Il CNF risponde al quesito sottopostogli, circoscrivendo l'incompatibilità dello svolgimento della professione forense all'imprenditore agricolo classificabile come titolare «di una consistente impresa organizzata, o ancora con attività estesa all'industria e al commercio nel settore agroalimentare».
Con parere n. 31 dell'8 luglio 2021, il Consiglio Nazionale Forense risponde al quesito sollevato dal COA di Palmi n merito alla compatibilità tra l'esercizio della professione forense e l'imprenditore agricolo in quanto titolare di partita IVA.
Trattandosi di un quesito su cui si era già espresso, il CNF rinvia al parere n. 92 del 25 settembre 2013.
In quest'ultimo, l'Autorità conferma i criteri per valutare in concreto la compatibilità tra permanenza nell'albo degli avvocati e il contemporaneo svolgimento dell'attività imprenditoriale agricola.
Sulla questione, il CNF spiega che i dubbi sulla compatibilità delle due professioni sono circoscritti al piccolo imprenditore agricolo, posto che, qualora si tratti di «un titolare di una consistente impresa organizzata, o ancora con attività estesa all'industria e al commercio nel settore agroalimentare, questi deve essere considerato un “esercente il commercio” nel senso più pieno di cui all'art.18 della Legge Professionale Forense e l'iscrizione nell'Albo incompatibile con l'attività svolta».
Difetta, dunque, il piccolo imprenditore agricolo di quell'elemento da cui è possibile desumere che l'esercizio del commercio è il carattere predominante dell'attività intrapresa.
Ne consegue che la figura del piccolo imprenditore non osta al contemporaneo esercizio della professione forense purchè la sua attività di commercio non superi in modo significativo quella di coltivazione.
Conclude il CNF precisando che spetta al medesimo valutare se nel caso concreto sussiste o meno la compatibilità tra le due professioni.
Consiglio Nazionale Forense, parere n. 31 dell’8 luglio 2021
A tale quesito si è risposto con il parere n. 92/2013 al quale, pertanto, si rinvia.
Consiglio Nazionale Forense, parere n. 92 del 25 settembre 2013
Ritiene questa Commissione che anche dopo l’entrata in vigore della Legge n. 247/2012 debba essere confermato il proprio costante orientamento, espresso nella vigenza del precedente ordinamento professionale forense e illustrato da ultimo nei pareri 14 gennaio 2011, n.1 e 25 novembre 2009, n. 44 e 9 maggio 2007, n. 31, nei quali si sono indicati i criterî utili a valutare in concreto la compatibilità tra lo svolgimento di attività imprenditoriale agricola e la contemporanea permanenza nell’albo degli avvocati.
Si deve premettere che l’incertezza interpretativa ha ragione d’essere solo con riferimento al piccolo imprenditore agricolo: è evidente che, qualora si tratti di un titolare di una consistente impresa organizzata, o ancora con attività estesa all’industria e al commercio nel settore agroalimentare, questi deve essere considerato un “esercente il commercio” nel senso più pieno di cui all’art.18 della Legge Professionale Forense e l’iscrizione nell’Albo incompatibile con l’attività svolta.
Di contro, non rientra tra quelle incompatibili la figura del piccolo imprenditore agricolo: tale è per il codice civile (art. 2083) e la giurisprudenza colui che, per mezzo del lavoro proprio o di quello dei propri congiunti, coltiva il fondo di sua proprietà, eventualmente cedendo i frutti a terzi.
Manca, dunque, al piccolo imprenditore agricolo quel quid pluris, rappresentato, ad esempio, da una organizzazione aziendale molto articolata, o dallo smercio di prodotti chiaramente eccedenti quelli prodotti dal fondo, o, anche, da una rilevante trasformazione del prodotto naturale, da cui si possa arguire che il carattere predominante dell’attività intrapresa è l’esercizio del commercio, anziché il mero sfruttamento (più o meno redditizio) delle risorse terriere.
Si consideri che i caratteri sopra indicati sono, del resto, quelli che garantiscono al piccolo imprenditore la non assoggettabilità alle norme in materia di fallimento, secondo la previsione dell’art. 1 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, come modificato con d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169 (il profilo della soggezione, o meno, al fallimento rimanendo peraltro un corollario e non un criterio distintivo univoco).
La condizione di piccolo imprenditore agricolo non è quindi d’ostacolo al contemporaneo esercizio della professione forense, purché l’interessato si mantenga nei limiti imposti dalla legge e dalla giurisprudenza: vale a dire, finché l’attività di commercio non superi in modo significativo quella di coltivazione, di tal ché sia messa a repentaglio l’indipendenza dell’avvocato (che è bene effettivamente oggetto di tutela da parte dell’ordinamento forense), per il suo entrare nelle dinamiche della concorrenza tra imprenditori commerciali.
Resta, naturalmente, nei compiti e nei poteri del Consiglio dell’Ordine competente, svolta l’istruttoria del caso, giungere ad una determinazione sulla compatibilità dell’iscrizione nel singolo caso.