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8 aprile 2024 Deontologia forense
Le suppliche del cliente non salvano l'avvocato dalla responsabilità per gli atti compiuti
Il dovere di difesa non giustifica la commissione di illeciti deontologici a pretesa tutela del cliente.
di La Redazione
Un avvocato veniva sottoposto a procedimento disciplinare per violazione del divieto di utilizzare notizie acquisiste in ragione del rapporto professionale già esaurito. All'esito dell'istruttoria e del dibattimento, il CDD infliggeva all'incolpato la sanzione della censura, ritenendo che egli era tenuto a mantenere riserbo e segreto professionale in merito alle informazioni ricevute.
 
Il professionista presenta così ricorso lamentando, tra varie censure, che la frase a lui contestata, su cui si è basata la sanzione deontologica, sarebbe stata sarebbe riportata su diretta richiesta della cliente.
 
Con sentenza n. 4 del 22 gennaio 2024, il CNF dichiara inconsistente la censura mossa dal ricorrente, chiarendo che l'avvocato è deontologicamente responsabile dei propri atti, anche se compiuti assecondando una supplica dell'assistito.
 
Poiché esso esercita la professione forense in libertà, autonomia e indipendenza (art. 2 L. n. 247/2012, art. 9 c.d.f.), risponde deontologicamente del contenuto dei propri atti, quand'anche suggeritogli o richiestogli da terzi, cosicché il dovere di difesa non giustifica la commissione di illeciti deontologici a pretesa tutela del cliente.
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