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14 febbraio 2024 Deontologia forense
L’appropriazione indebita costituisce illecito deontologico permanente
È quanto afferma il Consiglio Nazionale Forense con la sentenza n. 244 del 14 novembre 2023 dove un avvocato ha commesso illeciti di carattere cd. permanente quali la gestione di denaro altrui e l’appropriazione di somme della procedura fallimentare.
di La Redazione
Il procedimento disciplinare origina da una comunicazione pervenuta al COA di Bari su impulso del Giudice Delegato in una procedura concorsuale e contenuta nella relazione redatta dall’avvocato Tizia, quale curatrice del Fallimento della s.r.l., che evidenziava l’irregolare contabilità tenuta dall’ avvocato Caio, che l’aveva preceduta nella medesima funzione, dalla data di apertura del fallimento fino alle dimissioni di quest’ultimo a seguito di rinuncia all’incarico.
Nella relazione venivano evidenziati gravissimi profili di responsabilità penale a carico dell’avvocato Caio, il quale aveva effettuato molteplici operazioni di prelievo sul conto corrente intestato al fallimento.
In particolare, l’avvocato aveva sottratto somme per 1.437.074,86 euro.
Inoltre, il nuovo curatore rilevava anche l’impiego di parte dell’importo prelevato di 75.390,00 euro per estinguere debiti personali.
Per questo motivo, veniva avviato nei confronti dell’avvocato Caio un procedimento penale conclusosi con una condanna di 2 anni e 4 mesi di reclusione.
Il COA di Bari deliberava l’apertura del procedimento disciplinare nei confronti dello stesso avvocato.
Il COA, sentito l’avvocato Caio disponeva la sua sospensione dall’esercizio della professione per un periodo complessivo di 2 anni e 7 mesi.
La questione prosegue dinanzi al CDD, il quale riteneva adeguato sanzionarlo con la sospensione dall’esercizio della professione forense nella misura massima, pari a 5 anni, non essendo più prevista la sanzione più grave della cancellazione dall’albo.
Avverso tale decisione, l’avvocato propone impugnazione dinanzi al CNF.
Con la sentenza n. 244 del 14 novembre 2023, il CNF precisa che «l’appropriazione indebita costituisce illecito deontologico permanente. Conseguentemente, il relativo dies a quo prescrizionale va individuato nel momento cui: 1) il professionista ponga fine all’omissione ovvero effettui il comportamento positivo dovuto, oppure 2) sollecitato in tal senso, opponga il rifiuto affermando l’asserita legittimità del proprio contegno, con la precisazione che tale diritto debba essere rivendicato espressamente nei confronti dell’altra parte contrattuale (cliente/parte assistita) e non nelle difese contro la pretesa punitiva dello Stato esercitata con il processo penale ovvero in sede disciplinare; 3) in ogni caso, al fine di evitare una irragionevole imprescrittibilità dell’illecito stesso, un “limite alternativo” alla sua permanenza deve essere individuato nella decisione disciplinare di primo grado».