
Il CNF afferma che l'uso della messaggistica non può ritenersi una violazione deontologica, poiché rappresenta ormai un vero e proprio metodo di comunicazione che ha valore legale e che fornisce una valida prova nel processo.
A seguito di un esposto presentato al COA di Pescara, veniva aperto apposito procedimento disciplinare a carico dell'avvocato per via degli sms dallo stesso inviati e allegati dall'allora assistita con i quali insisteva circa l'urgenza di avere un incontro con quest'ultima in vista dell'imminente scadenza dei termini.
Al termine del procedimento disciplinare avviato dal CDD de L'Aquila, veniva inflitta all'avvocato la sanzione disciplinare della censura perché ritenuto responsabile, tra le altre cose, della violazione dell'art. 9, in relazione all'art. 35, comma 11, del Codice disciplinare, avendo violato i doveri di esercitare la professione forense con dignità, probità e decoro attraverso l'uso insistente del telefono cellulare.
Contro tale decisione, l'avvocato propone ricorso dinanzi al Consiglio Nazionale Forense, asserendo che l'uso degli sms costituisce oramai una consuetudine ai fini di una comunicazione più rapida ed immediata, non integrando di per sé alcuna violazione di norme deontologiche.
Con la sentenza n. 28 del 20 febbraio 2021, il Consiglio Nazionale Forense accoglie il ricorso dell'avvocato, evidenziando che l'uso della messaggistica non può ritenersi una violazione dell'art. 9 NCDF in quanto rappresenta un vero e proprio metodo di comunicazione che ha anche valore legale e che fornisce, in aggiunta, una valida prova nel processo.
Gli attuali orientamenti giurisprudenziali, infatti, confermano la validità della prova fornita tramite messaggi nei rapporti contrattuali, essendo essi equiparabili ad un documento informatico che consente di conoscere la volontà delle parti.
Del resto, anche la Suprema Corte ha avuto modo di affermare che i contenuti dei messaggi costituiscono la memorizzazione di fatti storici, essendo essi considerati alla stregua di prove documentali.
Venendo al caso di specie, il CNF rileva che dalla lettura e dalla mole dei messaggi inviati dall'avvocato può desumersi che si sia trattato di un sistema di comunicazione normale che l'incolpato ha voluto utilizzare per relazionarsi con l'assistita, avendo essi contenuto professionale ed essendo cessati al momento della nomina di altro difensore.
Non emergendo, dunque, alcun illecito deontologico a carico dell'avvocato, il CNF accoglie il ricorso da lui proposto e annulla il provvedimento impugnato.