
Essa è infatti irrogabile anche quando il medesimo illecito non può essere nuovamente commesso.
Il CDD di Ancona, all'esito del dibattimento, condannava l'avvocato alla sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio dell'attività professionale per nove mesi, sulla base di una sentenza di patteggiamento che aveva attestato la sua responsabilità penale in ordine a una serie di reati, precisando come queste condotte fossero incompatibili con i principi su cui poggia la professione forense e in particolare con i doveri fondamentali dell'avvocato.
Nonostante il CDD riconosceva che la condotta collaborativa dell'avvocato rappresentasse un chiaro segno di cambiamento di comportamento di quest'ultimo, tuttavia, riteneva congrua la sanzione disciplinare della sospensione per nove mesi.
L'avvocato propone impugnazione al CNF, chiedendo una riduzione della pena alla luce della prognosi di non recidivanza sostenuta dal CDD e della mitezza della pena patteggiata in ambito penale.
Il Consiglio Nazionale Forense rigetta il ricorso dell'incolpato con sentenza n. 173 del 17 ottobre 2022, precisando come la sanzione edittale da applicare al caso di specie è quella della sospensione dall'esercizio dell'attività professionale da un anno a tre anni e questo denota come il CDD, nell'irrogare la pena per soli nove mesi avesse già tenuto conto del comportamento collaborativo dell'avvocato e della sua volontà di tornare a svolgere la sua professione in maniera onesta.
Il CNF, sottolinea il principio riportato dalle SS. UU. n. 17563 del 28/06/2019 secondo cui «la funzione della sanzione disciplinare non è quella di evitare la reiterazione dell'illecito per il futuro, ma essa è irrogabile anche quando il medesimo illecito non possa essere nuovamente commesso».