
Il consenso del cliente ad apporre falsamente la sua firma sul mandato non salva l'avvocato dalla sanzione della sospensione.
La Procura della Repubblica di Pescara dava notizia al COA del fatto che era stata esercitata l'azione penale nei confronti di un iscritto per i reati di cui agli
Ricevuta notizia della pendenza del procedimento penale a carico dell'avvocato, il Consiglio di Disciplina di L'Aquila apriva un apposito procedimento disciplinare, nel corso del quale l'avvocato depositava sentenza di assoluzione ove confessava di aver sì apposto la falsa sottoscrizione, ma di essere stata vittima dell'ex cliente, essendo stata quest'ultima a chiedere esplicitamente quanto posto in essere dal professionista senza la percezione, tra l'altro, di alcun compenso.
All'esito del dibattimento, il CDD irrogava all'avvocato la sanzione della sospensione per 2 mesi.
La suddetta decisione è oggetto di impugnazione da parte dell'avvocato dinanzi al Consiglio Nazionale Forense per due ragioni: l'intervenuta prescrizione dell'azione disciplinare e l'insussistenza della violazione deontologica, in quanto non sorretta da dolo.
Con la sentenza n. 59 del 24 marzo 2021, il CNF rigetta il ricorso dell'avvocato, ribadendo in punto di intervenuta prescrizione dell'azione che «Qualora il procedimento disciplinare a carico dell'avvocato riguardi un fatto costituente reato per il quale sia stata esercitata l'azione penale, il termine di prescrizione dell'azione disciplinare inizia a decorrere solo dal passaggio in giudicato della sentenza penale, prescindendosi dalla sospensione del procedimento disciplinare e restando irrilevante il periodo decorso dalla commissione del fatto alla instaurazione del procedimento penale» (CNF, sentenza n. 42/2019).
In relazione all'asserita insussistenza della violazione disciplinare, invece, il CNF rammenta che «È totalmente in contrasto con la deontologia professionale il comportamento dell'avvocato che, anche per fini estranei alla professione in senso stretto, utilizzi documenti che sappia essere falsi o, peggio, che abbia lui stesso falsificato» (CNF, sentenza n. 22/2019).
Per queste ragioni, il Consiglio Nazionale Forense rigetta il ricorso.