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28 settembre 2023 Deontologia forense
L’omessa certificazione tecnica che attesta l’intrusione informatica nel sistema dell’avvocato non giustifica la rimessione in termini
Infatti, «l'istituto della rimessione in termini (art. 153 co. 2 c.p.c.) ha una connotazione di carattere generale e, come tale, trova in astratto applicazione anche nella fase di gravame dinanzi al CNF, ricorrendone i presupposti, ovvero una causa di forza maggiore o caso fortuito, con relativo onere della prova a carico dell'istante, non essendo all'uopo sufficiente una mera allegazione difensiva del tutto priva di alcun riscontro probatorio».
di La Redazione
La controversia disciplinare vede protagonista un avvocato colpevole di aver violato diverse norme del Codice deontologico. 
 
L'incolpato decide di impugnare tardivamente dinanzi al CNF la decisone del CDD, chiedendo che venga annullata la statuizione, previa remissione in termini per la proposizione del ricorso. A fondamento della sua richiesta, l'avvocato spiega che un'intrusione informatica nel sistema non gli avrebbe permesso di verificare le PEC, impedendogli in tal modo di conoscere tempestivamente la decisione del CDD.
La PEC di trasmissione della decisione disciplinare all'incolpato risulta trasmessa e consegnata correttamente. 
Nella documentazione che l'avvocato allega a sostegno della sua richiesta di remissione in termini manca la certificazione tecnica che attesti la lamentata intrusione informatica: circostanza che impedisce una valutazione favorevole dell'istanza di remissione in termini. 

Pertanto, con sentenza n. 147 dell'11 luglio 2023, il CNF dichiara la tardività del ricorso e dunque la sua inammissibilità
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