
Intenzione dell’avvocato sarebbe stata quella di “scavalcare” la collega, considerata come un ostacolo, affermazione che già da sola viola il precetto di cui all’art. 19 CDF.
Il procedimento trae origine da un esposto proveniente da un avvocato, ove si allegava la riproduzione di messaggi WhatsApp intercorsi tra l’odierno ricorrente e un cliente dell’esponente, volto a contestare al professionista di aver tenuto condotte di rilievo disciplinare consistenti nel tentativo di subentrare nella difesa penale della sua cliente.
Il CDD Trento aveva rilevato la violazione dell’art. 19 CDF in quanto la critica rivolta nei confronti del collega risultava funzionalmente connessa all’invito a cambiare legale e a rivolgersi a lui o a un’altra collega che si sarebbe comportata poi secondo le sue direttive, comportamento scorretto e vietato. Nello specifico, l’intenzione dell’avvocato sarebbe stata quella di “scavalcare” la collega che era considerata come un ostacolo, affermazione che già da sola viola il precetto.
Contro tale decisione, l’avvocato propone ricorso dinanzi al CNF lamentando, tra i diversi motivi, l’inutilizzabilità ai fini probatori della chat WhatsApp prodotta dall’esponente.
Con la sentenza n. 139 dell’11 luglio 2023, il CNF ribadisce innanzitutto che la procedibilità dell’azione disciplinare non è condizionata dall’asserita illegittimità delle modalità con le quali l’esponente abbia documentato le condotte denunciate, le quali potrebbero rilevare in sede di ammissione o valutazione delle prove.
Ciò detto, il Consiglio respinge i motivi di ricorso inerenti alla liceità della provenienza delle chat poiché i fatti contestati, anche senza la necessità di avvalersi di WhatsApp, risultano confermati dalle deposizioni rese in dibattimento e dalla mancata contestazione da parte del ricorrente.
Se neppure il diritto di difesa giustifica la violazione dei principi deontologici di lealtà e correttezza nei rapporti di colleganza, a maggior ragione essi vanno rispettati quando si tratta di commentare con i clienti la strategia di un collega.
Tuttavia, tenendo conto del fatto che il ricorrente aveva cercato in ogni modo di porre rimedio a una condotta della quale aveva compreso la mancata corrispondenza alle regole deontologiche, il CNF infligge all’incolpato la sanzione più lieve dell’avvertimento.