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26 febbraio 2024
Penale e processo
Confisca “allargata”: il divieto probatorio di giustificare la sproporzione tra beni posseduti e dichiarati può operare retroattivamente?

Secondo le SS.UU., il divieto probatorio previsto dall'art. 240-bis c.p., introdotto dall'art. 31 L. n. 161/2017, di giustificare la legittima provenienza di beni oggetto di confisca “allargata” o del sequestro ad essa finalizzato, sul presupposto che essi provengano da attività lecita non dichiarata al Fisco, si applica anche ai beni acquistati prima dell'entrata in vigore della suddetta legge, ad eccezione delle acquisizioni risalenti al periodo compreso tra il 29 maggio 2014 e il 19 novembre 2017.

di Avv. Alessandro Schillaci
Il caso


ilcaso

Con la pronuncia in commento le Sezioni Unite sono state investite di una delicata questione di diritto intertemporale avente ad oggetto i limiti probatori introdotti dal legislatore in materia di confisca “allargata”. 
È noto, infatti, che art. 240-bis c. 1 c.p. stabilisce che non è consentito giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale. 
Tale divieto probatorio è stato introdotto dal legislatore con l'art. 31 della Legge n. 161/2017, mentre nel periodo antecedente le Sezioni Unite (sent. 33451/2014, caso Repaci) avevano affermato il principio secondo cui esso operava solamente nell'ambito della confisca di prevenzione e non per la misura di sicurezza della confisca “allargata”.
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, il ricorrente lamentava di aver subìto un sequestro preventivo ai fini della confisca di ingenti somme di denaro, ritenute sproporzionate rispetto al reddito dichiarato. Lo stesso deduceva che tali somme, in quanto riconducibili ad un arco temporale piuttosto ampio, non potevano avere alcun legame con gli illeciti di cui era accusato; inoltre, si trattava di somme ottenute lecitamente, ma non dichiarate al Fisco, sicché riteneva dovessero essere quantomeno dissequestrati i beni risalenti al periodo tra il 2010 fino al 2017. 
Come si vedrà a breve, la problematica non appare di agevole risoluzione, in quanto coinvolge aspetti più complessi quali la portata “storica” di un precedente giurisprudenziale risalente al 2014 e le successive modifiche legislative intervenute nel 2017, che avevano superato in maniera esplicita un principio ormai consolidato nel diritto vivente. 
In questo quadro, poi, si inseriscono ulteriori aspetti rilevanti, quali la prevedibilità delle decisioni, l'affidamento incolpevole e l'effettività del diritto di difesa in un settore, quello delle misure di sicurezza patrimoniali, caratterizzato da «alleggerimenti probatori per l'accusa»ed un «onere di allegazione giustificativo»per l'accusato sempre più pregnante.

La Sesta Sezione Penale ha rimesso la questione alle Sezioni Unite, rilevando l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale avente ad oggetto l'ambito applicativo della portata del divieto probatorio introdotto dall'art. 31 della Legge n. 161/2017, oggi trasposto nell'art. 240-bis c. 1 c.p., in materia di confisca “allargata”. 

In relazione a ciò, preme evidenziare che:

  • Secondo un primo indirizzo, la confisca “allargata” costituisce una misura atipica soggetta alla legge vigente al momento della sua applicazione, in quanto postula una valutazione in termini di attualità della pericolosità sociale, secondo parametri normativi in quel momento in vigore, seppur successivi all'insorgenza della pericolosità o all'acquisizione dei cespiti oggetto di ablazione (in tal senso, da ultimo, Cass. Pen. Sez. Un., 25.02.2021, n. 27421, Crostella).

Tale indirizzo rileva, inoltre, che il divieto probatorio in oggetto non ha valenza esclusivamente processuale, rientrando nella struttura della fattispecie ablatoria, sicché non vi sarebbero preclusioni alla sua applicazione retroattiva anche rispetto alla ricostruzione di compendi patrimoniali più risalenti. 

  • Secondo un indirizzo opposto, il divieto probatorio non può operare per i beni acquisiti anteriormente rispetto all'entrata in vigore della novella legislativa, tenuto conto che, in materia, si era registrata un'importante pronuncia a Sezioni Unite nel 2014, con cui era stato sottolineato la sproporzione tra beni posseduti e attività economiche non poteva essere giustificata mediante il richiamo a proventi derivanti da evasione fiscale limitatamente all'ipotesi della confisca di prevenzione (Cass. Pen. Sez. Un., 29.05.2014, n. 33451).

Pertanto, almeno fino all'entrata in vigore della Legge n. 161/2017, in relazione alla confisca “allargata”, si riteneva consentito giustificare la sproporzione patrimoniale, facendo riferimento a condotte di evasione fiscale, in ragione anche del fatto che dette condotte non erano ricomprese nell'elenco dei reati-spia.
A tale argomento se ne aggiunge un altro, basato sulla natura del limite probatorio introdotto con la novella del 2017, che assume rilievo non tanto sul piano sostanziale dell'istituto quanto su quello più strettamente civilistico relativo al riparto dell'onere della prova: trattandosi di divieto avente natura procedimentale si osserva che esso non può assumere efficacia retroattiva per contrasto con i principi di ragionevolezza e tutela dell'affidamento. 

Il diritto

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Le Sezioni Unite, investite della delicata questione interpretativa, ricordano innanzitutto che, con la sentenza “Repaci” del 2014, era stata riconosciuta una differenza ontologica tra confisca allargata (all'epoca disciplinata dall'art.  12-sexies Legge n. 306/1992) e confisca di prevenzione (art. 2-ter l. n. 575/1965, oggi art. 24 D.Lgs. n. 59/2011):

  • la prima presupponeva una condanna e operava in relazione alla non giustificabilità delle utilità e alla sproporzione rispetto ai redditi dichiarati o alla propria attività economica;
  • la seconda si poteva basare anche su giudizio di pericolosità, a prescindere dall'accertamento in ordine alla commissione di reati, aggiungendo quale ulteriore presupposto rispetto a quelli in precedenza indicati, della riconducibilità dei beni, sulla base di sufficienti indizi, al frutto di attività illecite ed al reimpiego delle stesse. 

Sempre nel dictum del 2014 citato si era evidenziato che:

  • la confisca “allargata” è una misura di sicurezza atipica che, agendo sui beni del condannato, mira implicitamente ad impedire la commissione di nuovi reati;
  • la confisca di prevenzione mira ad impedire che i beni siano utilizzati per conseguire ulteriori vantaggi (non necessariamente reati) e che il funzionamento del sistema economico legale non sia alterato da anomali accumuli di ricchezza. 

Sulla base di ciò, si era stabilito che nella confisca “allargata” era possibile difendersi, dimostrando che le somme di denaro derivavano da attività lecita sottratta al Fisco, ma pur sempre rientrante nella propria “attività economica”, a differenza di quanto avviene nella confisca di prevenzione. 

Muovendo da queste premesse, le Sezioni Unite, nel caso che ci occupa, hanno ricordato che, con l'intervento del legislatore nel 2017, era stato introdotto un “appesantimento” del contenuto dell'onere di allegazione e del diritto di difendersi provando, anche nell'ambito della misura di sicurezza della confisca allargata.

La novella legislativa aveva sovvertito un principio che si era consolidato nel diritto vivente, generando una inevitabile problematica inerente alla sua possibile applicazione retroattiva. 

Del resto, come è noto, le misure di sicurezza sono soggette al principio del tempus regit actum, sulla base di quanto stabilito dagli artt. 200 e 236 c.p. Ne discende che, sebbene il bene ritenuto di provenienza illecita sia stato acquisito in un periodo storico in cui era vigente una disciplina più favorevole, qualora al momento dell'applicazione della misura ablatoria sia intervenuta una disciplina meno favorevole, sarà quest'ultima a prevalere. 

Le Sezioni Unite, come si è sopra anticipato, ritengono che la questione non possa essere valutata sul piano meramente intertemporale. In questo senso, appare interessante il passaggio in cui la Suprema Corte ricorda che nei lavori preparatori che hanno portato all'approvazione della Legge n. 161/2017 si dava atto dell'indirizzo giurisprudenziale consolidato in materia di “confisca allargata” che aveva recepito la tesi favorevole alla possibilità che, ai fini del superamento della sproporzione, si potesse tener conto dei redditi derivanti da attività lecita, sottratti al Fisco, perché comunque rientranti nell'attività economica.

Così facendo, evidenziano i Giudici di legittimità:  

«il legislatore è intervenuto modificando le regole probatorie di un accertamento processuale che si sviluppa nel tempo, che si proietta “indietro”, che ha carattere complesso e scomposto - perché riferibile ai singoli beni - e che può involgere beni acquisiti già prima che le Sezioni Unite nel 2014 chiarissero la base legale della fattispecie, ovvero beni acquisiti nel segmento di tempo successivo, intercorrente tra la pronuncia delle Sezioni Unite e l'introduzione nel 2017 della “nuova” regola probatoria, ovvero, ancora, nel segmento temporale successivo. Una modifica normativa che pesa sulla posizione processuale del soggetto destinatariodell'ablazione, atteso che, dal 2014 al 2017, non solo non era vietato, ma era stato espressamente consentito giustificare la provenienza dei beni facendo riferimento ai redditi derivanti da attività lecite non dichiarate».

A questo punto, per la risoluzione del caso, le Sezioni Unite pongono in rilievo la necessità di individuare «un principio anfibio, capace di saldare legalità sostanziale e processuale, di sterilizzare possibili effetti limitativi delle garanzie della persona, di individuare, come osservato dalla dottrina, «uno statuto dinamico di garanzia, in grado di adattarsi al mutevole fenomeno del processo».

Pertanto, considerato che la previsione introdotta dalla Legge n. 161 del 2017 ha valenza prettamente processuale, non si può far riferimento all'art. 236 c.p. e al principio della incondizionata retroattività della legge sopravvenuta, quanto, piuttosto, all'art. 11 disp. prel. c.c., trattandosi di un parametro valido ogni qual volta non debba farsi applicazione dei principi ex artt. 25 Cost. e 2 c.p. ovvero degli artt. 200 e 236 c.p..
In relazione a ciò, le Sezioni Unite chiariscono che, in questa materia, viene in rilievo l'esigenza di tutela dell'affidamento maturato dalla parte in relazione alla fissità del quadro normativo (peraltro stabilizzato dal diritto vivente) e che può essere strettamente incidente sull'effettività del diritto di difesa.

Sulla scorta di tali argomentazioni, si sottolinea che:

«la confisca allargata, pur non avendo natura strettamente “penale”, è caratterizzata per il riferirsi ad una concatenazione di atti e fatti collocati in tempi diversi, rispetto ai quali occorre avere riguardo all'affidamento della parte di potersi difendersi “provando” al fine di superare la presunzione di illecita accumulazione».

Di conseguenza, tenuto conto della questione intertemporale sollevata dalla Sezione rimettente, il Supremo Consesso, nella sua massima composizione, ha rilevato che:

  • per i beni acquisiti nel periodo intercorrente tra il 29.05.2014 (data della sentenza delle Sezioni Unite “Repaci”) e il 19.11.2017 (data di entrata in vigore della legge n. 161/2017), la posizione processuale del condannato si basava su un assetto normativo consolidato, con la possibilità di provare la legittima provenienza dei singoli beni acquisiti, facendo riferimento ai redditi leciti non dichiarati, non potendo quindi trovare applicazione retroattiva il divieto probatorio introdotto successivamente.
  • a diverse conclusioni deve pervenirsi per i beni acquisiti dopo l'entrata in vigore del divieto probatorio, ma anche per i beni acquistati “prima della pronuncia della sentenza Repaci”, non essendo configurabile in relazione a quel periodo un affidamento da tutelare. 

A sostegno di ciò, le Sezioni Unite, nuovamente richiamando i lavori preparatori alla legge n. 17 ottobre 2017 n. 161, sottolineano che il legislatore aveva inteso introdurre il limite probatorio in esame «proprio per superare l'assetto normativo stabilizzato solo dal 2014 con la sentenza delle Sezioni Unite Repaci», sicché in relazione al periodo antecedente si può tener conto del divieto sopra indicato. 

Pertanto, i Giudici di legittimità hanno affermato il seguente principio di diritto

«Il divieto previsto dall'art. 240-bis cod. pen., introdotto dall'art. 31 legge 17 ottobre 2017, n. 161, di giustificare fa legittima provenienza dei beni oggetto della confisca c.d. allargata o del sequestro ad essa finalizzato, sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale, si applica anche ai beni acquistati prima della sua entrata in vigore ad eccezione di quelli acquisiti nel periodo tra il 29 maggio 2014, data della pronuncia delle Sezioni Unite n.33451/2014 ric. Repaci, e il 19 novembre 2017, data di entrata in vigore della legge n. 161 del 2017».

La lente dell'autore

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In definitiva, le Sezioni Unite hanno risolto il contrasto dimostrando di non aderire interamente a nessuno degli orientamenti formatisi in materia. 

Si è, infatti, evidenziato che l'orientamento più restrittivo si fonda su una incondizionata applicazione retroattiva del divieto probatorio sopravvenuto, basandosi sul richiamo agli artt. 200-236 c.p., senza però «cogliere le implicazioni della norma sopravvenuta per i diritti dell'individuo e per l'affidamento incolpevole dei consociati in relazione alla complessità dell'accertamento processuale sottostante la fattispecie prevista dall'art. 240-bis c.p.»

Quanto all'orientamento più garantista, il Supremo Consesso ha comunque evidenziato che una sua applicazione estensiva finirebbe per escludere l'operatività del principio del tempus regit actum anche in relazione ad un lasso di tempo, quello antecedente la pronuncia del 2014 del caso “Repaci” – in cui la base legale della misura di sicurezza «non consentiva di attribuire rilievo, in termini di ragionevole certezza, alla possibilità di superare la presunzione di illecita accumulazione facendo riferimento ai redditi leciti non dichiarati al Fisco»

Sulla base di ciò, i Giudici di legittimità hanno accolto il ricorso proposto dall'indagato, rilevando che il Tribunale della Libertà, in sede di rinvio, dovrà valutare se – in ragione del principio di diritto affermato con riferimento ai beni acquistati con entrate in denaro ricomprese nel lasso temporale tra la pronuncia delle Sezioni Unite del 2014 e la data di entrata in vigore della Legge n. 161/2017 sussistano i presupposti per procedere al sequestro preventivo finalizzato alla confisca ai sensi dell'art. 240-bis c.p.