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21 giugno 2022 Avvocati
Conflitto di interessi: non basta che l’avvocato condivida lo studio con il legale della controparte

Ai fini dell'obbligo di astensione è necessaria una collaborazione continuativa e non occasionale tra i due professionisti, la quale va provata “oltre ogni ragionevole dubbio”, non essendo sufficiente la mera condivisione degli spazi di uno stesso locale.

di La Redazione
Il Consiglio Distrettuale di Brescia comminava ad un avvocato la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione per due mesi, per non essersi egli astenuto dal rappresentare un cliente nel giudizio in cui l'attore era difeso da un avvocato che esercitava nei medesimi locali. Nello specifico, il CDD riteneva accertata la responsabilità del professionista dopo aver rilevato che: 
  • i due erano colleghi di studio ed esercitavano attività professionale negli stessi locali dal 2003, nonché  avevano i medesimi recapiti telefonici e lo stesso indirizzo mail; 
  • la qualità di ospite dello studio in capo al secondo legale non importava ai fini della violazione contestata; 
  • se da una parte, la prova testimoniale aveva evidenziato che i legali avevano collaborato in rare occasioni, d'altro canto, le altre circostanze facevano logicamente presumere una collaborazione di fatto tra i due e non una semplice condivisione di spazi.
 
La decisione viene impugnata dall'avvocato innanzi al CNF, deducendo che nel caso di specie non sarebbe stata provata quella “collaborazione professionale non occasionale” richiesta dalla norma quale elemento aggiuntivo qualificante della fattispecie incriminatrice nel caso in cui i due professionisti che assistono clienti aventi interessi confliggenti esercitino negli stessi locali. 
 
Il CNF, accogliendo il ricorso con sentenza n. 22 del 22 maggio, chiarisce innanzitutto che il testo dell'art. 37 comma 2 del previgente CDF è stato novellato nell'attuale formulazione dell'art. 24 c. 5 NCDF, con l'aggiunta dell'inciso «e collaborino professionalmente in maniera non occasionale». Lo scopo della modifica è di temperare situazioni di incompatibilità sempre più frequenti per il fenomeno della ricorrente aggregazione, di carattere meramente logistico, tra più avvocati, richiedendosi ai fini della valutazione di situazioni di incompatibilità che via sia tra i legali non soltanto la “coabitazione“ ma anche un rapporto di collaborazione professionale non occasionale.
 
Presupposto ciò, si osserva che la decisione impugnata si basa su indizi che, sebbene concordanti, non provano, al di là di ogni ragionevole dubbio, l'ulteriore elemento aggiuntivo richiesto dalla norma, il tutto in evidente violazione dell'assunto per cui il procedimento disciplinare è caratterizzato dal c.d. principio accusatorio. La prova circa collaborazione continuativa tra i due, infatti, non può essere fatta discendere automaticamente dalla sola collaborazione professionale in tre o quattro occasioni in un lasso temporale prolungato, né può essere dedotta da altri elementi presuntivi come l'uso comune di linee telefoniche e/o di servizi di posta elettronica, trattandosi di mezzi logistici neutri, compatibili con una condivisione degli spazi di uno stesso studio riferibili anche a semplici rapporti di ospitalità e/o amicizia.
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