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La Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 17325 del 16 giugno 2023, chiarisce quale sia la corretta lettura della norma che prevede il criterio di liquidazione del compenso dell'avvocato quando è stata raggiunta una conciliazione in corso di causa nella parte in cui prevede un aumento del compenso altrimenti liquidabile. E ciò riconoscendo espressamente come spesso l'opera prestata per giungere ad un accordo transattivo (contatti, trattative, incontri, stesura degli accordi) impegna il professionista forense ben di più che la predisposizione delle difese conclusive nelle quali essenzialmente si sostanzia l'attività per la fase decisionale. Nel caso di specie, due avvocati avevano proposto un ricorso ex art. 14 D.Lgs. n. 150 del 2011 per chiedere la condanna del proprio cliente dell'onorario che aveva maturato per l'attività di assistenza legale svolta, tra l'altro, in sede giudiziale relativamente ad una controversia di divisione. Ebbene, quella controversia era stata transatta dopo la prima udienza attraverso un accordo formalizzato con un rogito notarile. Il Tribunale aveva accolto la domanda degli avvocati disponendo, in particolare per quel che più rileva ai nostri fini, che in base all'art. 4, comma 6, del D.M. 55 del 2014, in tema di aumento del compenso per l'ipotesi di conciliazione giudiziale o transazione della controversia, spettasse un importo pari ad euro 1.907,75. |
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Secondo gli avvocati ricorrenti per cassazione il Tribunale aveva errato nella liquidazione del compenso loro spettante perché, anziché incrementare, in ragione del raggiungimento di un accordo transattivo grazie all'ausilio degli avvocati, il corrispettivo totale dovuto a questi ultimi di un quarto del compenso liquidabile per la fase decisoria – aveva semplicemente riconosciuto una somma ulteriore e separata (rispetto a quella relativa alle altre fasi del giudizio), pari al 25% dell'importo da liquidarsi nella fase conclusiva del giudizio. La differenza era sostanziale poiché, se il Tribunale avesse seguito la tesi dei ricorrenti, in luogo di 1.907,75 euro avrebbe potuto liquidare fino a 9.538,75 (risultante dal compenso liquidabile per la fase decisoria – euro 7.631 – aumentato fino a un quarto). Ebbene, la norma rilevante nel caso di specie, nella formulazione ratione temporis applicabile, è l'art. 4 del D.M. n. 55 del 2014 secondo cui «nell'ipotesi di conciliazione giudiziale o transazione della controversia, la liquidazione del compenso è di regola aumentato fino a un quarto rispetto a quello altrimenti liquidabile per la fase decisionale, fermo quanto maturato per l'attività precedentemente svolta». Il ricorso, quindi, ha posto la questione «se all'avvocato vada riconosciuto, nel caso (di conciliazione o) di transazione della causa, oltre al compenso per le fasi già svolte, una somma ulteriore fino a un quarto di quanto previsto per la fase decisionale, oppure se all'avvocato spetti un compenso pari a quanto previsto per tale ultima fase, aumentato fino al 25%». |
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La Suprema Corte, muovendo dal presupposto che l'art. 4 D.M. n. 55 del 2014 rappresenta un “incentivo deflattivo” con funzione “premiale”, ha ritenuto non corretta la scelta del Tribunale sancendo che quando il giudizio venga definito con una transazione e il professionista abbia prestato la sua opera nel raggiungimento dell'accordo, all'avvocato deve essere riconosciuto un ulteriore compenso rispetto a quello spettante per l'attività precedentemente svolta, pari al compenso liquidabile per la fase decisionale, di regola aumentato fino a un quarto. Ed infatti, è vero che la fase decisionale non viene svolta, ma ciò accade anche perché i difensori hanno aiutato le parti ad addivenire a una soluzione transattiva della controversia alternativa alla decisione dell'autorità giudiziaria. Diversamente, la finalità «verrebbe frustrata se il corrispondente importo fosse costituto da una percentuale di quello che sarebbe spettato qualora si fosse svolta la fase decisionale». Alla luce di quanto richiamato la seconda sezione ha affermato il principio di diritto secondo cui «ai sensi dell'art. 4, comma 6, del D.M. n. 55 del 2004, nel caso in cui il giudizio venga concluso con una transazione, all'avvocato va riconosciuto un ulteriore compenso rispetto a quello spettante per l'attività precedentemente svolta, e questo è pari a quello altrimenti liquidabile per la fase decisionale, aumentato sino a un quarto». Ha quindi errato il Tribunale a non liquidare l'intero compenso per la fase decisionale aumentato fino al 25% fermo quando maturato per l'attività precedentemente svolta. Resta, infine, da dire che l'argomentazione adottata dalla Suprema Corte (e, cioè, quella di incentivare soluzioni che rendano superflua la decisione della causa) è coerente anche con il complessivo impianto dei parametri forensi per come recentemente modificati. Ed infatti, il Legislatore nel 2018 per incentivare il raggiungimento di un accordo in mediazione aveva introdotto specifici parametri per l'assistenza in mediazione (fase di attivazione, fase di negoziazione, accordo). Inoltre, con il D.M. n. 147 del 2022 ha eliminato i dubbi interpretativi prevedendo oggi che «nell'ipotesi di conciliazione giudiziale o transazione della controversia, il compenso per tale attività è determinato nella misura pari a quello previsto per la fase decisionale, aumentato di un quarto, fermo quanto maturato per l'attività precedentemente svolta». Rispetto alla versione precedente, oltre a chiarire la base di calcolo, l'eliminazione delle espressioni “di regola” e “fino a”, hanno escluso la discrezionalità del giudice sia nell'an che nel quantum. Infine, sempre per incentivare il raggiungimento di un accordo in mediazione la riforma Cartabia ha previsto che nel caso in cui la parte abbia i requisiti per essere ammessa al patrocinio a spese dello Stato l'avvocato ha diritto ad essere liquidato nel caso in cui, nelle materie di cui all'art. 5 comma 1 D. Lgs. n. 28 del 2010, la mediazione si concluda con un verbale di accordo (precedentemente il sistema induceva a non trovare l'accordo perché l'assistenza in mediazione avrebbe potuto essere remunerata soltanto come voce nel successivo giudizio di merito). |
Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza (ud. 12 giugno 2023) 16 giugno 2023, n. 17325
Svolgimento del processo
1. – Con ricorso ex art. 702-bis cod. proc. civ., depositato il 12 ottobre 2017, gli avvocati S.V. e S.C. chiede- vano al Tribunale di Bologna la condanna del signor R.V. al pagamento della somma di euro 16.575, oltre interessi, a titolo di compenso per l’attività di assistenza legale da essi svolta in sede giudiziale e stragiudiziale.
I ricorrenti riferivano di aver ricevuto dal V., nel maggio 2014, l’incarico di assisterlo in sede giudiziale nella causa intentata dal fratello in relazione alla divisione di vari cespiti immobiliari e che, all’esito di una trattativa instaurata fra le parti, assistite dai rispettivi difensori, dopo la prima udienza la controversia era stata transatta mediante un accordo formalizzato con rogito del 17 ottobre 2016.
Si costituiva il signor V., resistendo. Il convenuto contestava la debenza dei compensi e spiegava domanda riconvenzionale di risarcimento del danno per negligenza degli avvocati.
Con ordinanza depositata il 25 maggio 2018, il Tribunale di Bologna, in esito al procedimento svoltosi con il rito di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, liquidava e ingiungeva a R.V. il pagamento, in favore dei professionisti in solido, di euro 6.907,75 e, dell’avv. V., di euro 500, disponendo, in particolare, ai fini dell’applicazione dell’art. 4, comma 6, del d.m. 55 del 2014, in tema di aumento del compenso per l’ipotesi di conciliazione giudiziale o transazione della controversia, la liquidazione di un importo pari ad euro 1.907,75.
2. – Con ordinanza depositata il 18 luglio 2018, il Tribunale di Bologna rigettava il ricorso per correzione di errore materiale proposto dagli avvocati V. e C., accogliendo, per converso, l’istanza di correzione presentata dal signor V. al fine di ottenere la rettifica del provvedimento a fronte dell’errore di calcolo occorso.
Nello specifico, il Tribunale escludeva che l’ordinanza decisoria fosse affetta da un errore materiale nella parte in cui aveva liquidato, per l’attività prestata in occasione ed ai fini della transazione della causa, l’importo di euro 1907,75.
3. - Per la cassazione dell’ordinanza del Tribunale di Bologna, gli avvocati V. e C. hanno interposto ricorso, con atto notificato il 10 dicembre 2018, sulla base di un unico motivo.
Ha resistito, con controricorso, il V..
4. – Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ.
In prossimità della camera di consiglio il controricorrente ha depositato una memoria illustrativa.
Motivi della decisione
1. – Con l’unico motivo di ricorso, viene censurato il vizio di viola- zione, falsa ed erronea interpretazione e applicazione dell’art. 4, comma 6, del d.m. n. 55 del 2014.
In particolare, i ricorrenti si dolgono dell’illogicità e dell’incoerenza dell’interpretazione della norma seguita dal Tribunale: l’ordinanza impugnata, infatti – anziché incrementare, in ragione del raggiungimento di un accordo transattivo grazie all’ausilio degli avvocati, il corrispettivo totale dovuto a questi ultimi di un quarto del compenso liquidabile per la fase decisoria – avrebbe semplicemente riconosciuto una somma ulteriore e separata, pari al 25 per cento dell’importo da liquidarsi nella fase conclusiva del giudizio.
L’erroneità dell’esegesi del comma 6 della disposizione si ricaverebbe da una pluralità di elementi: le tariffe forensi ormai abrogate, che prevedevano, per l’opera prestata per la conciliazione, un compenso intorno al 40 per cento del corrispettivo per la redazione delle difese conclusive; il d.m. n. 140 del 2012, le cui disposizioni conduce- vano, in caso di conciliazione, al riconoscimento di un compenso pari, di fatto, al 50 per cento della parcella prevista per la fase decisoria; la relazione illustrativa del d.m. n. 55 del 2014, che valorizza la portata premiale e deflattiva della disposizione.
Ad avviso dei ricorrenti, l’erroneità dell’interpretazione seguita dal Tribunale di Bologna sarebbe suggerita dalla stessa interpretazione letterale dell’art. 4 del d.m. 55 del 2014, il quale avrebbe recato, in caso contrario, una formulazione testuale differente.
Nella specie, la somma correttamente liquidabile per l’assistenza prestata nella fase della transazione sarebbe, secondo i ricorrenti, di euro 9.538,75, risultante dal compenso liquidabile per la fase decisoria – euro 7.631 – aumentato fino a un quarto, laddove il Tribunale ha liquidato il minor importo di euro 1907,75.
2. – Prima di esaminare il fondo della censura, devono essere scrutinate le eccezioni preliminari di inammissibilità sollevate dalla difesa del controricorrente.
2.1. – Privo di fondamento è il rilievo secondo cui il motivo di ricorso atterrebbe esclusivamente “all’ordinanza pronunciata ex art. 287 cod. proc. civ. in data 12 luglio 2018 (depositata in data 18 luglio 2018) con la quale il Tribunale di Bologna ha rigettato l’istanza di correzione di errore materiale”.
Infatti, dal testo del ricorso per cassazione è chiaramente desumi- bile che esso si rivolge contro l’“ordinanza decisoria pronunciata dal Tribunale di Bologna, sezione seconda, depositata il 25 maggio 2018” (così a pag. 1), pronunciata a seguito di ricorso proposto ex art. 702-bis cod. proc. civ., trattato con il rito previsto dall’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011. L’indicazione è ribadita a pag. 4, nella quale si individua il punto in contestazione della pronuncia impugnata, là dove essa, in relazione al compenso per l’intervenuta transazione, calcola “l’aumento di un quarto del valore liquidabile per la fase decisoria”. E la censura articolata è coerente con il capo decisorio così individuato, perché essa tende a vedere affermato il principio, diverso da quello che sostiene la statuizione impugnata, secondo cui il compenso dell’avvocato, per l’attività prestata per la transazione della causa, deve essere calcolato prendendo come base il compenso previsto per la fase decisoria ed aumentando quest’ultimo di regola fino ad un massimo di un quarto, fermo quanto maturato per l’attività precedentemente svolta.
2.2. – Contrariamente a quanto eccepito dal controricorrente, inoltre, il ricorso descrive in modo chiaro ed esauriente i fatti di causa, dedicando all’esposizione dello svolgimento del processo la parte introduttiva e consentendo alla Corte di comprendere correttamente il significato e la portata della censura rivolta al provvedimento impugnato.
2.3. – È infine da escludere che il ricorso abbia violato la regola della chiarezza per avere, nella rubrica del motivo, cumulato l’ipotesi della “violazione di norme di diritto” e quella di “falsa applicazione di norme di diritto”. Non è riscontrabile nessuna indebita mescolanza o sovrapposizione di profili eterogenei: la questione di diritto è delineata nitidamente attraverso la deduzione del vizio rientrante nel paradigma dell’art. 360 cod. proc. civ. e mediante l’illustrazione della critica rivolta al provvedimento impugnato.
3. - Nel merito, la censura è fondata.
L’art. 4 del d.m. n. 55 del 2014, recante il regolamento sulla determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, prevede, nel testo ratione temporis applicabile, che “Nell’ipotesi di conciliazione giudiziale o transazione della controversia, la liquidazione del compenso è di regola aumentato fino a un quarto rispetto a quello altrimenti liquidabile per la fase decisione, fermo quanto maturato per l’attività precedentemente svolta”.
La questione che pone il ricorso è se all'avvocato vada riconosciuto, nel caso (di conciliazione o) di transazione della causa, oltre al compenso per le fasi già svolte, una somma ulteriore fino a un quarto di quanto previsto per la fase decisionale, oppure se all’avvocato spetti un compenso pari a quanto previsto per tale ultima fase, aumentato fino al 25%.
Il Tribunale di Bologna, con l’ordinanza in questa sede impugnata, ha scelto la prima strada: ha calcolato e liquidato il compenso per la transazione raggiunta aggiungendo al quantum derivante dall’attività fino a quel momento svolta un importo nella misura del 25% rispetto a quello che sarebbe spettato ai difensori per la fase decisionale, ove l’attività in quest’ultima fase fosse stata prestata. Il giudice a quo ha pertanto liquidato, per la transazione raggiunta, un quarto del compenso previsto per la fase decisoria.
L’interpretazione della norma regolamentare che ha informato la statuizione del Tribunale non appare a questa Corte di legittimità con- divisibile.
L’art. 4 del d.m. n. 55 del 2014 ha introdotto nella determinazione del compenso dell’avvocato un incentivo deflattivo: la conclusione delle liti giudiziali è incentivata con la previsione di un “aumento” del compenso dovuto all’avvocato che raggiunga la “conciliazione giudiziale” o la “transazione” della controversia rispetto a quello altrimenti liquidabile.
Nell’ipotesi di conciliazione giudiziale o transazione della controversia, infatti, è previsto che la liquidazione del compenso è di regola aumentata fino a un quarto rispetto a quello altrimenti liquidabile per la fase decisionale, fermo quanto maturato per l’attività precedentemente svolta.
La norma non si limita a prevedere una voce del compenso, ma fissa anche una liquidazione in aumento rispetto a quella altrimenti liquidabile per la fase decisionale.
Se, infatti, non è revocabile in dubbio che la fase decisionale non viene svolta, appare altrettanto certo che ciò consegue all’opera dei difensori, i quali addivengono a una soluzione transattiva della controversia alternativa alla decisione dell’autorità giudiziaria.
La norma regolamentare, interpretata anche alla luce dell’evidente funzione premiale che la connota per l'effetto deflattivo del contenzioso insito nella transazione, esibisce un significato diverso da quello fatto proprio dall’ordinanza impugnata, nel senso che, quando il giudizio venga definito con una transazione e il professionista abbia prestato la sua opera nel raggiungimento dell’accordo, all’avvocato deve essere riconosciuto un ulteriore compenso rispetto a quello spettante per l'attività precedentemente svolta, pari al compenso liquidabile per la fase decisionale, di regola aumentato fino a un quarto.
All’avvocato va liquidato sia il compenso per la fase decisionale, non svoltasi, sia un aumento fino al 25% di esso, ossia l'intero compenso per la fase decisionale, aumentato fino al 25%.
Nell’ipotesi di conciliazione giudiziale o transazione della controversia, pertanto, all’avvocato, fermo quanto maturato per l’attività precedentemente svolta, è sempre dovuto il compenso liquidabile per la fase decisionale, che può essere aumentato fino a un quarto.
Poiché la norma mira ad incentivare le conciliazioni e le transazioni attribuendo ai difensori delle parti, in caso di esito conciliativo della lite, un incremento del compenso, tale finalità verrebbe frustrata se il corrispondente importo fosse costituto da una percentuale di quello che sarebbe spettato qualora si fosse svolta la fase decisionale.
In altri termini, l’interpretazione seguita dal Tribunale di Bologna – secondo cui, nel caso di transazione, l'avvocato avrebbe diritto a vedersi riconosciuto un compenso per una porzione di quanto gli sarebbe spettato per la fase decisionale – per un verso non coglie l’intima ratio incentivante della previsione del decreto ministeriale né il significato dell’aumento, e per altro verso non considera che spesso l'opera prestata per giungere ad un accordo transattivo (contatti, trattative, in- contri, stesura degli accordi) impegna il professionista forense ben di più che la predisposizione delle difese conclusive nelle quali essenzialmente si sostanzia l'attività per la fase decisionale.
L’interpretazione che il Collegio ritiene preferibile non trova osta- colo nella circostanza che con il testo attualmente vigente (con decorrenza dal 23 ottobre 2022) dell’art. 4, comma 6, del d.m. n. 55 del 2014, conseguente alle modifiche apportate dall’art. 2 del d.m. n. 147 del 2022, si prevede, espressamente, che “Nell’ipotesi di conciliazione giudiziale o transazione della controversia, il compenso per tale attività è determinato nella misura pari a quello previsto per la fase decisionale, aumentato di un quarto, fermo quanto maturato per l’attività precedentemente svolta”.
Invero, la circostanza che il novellato comma 6 abbia reso più esplicita, superando le iniziali ambiguità di una disposizione polisensa, la previsione dell’aumento del compenso spettante al professionista nelle ipotesi di conciliazione giudiziale o transazione della controversia, non significa che, al medesimo esito, non possa giungere l’interprete, chiamato a confrontarsi con l’esegesi del testo precedente.
La modifica normativa apportata dal d.m. n. 147 del 2022 è, infatti, realmente innovativa nella parte in cui prevede l’aumento, secco, “di un quarto”, laddove il testo originario contemplava un aumento, graduabile, “fino a un quarto”.
Per il resto – nella parte in cui determina il compenso, nell’ipotesi di conciliazione giudiziale o transazione della controversia, nella misura pari a quello previsto per la fase decisionale, con un aumento percentuale – il testo novellato chiaramente rifugge da un’opzione secondo cui il compenso del professionista che ha ridotto il ricorso al giudice possa essere inferiore a quello che sarebbe spettato se la controversia si fosse risolta con la decisione dell’autorità giudiziaria, in tal senso dando continuità ad un significato desumibile dal testo originario dell’art. 4, comma 6, del decreto ministeriale. Ma già la lettera e la ratio del testo originario, sia pure affidate ad una formulazione incerta e ambigua, consentivano di pervenire al medesimo esito, ora reso sol- tanto più esplicito attraverso una tecnica redazionale più incisiva e pregnante.
4. – Il ricorso è accolto.
L’ordinanza impugnata è cassata, in relazione alla censura accolta. La causa è rinviata al Tribunale di Bologna, che la deciderà in di- versa composizione, attenendosi al principio di diritto secondo cui, ai sensi dell’art. 4, comma 6, del d.m. n. 55 del 2004, nel caso in cui il giudizio venga concluso con una transazione, all’avvocato va riconosciuto un ulteriore compenso rispetto a quello spettante per l’attività precedentemente svolta, e questo è pari a quello altrimenti liquidabile per la fase decisionale, aumentato sino a un quarto.
Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa l’ordinanza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, al Tribunale di Bologna, in diversa composizione.