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15 dicembre 2022 Avvocati
È invalido per errore di diritto il provvedimento che prevede la sospensione disciplinare per un periodo inferiore al minimo edittale
Tale nullità può essere rilevata d'ufficio dal CNF non essendo possibile legittimare una sanzione inesistente nell'ordinamento professionale. Ne consegue che, per il divieto della reformatio in pejus, deve essere inflitta la pena inferiore prevista dall'ordinamento, ossia la censura.
di La Redazione

A seguito di esposto dell'assistito, il COA di Reggio Emilia apriva un procedimento disciplinare nei confronti dell'avvocato accusato di aver omesso di introdurre validamente l'impugnazione inducendo in errore il cliente sull'attività da lui stesso svolta.
L'incolpato presentava, quindi, una richiesta di sospensione del procedimento in considerazione dell'apertura di un parallelo procedimento penale a suo danno per i medesimi fatti di cui al capo di incolpazione, a seguito di querela depositata dallo stesso esponente. Il COA accoglieva tale istanza, conseguendone la sospensione del procedimento disciplinare.
Nella pendenza del procedimento penale entravano in vigore le nuove norme regolatrici dei procedimenti disciplinari: pertanto, il neo costituito CDD di Bologna, pertanto, riattivava il procedimento non essendo più necessario attendere l'esito di quello penale stante il venir meno della pregiudizialità di quest'ultimo rispetto al primo.

Il procedimento si concludeva con l'affermazione della responsabilità dell'avvocato per i fatti contestati e l'irrogazione della sanzione della sospensione dall'esercizio della professione forense per mesi 1.
L'avvocato ricorre dinanzi al CNF lamentando la sproporzionalità della sanzione irrogata soprattutto in considerazione del fatto che le violazioni contestate prevedono come “pena edittale” l'avvertimento o la censura.

Investito della questione, il CNF premetteva che i fatti contestati al ricorrente risalgono all'anno 2009, quando vigeva la precedente normativa - nella quale come noto non erano espressamente (e previamente) previste specifiche sanzioni per le singole condotte contestate - è dirimente ai fini del decidere stabilire, nel rispetto dei principi dell'irretroattività della legge e di successione delle leggi nel tempo, quale sia la sanzione più favorevole per l'incolpato.
Come chiarito dalla Cassazione, «tale valutazione deve effettuarsi in concreto in quanto, se è vero che le norme del nuovo Codice deontologico forense si applicano anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l'incolpato (art. 65, comma 5, L. n. 247/2012), è altrettanto vero che tale valutazione non può limitarsi alla sola sanzione edittale dovendo invero aversi altresì riguardo alle eventuali aggravanti ex artt. 53 L. n. 247/2012 e 22 ncdf».

Nel caso in esame, il CDD ha ritenuto che le condotte contestate al ricorrente fossero di una certa gravità, tanto da meritare l'aumento della pena base della censura con quella della sospensione non superiore nel massimo ad anni uno (art. 22, c. 2 lett. b) del nuovo codice deontologico). Minimo che corrisponde esattamente a quello previsto anche nella previgente normativa, ossia l'art. 40 del R.D. 1578/1933, che prevedeva la sospensione dall'esercizio della professione per un tempo non inferiore a due mesi e non maggiore di un anno.
Pertanto, anche a prescindere dalla normativa ritenuta applicabile, la sanzione sarebbe dovuta essere la stessa e questo senza alcuna violazione del favor rei.
Sbaglia dunque il CDD di Bologna ad applicare la sospensione nei limiti di mesi 1, in quanto trattasi di una sanzione di entità non prevista dall'ordinamento ed pertanto illegittima.

Alla luce di quanto esposto, il CNF accoglie il ricorso con sentenza n. 163 del 3 ottobre 2022.

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