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4 settembre 2023 Deontologia forense
Il rapporto tra il giudice e l'avvocato deve essere improntato alla dignità e al rispetto
Il diritto di critica nei confronti di qualsiasi provvedimento giudiziario, che rappresenta una facoltà inalienabile del difensore, deve essere sempre esercitato nei limiti del rispetto della funzione giudicante.
di La Redazione
In una segnalazione pervenuta al COA di Vibo Valentia era emerso che un avvocato, in un'istanza di anticipazione udienza, dopo aver dedotto le ragioni d'urgenza a sostengo della richiesta, aveva utilizzato la seguente espressione: “si confida nella Giustizia (se ne esiste ancora un barlume!)”.
In seguito all'esposto, il professionista pubblicava sulla propria pagina Facebook un comunicato, caratterizzato da termini abbastanza forti, intitolato “Quando criticare la giustizia diventa lesa maestà».
Nello scritto egli esprimeva critiche, nonché giudizi e valutazioni sulla Giustizia, affermando che i ritardi e le decisioni dei magistrati contribuivano a creare un senso di sfiducia e asserendo, inoltre, che, i provvedimenti della magistratura sembravano “frutto di pregiudizi come tutto qui in Calabria fosse marcio”.
La vicenda proseguiva dinanzi al CDD di Catanzaro, il quale incolpava l'avvocato per non aver tenuto un comportamento ispirato a correttezza e lealtà, violando così gli artt. 19, 52, comma 1, 53 del Codice disciplinare, per avere utilizzato espressioni offensive negli scritti in giudizio e nell'esercizio della professione forense e per non avere improntato il rapporto con i magistrati a dignità e reciproco rispetto.
Ad esito del procedimento promosso, il CDD comminava all'avvocato la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio dell'attività forense per due mesi.
Avverso tale decisione l'avvocato ricorre dinanzi al Consiglio Nazionale Forense, lamentando, tra le altre, l'eccessività della sanzione disposta.
Con la sentenza n. 57 del 27 marzo 2023, il CNF accoglie parzialmente il ricorso, ritenendo congrua la sanzione della censura.
Appare, innanzitutto, evidente la violazione da parte dell'incolpato ricorrente dell'art. 19 del NCDF secondo cui «l'avvocato deve mantenere nei confronti dei colleghi e delle Istituzioni forensi un comportamento ispirato a correttezza e lealtà». Difatti, seppur sussiste il diritto di critica nei confronti di qualsiasi provvedimento giudiziario, esso costituisce una facoltà inalienabile dell'avvocato, il quale ha il diritto di esercitarlo sempre nel rispetto della funzione giudicante, riconosciuta dall'ordinamento con norme di rango costituzionale nell'interesse pubblico, con pari dignità rispetto alla funzione della difesa.
Anzi, proprio il garantire una pari dignità dell'avvocato rispetto al magistrato, impone, nei reciproci rapporti, un approccio basato sul decoro e all'eleganza, mai sul linguaggio offensivo.
D'altronde, «la libertà di manifestare la propria opinione critica sulle Istituzioni forensi trova un limite invalicabile nei doveri di lealtà, correttezza e rispetto nei confronti dell'Ordine Forense e dell'Avvocatura in generale. Integra, pertanto, violazione deontologica la diffusione sui social networks di un pensiero critico che trasmodi e si manifesti con espressioni deplorevoli o con accostamenti che rechino disonore all'Avvocatura e alle Istituzioni forensi in generale».
Ciò detto, va fatta, nel caso di specie, una valutazione complessiva dei fatti, avuto riguardo alla gravità dei comportamenti contestati, al grado di colpa o all'eventuale sussistenza del dolo, ed al contengo generale dell'incolpato, all'assenza di precedenti disciplinari. Ad esito di questa, risulta congrua la sanzione della censura.