
Il CNF richiama quanto affermato dalla Cassazione in materia, cioè che la condotta deontologicamente rilevante posta in essere da un avvocato nelle ipotesi appropriative non si esaurisce nell'incasso delle somme destinate a clienti e a terzi, ma si accompagna alla mancata messa a disposizione delle somme riscosse.
Dopo aver ricevuto una segnalazione dal COA locale, il Tribunale di Genova rappresentava una serie di anomalie nelle prestazioni professionali rese dall'odierno ricorrente nelle vesti di curatore dell'eredità giacente, tra le quali figuravano la mancata apertura del conto corrente o del libretto postale di deposito intestato alla procedura e il mancato ritrovamento della documentazione inerente ai buoni fruttiferi postali incassati nell'interesse della procedura, confluiti sul conto corrente personale dell'avvocato.
La stessa segnalazione perveniva alla Procura della Repubblica che dopo l'espletamento delle indagini a carico dell'avvocato per il reato di peculato chiedeva (e otteneva) l'archiviazione del caso.
Nonostante ciò, la segnalazione del COA perveniva anche al CDD, il quale al termine delle opportune indagini rilevava che gli addebiti mossi nei confronti dell'incolpato erano fondati, pertanto infliggeva al medesimo la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione della durata di un anno e sei mesi.
L'avvocato impugna la decisione dinanzi al Consiglio Nazionale Forense.
Con la sentenza n. 168 dell'11 ottobre 2022, il CNF accoglie parzialmente il ricorso, soffermandosi sulla natura dell'illecito disciplinare contestato e, in particolare, sulla sua qualificazione come illecito istantaneo o permanente.
Ebbene, sul punto il CNF è molto chiaro:
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«Non è revocabile in dubbio che la condotta tenuta dall'odierno incolpato configuri un tipico caso di illecito permanente». |
Se è vero infatti che il reato di peculato si consuma al momento dell'appropriazione delle somme, dunque nel caso di specie dal versamento delle somme su un conto corrente personale, è anche vero che la mancata restituzione delle medesime comporta la natura permanente della condotta illegittima. Di conseguenza, il termine di prescrizione dell'azione disciplinare non decorre, tenendo conto che secondo la legge tale termine decorre dal giorno della realizzazione dell'illecito oppure, se esso si sostanzia in una condotta protratta, dalladata dicessazione della condotta stessa.
Con riferimento al caso di specie, la condotta dell'avvocato presenta i connotati tipici della continuità della violazione deontologica, destinata per sua natura a prolungarsi fino alla restituzione delle somme che egli stesso avrebbe dovuto mettere a disposizione dell'eredità giacente.
Ciò trova conferma anche nella giurisprudenza della Suprema Corte, la quale ha già avuto modo di affermare che «la condotta deontologicamente rilevante posta in essere da un avvocato nelle ipotesi appropriative non si esaurisce nell'incasso delle somme destinate a clienti e a terzi, ma si accompagna alla mancata messa a disposizione delle somme riscosse».
Tenendo conto che l'azione disciplinare non si è prescritta, il CNF riduce la durata della sospensione a 12 mesi.