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6 ottobre 2022 Avvocati
L'appropriazione indebita da parte dell’avvocato di somme spettanti al cliente costituisce illecito deontologico permanente

Il termine di prescrizione dell'azione disciplinare decorre dalla data di eventuale cessazione della condotta illecita.

di La Redazione
Ad un avvocato veniva contestato di aver trattenuto come parcella la somma di 250 mila euro, ricevuta tempo addietro da una società come “deposito cauzionale a titolo fiduciario”, e di non averla restituita all'Amministratore nominato dalla Procura della Repubblica. Il professionista si difendeva ammettendo il ricevimento di detta somma, ma eccependo l'avvenuta compensazione, autorizzata tra l'altro dall'amministratore della società, dei 250 mila euro con propri crediti professionali.
Ad esito del dibattimento, il CDD riconosceva la sussistenza dell'illecito deontologico contestato ma dichiarava la prescrizione dell'azione disciplinare.
 
Contro tale decisione, il COA propone ricorso davanti al Consiglio Nazionale Forense denunciando l'errata individuazione nel caso di specie del dies a quo dal quale far decorrere il suddetto termine di prescrizione. Nello specifico, il ricorrente sostiene che il giudicante abbia – erroneamente - ritenuto cessata la permanenza dell'illecito alla data di manifestazione della volontà dell'incolpato di negare la restituzione della somma facendo da ivi decorrere il termine prescrizionale, mentre la permanenza dell'illecito, cui deve essere riconosciuta natura permanente, è avvenuta solo con la restituzione della somma nel giugno 2016 a seguito della intervenuta transazione tra gli esponenti e l'incolpato.
 
In risposta alla doglianza, con sentenza n. 104 del 25 giugno 2022, il CNF accoglie il ricorso proposto e commina all'incolpato la sanzione di sei mesi di sospensione dalla professione.
 
Innanzitutto, va premesso che l'avvocato può trattenere «le sommeda chiunque ricevute imputandole a titolo di compenso» solo in via eccezionale e in casi tassativamente previsti, ovvero:
  • quando vi sia il consenso del cliente e della parte assistita,
  • quando si tratti di somme liquidate giudizialmente a titolo di compenso a carico della controparte e l'avvocato non le abbia già ricevute dal cliente o dalla parte assistita, 
  • quando abbia già formulato una richiesta di pagamento del proprio compenso espressamente accettata dal cliente
non essendo previste deroghe nei casi di compensazione legale, che non opera in presenza di un divieto stabilito dalla legge. La deontologia forense si basa su precetti speciali propri, che definiscono la correttezza e la lealtà dell'operato dell'avvocato a prescindere dalla sua eventuale liceità civile o penale.
 
In secondo luogo, l'illecito contestato nel caso in esame consiste nella mancata immediata restituzione delle somme ricevute dall'avvocato in deposito fiduciario e nel trattenimento delle stesse in assenza dei requisiti dettati dalla norma deontologica per operare la compensazione. Tale illecito deontologico ha quindi natura permanente, producendo i suoi effetti pregiudizievoli fino al momento in cui non viene cessata la condotta indebitamente appropriativa. Sola da questo momento inizia a decorrere il termine di prescrizione della relativa azione disciplinare. Nel caso di specie, la prescrizione è iniziata a decorrere dal giorno della transazione con cui l'incolpato ha potuto lecitamente vantare un titolo per l'incasso delle somme, sino a tele data illecitamente trattenute in compensazione
 
Da ultimo, è regola generale quella secondo cui «l'avvocato è tenuto a mettere immediatamente a disposizione della parte assistita le somme riscosse per conto di questa e di rendergliene conto (art. 31 cdf, già 44 codice previgente), a pena di illecito deontologico, che prescinde dalla sussistenza o meno di eventuali rilievi della condotta stessa dal punto di vista penalistico (appropriazione indebita) o civilistico (compensazione)». L'ordinamento forense, infatti, è poco influenzato dagli altri, avendo meccanismi autonomi per valutare il disvalore attribuito alla condotta nonché la sua gravità. L'illiceità disciplinare dell'azione deve, pertanto, essere valutata solo in relazione alla sua idoneità a ledere la dignità e il decoro professionale, a nulla rilevando l'eventualità che tali comportamenti non siano configurabili anche come illeciti civili o penali.
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