Un avvocato veniva sottoposto a procedimento disciplinare per essere venuto meno ai doveri ex art. 9 NCD e, in particolare, al dovere di emettere il documento fiscale a fronte dell'avvenuto pagamento da parte di una cliente della somma riconosciutagli a titolo di “palmario”, così violando l'art. 29 comma 3 del NCD. All'esito dell'udienza, il CDD riteneva sussistente la violazione in esame e irrogava nei confronti dell'incolpato la sanzione disciplinare della censura.

 

Contro questa decisione, l'avvocato presenta ricorso lamentando, tra più motivi, che la condotta a lui ascritta non avrebbe rilevanza deontologica, in quanto l'attribuzione patrimoniale effettuata in suo favore, quale adempimento del “palmario” convenuto in sede di conferimento del mandato difensivo, avrebbe “la connotazione della regalia” e, pertanto, non sarebbe soggetta soggetto ad obbligo di fatturazione.

Con sentenza n. 255 del 15 dicembre 2022. Il CNF respinge il ricorso.

 

Secondo la Corte di Cassazione, il palmario «non costituisce un atto di liberalità – o, come dedotto, una “regalia”» – bensì «una vera e propria componente aggiuntiva del compenso riconosciuta dal cliente all'avvocato in caso di esito favorevole della lite, la cui pattuizione è generalmente ammessa e considerata lecita purché dotata di forma scritta, comunque contenuta entro limiti ragionevoli e altresì giustificata dal risultato conseguito».

 

E proprio perché trattasi di compenso, ancorché di natura premiante, anche il palmario soggiace agli obblighi fiscali previsti dalla legge ed al relativo obbligo di fatturazione, con conseguente violazione, in mancanza di tale adempimento, del precetto di cui al combinato disposto degli artt. 16 e 29 comma 3 del Codice deontologico forense.