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4 ottobre 2023
Penale e processo
Escluso il reato di molestia per chi invia messaggi non graditi su Facebook e Instagram
Sussiste il reato di molestia ex art. 660 c.p. quando la tecnologica consente al destinatario del messaggio di sottrarsi all'invasività del messaggio non gradito?
di Avv. Fabio Valerini
Il caso

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La Prima sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 40033 del 3 ottobre 2023 ritorna sulla configurazione del reato di molestia previsto e punito dall'art. 660 c.p.nello scenario dei social network.

Nel caso di specie, era accaduto che la mamma naturale di due figli poi adottati avesse inviato una richiesta di amicizia sul loro profilo Facebook nonché su quello dei genitori adottivi e, successivamente, contattato tramite Facebook e Instagram la nonna paterna adottiva dei minori.

La madre naturale aveva anche postato sempre su Facebook e Instagram fotografie dei minori ritratti insieme ai genitori adottivi apponendo la frase “i miei figli”.

Per questi fatti fu rinviata a giudizio per il reato di cui all'art. 612-bis c.p.: dopo un'assoluzione in primo grado, la Corte di appello, previa riqualificaizone dei fatti in molestia ex art. 660 c.p. aveva condannato l'imputata alla pena di due mesi di arresto.

Il diritto

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Nel ricorso per cassazione l'imputata aveva contestato l'erronea qualificazione dei fatti poiché per integrare il reato di molestia di cui all'art. 660 c.p. occorre che l'azione molesta avvenga con il mezzo del telefono oppure attraverso altri mezzi di trasmissione purché abbiano la caratteristica dell'essere imposti al destinatario.

Ebbene, la Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso dell'imputata perché il fatto di cui è stata giudicata responsabile non è previsto dalla legge come reato.

Per giungere a questa affermazione la prima sezione ha ricordato, innanzitutto, come la giurisprudenza di legittimità abbia già avuto modo di chiedersi quale sia il significato da attribuire alla locuzione “col mezzo del telefono” utilizzata dal legislatore del 1930 e se si possano ricomprendere nella fattispecie di reato quelle «modalità di interferenza non gradita nella vita altrui create dallo sviluppo tecnologico, e non immaginate dal legislatore nel momento in cui è stata scritta la norma».

In questo senso la Suprema Corte ha ricordato che la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di affermare:

  1. nel 2004, che gli sms (che ancora rientrano nel perimetro legale del “mezzo del telefono”) possono integrare il reato di molestia perché il destinatario è costretto a percepirli con corrispondente turbamento della quiete e della tranquillità psichica prima di poterne individuare il mittente;
  2. nel 2010 che i messaggi di posta elettronica sono analoghi alle lettere postali e quindi sono esclusi dalla fattispecie di reato perché la comunicazione non avviene con modalità sincrona dando luogo ad una immediata interazione tra soggetto agente e destinatario della comunicazione;
  3. nel 2011, che, stante l'evoluzione tecnologica, anche i messaggi di posta elettronica possono integrare la fattispecie di reato «quando la comunicazione sia accompagnata da un avvertimento acustico, che ne indichi l'arrivo in forma petulante»;
  4. nel 2021 che la circostanza che ci sia una anteprima di testo consente di comprendere nel perimetro applicativo dell'art. 660 c.p. la messaggistica sms e quella WhatsApp escludendo che la mera possibilità dell'utente di bloccare il contatto indesiderato possa giustificare una diversa conclusione spostando il baricentro della norma dall'uso del telefono all'uso delle linee telefoniche;
  5. nel 2022, che i messaggi di posta elettronica non rientrano nel perimetro applicativo salvo che non ci sia un “telefono attrezzato” che permette la trasmissione di voci e di suoni in modalità sincrona.
La lente dell'autore

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Per la Suprema Corte, nonostante l'evoluzione tecnologica (che va dal telefono al telefono “attrezzato”), c'è sostanziale continuità nella giurisprudenza nell'interpretare l'art. 660 c.p. nel senso di ritenere che sia sufficiente l'uso delle linee telefoniche essendo irrilevante che l'invio sia stato fatto tramite telefono, computer, orologio o un altro dispositivo.

Inoltre, c'è una condizione necessaria ricorrente per poter predicare la sussistenza della fattispecie di reato: il mezzo utilizzato deve essere caratterizzato da una invasività assimilabile a quella della chiamata telefonica molesta (come potrebbe avvenire per l'ipotesi di preview o di alert).

Senonché, la prima sezione ha messo in evidenza come «la esistenza o meno di un sistema di alert o preview dipende, in realtà, non dal soggetto che invia, ma da quello che riceve, che può decidere liberamente se consentire all'applicazione di messaggistica telematica di inviargli la notifica della ricezione di un messaggio».

Ecco allora che «in un sistema di messaggistica telematica che ormai, per effetto dell'ulteriore progresso delle telecomunicazioni, permette al destinatario di sottrarsi sempre all'interazione immediata con il mittente ponendo un filtro al rapporto con il soggetto che invia il messaggio molesto, la equiparazione tra la invasività delle comunicazioni moleste effettuate tramite sistemi di messaggistica telematica e quella delle comunicazioni tradizionali effettuate con il mezzo del telefono non si giustifica più».

Conclusivamente per la Suprema Corte deve affermarsi che «nel caso in esame, caratterizzato da molestie perpetrate tramite messaggi mediante le applicazioni Instagram e Facebook, le cui notifiche dei messaggi in arrivo possono essere attivate per scelta libera dal soggetto che li riceve, il fatto di cui è stata ritenuta responsabile l'imputata non è sussumibile nella fattispecie penale dell'art. 660 cod. pen. in quando non commesso “col mezzo del telefono” nel significato attribuito a questa locuzione dalla giurisprudenza di legittimità».