
A fronte di plurime e onerose iniziative giudiziali, il CNF ribadisce il principio secondo il quale l'avvocato non può aggravare la situazione debitoria della controparte senza una ragione evidente che ne costituisca la base.
Con esposto depositato presso il COA di Salerno, l'avvocato lamentava l'illiceità deontologica del contegno tenuto dagli avvocati attuali ricorrenti.
Nello specifico, questi ultimi venivano accusati di avere proposto nei confronti della controparte plurime azioni esecutive e di aver ricevuto dalle stesse un doppio pagamento.
Non risultando alcuna prova dell'avvenuta restituzione delle somme all'avvocato, il CDD riteneva provati i fatti oggetto del capo di imputazione, infliggendo ad entrambi la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione forense per 2 mesi.
Contro tale decisione, entrambi si rivolgono al Consiglio Nazionale Forense, sostenendo come emergesse ictu oculi l'errata ricostruzione dei fatti operata dal CDD, nonché l'eccessività della sanzione inflitta, tenendo conto della loro buona fede in relazione alla doppia richiesta di pagamento per la stessa causale, oltre al fatto che si trattava di una somma esigua.
Con la sentenza n. 127 del 25 giugno 2021, il CNF dichiara il ricorso parzialmente fondato, rilevando innanzitutto come le argomentazioni addotte dagli avvocati non fossero convincenti, oltre a non essere corredate da alcuna risultanza istruttoria.
In tema di duplicazione di atti di precetto, poi, il CNF ha ribadito un principio consolidato in base al quale l'avvocato non deve aggravare, attraverso plurime e onerose iniziative giudiziali, la situazione debitoria della controparte in assenza di ragioni evidenti che ne costituiscano il fondamento.
Tali iniziative giudiziali rappresentano, infatti, una palese violazione delle norme deontologiche, sussistendo l'illecito sotto il profilo soggettivo, poiché i ricorrenti hanno posto in essere una condotta anche se avrebbero consapevolmente potuto evitarla. A tal proposito, il CNF ricorda che «L'evitabilità della condotta, pertanto, delinea la soglia minima della sua attribuibilità al soggetto, intesa come appartenenza della condotta al soggetto stesso, a nulla rilevando la ritenuta sussistenza da parte del professionista di una causa di giustificazione o non punibilità».
Nonostante ciò, il Consiglio ritiene di dover commisurare la pena irrogata all'offesa della dignità e del decoro della classe forense, dunque ritiene congrua la sanzione della censura.
Alla luce di tali argomentazioni, il CNF accoglie parzialmente il ricorso, dichiarando gli avvocati responsabili degli illeciti deontologici e riparametrando la sanzione disciplinare inflitta ai medesimi.