
È inammissibile, per nullità insanabile ex art. 59 R.D. n. 37/1934, tanto il ricorso allegato alla PEC come file con in calce una mera immagine o scansione della firma, quanto il ricorso direttamente versato nel corpo della PEC di trasmissione, a sua volta priva di firma digitale del mittente.
In un procedimento disciplinare, il CDD comminava ad un avvocato la sanzione della radiazione in quanto autore di falsità ideologica in certificati e per aver arrecato ai clienti un danno patrimoniale rilevante superiore ad euro 100mila.
Investito del ricorso, il CNF lo dichiara inammissibile per vizio di sottoscrizione.
L’atto di impugnazione risultava infatti inviato dall’avvocato al CDD a mezzo PEC in formato word privo di valida sottoscrizione risultando la stessa rappresentata dall’inserimento in calce al ricorso dell’immagine del timbro dello studio riportante, sempre per immagine, una firma.
Pertanto, non si tratta quindi di sottoscrizione analogica dell’originale dell’atto né di sottoscrizione digitale dello stesso.
Sulla questione, il Consiglio ribadisce che «avverso le decisioni dei Consigli territoriali, è possibile proporre impugnazione al CNF anche a mezzo posta elettronica certificata (art. 33, co. 3, Reg. CNF n. 2/2014), ossia allegando alla stessa il file del ricorso digitalmente sottoscritto (e dell’eventuale procura speciale, nel caso in cui l’incolpato sia assistito da un difensore)».
Pertanto, deve ritenersi inammissibile, per nullità insanabile ex art. 59 R.D. n. 37/1934, tanto il ricorso allegato alla PEC come file con in calce una mera immagine o scansione della firma, quanto il ricorso direttamente versato nel corpo della PEC di trasmissione, a sua volta priva di firma digitale del mittente.
Per questi motivi, il CNF dichiara inammissibile il ricorso con sentenza n. 219 del 25 ottobre 2023.