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26 maggio 2023
Diritti reali, condominio e locazioni
Lesione dell’onorabilità dei condomini in relazione all’utilizzo dell’acqua dell’edificio
L'onore e la reputazione costituiscono diritti della persona costituzionalmente garantiti e, pertanto, la loro lesione è suscettibile di risarcimento del danno non patrimoniale, a prescindere dalla circostanza che il fatto lesivo costituisca o meno reato.
di Avv. e Giornalista pubblicista Maurizio Tarantino
Il caso

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Tizia rilevava che la gestione delle parti comuni veniva assegnata con incarico annuale a ciascuno dei proprietari alternativamente negli anni e che, nel 2013, essendole stato affidato il detto incarico, si era accorta di alcune difformità nel servizio di erogazione dell'acqua. In base al conteggio emergente dalla lettura dei contatori, era risultata una differenza di consumo. Esponeva l'attrice come la bolletta dell'acqua risultava intestata al solo Caio, originario proprietario dell'intero stabile, il quale risultava dotato di un unico contatore generale comune, dichiarato al fornitore, nel quale confluiva il conteggio di consumo di fornitura idrica rilevato a mezzo dei sub contatori relativi a ciascuno dei cinque appartamenti, di diversi proprietari, di cui si compone oggi l'edificio. Deduceva pertanto l'illecito compiuto dal convenuto, riguardante l'utilizzo improprio di acqua potabile per l'irrigazione del proprio giardino privato e l'aggravio dei costi di consumo ricadente sui non proprietari del giardino.
Costituendosi in giudizio, Caio eccepiva che la compagine condominiale aveva deciso di attingere l'acqua per la pulizia delle parti comuni proprio da detta tubazione; inoltre, con domanda riconvenzionale, il convenuto chiedeva il risarcimento per la lesione dell'onorabilità del convenuto in relazione all'utilizzo improprio dell'acqua per l'innaffio dei giardini, oltre che al prelievo dell'acqua, dal contatore generale, “illecitamente ed indebitamente”.

Il diritto

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A seguito della CTU, il Giudicante ha ritenuto di condividere la riscontrata congruenza della modalità di riparto prevista per il 2013, laddove il consulente aveva fatto riferimento ai MC rilevati con la lettura dei sub contatori, ai MC attribuiti al prelievo idrico dai rubinetti esterni, oltre che l'entità dell'erogazione compensativa della differenza tra l'indicazione del contatore e quella relativa alla sommatoria dei rilievi parziali, attribuita, quest'ultima, per come chiarito dal medesimo CTU, al convenuto Caio. In altri termini, il consulente confermava le modalità di riparto già convenute fra i proprietari, confermando l'addebito, nei confronti del solo Caio, della differenza riscontrata tra quanto indicato dal contatore e la sommatoria dei rilievi parziali.
Alla luce delle risultanze della CTU, secondo il Giudicante non vi erano elementi per ritenere sussistenti le condotte attribuite al convenuto Caio, sia in riferimento all'utilizzo abusivo dell'acqua potabile per l'inaffiamento dei propri giardini, come anche all'eliminazione del contatore abusivo.
A questo proposito, il Giudice ha rigettato la domanda attorea in quanto non provata; invece, ha accolto la domanda del suo distacco.
Quanto alla domanda riconvenzionale, invece, il Tribunale romano ha ritenuto che in riferimento alla missiva attorea ad una condotta illecita e indebita appariva configurare quella lesione all'onore e alla reputazione del convenuto tra i consociati, attesa l'attribuzione di una condotta non conforme ai requisiti propri del vivere civile e del rispetto delle regole giuridicamente vigenti.
Come noto, la giurisprudenza della Suprema Corte ha chiarito che in tema di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. per lesione della reputazione personale, la condotta asseritamente diffamatoria della persona non va valutata "quam suis", e cioè in riferimento alla considerazione che ciascuno ha della sua reputazione, bensì come lesione dell'onore e della reputazione di cui la persona goda tra i consociati (Cass. civ., sez. I, 21 giugno 2016, n. 12813). In ragione di ciò, ai fini della liquidazione del danno subìto, il Giudice ha condannato parte attrice a mille euro per le lesioni all'onorabilità subite dal convenuto in conseguenza della condotta attorea, e ciò sia avuto riguardo al grado di rilevanza dell'offesa commessa, per come emergente dalle citate comunicazioni, sia al contesto, non solo condominiale, ma anche familiare, nel quale le lesioni verificate sono andate ad inserirsi.

La lente dell'autore

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In argomento, giova ricordare che il diritto alla reputazione personale riguarda la sfera intima di un determinato soggetto ed ha a che fare con l'onore e il prestigio che tale persona porta con sé. Si tratta, nello specifico, della considerazione di cui una persona gode in un determinato ambiente o presso una determinata cerchia di persone, piccola o grande che sia.
Il diritto alla reputazione rientra, insieme al diritto all'immagine, al nome e all'onore nell'alveo dei diritti della personalità.
Come sottolineato in giurisprudenza, il danno all'immagine ed alla reputazione, inteso come "danno conseguenza", non sussiste in re ipsa, dovendo essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento. Pertanto, la sua liquidazione deve essere compiuta dal giudice, con accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità, sulla base non di valutazioni astratte, bensì del concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima, per come da questa dedotto e dimostrato, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, che siano fondate, però, su elementi indiziari diversi dal fatto in sé, ed assumendo quali parametri di riferimento la diffusione dello scritto, la rilevanza dell'offesa e la posizione sociale della vittima (Trib. Monza 1° febbraio 2023, n. 231). Dunque, poiché l'onore e la reputazione costituiscono diritti della persona costituzionalmente garantiti, la loro lesione legittima sempre la persona offesa a domandare il ristoro del danno non patrimoniale, quand'anche il fatto illecito non integri gli estremi di alcun reato.
Precisamente, l'onore e la reputazione - quest'ultima identificandosi con il senso della dignità personale in conformità all'opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storico - costituiscono diritti della persona costituzionalmente garantiti e, pertanto, alla luce di un'interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 2043 e 2059 c.c., la loro lesione è suscettibile di risarcimento del danno non patrimoniale, a prescindere dalla circostanza che il fatto lesivo costituisca o meno reato.
Anche la Corte di Cassazione può conoscere e valutare l'offensività delle frasi che si assumono lesive della altrui reputazione, essendo compito del Giudice di legittimità procedere, in primo luogo, a considerare la sussistenza, o meno, della materialità della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie.
Il danno arrecato alla reputazione deve essere inteso in senso unitario senza distinguere tra "reputazione personale", da un lato, e "reputazione professionale", dall'altro lato, trovando la tutela di tale diritto il suo fondamento nell'art. 2 Cost. ed in particolare nel rilievo che esso attribuisce alla dignità della persona in quanto tale.
Il danno è pertanto ravvisabile - e come tale deve essere risarcito - nella diminuzione della considerazione della persona da parte dei consociati in genere o di settori, o categorie, di essi con le quali quella stessa persona abbia ad interagire.
Ai fini della liquidazione del risarcimento del danno, occorre valutare, in applicazione di un legittimo procedimento presuntivo, la portata dell'obiettivo pregiudizio alla reputazione, personale e professionale, tenendo conto anche dell'autorevolezza, notorietà e diffusione del mezzo utilizzato. Tale valutazione, in ogni caso, non potrà che essere equitativamente determinata ai sensi dell'art. 1226 c.c. (App. Milano 4 gennaio 2023, n. 7).