 4588/2022, nonché da Cass. Sez. Unite, Ord. n. 20943/2022), ha chiarito che:
a) “l'art. 2051 c.c., nel qualificare responsabile chi ha in custodia la cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione della responsabilità che prescinde da qualunque connotato di colpa, sicché incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l'evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima”;
b) “la deduzione di omissioni, violazioni di obblighi di legge di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell'art. 2043 c.c., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno, a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l'evento dannoso”;
c) “il caso fortuito, rappresentato da fatto naturale o del terzo, è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode; peraltro le modifiche improvvise della struttura della cosa incidono in rapporto alle condizioni di tempo e divengono, col trascorrere del tempo dall'accadimento che le ha causate, nuove intrinseche condizioni della cosa stessa, di cui il custode deve rispondere
d) “il caso fortuito, rappresentato dalla condotta del danneggiato, è connotato dall’esclusiva efficienza causale nella produzione dell’evento; a tal fine, la condotta del danneggiato che entri in interazione con la cosa si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione anche ufficiosa – dell’art. 1227 c.c., comma 1; e deve essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost.. Pertanto, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale”.
In base ai precedenti richiamati, dunque, l’attore che agisce in giudizio invocando la responsabilità ex art 2051 c.c. ha l’onere di provare la qualità di custode in capo al convenuto, nonché il nesso di causa tra la cosa in custodia e l’evento dannoso, spettando invece al responsabile fornire la prova liberatoria del “caso fortuito”.
Ebbene, nel caso in esame, l’attrice ha certamente dimostrato che il danno lamentato è conseguenza diretta della sua caduta dalla sedia in uso presso l’(omissis), così provando sia il fatto storico, sia il nesso eziologico tra questo e il danno di cui in questa sede si richiede il risarcimento.
I documenti prodotti e l’istruttoria orale hanno infatti confermato la dinamica dei fatti così come prospettati dall’attrice nell’atto di citazione.
Ed invero, la ricostruzione attorea è comprovata dalla testimonianza resa dalla sig. C.R. (figlia e commensale dell’attrice presso il ristorante convenuto e quindi presente al momento del fatto), la quale – con deposizione coerente e credibile - ha affermato quanto segue.
“Sul cap 1: vera la circostanza capitolata. Mia madre era seduta subito dietro la porta di ingresso del locale, che in quel momento era molto affollato. Io ero presente nel locale con mia madre.
Sul capitolo 2: prendo visione della foto prodotta sub doc 3 e confermo che verso la fine del pranzo, mia madre voleva alzarsi per andare nella toilette. Non riuscì neppure ad alzarsi, perché un piede della sedia probabilmente rimase imbrigliato nel tappeto sul quale era collocata la sedia. Mi riferisco al tappetto che nella foto predetta è di colore marroncino. Io vidi che mia madre stava per alzarsi e subito dopo la vidi cadere a terra sulla sua sinistra. Io non vidi buchi nel tappeto;
sul capitolo 3: non posso dire che mia madre sia caduta per effetto di un dislivello. Certamente il dislivello si trovava alla fine del tappeto, come si vede nella foto. Vi era un altro dislivello oltre la porta di ingresso e vicino alla sedia sulla quale era seduta mia madre. Io ero seduta di fronte a mia madre. Vidi mia madre a terra ancora seduta sulla sedia” (cfr. verbale d’udienza del 2.2.22).
Tale deposizione trova inoltre conferma nella documentazione fotografica prodotta dall’attrice (v. doc. 3 allegato all’atto di citazione), dalla quale si può acclarare l’esistenza del dislivello tra la pavimentazione e la sede di collocazione dello zerbino di ingresso.
Dalla documentazione medica prodotta risulta poi che in data 19.3.2016 – cioè nel giorno dell’incidente
- l'attrice era stata trasportata – a mezzo ambulanza – presso il Pronto Soccorso dell'Ospedale Niguarda Cà Granda ove le veniva refertata una “frattura di colles a sinistra” e una “frattura pertrocanterica femore sinistro” (v. doc. n. 4 allegato all’atto di citazione).
La stessa CTU ha infine confermato che, in conseguenza della riferita caduta, “la perizianda ha riportato frattura plurilineare e pluriframmentaria meta-epifisaria distale di radio sinistro con coinvolgimento della superficie articolare, distacco della stiloide ulnare sinistro (frattura di Colles) e frattura pertrocanterica con distacco del gran trocantere del femore sinistro trattate chirurgicamente con riduzione e osteosintesi metallica” (v. CTU pag. 8).
Quanto poi alla prova della custodia, non v’è dubbio che sulla società convenuta, quale proprietaria del ristorante in cui è avvenuto l’incidente, gravasse l’obbligo di custodire gli oggetti in uso alla stessa, quale la pavimentazione e la sedia su cui l’attrice era seduta per consumare il pranzo.
Nel caso di specie non è stata infine dimostrata la ricorrenza del “caso fortuito”, non essendo stata allegata – e a fortiori nemmeno provata – alcuna circostanza idonea a recidere il nesso di causalità tra la cosa custodita e l’evento dannoso occorso alla sig. V..
Dev’essere infatti considerato – come del resto già sopra anticipato - che, una volta che l’attrice ha provato l’obbligo di custodia e il nesso di causa tra la cosa custodita e il danno allegato, spetta al custode dimostrare l’esistenza di circostanze idonee a integrare il caso fortuito di cui all’art. 2051 c.c.
Nel caso in esame, invece, la convenuta - essendo rimasta contumace e non essendosi neppure presentata in udienza per rendere l’interrogatorio formale deferitole, nonostante la rituale notifica del mezzo istruttorio (cfr. verbale d’udienza del 2.2.22) - non ha fornito una prospettazione alternativa alla dinamica del fatto riportata dall’attrice, né tanto meno ha dimostrato un elemento integrante il caso fortuito.
Dev’essere solo precisato che, nel caso in esame, la responsabilità del custode non deriva da una cosa c.d. seagente (ove l’apporto concausale della condotta dell’uomo è limitato o addirittura assente), ma è cagionato da cosa inerte in cui il danno si verifica con la necessaria interazione della condotta umana, la quale è quindi indispensabile per la produzione dell’evento.
Pertanto, il concorso della condotta del danneggiato nella causazione dell’evento è elemento che necessariamente interviene nella serie causale che porta alla verificazione dell’evento di danno.
In tali casi, il comportamento del danneggiato vale ad escludere la responsabilità del custode solo se detta condotta si palesi come eccezionale, abnorme, del tutto imprevedibile ed inevitabile da parte del custode stesso. Nel caso di specie, non emerge alcuna condotta negligente della vittima secondo i parametri sopra descritti e, pertanto, non può che sostenersi l’esclusiva responsabilità della convenuta ex art. 2051 c.c. (cfr. Tribunale di Milano, sent. n. 5886/21).
Alla luce di quanto sopra, dunque, essendo stati provati dall’attrice tutti gli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art. 2051 c.c., deve affermarsi la responsabilità della convenuta (omissis) S.a.s. di D.M. per il danno patito dalla Sig. V..
3. Sul quantum debeatur
3.1. Sul danno non patrimoniale
Ai fini della quantificazione del danno risarcibile è stata effettuata, in corso di causa, una CTU medico- legale. L’ausiliario dell’Ufficio, il cui elaborato appare ben argomentato, completo e meritevole di adesione da parte del Tribunale, ha concluso nel senso che l’attrice ha subito:
• un’invalidità temporanea assoluta al 100% per 60 giorni:
• un’invalidità temporanea parziale al 75% per 30 giorni;
• un’invalidità temporanea parziale al 50% per 60 giorni;
• un’invalidità temporanea parziale al 25% per 60 giorni;
• un grado di sofferenza fisica “commisurato all’evento, risultando costituito da dolore nocicettivo di grado compatibile alla patologia e controllato con conseguente adeguata terapia antidolorifica”;
• un’invalidità permanente del 18%
Ai fini del risarcimento, il danno biologico deve essere considerato in relazione all’integralità dei suoi riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività, le situazioni e i rapporti in cui la persona esplica se stessa nella propria vita; non soltanto, quindi, con riferimento alla sfera produttiva, ma anche con riferimento alla sfera spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva, e a ogni altro ambito e modo in cui il soggetto svolge la sua personalità e cioè a tutte le attività realizzatrici della persona umana (così la Corte Costituzionale, sent. n. 356/1991; v. altresì Corte Costituzionale, sent. n. 184/1986).
Va ulteriormente precisato che, come recentemente statuito dalla Suprema Corte (cfr. Cass., ord. n. 7513/2018), il danno biologico consiste in una ordinaria compromissione delle attività quotidiane (gli aspetti dinamico relazionali).
Il danno alla salute, quindi, non comprende i pregiudizi dinamico relazionali ma è esattamente il danno dinamico relazionale.
Consegue che il danno alla vita di relazione è risarcibile oltre la misura liquidata in base ai punti percentuali accertati in sede medico legale, qualora si sia concretato non già in conseguenze comuni a tutti i soggetti che patiscano quel tipo di invalidità, ma in conseguenze peculiari del caso concreto che abbiano reso il pregiudizio patito dalla vittima diverso e maggiore rispetto a casi consimili; qualora, quindi, consista in una conseguenza straordinaria, non avente base organica e quindi estranea alla determinazione medico legale.
Inoltre, nei punti 8 e 9 dell’ordinanza “decalogo” n. 7513/2018 si stigmatizza:
8) “in presenza di un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione)”;
9) “ove sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l'esistenza d'uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione”.
Ebbene dopo ampia analisi, l’Osservatorio di Milano ha ritenuto di rendere le tabelle compatibili con i nuovi orientamenti della Cassazione e della Medicina legale e con gli artt. 138 e 139 d.lgs. n. 209/2005 (c.d. Codice delle assicurazioni private). A tal fine, nell’edizione 2021, si è proceduto ad una rivisitazione grafica della Tabella del danno non patrimoniale da lesione del bene salute e della (correlata) Tabella del danno definito da premorienza, fermi i valori monetari come aggiornati secondo gli indici ISTAT.
Per quanto riguarda la Tabella del danno da lesione del bene salute, l’Osservatorio, lasciando invariati i valori espressi nella seconda e quarta colonna della Tabella, ha apportato le seguenti modifiche:
a) nella terza colonna della Tabella (che nella edizione 2018 conteneva solo l’indicazione dell’aliquota percentuale di aumento del punto di danno biologico per la componente di sofferenza soggettiva) è stata aggiunta la specifica indicazione dell’aumento in termini monetari;
b) nella quinta colonna della Tabella (che nella edizione del 2018 recava solo l’ammontare complessivo del danno non patrimoniale, inclusivo del danno biologico e del danno morale/ sofferenza soggettiva) è stata aggiunta l’indicazione dell’importo monetario di ciascuna delle citate componenti;
c) infine, si è aggiornata la terminologia usata nell’intestazione delle colonne, prendendo atto che le voci di danno non patrimoniale, prima denominate “danno biologico” e “danno morale/sofferenza soggettiva”, sono attualmente dalla giurisprudenza di legittimità e dalla dottrina definite, rispettivamente, come “danno biologico/dinamico-relazionale” e “danno da sofferenza soggettiva interiore” (media presumibile), ordinariamente conseguente alla lesione dell’integrità psicofisica accertata.
Circa l’entità del risarcimento, il giudice liquiderà senz’altro l’importo indicato nella quinta colonna come compensativo del “danno biologico/dinamico-relazionale”.
Il giudice dovrà invece valutare se l’importo indicato sempre nella quinta colonna, come presumibilmente compensativo del “danno da sofferenza soggettiva interiore media”, sia congruo in relazione alla fattispecie concreta.
In altre parole, l’applicazione della Tabella non esonera affatto il giudice dall’obbligo di motivazione in ordine al preventivo necessario accertamento dell’an debeatur (sussistenza e consistenza delle componenti del danno, con prova che può darsi anche in via presuntiva); l’applicazione degli importi di cui alla Tabella esprime, invece, esercizio del potere di liquidazione equitativa del giudice e pertanto attiene alla fase del quantum debeatur e cioè alla valutazione della congruità degli importi liquidati, in relazione alle circostanze di fatto allegate e provate dalle parti nella fattispecie concreta, anche sulla base delle emergenze della C.T.U.
Per il danno biologico temporaneo, la Tabella Milanese prevede quale importo standard la somma di euro 72,00 a titolo di danno biologico dinamico relazionale e di euro 27,00 a titolo di danno da sofferenza soggettiva interiore media presumibile, con possibilità di personalizzare il danno nella misura massima del 50%.
Nella fattispecie concreta non sono state allegate e provate circostanze che possano giustificare l’aumento del danno biologico dinamico relazionale standard, atteso che i pregiudizi subiti dall’attrice sono quelli correlati alla menomazione biologica subita. Del pari, dalla CTU non è emerso un particolare grado di intensità della sofferenza patita dalla vittima, tale da giustificare una personalizzazione del danno liquidato a tale titolo.
Tenuto conto dei parametri indicati nelle Tabelle Milanesi del 2021, nonché delle risultanze della CTU medico-legale sopra richiamate, ritiene il Tribunale che il danno biologico subito dall’attrice debba essere liquidato in complessivi euro 12.622,50 per inabilità temporanea, di cui euro 3.442,50 a titolo di sofferenza ed euro 9.180,00 quale danno dinamico-relazionale.
Per il danno biologico permanente, la Tabella milanese indica, a titolo di danno biologico dinamico- relazionale e di sofferenza interiore per un soggetto di 75 anni alla data della fine della malattia (15.10.2016) e con la percentuale di invalidità del 18%, i seguenti importi standard: euro 34.835,00 a titolo di danno biologico dinamico-relazionale ed euro 11.843,00 a titolo di danno da sofferenza interiore media presumibile.
Non essendo state allegate specifiche circostanze che possano giustificare una percentuale di personalizzazione del danno permanente, si reputano congrui gli importi standard sopra indicati che, dunque, non devono essere personalizzati.
Pertanto, stimasi equo liquidare, per il complessivo risarcimento del danno non patrimoniale da lesione permanente del diritto alla salute, la complessiva somma di euro 46.678,00 (euro 34.835,00 + euro 11.843,00).
Ritiene questo Giudice che l’attrice non abbia affatto provato il lamentato danno da peggioramento della già sofferta osteoporosi.
3.2. Sul danno patrimoniale e statuizioni di condanna
Quanto agli esborsi subiti dall’attrice, sebbene il CTU abbia rilevato che “le spese mediche occorse e documentate dalle fatture depositate nel fascicolo, si ritengono congrue e motivate”, dette spese non risultano documentate agli atti.
Si ritiene dunque di non liquidare alcun danno a tale titolo.
Non può inoltre liquidarsi alcun danno per perdita della capacità lavorativa generica e specifica, posto che l’attrice, dopo aver allegato di essere una casalinga seppure in età pensionabile, non ha provato di aver dovuto sostenere esborsi per reperire un soggetto che si occupasse delle faccende domestiche e, comunque, non ha dimostrato di non poter più provvedere autonomamente al lavoro domestico quale specifica conseguenza dell’incidente subito.
Basti richiamare sul punto, Cass., sent. n. 23573/2011 per cui “il danno da riduzione della capacità di lavoro, sofferto da persona che - come la casalinga - provveda da sé al lavoro domestico, costituisce una ipotesi di danno patrimoniale, e non biologico. Ne consegue che chi lo invoca ha l'onere di dimostrare che gli esiti permanenti residuati alla lesione della salute impediscono o rendono più oneroso (ovvero impediranno o renderanno più oneroso in futuro) lo svolgimento del lavoro domestico; in mancanza di tale dimostrazione nulla può essere liquidato a titolo di risarcimento di tale tipologia di danno patrimoniale. Ma l'applicazione di tali principi non può avvenire automaticamente e senza analizzare le peculiarità del caso concreto”.
4. Con riferimento alla richiesta di riconoscimento delle spese stragiudiziali si osserva quanto segue. Come affermato dalla Suprema Corte a sezioni unite (cfr. Cass. civ., sez. un., 16990 del 10.07.2017) il rimborso delle spese di assistenza stragiudiziale ha natura di danno emergente, consistente nel costo sostenuto per l'attività svolta da un legale in detta fase precontenziosa, e non è assimilabile al rimborso delle spese giudiziali; l'utilità di tale esborso, ai fini della possibilità di porlo a carico del danneggiante, deve essere dunque valutata ex ante, cioè in vista di quello che poteva ragionevolmente presumersi essere l’esito futuro del giudizio. Pertanto, la liquidazione resta soggetta ai normali oneri di domanda, allegazione e prova secondo l’ordinaria scansione processuale, al pari delle altre voci di danno emergente; ciò comporta che la corrispondente spesa sostenuta non sia configurabile come danno emergente e non può, pertanto, essere riversata sul danneggiante quando sia, ad esempio, evitabile con l’ordinaria diligenza o sostenuta in maniera esagerata (art. 1227 comma 1 e 2 c.c.), oppure quando sia superflua ai fini di una più pronta definizione del contenzioso, non avendo avuto in concreto utilità per evitare il giudizio o per assicurare una tutela più rapida risolvendo problemi tecnici di qualche complessità (cfr. Cass. n. 2644/2018).
Orbene, ritiene questo Giudice che alla luce della documentazione prodotta a titolo di spese stragiudiziali, appare equo liquidare la somma già rivalutata ad oggi di euro 3.000,00.
Pertanto, il danno complessivamente dovuto all’attrice è pari ad euro 62.300,50.
Sulle somme liquidate in favore dell’attrice devono essere riconosciuti gli interessi compensativi del danno derivante dal mancato tempestivo godimento dell'equivalente pecuniario del bene perduto.
Gli interessi compensativi - secondo l'ormai consolidato indirizzo delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (v. Cass., sent. n. 1712/1995) - decorrono dalla produzione dell'evento di danno sino al tempo della liquidazione; per questo periodo, gli interessi compensativi si possono calcolare applicando un tasso annuo medio ponderato, equitativamente determinato, sul danno rivalutato.
Da oggi, giorno della liquidazione, all'effettivo saldo decorrono gli interessi legali sulla somma rivalutata.
Pertanto, alla luce degli esposti criteri, la convenuta (omissis) S.a.s. di D.M. dev’essere condannata al pagamento, in favore dell’attrice, della complessiva somma di euro 62.300,50, liquidata in moneta attuale, oltre:
- interessi compensativi, al tasso annuo medio ponderato dell’1%, sulla somma di euro 15.622,50
(12.622,50 + 3.000,00) dalla data del 19.3.2016 alla data della presente sentenza;
- interessi compensativi, al tasso annuo medio ponderato dell’1%, sulla somma di euro 46.678,00 dal 15.10.2016 (data della fine della malattia) alla data della presente sentenza;
- interessi, al tasso legale, sulla somma di euro 62.300,50 dalla data della presente sentenza al saldo effettivo.
5. Sulle spese
Alla luce di quanto esposto, non sono rilevanti ai fini del decidere le istanze istruttorie reiterate da parte attrice nell’udienza di precisazione delle conclusioni.
Le spese della consulenza tecnica d’ufficio vanno poste a carico della convenuta (omissis) S.A.S. di D.M.; non risultano documentati ulteriori esborsi per CTP.
Consegue alla soccombenza della convenuta (omissis) S.A.S. di D.M. la condanna della stessa a rifondere all’attrice le spese processuali relative al presente giudizio, da distrarsi in favore dell’avv. F.V. antistatario ex art. 93 c.p.c.
P.Q.M.
Il Tribunale di Milano, disattese le altre domande, eccezioni ed istanze proposte dalle parti, definitivamente pronunciando, così provvede:
- dichiara la convenuta (omissis) S.a.s. di D.M. responsabile del fatto illecito meglio specificato in motivazione verificatosi in data 19.3.2016;
- condanna la convenuta (omissis) S.a.s. di D.M. al pagamento in favore dell’attrice della somma di euro 62.300,50 oltre interessi come in motivazione;
- rigetta le altre domande ed eccezioni proposte dall’attrice;
- pone le spese di CTU a carico della convenuta (omissis) S.a.s. di D.M.;
- condanna la convenuta (omissis) S.a.s. di D.M. a rifondere all’attrice le spese processuali, che liquida in euro 625,00 per esborsi, in euro 14.100,00 per onorari di avvocato, oltre 15% per spese forfettarie, oltre C.P.A. e I.V.A., da distrarsi in favore dell’avv. F.V. antistatario ex art. 93 c.p.c.;
- dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva.