
Il legale era stato condannato per atti persecutori e lesioni personali aggravate nei confronti dell'ex moglie e del suo avvocato. Tali condotte, pur non riguardando strictu sensu l'esercizio della professione, ledono i doveri di proibità, dignità e decoro, riflettendosi negativamente sulla sua reputazione professionale e sull'immagine dell'avvocatura.
La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Siracusa segnalava al COA siciliano la pendenza di un procedimento penale a carico di un avvocato per aver posto in essere atti persecutori, lesioni personali aggravate e minacce nei confronti dell'ex moglie e del suo legale. Tale procedimento si concludeva con il passaggio in giudicato della sentenza di condanna a due anni di reclusione.
Successivamente, il CDD di Catania citava in giudizio disciplinare l'avvocato per violazione dell'art. 9, c. 2, Codice deontologico forense poiché, ponendo in essere le condotte di cui ai capi di imputazione in sede penale, non osservava i doveri di proibita, dignità e decoro, nella salvaguardia della propria reputazione e dell'immagine della professione forense.
L'avvocato propone ricorso dinanzi al CNF lamentando, tra i motivi di doglianza, che il CDD non aveva considerato che la condotte contestate sarebbero state frutto di un dolo di impeto e che sarebbero state poste in essere fuori dell'attività professionale, che la condanna penale non prevede pene accessorie. Pertanto, il giudice disciplinare sarebbe autonomo nella valutazione della rilevanza deontologica della condotta.
Per il CNF il motivo è infondato. Infatti, nello stabilire l'ambito di applicazione delle norme deontologiche, l'art. 2 del CDF lo estende ai comportamenti della vita privata quando ne risulti compromessa la reputazione personale o l'immagine della professione forense. A tal proposito, la giurisprudenza ha affermato che «deve ritenersi disciplinarmente responsabile l'avvocato per le condotte che, pur non avendo riguardo strictu sensu l'esercizio della professione, ledano comunque gli elementari doveri di proibità, dignità e decoro (…) e, riflettendosi negativamente sull'attività professionale, compromettono l'immagine dell'avvocatura quale entità astratta con contestuale perdita di credibilità della categoria».
Ciò detto, è certo che le condotte poste in essere dal ricorrente, reiterate nel tempo e poste in essere nei confronti dell'ex moglie e del suo legale, hanno leso gravemente sia la sua reputazione che l'immagine della professione forense.
Con sentenza n. 45 del 9 maggio 2022, il CNF accoglie parzialmente in ricorso rideterminando la sanzione irrogata dal CDD di Catania nella sospensione dall'esercizio della professione forense per anni cinque.