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18 settembre 2023
Civile e processo
Dubbi di costituzionalità per la rimozione automatica del magistrato in caso di sentenza penale
Secondo le Sezioni Unite, la sanzione disciplinare della rimozione potrebbe essere costituzionalmente illegittima in quelle ipotesi in cui opera automaticamente a seguito di una sentenza penale di condanna del magistrato senza riconoscere uno spazio di autonoma valutazione al giudice del procedimento disciplinare.
di Avv. Fabio Valerini
Il caso

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Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 26693 del 18 settembre 2023 hanno sollevato una questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto l'automatismo che si produce per effetto di certe sentenze penali di condanna sul procedimento disciplinare a carico del magistrato nella parte in cui il giudice è vincolato ad irrogare la massima sanzione disciplinare della rimozione.
Nel caso di specie oggetto del procedimento disciplinare era stata la condotta di un magistrato che era stato imputato in sede penale per tre procedimenti dove gli erano stati contestati, in concorso con altri, i reati di cui agli articoli 323 cod. pen. (per la scelta di un amministratore giudiziario nell'ambito di una procedura di misure di prevenzione nel quale era giudice delegato), 326 cod. pen. (per aver divulgato il contenuto di una notizia d'ufficio circa l'esistenza di un procedimento penale) e 476 cod. pen. (per aver apposto su tre provvedimenti giurisdizionali la firma aprocrifa della presidente del Tribunale con il consenso di quest'ultima).
All'esito del giudizio abbreviato il magistrato era stato assolto per i primi due procedimenti (per insussistenza del fatto di reato) e condannato a due anni e quattro mesi di reclusione per il terzo procedimento oltre al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili costituite.
La sezione disciplinare del CSM lo condannò, per i fatti di cui al terzo procedimento disciplinare, alla sanzione della rimozione ex art. 12 D.Lgs. n. 109 del 2006 dal momento che la sentenza penale di condanna era per un delitto non colposo ad una pena (non sospesa) superiore ad un anno.

Il diritto

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Le Sezioni Unite, nell'esaminare il ricorso proposto dal magistrato, su sollecitazione della difesa dell'incolpato, ha deciso di sollevare la questione di legittimità costituzionale del quinto comma dell'art. 12 D.Lgs. n. 109 del 2006 senz'altro rilevante nel caso a quo poiché la dichiarazione della sua illegittimità «riespanderebbe il potere dell'Organo disciplinare di valutare, nello specifico, la congruità della sanzione estrema in rapporto al caso concreto, non essendo più di fronte alla esclusiva alternativa tra rimozione (art. 12, comma 5) e non rimozione (art. 3-bis), ma avendo la possibilità di graduare la sanzione secondo i tradizionali criteri di proporzionalità e adeguatezza».
Quanto ai parametri invocati a sostegno della non manifesta infondatezza della questione, le Sezioni Unite hanno, in primo luogo, escluso l'art. 7 CEDU poiché la sanzione disciplinare non può essere assimilata alla “materia penale”.
Sul punto viene richiamata la giurisprudenza di legittimità secondo cui «la sanzione disciplinare e quella penale hanno finalità, intensità ed ambiti di applicazione diversi, sicché non è coerente con il sistema pervenire ad una loro identificazione».
Del resto anche la Corte costituzionale – hanno precisato le Sezioni Unite – hanno avuto modo di precisare che «benché le sanzioni disciplinari attengano in senso lato al diritto sanzionatorio-punitivo, e proprio per tale ragione attraggano su di sé alcune delle garanzie che la Costituzione e le carte internazionali dei diritti riservano alla pena, esse conservano tuttavia una propria specificità, anche dal punto di vista del loro statuto costituzionale».

La lente dell'autore

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In secondo luogo, le Sezioni Unite hanno individuato il parametro di riferimento per valutare la non manifesta infondatezza della sollevata questione di costituzionalità nell'art. 117 Cost. e nell'art. 8 CEDU che tutela la vita privata e che può ricomprendere, a certe condizioni, anche le cause di lavoro dal momento che si tratta di un concetto ampio e non suscettibile di definizione esaustiva.
Secondo la Corte europea, infatti, «il licenziamento, la retrocessione, il diniego di accesso a una professione o altri analoghi provvedimenti sfavorevoli possono incidere su alcuni aspetti tipici della vita privata».
In questo contesto, secondo le Sezioni Unite, la rimozione irrogata al magistrato del caso di specie «pur prevista previo rispetto di adeguate garanzie procedurali, e pur essendo ricollegata ad una condanna penale, confligge con i principi di gradualità e proporzionalità della sanzione disciplinare che soli garantiscono, nell'ottica della Corte europea, una reazione adeguata al pur legittimo fine perseguito».
Ed infatti, «dedurre la proporzionalità (presuntivamente) dall'esistenza di una condanna penale, accertata nella sede competente e con il rispetto delle garanzie procedimentali, integra un salto logico nel senso che sovrappone i due piani: quello punitivo statuale e quello disciplinare».
Ne deriva che «il previsto automatismo, precludendo all'Organo di governo autonomo la possibilità di una graduazione della sanzione da applicare in rapporto al caso concreto, integra la violazione dell'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e del principio di proporzionalità tra la misura e lo scopo perseguito».
Ma i profili di illegittimità costituzionale si pongono anche con riferimento agli articoli 3 e 105 Cost. «lì dove stabilisce la rimozione automatica del magistrato che sia stato condannato a pena detentiva per delitto non colposo non inferiore a un anno la cui esecuzione non sia stata sospesa, ai sensi degli artt. 163 e 164 cod. pen., o per la quale sia intervenuto provvedimento di revoca della sospensione ai sensi dell'art. 168 dello stesso codice, non indica una vera e propria species facti ma individua in realtà una species poenae».
Ed infatti, secondo le Sezioni Unite «crea una irragionevole distonia nel sistema, di fatto devolvendo al giudice penale oltre che l'individuazione del fatto anche le conseguenze, attraverso la concreta determinazione della pena, in termini disciplinari».
Ciò porta a ritenere l'esistenza di un «vulnus ai princìpi di ragionevolezza e di uguaglianza … in presenza di un sistema punitivo fondato sull'automatismo ed assolutamente disattento alla consistenza e gravità delle singole svariate condotte sanzionabili indiscriminatamente» anche perché la disposizione si riferisce «ad un ventaglio eccessivamente ampio (e non omogeneo) di presupposti ai quali è collegata la sanzione automatica, con la conseguenza che una troppo ampia generalità dei casi nei quali applicare la medesima sanzione automatica non consente di formulare un giudizio certo sulla proporzione della sanzione rispetto allo scopo perseguito, in violazione dell'art. 3 Cost.».
Del resto, le condotte per cui è intervenuta sentenza penale potrebbero essere estranee ai profili dell'imparzialità e della terzietà dell'amministrazione della giustizia: non può essere quindi automatica la rimozione dovendo essere l'Organo di autogoverno a valutare «l'interesse dell'Amministrazione di privarsi di un magistrato a fronte di una condotta che, grave dal punto di vista della reazione punitiva statuale, potrebbe non esserlo se valutata in termini di offensività del fatto, con riferimento sia alla lesione dell'interesse specifico tutelato dall'illecito disciplinare, sia alla compromissione dell'immagine del magistrato e del prestigio di cui deve godere nell'esercizio dell'attività giurisdizionale».