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Nel pignoramento presso terzi può talvolta accadere che il debitor debitoris, terzo pignorato, non sappia bene cosa dichiarare per il ricorrere di certe circostanze con conseguenze sull'ulteriore corso del processo. È proprio questo il tema sollevato dal caso sul quale si è pronunciata la Terza sezione Civile con l'ordinanza n. 26584 del 14 settembre 2023. |
La Terza sezione muove dalla constatazione che il contenzioso originato dal caso di specie muove da un equivoco di fondo ingenerato dal terzo pignorato poiché all'atto della dichiarazione di quantità aveva riferito che quel credito non fosse disponibile poiché asseritamente vincolato all'ordine del giudice dell'esecuzione. |
Chiariti gli effetti soggettivi e temporali dell'ordinanza di assegnazione di un credito nell'ambito di un pignoramento presso terzi, la Suprema Corte ha precisato che la circostanza che il debitor debitoris dovesse adempiere nelle mani del debitore della procedura «non escludeva che il relativo credito potesse essere aggredito in via esecutiva dai creditori di quest'ultimo, ove all'atto del pignoramento esso non fosse stato già estinto» dal debitor debitoris nei confronti del creditore designato. Nel sistema processuale ante riforma, dunque, spetta soltanto al giudice dell'esecuzione, una volta riassunto il processo davanti a lui dopo la definizione di quello di accertamento dell'obbligo del terzo, provvedere all'assegnazione del credito ai sensi dell'articolo 553 c.p.c. con ordinanza che costituisce essa stessa titolo esecutivo nei confronti del terzo. |
Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza (ud. 11 luglio 2023) 14 settembre 2023, n. 26584
Svolgimento del processo
Nell’anno 2011, G.C. effettuò un pignoramento presso terzi nei confronti di M. L. dinanzi al Tribunale di Roma (N. 16073/2011 R.G.E.), pignorando le somme a questi dovute dalla C. F., a seguito di ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c. emessa a carico di quest’ultima, in altra procedura, per l’importo di € 52.058,61. Il terzo pignorato rese dichiarazione ex art. 547 c.p.c., rilevando che le somme non erano state ancora riscosse dal L. e che, senza provvedimento del giudice, le stesse non fossero disponibili, essendo vincolate al soddisfacimento dell’originario creditore; il giudice dell’esecuzione, ritenuta negativa la dichiarazione, dispose il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, ex art. 549 c.p.c. Nelle more, G. C. avviò altro pignoramento presso terzi (N. 35748/2012 R.G.E.), azionando il medesimo titolo verso il L. e nuovamente pignorando il medesimo credito da questi vantato verso C.; il giudice dell’esecuzione, stavolta, assegnò il credito in favore del C. per l’importo di € 27.127,20. Tenendo conto di tale ultimo evento, nel giudizio ex art. 549 c.p.c. il Tribunale di Roma rigettò la domanda di accertamento del C. con sentenza n. 4509/2015, compensando le spese. Proposto appello dal creditore pignorante, la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 4.8.2021, lo accolse, condannando la C. al pagamento, in favore del C., dell’importo di € 52.058,61, oltre interessi. Osservò il giudice d’appello che, pur vero essendo che l’ordinanza ex art. 553 c.p.c. determina la definitiva fuoriuscita del credito dal patrimonio dell’esecutato, nella specie era sfuggito al primo giudice che il creditore delle somme portate dalla ordinanza il cui credito era stato oggetto del pignoramento presso terzi, iscritto al N. 16073/2011 R.G.E., era proprio l’esecutato L., e poiché la C., nel corso del giudizio di accertamento e contrariamente a quanto dichiarato ex art. 547 c.p.c., aveva pure affermato di essere nella disponibilità di somme spettanti allo stesso L., il Tribunale non avrebbe che potuto assegnare le somme stesse al pignorante C.. Né poteva assumere alcuna rilevanza il pagamento successivo di € 27.127,20 in favore del L. (rectius, del C.), nell’ambito del pignoramento iscritto al N. 35748/2012 R.G.E., perché le somme già pignorate dal C. erano vincolate al suo esclusivo soddisfacimento.
Avverso tale sentenza ricorre ora per cassazione la C. s.p.a. F., affidandosi a quattro motivi, cui resiste con controricorso G. C., Entrambe le parti hanno depositato memoria. Ai sensi dell’art. 380-bis.1, comma 2, c.p.c., il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nei sessanta giorni successivi all’odierna adunanza camerale.
Motivi della decisione
1.1 – Con il primo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 342, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per non aver il giudice d’appello rilevato l’inammissibilità del gravame del C. per genericità.
1.2 – Con il secondo e il terzo motivo si denuncia, complessivamente, la violazione dell’art. 112 e dell’art. 549 c.p.c. (nel testo vigente ratione temporis), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per aver la Corte capitolina reso una pronuncia in ultrapetizione, addirittura assegnando il credito in favore del C., senza neppure tener conto delle sue richieste e conclusioni, limitate appunto all’accertamento dell’obbligo del terzo e per la minor somma ancora dovuta da essa C., per effetto dell’ordinanza di assegnazione resa nella seconda procedura (N. 35748/2012 R.G.E.), per l’importo di € 27.127,20.
1.3 – Con il quarto motivo, infine, si denuncia l’omessa motivazione su fatto storico decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, nonché la violazione degli artt. 132 e 484 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c., per aver il giudice d’appello ritenuto che l’ordinanza di assegnazione nella procedura N. 35748/2012 R.G.E. fosse stata resa in favore di M. L., mentre invece questi ne era l’esecutato, giacché l’ordinanza era stata resa in favore del creditore pignorante C..
2.1 – Il primo motivo è infondato. L’appello dell’odierno controricorrente – specie a fronte della assai problematica tenuta logica della decisione di primo grado – è da considerare sufficientemente specifico e comunque conforme alla disciplina dettata dall’art. 342 c.p.c., per come interpretato da questa Corte.
In proposito, è stato anche di recente affermato che “Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di ‘revisio prioris instantiae’ del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata” (Cass., Sez. Un., n. 36481/2022).
Ora, col gravame proposto, il C. s’è fondamentalmente doluto della violazione, da parte del Tribunale di Roma, dell’art. 543 c.p.c., nonché dell’erronea valutazione del contenuto della dichiarazione resa dal terzo pignorato, laddove in particolare non s’è considerato che, a fronte dell’ordinanza di assegnazione di circa € 55.000,00 in favore del L., questi era creditore della somma nei confronti della C., e dunque il credito era certamente pignorabile ed avrebbe dovuto essere assegnato ad esso creditore pignorante. Ciò tanto più che il Tribunale aveva pure mostrato di confondere la posizione del L. (esecutato nelle procedure NN. 16073/2011 R.G.E. e 35748/2012 R.G.E.) con quella del debitore esecutato nella procedura N. 34677/2007 R.G.E., in cui invece il L. figurava come creditore pignorante (tanto da aver poi ottenuto in suo favore l’ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c.).
Pertanto, è evidente che le censure mosse con l’appello erano pienamente in linea col dettato dell’art. 342 c.p.c., donde l’infondatezza della censura in esame.
3.1 – I restanti motivi, da esaminare congiuntamente stante l’intima connessione, sono evidentemente fondati (tanto da indurre il controricorrente, singolarmente, non meno che correttamente, a riconoscerne le ragioni).
Il contenzioso che occupa nasce, invero, da un equivoco di fondo, ingenerato dalla stessa C., terzo pignorato, all’atto della dichiarazione di quantità ex art. 547 c.p.c., poi precisata nel corso del giudizio di merito: ossia quello per cui il credito di cui all’ordinanza di assegnazione in favore di M. L., benché oggetto di pignoramento da parte del C., non fosse “disponibile”, perché asseritamente vincolato all’ordine del giudice dell’esecuzione, ossia, proprio quello che aveva emesso l’ordinanza ex art. 553 c.p.c., nella procedura N. 34677/2007 R.G.E.
In altre parole, la C., rendendo la dichiarazione, ha manifestato la presunta indisponibilità del credito in discorso, perché a suo dire il pagamento avrebbe dovuto necessariamente effettuarsi in favore del L., salva diversa disposizione dell’A.G. In tal modo, però, essa odierna ricorrente non ha tenuto conto che il credito spettante al L. era da considerare quale bene rientrante nel suo patrimonio, alla stessa stregua (tra l’altro) di ogni altro suo credito, e dunque soggetto alla garanzia patrimoniale generica ex art. 2740 c.c. in favore dei suoi creditori, tra cui lo stesso C.. Ciò perché
“L'ordinanza di assegnazione resa dal giudice dell'esecuzione all’esito di un procedimento di pignoramento presso terzi determina, dal momento della sua emissione, la modificazione soggettiva del rapporto obbligatorio nel lato attivo, in quanto, con la sostituzione dell'assegnatario all'originario creditore, muta il soggetto nei cui confronti il debitore è tenuto ad adempiere per liberarsi dal vincolo” (ex multis, Cass. n. 17441/2018): per effetto dell’ordinanza in discorso, dunque, C. avrebbe dovuto adempiere nei confronti del Lauricella l’obbligazione in essa portata; ma ciò non escludeva che il relativo credito potesse essere aggredito in via esecutiva dai creditori di quest’ultimo, ove all’atto del pignoramento esso non fosse stato già estinto dalla stessa C., come appunto avvenuto nella specie. Con la conseguenza che, in caso di assegnazione del credito in favore del C., con il relativo pagamento essa C. si sarebbe ad un tempo liberata dall’obbligazione sia nei confronti di quest’ultimo, sia dello stesso L., restando così escluso ogni rischio di duplicazione dell’adempimento.
Pertanto, introdotto dal C. il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, ex artt. 548 e 549 c.p.c. (nel testo antecedente alla riforma di cui alla legge n. 228/2012), il giudice del merito era solo tenuto ad accertare se il credito pignorato fosse sussistente o meno, ed eventualmente quale ne fosse la misura (Cass. n. 3987/2019), restando demandato al giudice dell’esecuzione, una volta riassunto il procedimento, adottare ogni più conseguente statuizione (così recitava, infatti, l’art. 549 c.p.c. previgente: “Con la sentenza che definisce il giudizio di cui all'articolo precedente, il giudice, se accerta l'esistenza del diritto del debitore nei confronti del terzo, fissa alle parti un termine perentorio per la prosecuzione del processo esecutivo”).
È del tutto evidente, poi, che il giudice del merito avrebbe dovuto tener conto di quanto eventualmente esatto dal creditore procedente nelle more del giudizio, a deconto della propria posizione creditoria, considerando in primo luogo le allegazioni dello stesso C., che aveva dedotto di aver incassato – nell’ambito della procedura N. 35748/2012 R.G.E. - l’importo di € 27.127,20, oltre spese.
3.2 – La Corte d’appello romana, tuttavia, non ha fatto buon governo delle regole suesposte: sia perché, una volta accertata la sussistenza originaria del credito pignorato, non l’ha decurtato delle somme frattanto ottenute dal C. (per come dallo stesso dedotto); sia perché, anziché limitarsi al detto accertamento, la Corte è addirittura giunta ad emettere statuizione di condanna della C. al pagamento della somma (pure erroneamente) accertata, per di più imputando alla C. di aver già pagato la sorte capitale di € 27.127,20 a M. L., anziché – come è indiscusso – a G. C..
Una simile pronuncia, però, è in ogni caso da ritenersi preclusa al giudice dell’accertamento dell’obbligo del terzo (avuto riguardo all’assetto ante riforma; quanto a quello successivo, il problema non si pone, perché l’accertamento è demandato allo stesso giudice dell’esecuzione, com’è noto), in quanto essa si risolve in una inutile e non consentita complicazione procedurale, destinata ad una altrettanto inutile e non consentita proliferazione di titoli esecutivi: nel sistema previgente, come già evidenziato, spetta esclusivamente al giudice dell’esecuzione - una volta riassunto dinanzi a lui il processo a seguito della definizione del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo - provvedere all’assegnazione del credito ai sensi dell’art. 553 c.p.c., con ordinanza che costituisce essa stessa titolo esecutivo nei confronti del terzo (ex multis, Cass. n. 7231/2022). Non v’è, dunque, alcuna ragione per cui il giudice dell’accertamento debba contestualmente adottare una statuizione di condanna, perché ciò finirebbe con l’alterare la struttura e lo stesso iter del pignoramento presso terzi, come compendiati con l’incidente di cognizione ex artt. 548 e 549 c.p.c. (si ripete, nel testo previgente alla novella del 2012).
Si impone, dunque, la cassazione in parte qua della sentenza impugnata, affinché il giudice del rinvio proceda ad un nuovo accertamento del credito pignorato, che tenga conto della sua consistenza originaria, per come dichiarata dalla C., nonché, se del caso o comunque in esito agli accertamenti eventualmente necessari al riguardo, del sopravvenuto pagamento parziale, come da allegazioni del creditore pignorante, ferma la competenza esclusiva del giudice dell’esecuzione per il prosieguo.
4.1 – In definitiva, il primo motivo è rigettato, mentre i restanti sono accolti.
La sentenza impugnata è dunque cassata in relazione, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che si atterrà ai superiori principi e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo e accoglie i restanti.
Cassa la gravata sentenza in relazione alla censura accolta, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.