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17 novembre 2023
Penale e processo
Quando il silenzio è truffaldino
Il silenzio può essere un comportamento concludente se il contegno silenzioso è in concreto corredato da altre circostanze che ne trasformino il significato penalistico in un contegno psichico positivo dal valore commissivo, rendendone univoca l’oggettiva direzione lesiva atta a ingannare la controparte.
di Avv. Fabio Valerini
Il caso

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La Seconda sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 46209 del 16 novembre 2023, dopo aver preso le mosse dalla distinzione tra reati-contratto e reati in contratto, ha chiarito in quali circostanze, da valutarsi caso per caso, il silenzio possa assumere per il contesto e le circostanze specifiche, un valore di comportamento concludente che può integrare il raggiro penalmente rilevante nella fattispecie di truffa contrattuale.

Nel caso di specie un medico ospedaliero che svolgeva l’attività professionale in regime di intra-moenia era stato condannato per truffa aggravata poiché non aveva comunicato all’ente pubblico di svolgere attività professionale presso il suo studio privato.
Quel silenzio aveva indotto l’ente pubblico a corrispondere al medico lo stipendio maggiorato dell’indennità di esclusiva sul presupposto che il rapporto si svolgesse regolarmente nel rispetto delle norme contrattuali.

Il diritto

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La questione affrontata è stata quella di sapere se e in che termini il silenzio possa costituire un raggiro ai sensi dell'art. 640 c.p..

Secondo la giurisprudenza il silenzio può avere una valenza ingannatoria quando sia stato maliziosamente tenuto su circostanze rilevanti ai fini della valutazione delle reciproche prestazioni da parte di colui che abbia il dovere di farle conoscere e che, per questo, ha determinato il soggetto passivo a prestare un consenso che altrimenti non avrebbe fornito.
Ma come si individua la fonte dell'obbligo di far conoscere le circostanze rilevanti? Ebbene, la fonte di quell'obbligo è stata individuata dalla giurisprudenza in norme extra-penali e, più in particolare, nelle norme civilistiche che impongono il rispetto dei principi di buona fede e correttezza nella stipula, nell'esecuzione e nell'interpretazione del contratto.
Per la dottrina che si è occupata del tema, invece, il silenzio non può configurare un raggiro ai sensi dell'art. 640 c.p. sia perché la clausola di cui all'art. 40 c.p. opera con riguardo alle fattispecie causalmente orientati e non con quelle a forma vincolata come la truffa sia perché, in ogni caso, non esiste un obbligo giuridico di informare la controparte, in assenza di una posizione di garanzia di tutela del patrimonio altrui.
Peraltro, la clausola di buona fede non potrebbe fondare la posizione di garanzia perché pone un obbligo generico e soprattutto perché si risolve nell'applicazione di una regula iuris creata dal giudice nel caso concreto.
Inoltre, può essere definito garante soltanto il soggetto che è titolare di uno specifico obbligo di azione (obbligo di intervento) cui corrisponde l'esistenza di poteri giuridici idonei ad impedire l'evento secondo la prospettiva dell'art. 40 c.p.. 
Ciò, secondo la dottrina civilistica, non ricorre neppure nell'ipotesi in cui la normativa ponga degli obblighi di informazione specifici in capo ad una delle parti del contratto poiché non c'è nessun obbligo di intervento stante anche il principio di autoresponsabilità del soggetto capace di intendere e volere.
Secondo questa prospettiva, dunque, ogni volta che un soggetto, in una fase negoziale, anche di tipo pre o post contrattuale, violi un obbligo di buona fede o un obbligo informativo previsto dalla normativa civilistica, potrà rispondere di un illecito civilistico, ma non di un reato.

La lente dell'autore

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Stante le premesse richiamate, per la Seconda sezione è necessario distinguere tra illecito penale e inadempimento civile e, quindi, tra l'inadempimento civilistico dalla tutela penale del contratto in una prospettiva integrata del diritto civile con quello penale.
Prima di tutto non ogni illecito civile può essere penalmente rilevante occorrendo che, per il principio dell'extrema ratio del diritto penale, ci sia un quid pluris in grado di colorare di offensività la condotta civilisticamente illecita.
Ebbene, quel quid pluris è dato da un malizioso comportamento che poi si qualifica come truffaldino idoneo a colpire la libertà contrattuale della controparte che si sostanzia negli artifici e raggiri indicati nella fattispecie di cui all'art. 640 c.p..
Del resto, «la sanzione penale non può essere conseguenza della lesione dell'interesse singolo del creditore, dovendo invece costituire la risposta ad una minaccia per i valori sociali condensati nel rapporto obbligatorio, come espressione di una tutela penale della circolazione della ricchezza, attuata mediante l'utilizzo del contratto».
Ne deriva che il silenzio, se di per sé non integra una condotta fraudolente, può essere, però, qualificato come raggiro (non potendo mai qualificarsi come artificio che richiede una mise en scene) valorizzando il contesto e le concrete circostanze del caso concreto che possono farlo diventare un fatto concludente.
Ecco allora che il silenzio potrà essere un semplice silenzio inerzia oppure un silenzio eloquente di carattere comunicativo o comunque espressivo «quale contegno positivo con significato e valore di dichiarazione per l'emersione di circostanze ed elementi di varia natura che arricchiscono la situazione nella quale s'innesta il contegno dell'agente e quindi, anche il suo significato penalistico quale condotta da considerarsi commissiva».

Per queste ragioni la Suprema Corte ha enunciato due principi di diritto in base ai quali:

  • «in tema di truffa, la nozione di raggiro non coincide con quella di artifizio (che comprende sempre una condotta attiva) in quanto essa indica quel comportamento, non necessariamente di natura verbale, tenuto nei confronti di un determinato soggetto ed ispirato ad astuzia o ingegnosità e allo sfruttamento dell'altrui ingenuità o buona fede, che determina nel destinatario un'erronea rappresentazione della realtà, essendo normalmente lo scopo di tale comportamento quello di indurre il destinatario a fare – con proprio danno e con indebito vantaggio della controparte o di un terzo – qualcosa che egli altrimenti non farebbe nello stesso modo»;
  • «il silenzio può essere sussunto nella nozione di raggiro non quando si risolve in un semplice silenzio inerzia, ma quando si configura come silenzio eloquente e cioè quando, in rapporto alle circostanze del caso, cela un determinato comportamento concludente idoneo ad ingannare la persona offesa».

Ecco allora che la condotta silenziosa del medico è, in realtà, “parlante”  perché deve essere valutata (come lo è stato correttamente da parte dei Giudici di merito) nel contesto di riferimento dove l'ente, in assenza di svolgimento di attività privata, eroga un'indennità di esclusiva e dove il medico procedeva alla prenotazione diretta  e riceveva il pagamento della parcella direttamente nelle proprie mani.

La prescrizione nel frattempo maturata, però, ha portato la Suprema Corte ad annullare senza rinvio la sentenza.