Home
Network ALL-IN
Quotidiano
Specializzazioni
Rubriche
Strumenti
Fonti
19 ottobre 2023
Penale e processo
Se la notifica della vocatio in iudicium è nulla, il giudice di pace può restituire gli atti al PM (ma solo nel caso di “direttissima”)
Le Sezioni Unite, pur ribaltando il recente orientamento sulla (oggi ritenuta) abnormità del provvedimento con cui il giudice del dibattimento dichiari la nullità dell'atto di citazione a giudizio per vizi relativi alla sua notificazione e disponga la trasmissione degli atti al pubblico ministero, giunge alla diversa soluzione – l'atto non è abnorme – per il particolare procedimento di presentazione immediata a giudizio dell'imputato da parte della polizia giudiziaria dinanzi al giudice di pace perché, anche se fa regredire il procedimento, la legge non prevede nel rito speciale il potere di rinnovazione da parte del giudicante.
di Avv. Carmelo Minnella
Il caso

ilcaso

Nell'ambito di un procedimento penale, nei confronti di due stranieri imputati, uno di trattenimento sul territorio nazionale in violazione dell'ordine di allontanamento del Questore (art. 14, comma 5-ter, D. Lgs. n. 286/1998) e l'altro di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato (art. 10-bis dello stesso decreto), il Giudice di Pace di Livorno dichiarava la nullità del decreto di citazione a giudizio e ordinava la trasmissione degli atti al PM.
In particolare, per il primo accusato si rilevava che la vocatio in iudicium fu notificata presso il difensore d'ufficio nonostante quest'ultimo, interpellato ai sensi dell'art. 162, comma 4-bis c.p.p., avesse rifiutato l'indicazione di domiciliatario. Per il secondo si aggiungeva che, peraltro, dal verbale di identificazione risultava comunque un domicilio dichiarato.
Il PM proponeva ricorso per cassazione deducendo l'abnormità dell'ordinanza che, dichiarata la nullità, ha determinato:

  • da un canto, la regressione del procedimento;
  • dall'altro, la stasi dello stesso dal momento che la notifica in questi casi non può che essere fatta con la consegna della copia allo stesso difensore, secondo il meccanismo descritto dall'art. 161, comma 4, c.p.p.

La Prima sezione Penale della Corte di Cassazione, ha rimesso alle Sezioni Unite due questioni rilevanti ai fini della decisione:

  1. se, nella vigenza della normativa antecedente al D. Lgs. n. 150/2022 (c.d. riforma Cartabia), qualora l'imputato elegga domicilio presso il difensore d'ufficio e quest'ultimo non accetti l'elezione, possa ugualmente effettuarsi la notificazione dell'atto di citazione a giudizio al medesimo difensore ai sensi dell'art. 161, comma 4, c.p.p., ovvero la stessa sia nulla, dovendo procedersi alla notificazione con le modalità di cui agli artt. 157 ed eventualmente 159 c.p.p.;
  2. se il provvedimento con cui il giudice del dibattimento dichiari la nullità dell'atto di citazione a giudizio per vizi relativi alla sua notificazione e disponga la trasmissione degli atti al pubblico ministero sia abnorme, perché avulso dal sistema processuale e, comunque, idoneo a determinare la stasi del procedimento ovvero costituisca invece espressione dei poteri riconosciuti al giudice dall'ordinamento processuale.
Il diritto

ildiritto

Per rispondere al primo quesito, il Supremo organo nomofilattico ripercorre il quadro normativo e il percorso giurisprudenziale antecedente alla novella introdotta dal D. Lgs. n. 150/2022, partendo dall'art. 162, comma 4-bis, c.p.p., a norma del quale «L'elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio non ha effetto se l'autorità che procede non riceve, unitamente alla dichiarazione di elezione, l'assenso del difensore domiciliatario».
Tale disposizione è stata inserita dalla L. n. 103/2017 per rafforzare la garanzia difensiva dell'effettiva conoscenza della citazione a giudizio in una cornice normativa che già da qualche anno si caratterizzava per l'abolizione del processo contumaciale (dopo che la Corte EDU ci aveva a più riprese bacchettato) e la predisposizione di un'articolata disciplina del processo nei confronti dell'assente.
Proprio per le carenze delle disposizioni del giudizio in absentia (l'art. 420-bis, nella formulazione pre-Cartabia, introdotta nel 2014, lo consentiva se nel corso del procedimento l'imputato avesse dichiarato o eletto domicilio) – laddove non diversificavano (quanto ad effetti in punto di prova di conoscenza effettiva) l'elezione di domicilio, a seconda se effettuata a favore del difensore di fiducia o in favore del difensore d'ufficio, gravando sull'imputato l'onere di attivarsi per tenere i contatti con il difensore, anche nominato d'ufficio, in modo da essere compiutamente informato sullo sviluppo del procedimento – venne introdotto il citato art. 162, comma 4-bis, c.p.p.. A seguito di tale interpolazione, il difensore d'ufficio eletto domiciliatario occorre che presti il suo assenso, pena altrimenti l'inefficacia dell'elezione di domicilio, dando in tal modo prova della reale possibilità che la domiciliazione, al momento iniziale priva di pregressi rapporti tra imputato e domiciliatario, possa proficuamente strutturarsi.
Tale disposizione ha sostanzialmente:

  • inteso ridurre al minimo un tipico ambito di possibili elezioni di domicilio disattente (Sezioni Unite Innaro, n. 28912/2019); disciplinando un caso tipico, frequente nell'ambito dei rapporti con stranieri più o meno precari presenti o in transito in Italia, in cui in modo magari frettoloso si è voluto risolvere il problema della notifica degli atti successivi accettando una indicazione prima facie poco consapevole;
  • preteso che l'elezione di domicilio sia reale e seria, dovendo essere apprezzabile un rapporto tra il soggetto ed il luogo presso il quale dovrebbero essere indirizzati gli atti (Sezioni Unite Ismail, n. 23948/2020);
  • assicurare in ogni grado del processo l'effettiva conoscenza da parte dell'imputato e rendere più incisivo ed efficace il controllo giudiziale a partire dalla vocatio in iudicium sino al provvedimento conclusivo della singola fase (Sezioni Unite Lovric, n. 15498/2021);
  • ha trovato conferma nella riforma Cartabia che ha però aggiunto un onere aggiuntivo per il legale d'ufficio: «Se non presta l'assenso, il difensore attesta l'avvenuta comunicazione da parte sua all'imputato della mancata accettazione della domiciliazione o le cause che hanno impedito tale comunicazione».

Incontestata la vocazione garantista dell'art. 162, comma 4-bis, c.p.p., il quesito sottoposto al vaglio delle Sezioni Unite riguarda la circostanza che la norma nulla dice su quali siano le conseguenze del mancato assenso della domiciliazione.
Qual è la sorte dell'elezione domicilio? Essa può ricondursi (come ritiene un orientamento di legittimità) alle ipotesi annoverate dall'art. 161, comma 4, c.p.p. e, quindi essere assimilata alla mancanza o inidoneità o, ancora, alla insufficienza del domicilio? Con il corollario che la notificazione, non andata a buon fine per il mancato assenso del difensore, andrebbe rinnovata nelle forme della consegna di copia dell'atto allo stesso (per superare la situazione di stallo determinatasi), epilogo questo che non si differenzia all'evidenza dalla modalità di notificazione fondata sull'elezione di domicilio e il cui mancato perfezionamento ha dato causa alla reiterazione delle operazioni di notifica.
Le Sezioni Unite rispondono di no, sposando invece il contrapposto orientamento: quello che parte dalla constatazione che l'inefficacia dell'elezione di domicilio va interpretata come insussistenza e non soltanto come inidoneità o insufficienza della stessa.
Se si ammettesse che al mancato assenso del difensore alla domiciliazione possa seguire la notifica con la consegna di copia dell'atto allo stesso difensore mediante il meccanismo di cui all'art. 161, comma 4, c.p.p., si cadrebbe nel sistema presuntivo di conoscenza dell'atto a cui il Legislatore del 2017 ha inteso porre riparo.
In base all'art. 162, comma 4-bis, c.p.p. la elezione di domicilio rimane priva di effetto in mancanza della ricezione, da parte dell'autorità giudiziaria procedente, unitamente alla dichiarazione di elezione, dell'assenso del difensore d'ufficio indicato come domiciliatario. Non è possibile assimilare tale ipotesi alla categoria di elezione del domicilio che, secondo una risalente ricostruzione interpretativa, è un negozio giuridico processualeunilaterale, per la cui validità non è richiesta l'accettazione espressa da parte del domiciliatario.
La produzione di effetti, per espressa previsione normativa, nel caso descritto dall'art. 162, comma 4-bis, è collegata non già alla sola dichiarazione di elezione, ma ad una fattispecie più ampia e complessa di cui fanno parte anche l'atto di assenso del difensore indicato e il fatto della comunicazione dell'assenso all'autorità procedente.
Si è dunque di fronte ad una situazione processuale non assimilabile a quelle che l'art. 161 c.p.p. individua come presupposti per la notificazione mediante la consegna di copia al difensore, ossia la insufficienza, la inidoneità o la mancanza della dichiarazione o elezione di domicilio o, ancora, in modo più evidente, la mancanza di comunicazione del mutamento di domicilio dichiarato o eletto.
Per il Supremo Collegio, l'unica soluzione sistematicamente coerente del procedimento notificatore secondo le disposizioni dell'art. 162, comma 4-bis, è quella per cui, in esito al mancato perfezionamento dell'elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio, sia quella di dare seguito alla rinnovazione. 157 c.p.p. con eventuale possibilità di dichiarazione di irreperibilitàex art. 159 c.p.p., ove l'imputato non sia rintracciato nei luoghi indicati.
Secondo le Sezioni Unite, la tesi della necessità di provvedere alla notificazione ai sensi dell'art. 157 c.p.p., sempre che l'indagato non abbia provveduto a una nuova dichiarazione o elezione di domicilio, si inserisce in modo coerente nella nuova disciplina delle notificazioni introdotte dal D. Lgs. n. 150/2022.
Il neo art. 157-ter c.p.p. prescrive infatti che la notificazione all'imputato non detenuto della vocatioin iudicium sia effettuata al domicilio dichiarato o eletto e che, in mancanza di esso, sia eseguita non già con la consegna di copia al difensore, sia esso di fiducia che d'ufficio, ma nei luoghi e con le modalità di cui all'art. 157 c.p.p. (consegna a mani e, in via subordinata presso l'abitazione o il luogo di esercizio abituale dell'attività lavorativa nelle declinazioni ivi indicate) e solo in caso di rifiuto di dare corso alla dichiarazione o elezione di domicilio (od omettano di comunicare i mutamenti di domicilio) la notificazione della citazione a giudizio sarà effettuata con consegna di copia al difensore, anche se d'ufficio.
Passando alla seconda questione sottopostale, il Massimo Consesso – preso atto che solo qualora l'ordinanza impugnata (non soggetta di per sé ad impugnazione) sia abnorme possa superare il vaglio di ammissibilità – ricorda che:

  • mentre in un primo momento le Sezioni Unite hanno stabilito che in caso di nullità della notificazione del decreto di citazione, il giudice del dibattimento deve provvedere egli stesso a rinnovare la notifica, e non può disporre la restituzione degli atti al PM con un provvedimento che, determinando una indebita regressione del processo, si configurerebbe come abnorme (Sezioni Unite Manca, n. 28807/2002);
  • successivamente ha preso corpo un altro indirizzo interpretativo (poi cristallizzato nella pronuncia, sempre a Sezioni Unite, Toni, n. 25957/2009) che, facendo perno sulla categoria dei vizi innocui – quello per cui il giudice ha esercitato un potere che non gli spettava senza che si verifichi alcuna stasi processuale, ma solo indebita regressione, tuttavia rimediabile per mezzo di attività propulsive legittime – ha ristretto i confini dell'abnormità non ritenendo tale il provvedimento con cui il tribunale, accertata la nullità della notifica all'imputato della vocatio in iudicium, trasmetta gli atti al PM, in quanto lo stesso non si pone al di fuori del sistema processuale, non determinando una irrimediabile stasi del procedimento.
Le odierne Sezioni Unite accolgono il primo orientamento, tornando al passato, ritenendo abnorme, perché avulso dal sistema processuale, il provvedimento con cui il giudice, a fronte di una nullità della notificazione della citazione, restituisca gli atti al PM invece di provvedere esso stesso a far rinnovare la notificazione.
Rilievo dirimente nello sciogliere il contrasto ermeneutico è sul conseguente provvedimento di restituzione degli atti al PM: quando la nullità rilevata attiene alla notificazione della citazione a giudizio, il provvedimento di restituzione degli atti è adottato in chiaro difetto di potere perché l'ordinamento processuale, siccome conferisce al giudice il potere di rinnovazione della notifica, al contempo e per necessità logica non può che privarlo del potere di restituzione degli atti all'organo dell'accusa.
L'abnormità dell'atto si lega inscindibilmente alla carenza di potere. Si rientra, più precipuamente, nell'area dell'abnormità strutturale in quanto il giudice esercita un'attribuzione completamente al di fuori dei casi consentiti perché tale potere non gli è in tale situazione riconosciuto.

 

La lente dell'autore

lenteautore

La sentenza in commento non si ferma qui e, con colpo di scena finale, ritiene che non è abnorme il provvedimento con il quale il giudice di pace, ritenuta la nullità della notifica della citazione a giudizio nelle forme della presentazione immediata, a norma dell'art. 20-bis D. Lgs. n. 274/2000, disponga la trasmissione degli atti al PM per la rinnovazione della citazione stessa.
Ciò in quanto nel caso oggetto del ricorso presenta specificità meritevoli di considerazione.
Non si tratta, invero, della citazione a giudizio ”ordinaria” ex art. 20 del decreto ultimo citato, vale a dire quella in cui il PM cita l'imputato davanti al giudice di pace (del tutto assimilabile agli atti di citazione del procedimento dinanzi al tribunale). Viene in rilievo, invece, la presentazione immediata a giudizio dell'imputato in casi particolari, prevista dal successivo art. 20-bis, a norma del quale «Per i reati procedibili d'ufficio, in caso di flagranza di reato ovvero quando la prova è evidente, la polizia giudiziaria chiede al pubblico ministero l'autorizzazione a presentare immediatamente l'imputato a giudizio dinanzi al giudice di pace».
Per i Giudici di legittimità, si tratta di un caso del tutto particolare rispetto alla ordinaria citazione a giudizio che, riproducendo il modello del giudizio direttissimo, non può dirsi validamente instaurato in assenza della presentazione immediata attraverso la notificazione, al pari di quanto avviene per la direttissima (che non può dirsi validamente introdotta quando l'imputato in stato di libertà non sia stato citato).
Tale ricostruzione esegetica trova conferma nella letturasistemica, laddove:

  • l'art. 29, comma 3, D. Lgs. n. 274/2000 prevede che nei casi in cui occorre rinnovare la convocazione o la citazione a giudizio ovvero le relative notificazioni, vi provvede il giudice di pace, anche d'ufficio, richiamando tuttavia solo il modello ordinario di vocatio a cura del PM (art. 20) e di quello a seguito di ricorso immediato proposto dalla persona offesa (art. 21 e seg .); non facendo menzione della particolare forma di introduzione del giudizio costituita dall'autorizzazione alla presentazione immediata. L'omesso riferimento a questa forma di esercizio dell'azione penale è tutt'altro che una svista;
  • tale ultima disposizione dell'art. 29, comma 3, non viene richiamata dall'art. 32-bis successivo, al cui comma 1 si stabilisce che nel corso del giudizio a presentazione immediata di cui agli artt. 20-bis e 20-ter si osservano le disposizioni dell'art. 32. Quest'ultimo regola la fase del dibattimento e non contiene alcun cenno al potere di rinnovazione della citazione e della sua notificazione. Consequentur, il mancato riferimento all'art. 29, comma 3, offre un ulteriore argomento per escludere che nel giudizio “direttissimo” il giudice possa provvedere in tal senso.
In definitiva, laddove difettano i presupposti per la corretta instaurazione del contraddittorio, il giudice di pace non può comunque dare corso al giudizio esercitando il potere di rinnovare la notificazione della citazione secondo l'art. 29, comma 3, e il provvedimento di restituzione degli atti al PM non può dirsi abnorme.
Il giudice di Pace, in questi casi, a fronte di un vizio di notifica della richiesta e autorizzazione alla presentazione immediata, restituisce gli atti al PM, esercita un potere che inequivocabilmente gli spetta, ossia quello di controllare che sussistano i presupposti per l'instaurazione del giudizio speciale.