É inammissibile ai sensi dell'art. 24, comma 6-sexies, lett. a), D.L. n. 137 del 2020, il ricorso per cassazione sottoscritto con firma digitale corredata da un certificato elettronico scaduto, per quanto previsto dall'art. 24 comma 4-bis, D. Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 - Codice dell'amministrazione digitale (CAD), in quanto l'apposizione a un documento informatico di una firma digitale o di un altro tipo di firma elettronica qualificata, basata su un certificato elettronico scaduto, equivale a mancata sottoscrizione.
Avverso sentenza della Corte d'Appello di Milano, viene proposto ricorso per cassazione, fondato su quattro motivi: - il primo motivo deduce violazione di legge dell'art. 2621 c.c.; Il Pubblico Ministero ha depositato requisitoria e conclusioni scritte con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso ai sensi dell'art. 24, comma 6-sexies, lett. a), D.L. n. 137 del 2020 e i Giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto il ricorso inammissibile ai sensi dell'art. 24, comma 6-sexies, del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla Legge 18 dicembre 2020, n. 176. Il Collegio, nelle sue considerazioni, spiega che cancelleria della Corte di Appello di Milano, inviando gli atti in conseguenza del deposito a mezzo PEC del ricorso per cassazione, evidenziava che l'impugnazione fosse stata firmata digitalmente dal difensore, aggiungendo che alla verifica effettuata tramite il programma Aruba PEC la firma risultasse «valida, ma il certificato è scaduto o non è ancora valido». |
|
Il Collegio passa in rassegna precedenti decisioni della stessa Corte al solo fine di spiegare come le stesse non possano applicarsi al caso in esame in quanto, se da una parte erano univoche nel ritenere valida la firma digitale apposta pur in presenza di segnalazioni rilevate dal software di controllo del tipo "il formato della firma non rispetta la decisione UE2015/1506; la firma non è aderente allo standard PAdES Baseline Profile richiesto dalla normativa europea, il certificato non è attendibile”, dall'altra in nessuno dei casi contemplavano, come nel caso di specie, la sottoscrizione digitale dell'atto con certificato risultato scaduto. |
|
A dire il vero, la decisione in commento non convince. Che incorra in tale errore appare evidente per due ordini di ragioni:
1) è la stessa Corte ad affermare, nelle proprie considerazioni in diritto, che «Il caso che interessa è quello della scadenza del certificato elettronico, pur in precedenza validamente emesso»; Ulteriore errore commette la Corte nell'applicare, al caso in esame, l'art. 24 comma 4-bis del CAD, ignorando completamente quanto disposto dal medesimo articolo al comma 3 il quale così recita: «Per la generazione della firma digitale deve adoperarsi un certificato qualificato che, al momento della sottoscrizione, non risulti scaduto di validità ovvero non risulti revocato o sospeso.». Da tale comma 3 dell'art. 24 del CAD si evince che qualora il documento sia stato sottoscritto con una firma digitale supportata da un certificato di sottoscrizione valido al tempo della produzione del documento, ma attualmente scaduto, la firma digitale continuerà a preservare la propria validità con riferimento ai documenti siglati prima della scadenza e quindi che il documento firmato digitalmente durante il periodo di validità del certificato conserva la sua validità sostanziale anche dopo la scadenza di quest'ultimo, dovendosi ritenersi esistente una presunzione iuris tantum in tal senso a favore del sottoscrittore. Il documento informatico soddisfa il requisito della forma scritta e ha l'efficacia prevista dall'articolo 2702 del Codice civile quando vi è apposta una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata o, comunque, è formato, previa identificazione informatica del suo autore, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall'AgID ai sensi dell'art. 71 con modalità tali da garantire la sicurezza, integrità e immodificabilità del documento e, in maniera manifesta e inequivoca, la sua riconducibilità all'autore. In tutti gli altri casi, l'idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità. La data e l'ora di formazione del documento informatico sono opponibili ai terzi se apposte in conformità alle Linee guida. |
Corte di Cassazione, sez. Feriale Penale, sentenza (ud. 10 agosto 2023) 10 novembre 2023, n. 45316
Svolgimento del processo
l. La Corte di appello di Milano, con la sentenza emessa il 10 novembre 2022, confermava quella del Tribunale milanese, che aveva accertato la responsabilità penale di B.D.R. in ordine al delitto di false comunicazioni sociali previsto dall'art. 2621 cod. civ.
In particolare, veniva contestato a D.R., nella qualità di amministratore unico della I.D. S.r.l., di avere consapevolmente e al fine di conseguire un ingiusto profitto, consistito nella mancata dichiarazione di fallimento della società, rappresentato nei bilanci degli anni 2010-2014 fatti materiali rilevanti non corrispondenti al vero, in quanto: - le immobilizzazioni immateriali, che nel bilancio 2009 erano pari ad euro 216.309,00, subirono una graduale riduzione fino ad azzerarsi nel bilancio 2012; - i debiti, che nel bilancio 2009 risultavano pari ad euro 478.708,00, nel 2010 ammontavano a euro 21.010,00 e nel bilancio 2012 risultavano essere pari ad euro 70.629,00; - le riserve, che nel 2002 erano nulle, nel 2010 ammontavano ad euro 354.873,00, aumentando fino ad euro 398.870/00 nel bilancio 2012; la nota integrativa al bilancio, inoltre, non accennava a nulla in merito a una operazione che avrebbe consentito di ridurre notevolmente i debiti e aumentare le riserve. Il tutto avveniva in Milano il 14 dicembre 2015, in occasione della approvazione dei bilanci menzionati da parte della assemblea dei soci, alla quale era presente il solo D.R..
2. Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse di B.D.R., consta di quattro motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3. Il primo motivo deduce violazione di legge dell'art. 2621 cod. civ.
La sentenza impugnata non avrebbe fatto alcun riferimento alla concreta idoneità della comunicazione sociale a indurre in errore, né tantomeno si sarebbe confrontata con la circostanza che il reato di false comunicazioni sociali implichi la potenziale capacità decettiva nei confronti dei soci, dei creditori e del pubblico, ma non anche dell'autorità giudiziaria, che secondo l'imputazione sarebbe stata ingannata dai bilanci, quanto ai presupposti per la fallibilità della società.
La sentenza impugnata, quanto al primo profilo, in violazione di legge opererebbe una valutazione ex post, e non ex ante, della menzionata idoneità e, quanto al secondo profilo, non terrebbe in conto che l'interesse tutelato dalla norma incriminatrice è la libertà di iniziativa economica dei privati, cosicchè il Tribunale fallimentare, come anche il Fisco, come ritenuto dalla Corte di cassazione, non risulterebbero fra i soggetti tutelati dalla norma incriminatrice, essendo il riferimento ad «altri» in essa contenuto non comprensivo dell'autorità giudiziaria fallimentare.
4. Il secondo motivo deduce violazione di legge dell'art. 2621 cod. civ. e vizio di motivazione.
La sentenza impugnata non avrebbe dato conto - in ordine alla falsità relativa al trasferimento dei «debiti per finanziamenti infruttiferi verso i soci», nell'appostamento come «riserve» a seguito di rinuncia, dal bilancio 2009 a quello 2010 - del parere del consulente tecnico di parte, non valutando le ragioni tecnico contabili prospettate a sostegno dell'appostamento.
5. Il terzo motivo lamenta violazione dell'art. 2621-bis cod. civ. e vizio di motivazione.
Si duole il ricorrente che la Corte di appello non abbia riqualificato la condotta ai sensi dell'art. 2621-bis, comma 1, cod. civ. non valutando adeguatamente la natura e la dimensione della società e ritenendo il reato procedibile di ufficio e non a querela, in ordine alla quale l'allora appellante deduceva la tardività.6. Il quarto motivo deduce violazione dell'art. 2621-ter cod. civ. e vizio di motivazione, in quanto la Corte di appello avrebbe escluso la non punibilità, senza fare riferimento al parametro della entità del danno cagionato alla società ai soci e ai creditori sociali, limitandosi a valorizzare la gravità conseguente alla mancata dichiarazione di fallimento.
7. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte - ai sensi dell'art. 23 comma 8, d.l. 127 del 2020 - con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
8. La difesa delle parti civili ha depositato conclusioni e nota spese, come indicato in epigrafe.
9. Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell'art. 7, comma 1, d.l. n. 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall'articolo 94 del decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall'art. 5-duodecies d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla I. 30 dicembre 2022, n. 199.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile ai sensi dell'art. 24, comma 6-sexies, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176
2. La cancelleria della Corte di appello di Milano, inviando gli atti in conseguenza del deposito a mezzo p.e.c. del ricorso per cassazione, ha annotato che l'impugnazione sia stata firmata digitalmente dal difensore, aggiungendo che alla verifica effettuata tramite il programma Aruba PEC la firma risulti «valida, ma il certificato è scaduto o non è ancora valido».
Dall'allegato in atti, relativo alla schermata rilasciata dal sistema, risultava come la firma in questione fosse del tipo PADES, attribuita a P. F. e recasse l'annotazione «il certificato non è attendibile»; inoltre, dall'allegata copia del certificato, trasmessa dalla cancelleria della Corte territoriale, ne risultava dal rilascio in favore dell'avvocato F.P. da parte di Aruba Pec S.p.a., con validità fino al 2 aprile 2023 oltre che con annessa dicitura: «il certificato è scaduto o non è ancora valido».
2.1 Va premesso che, come osservato da ultimo da Sez. 6, n. 11341 del 17/11/2022, dep. 2023, Buscemi, Rv. 284577 - 01, in tema di disciplina emergenziale per il contrasto alla pandemia da Covid-19, l'inammissibilità dell'impugnazione per difetto di valida sottoscrizione digitale benché non dichiarata, anche d'ufficio, dalla Corte d'appello ai sensi dell'art. 24, commi 6-bis e 6-sexies, lett. b), d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, può essere rilevata autonomamente dalla Corte di cassazione.
2.2 Tanto premesso, nel caso in esame risulta dagli atti -- accessibili a questa Corte, trattandosi di errar in procedendo, per il quale il Giudice di legittimità è "giudice anche del fatto" (Cass., Sez. Un. 31 ottobre 2001, Policastro, rv. 220092) - che la firma era stata apposta ma era ritenuta corredata da «certificato non attendibile» in quanto scaduto o non valido.
E bene, non ignora questa Corte che con recente sentenza - Sez. 5, n. 22992 del 28/04/2022, Truzzi, Rv. 283399 - 01 - è stato ritenuto che in tema di disciplina emergenziale per il contrasto della pandemia da Covid-19, non costituisce causa di inammissibilità dell'impugnazione di un provvedimento cautelare la mera irregolarità della sottoscrizione digitale (nella specie, la firma, seppur apposta, non era riconosciuta come valida dal sistema di verifica dell'ufficio giudiziario destinatario, con esito di "certificato non attendibile"), in quanto l'art. 24, comma 6-sexies, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prevede cause tassative di inammissibilità, tra le quali è compresa unicamente la mancanza della sottoscrizione dell'atto di impugnazione da parte del difensore, di cui alla lett. a) di tale disposizione, non anche la sua irregolarità.
In particolare la Sez. 5, Truzzi riteneva esistente la sottoscrizione digitale, pur se «irregolare perché segnalata dal software di controllo con la dicitura "il formato della firma non rispetta la decisione UE 2015/1506; la firma non è aderente allo standard PAdES Baseline Pro file richiesto dalla normativa europea (uso di sub filter diverso da Etsi.CAdES.detached. Il certificato non è attendibile). Il certificato non rispetta le raccomandazioni a livello comunitario per i servizi fiduciari: algoritmo di hash SHAI. Il certificato utilizzato non è certificato di firma digitale".
Pertanto, la firma digitale era stata apposta all'atto di impugnazione cautelare, non era "mancante" o "assente", pur non essendo stata riconosciuta dal sistema di verifica dell'ufficio giudiziario destinatario come effettivamente "valida"».
Anche Sez. 2, n. 32627 del 15/06/2022, Moliterni, Rv. 283844 - 01, ha ritenuto che non costituisse causa d'inammissibilità dell'impugnazione la qualificazione, da parte del sistema informatico in dotazione all'ufficio giudiziario, della firma digitale apposta dal difensore come non valida, in ragione del mancato utilizzo di uno specifico "software" (nella specie "Aruba sign", essendo stato l'atto sottoscritto col sistema "Pades-bes"), posto che la verifica della validità della sottoscrizione deve prescindere dalle caratteristiche del "software" impiegato per generarla e, parallelamente, per condurre la stessa operazione di verifica.
In sostanza, come ha anche ritenuto incidentalmente in una ulteriore recente sentenza emessa da Sez. 6, n. 34099 del 03/07/2023, non massimata, l'art. 24, comma 6-sexies, tassativamente prevede l'inammissibilità alla lett. a), unicamente in ipotesi di mancata sottoscrizione dell'atto di impugnazione da parte del difensore e non anche allorché la stessa risulti irregolare.
Difatti, fra le nuove e ulteriori cause di inammissibilità di tipo 'informatico', di natura tassativa e di stretta interpretazione (in tal senso, Sez. 5, n. 24953 del 10/5/2021, Garcia Genesis De Iesus, Rv. 282814), introdotte dalla normativa emergenziale che ha condotto a un repentino passaggio al deposito telematico e che si aggiungono a quelle tradizionali, fatte salve e sancite in via generale dall'art. 591 cod. proc. pen., vi è anche quella prevista dalla lett. a) dell'art. 24 comma 6- sexies, cit. che qualifica inammissibile l'atto impugnatorio «quando [ ...] non è sottoscritto digitalmente dal difensore».
2.3 E bene, a differenza dei casi fin qui richiamati, nei quali una sottoscrizione digitale esisteva e al più non era riconosciuta dal software in uso all'ufficio giudiziario, diverso è il caso in esame.
Oltre che con l'ordito normativo fin qui richiamato, la disciplina emergenziale regola il tema ora in esame anche all'art. 24, comma 6-bis, d.l. cit. che prevede per il deposito dell'impugnazione che «l'atto in forma di documento informatico [sia] sottoscritto digitalmente secondo le modalità indicate con il provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4...». Il richiamato comma 4, che disciplina il deposito di ogni tipologia di atti, prevede che spetti al provvedimento del Direttore generale del citato dipartimento del Ministero di giustizia (a seguire DGSIA) regolare, fra l'altro, «le specifiche tecniche relative ... alla sottoscrizione digitale ...».
Il «Provvedimento 9 novembre 2020 - Individuazione degli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari dei depositi di cui all'art. 24, comma 4, del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, e le specifiche tecniche relative ai formati degli atti e le ulteriori modalità di invio» all'art. 3, comma 1, prevede esclusivamente che l'atto del procedimento in forma di documento informatico, da depositare attraverso il servizio di posta elettronica certificata presso gli uffici giudiziari sia «sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata» e al comma 3 che «Le tipologie di firma ammesse sono PAdES e CAdES. Gli atti possono essere firmati digitalmente da più soggetti purché almeno uno sia il depositante».
In sostanza, il che rileva per quanto si leggerà a seguire, alcuna prescrizione peculiare ulteriore è prevista per il processo penale telematico in ordine al tema della validità del certificato che attesta l'autenticità della firma digitale, né viene dalla normativa emergenziale richiamata e dalle disposizioni di DGSIA regolato in alcun modo il tema della scadenza del certificato e delle sue conseguenze, invalidanti o meno che siano.
2.4. Ne consegue, quindi, come decisivo risulti quanto previsto dal d.lgs 7 marzo 2005, n. 82 - Codice dell'amministrazione digitale (CAD) in ordine al processo telematico penale.
Va da subito evidenziato come l'art. 2, comma 6, seconda parte, del CAD (Finalità ed ambito di applicazione) prevede che "Le disposizioni del presente Codice si applicano altresì al processo civile, penale, amministrativo, contabile e tributario, in quanto compatibili e salvo che non sia diversamente disposto dalle disposizioni in materia di processo telematico".
In sostanza, l'applicazione della disciplina generale del CAD risulta sussidiaria, per il solo caso in cui manchi una disciplina propria (e diversa) del processo penale telematico.
D'altro canto, anche l'art. 20, comma 1-quater, CAD, ribadisce l'autonomia e la prevalenza della disciplina del processo telematico su quella del Codice dell'amministrazione digitale, in relazione al deposito degli atti nel processo, affermando: «Restano ferme le disposizioni concernenti il deposito degli atti e dei documenti in via telematica secondo la normativa, anche regolamentare, in materia di processo telematico».
2.5 Pertanto, per la sua natura sussidiaria, la disciplina del CAD non deve trovare applicazione nel caso in cui per il cd. processo penale telematico sussistano regole «tecniche» fissate dal legislatore, in forza della peculiarità dello stesso, che abbiano ad oggetto proprio il tema della esistenza della sottoscrizione digitale, in relazione al caso di scadenza del certificato elettronico attributivo della cd. firma digitale.
E però, sullo specifico punto, non intervengono né la normativa codicistica, né la legislazione speciale emergenziale, che ha introdotto la possibilità della presentazione dell'impugnazione per via telematica, né la disciplina secondaria del Direttore di DGSIA, al quale pure era rimessa la possibilità di una normazione «tecnica» sul punto, come si è evidenziato.
Ne consegue, quindi, che deve trovare applicazione la generale disciplina del CAD, da applicarsi anche al processo penale telematico, che sancisce in particolare all'art. 24, comma 4-bis: «L'apposizione a un documento informatico di una firma digitale o di un altro tipo di firma elettronica qualificata, basata su un certificato elettronico revocato, scaduto o sospeso, equivale a mancata sottoscrizione, salvo che lo stato di sospensione sia stato annullato. La revoca o la sospensione, comunque motivate, hanno effetto dal momento della pubblicazione, salvo che il revocante, o chi richiede la sospensione, non dimostri che essa era già a conoscenza di tutte le parti interessate».
Il caso che interessa è quello della scadenza del certificato elettronico, pur in precedenza validamente emesso, in relazione al quale non è prevista la pubblicazione, come invece richiesto per il caso di sospensione o di revoca del certificato elettronico.
Difatti, l'avvocato P. aveva ottenuto il rilascio del certificato in data 1 aprile 2020, con validità fino al 2 aprile 2023, cosicché il certificato era scaduto all'atto del deposito dell'impugnazione, come accertato dalla cancelleria della Corte di appello di Milano.
2.6 Pertanto questa Corte rileva come debba trovare applicazione l'art. 24, comma 4-bis, CAD, che opera l'equiparazione fra certificato elettronico scaduto e mancata sottoscrizione digitale, venendo così ad essere integrata la causa di inammissibilità dell'impugnazione prevista dall'art. 24, comma 6-sexies, lett. a), d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176.
D'altro canto, che non vi sia una volontà del legislatore di differenziare la disciplina della firma digitale dell'atto di impugnazione rispetto alla menzionata previsione del CAD, lo si trae anche dal disposto dell'art. 591, comma 1, lett. c) - come novellato dall'art. 33, comma 1, lett. h), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 - che prevede l'inammissibilità dell'impugnazione «quando non sono osservate le disposizioni degli articoli 581, 582, 585 e 586».
E bene, l'art. 582, che regola la presentazione dell'impugnazione, al comma 1 - come modificato dall'art. 33, comma 1, lett. e), n. 1), d.lgs. cit. - prevede che «Salvo che la legge disponga altrimenti, l'atto di impugnazione è presentato mediante deposito con le modalità previste dall'articolo 111-bis nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato», vale a dire in via esclusiva con deposito telematico, in ogni stato e grado del procedimento, «nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione degli atti e dei documenti informatici».
Il documento informatico, e tale è l'impugnazione depositata telematicamente, viene definito dall'art. 111, comma 2-bis, cod. proc. pen. (come innovato dall'art.6, comma 1, lett. b), n. 3) d.lgs 10 ottobre 2022, n. 150), che richiede che il documento sia «[ ...] sottoscritto, con firma digitale o altra firma elettronica qualificata, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione degli atti e dei documenti informatici».
Pertanto, anche la nuova disciplina introdotta dal decreto legislativo n. 150 del 2022 non ha previsto alcuna peculiarità quanto al regime di esistenza della firma digitale, fermo restando che ciò, se del caso, potrà accadere con la pubblicazione dei regolamenti ai quali, l'art. 87, comma 4, del medesimo decreto, subordina l'entrata in vigore delle norme codicistiche, in luogo di quelle emergenziali vigenti nel caso in esame, grazie alla previsione dell'art. 87-bis del d.lgs. n 150 del 2022, che replica il precedente art. 24, comma 6-sexies, d.l. cit., anche in ordine alla lett. a), relativa alla sottoscrizione dell'atto di impugnazione.
2.7 Va anche evidenziato come di recente Sez. 6, n. 34099 del 03/07/2023, P., non massimata, in relazione a un caso di assenza della sottoscrizione digitale ha escluso l'applicabilità del principio del favor impugnationis, sostenuto sulla base di elementi di natura sostanziale (quali la firma riprodotta sul cartaceo e la sua certa provenienza dall'autore), affermando che la portata di tale principio di favore non può certo sterilizzare le tassative disposizioni che censurano, con l'inammissibilità, il mancato rispetto della disciplina in ordine alla necessaria presenza della firma digitale.
Tale argomentazione va assolutamente condivisa, anche in relazione al caso in esame, in quanto i requisiti di forma sovraintendono alla tutela della certezza della provenienza dell'atto dal suo autore, certezza che non può trarsi aliunde: anche l'uso della posta elettronica certificata, intestata al difensore, per il deposito dell'atto, a ben vedere non garantisce la paternità dell'atto di impugnazione.
Difatti, come osservato in motivazione da Sez. 1, n. 41098 del 15/10/2021, Pirone, Rv. 282151, con la disciplina emergenziale il legislatore ha individuato alcuni requisiti tecnici essenziali, richiesti ad substantiam, per assicurare, mediante l'utilizzo delle più avanzate funzionalità delle moderne tecnologie della comunicazione e dell'informazione, la provenienza dell'impugnazione, l'originalità e completezza dell'atto e il tempestivo e completo recapito all'ufficio giudiziario destinatario.
Osserva Sez. 1, Pirone, come si tratti di requisiti tecnici, enumerati all'art. 24, comma 6-sexies, DL n. 137 del 2020, che - in analogia a quanto già previsto per il processo civile telematico regolato dall'art. 4, commi 1 e 2, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010 n. 24 e dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44 - sono posti a presidio del rispetto delle garanzie sostanziali che la normativa processuale deve assicurare alla valenza processuale dell'atto informatico di parte. Pertanto, il difetto o l'irregolarità della certificazione informatica della riferibilità dell'atto al suo autore (firma digitale), della provenienza dell'atto da detto soggetto (intestazione della casella PEC), della abilitazione del difensore (presenza nel REG.IND.E. - registro informatico degli indirizzi elettronici), della riferibilità all'ufficio giudiziario della casella di destinazione (provvedimento dirigenziale contenente l'elenco degli indirizzi elettronici degli uffici giudiziari abilitati), della completa e integrità degli atti inviati (firma digitale degli allegati), non pongono soltanto in dubbio l'idoneità dell'atto al raggiungimento dello scopo processuale che la legge gli affida, ma ne determinano l'inesistenza giuridica.
Prosegue Sez. 1, Pirone: «Tali carenze o vizi vulnerano, infatti, la stessa esistenza dell'atto creato e spedito in forme diverse da quelle stabilite dalla normativa emergenziale che introduce una deroga, da interpretarsi quindi in senso restrittivo rispetto alle ordinarie regole processuali in ragione dell'eccezionalità delle condizioni che ne hanno giustificato l'adozione, ai normali schemi formali di proposizione dell'impugnazione, sicché può affermarsi che l'impugnazione che difetti di detti specifici requisiti non viene di fatto ad esistenza. Correlativamente, soltanto l'accertata carenza di tali requisiti essenziali di esistenza dell'atto di impugnazione può giustificare la sanzione dell'inammissibilità».
Pertanto, non vi è spazio per il favor impugnationis, in quanto il bene in gioco, nel caso in esame, è la riferibilità dell'atto all'autore, non surrogabile da ulteriori elementi, destinati a comprovare altre certezze, quali la provenienza dell'atto e l'abilitazione del difensore, ma non in grado di escludere un utilizzo abusivo del certificato, una volta scaduto.
2.8 Ne consegue che è inammissibile ai sensi dell'art. 24, comma 6-sexies, lett. a), d.l. n. 137 del 2020, il ricorso per cassazione sottoscritto con firma digitale corredata da un certificato elettronico scaduto, per quanto previsto dall'art. 24 comma 4-bis, d.lgs 7 marzo 2005, n. 82 - Codice dell'amministrazione digitale (CAD), in quanto l'apposizione a un documento informatico di una firma digitale o di un altro tipo di firma elettronica qualificata, basata su un certificato elettronico scaduto, equivale a mancata sottoscrizione.
3. Ne consegue l'inammissibilità del ricorso e dalla stessa deriva la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p. (come modificato ex L. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
4. Quanto alle spese sostenute dalla parte civile, nel caso in esame, secondo quanto costantemente enunciato in riferimento a tutte le forme di giudizio camerale non partecipato, la liquidazione delle spese processali riferibili alla fase di legittimità in favore della parte civile non è dovuta, perché essa non ha fornito alcun contributo, essendosi limitata a richiedere la conferma della sentenza impugnata, con vittoria di spese, senza contrastare specificamente i motivi di impugnazione proposti (Sez. U, n. 877 ud. 14/07/2022, dep. 12/01/2023, Sacchettino, par. 20.3; Sez. 2, n. 33523 del 16/06/2021, D., Rv. 281960-03; Sez. 5, n. 34816 del 15/06/2021, Palmieri, non mass.; Sez. 1, n. 17544 del 30/03/2021, Barba, non mass.; Sez. 5, n. 26484 del 09/03/2021, Castrignano, non mass.; Sez. 1, n. 34847 del 25/02/2021, Reibaldi, non mass.).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Nulla per le spese di parte civile.