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30 gennaio 2024 Deontologia forense
All’impugnazione dinanzi al CNF non si applica l’art. 342 c.p.c.
È quanto precisa il Consiglio Nazionale Forense con la sentenza n. 220 del 25 ottobre 2023.
di La Redazione
Il procedimento disciplinare in questione prende avvio da un esposto presentato al COA dall'avvocato Tizio.
Nel suo esposto l'avvocato ha premesso che il difensore Caio era stato parte processuale in un procedimento civile pendente presso il Tribunale di Sciacca deciso da un collegio giudicante del quale giudice relatore era stato lo stesso esponente, GOT presso quel Collegio e incaricato dal Presidente di redigere la motivazione. 
 
Ricevuto l'esposto dopo gli adempimenti preliminari, il CDD di Palermo apriva nei confronti dell'avvocato ricorrente un procedimento disciplinare contestando allo stesso le violazioni circa il dovere di dignità e decoro, divieto di uso di espressioni offensive o sconvenienti del Codice Deontologico vigente, per avere utilizzato, negli scritti difensivi prodotti nel giudizio svoltosi dinanzi il Tribunale frasi non continenti nella forma e di contenuto potenzialmente diffamatorio e calunnioso, nel confronti dell'esponente avvocato Tizio, accusato, nella qualità di GOT presso il Tribunale di Sciacca di avere occultato la querela di falso.
 
All'esito del procedimento, il CDD dichiara la responsabilità dell'avvocato ricorrente e gli commina la sanzione attenuata della sospensione di mesi quattro mesi.

La questione giunge dinanzi al CNF, il quale, con la sentenza n. 220 del 25 ottobre 2023 nel dichiarare il ricorso del ricorrente inammissibile precisa che «Il ricorso proposto innanzi al Consiglio Nazionale Forense avverso la decisione emessa dal Consiglio distrettuale di disciplina deve contenere, a norma dell'art. 59 del r.d. n. 37 del 1934, l'enunciazione specifica dei motivi su cui si fonda, ma non soggiace al disposto dell'art. 342 c.p.c. sull'atto di appello; invero, mentre ai fini del rispetto dell'art. 342 c.p.c. è necessario che l'impugnazione contenga, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, affinché sia rispettato il precetto di cui al cit. art. 59 è invece sufficiente che il ricorso al Consiglio Nazionale Forense precisi il contenuto e la portata delle censure mosse al provvedimento impugnato, in modo che resti individuato il “thema decidendum” sottoposto all'esame del giudice disciplinare».
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