La rinuncia, infatti, è l'unico mezzo idoneo ad eliminare ogni situazione di incompatibilità tra mandato professionale e contemporanea pendenza della lite promossa contro la propria parte assistita o il proprio cliente.
L'art. 34 CDF stabilisce il divieto per l'avvocato di agire nei confronti del cliente o della parte assistita ai fini del pagamento delle sue prestazioni professionali se prima non abbia rinunciato a tutti gli incarichi ricevuti. In relazione tale divieto, il COA di Ancora chiede al CNF di esprimersi in merito alla violazione indiretta di tale disposizione laddove l'avvocato presenti l'istanza di parere di congruità della parcella quando sia ancora difensore d'ufficio del debitore e, precisamente, nel momento che si colloca tra il decreto che dispone il giudizio e la prima udienza dibattimentale, precedendo essa l'azione giudiziaria per il recupero del credito. Inoltre, il COA chiede altresì se in tale ipotesi possa configurarsi anche la violazione dell'art. 24, considerando che così facendo il professionista si pone consapevolmente in una situazione di conflitto di interesse con la parte assistita officiosamente.
Con il parere n. 34 del 17 ottobre 2022, il CNF richiama quanto già affermato con la sentenza n. 38/2018, ovvero che «L'illecito disciplinare di cui all'art. 46 CDF (corrispondente all'attuale 34 CDF, ndr) si configura ogni qualvolta l'avvocato intenti un'azione giudiziaria contro il proprio cliente senza aver preventivamente rinunciato al mandato alle liti, e quindi senza aver evitato, con l'unico mezzo possibile, qualsiasi situazione d'incompatibilita` esistente tra mandato professionale e contemporanea pendenza della lite promossa contro il proprio assistito», derivandone che l'ambito di applicazione della norma è quello strettamente giudiziario, per cui non può estendersi anche all'ipotesi contemplata dal COA di Ancona.
Come afferma il CNF, in via generale quando l'avvocato voglia intentare un'azione giudiziaria nei confronti del cliente dopo l'istanza di parere di congruità, egli deve rinunciare al mandato, in quanto la rinuncia è l'unico strumento in grado di eliminare ogni situazione di incompatibilità che sussiste tra mandato professionale e contemporanea pendenza della lite promossa contro la propria parte assistita o il proprio cliente, ferma restando l'osservanza dell'
Consiglio Nazionale Forense, parere n. 34 del 17 ottobre 2022
Il COA di Ancona, nel premettere che l’art. 34 del Codice deontologico Forense stabilisce il divieto, per l’avvocato, di agire nei confronti del proprio cliente, o comunque, della propria parte assistita, per il pagamento dell’attività professionale svolta, senza aver prima rinunciato a tutti gli incarichi ricevuti, chiede “se la presentazione dell’istanza di parere di congruità della parcella da parte di un avvocato che sia ancora difensore di ufficio del debitore (segnatamente nelle more tra il decreto che dispone il giudizio e la prima udienza dibattimentale) essendo prodromica all’azione giudiziaria per recuperare il credito, non violi indirettamente l’art. 34”. Chiede, altresì, se “oltre alla violazione dell’art. 34 possa configurarsi anche quella dell’articolo 24 poiché in tal modo l’avvocato si pone volontariamente in una situazione di conflitto di interesse con la parte assistita officiosamente”.
Come noto, l’art. 34 (Azione contro il cliente e la parte assistita per il pagamento del compenso) del vigente Codice deontologico forense (breviter, CDF) stabilisce al comma 1 che “L’avvocato, per agire giudizialmente nei confronti del cliente o della parte assistita per il pagamento delle proprie prestazioni professionali, deve rinunciare a tutti gli incarichi ricevuti.”. Il CNF, ha avuto ad affermare che “L’illecito disciplinare di cui all’art. 46 CDF (corrispondente all’attuale 34 CDF, ndr) si configura ogni qualvolta l’avvocato intenti un’ azione giudiziaria contro il proprio cliente senza aver preventivamente rinunciato al mandato alle liti, e quindi senza aver evitato, con l’unico mezzo possibile, qualsiasi situazione d’incompatibilita` esistente tra mandato professionale e contemporanea pendenza della lite promossa contro il proprio assistito” [cfr., ex multis, Consiglio Nazionale Forense (pres. Mascherin, rel. Iacona), sentenza del 24 aprile 2018, n. 38]. Da cui è agevole ricavare che l’ambito di applicazione è strettamente quello giudiziario, onde non è possibile estendere la portata della previsione di cui all’art. 34 CDF anche al caso della presentazione dell’istanza di parere di congruità della parcella da parte di un avvocato che sia ancora difensore di ufficio del debitore (cliente o parte assistita).
Del pari si deve dare atto che il CNF ha avuto ad affermare in plurime occasioni che “Vìola l’art. 34 CDF (già art. 46 codice previgente) l’avvocato che agisca contro l’assistito per il recupero di un proprio credito professionale, senza avere previamente rinunciato al mandato” [cfr., inter alia, Consiglio Nazionale Forense (pres. Mascherin, rel. Secchieri), sentenza del 29 novembre 2018, n. 164]. Da cui si deduce in linea generale che ove l’avvocato alla istanza di parere di congruità intenda far conseguire un’azione giudiziaria nei confronti del cliente, deve rinunciare al mandato ai sensi dell’art. 32 del CDF.
Le precedenti considerazioni assorbono il quesito relativo alla sussistenza del conflitto di interesse, anche solo potenziale, ai sensi dell’art. 24 CDF in quanto l’avvocato che abbia intenzione di intentare un’azione giudiziaria contro il proprio cliente, deve sempre preventivamente aver rinunciato al mandato. La rinuncia è l’unico mezzo possibile a rimuovere qualunque situazione d’incompatibilita` esistente tra mandato professionale e contemporanea pendenza della lite promossa contro il proprio cliente o la parte assistita, ferma restando – nel caso della difesa d’ufficio – l’osservanza dell’articolo 97 del codice di procedura penale e, in particolare, del suo quinto comma.