Home
Network ALL-IN
Quotidiano
Specializzazioni
Rubriche
Strumenti
Fonti
20 maggio 2022 Deontologia forense
Sospensione per l’avvocato che si fa sostituire in udienza dal praticante non abilitato

Entrambi sono stati ritenuti colpevoli dal CDD del reato di esercizio abusivo della professione forense. Per difendersi, il primo sosteneva di non essere al corrente della mancata abilitazione del secondo e il praticante di aver svolto un'attività tesa solo ad ottenere il rinvio dell'udienza.

di La Redazione

Dopo la segnalazione del Presidente del Tribunale di Treviso al COA di Venezia, il CDD Veneto apriva il procedimento disciplinare a carico dei due attuali ricorrenti, per avere il primo dei due, avvocato, chiesto al secondo, abogado iscritto al registro dei Praticanti non abilitati dell'Ordine degli avvocati di Venezia, di sostituirlo dinanzi al Tribunale in un procedimento di divorzio giudiziale, mentre il secondo per essere comparso nel menzionato giudizio nelle vesti di avvocato senza essere iscritto all'Albo e rendendo dichiarazioni non conformi al vero a proposito della sua iscrizione al medesimo.
All'esito del procedimento, il CDD riteneva accertata la responsabilità di entrambi per la commissione del reato di esercizio abusivo della professione forense.
Contro la decisione, entrambi propongono ricorso dinanzi al CNF: il primo, tra le altre cose, lamenta che non era a conoscenza del fatto che l'abogado non fosse in possesso dell'abilitazione forense e il secondo riteneva inoffensivo o particolarmente lieve la sua condotta poiché la prima udienza presidenziale a cui aveva partecipato era di mero rinvio, mentre alla seconda aveva partecipato in sostituzione dell'avvocato poiché non vi erano altri legali che potevano sostituirlo. Entrambi chiedevano la sostituzione della sanzione della sospensione dall'esercizio della professione per 6 mesi inflitta dal CDD con quella della censura.

Con la sentenza n. 5 del 23 febbraio 2022, il Consiglio Nazionale Forense rigetta entrambi i ricorsi e conferma la sanzione inflitta dal CDD.
Come più volte ribadito, infatti, affinché sussista l'illecito disciplinare basta la volontarietà del comportamento dell'incolpato e dunque la “suitas” della condotta intesa come volontà consapevole dell'atto che si compie, dovendo la coscienza e volontà essere interpretate in relazione alla possibilità didominare il proprio comportamento.
Tale principio è stato affermato anche dalla Corte di Cassazione, la quale, sempre in materia di illeciti disciplinari, ha evidenziato che la coscienza e volontà delle azioni o omissioni consistono nel dominio anche solo potenziale dell'azione o dell'omissione stessa, da attribuire alla volontà del soggetto. Da ciò consegue che l'agente resta scriminato solo qualora l'errore sia stato inevitabile oppure quando siano intervenute cause esterne tali da escludere l'attribuzione psichica della condotta al soggetto.
In ossequio a tali principi, il CNF afferma che non si può parlare di imperizia incolpevole con riferimento all'avvocato, poiché egli è in grado di conoscere e di interpretare l'ordinamento giudiziario e forense correttamente.
Ecco perché nel caso concreto l'errore dell'avvocato poteva essere palesemente evitabile andando a verificare l'iscrizione dell'altro nell'Albo professionale.
Per quanto riguarda, invece, la doglianza dell'abogado in merito all'attività svolta, la quale era tesa ad ottenere un mero rinvio, il CNF ha affermato che è irrilevante, così come è irrilevante che non vi fosse altro legale che potesse sostituire il dominus.
Segue il rigetto di entrambi i ricorsi e la conferma della sanzione irrogata.

Il tuo sistema integrato di aggiornamento professionale
Non sei ancora abbonato?
Non sei ancora abbonato?