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I ricorrenti, dopo aver ottenuto un giudicato che riconosceva loro un risarcimento di 20.000 euro da parte della controricorrente, avendo della detta somma ricevuto soltanto un pagamento parziale, con atto di precetto intimavano il pagamento del saldo e, la società intimata, proponeva opposizione ex art. 615 c.p.c.. Il Tribunale di Roma riteneva l'intimazione parzialmente illegittima e la Corte d'Appello di Roma confermava tale decisione. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma, veniva proposto gravame dinanzi la Suprema Corte cui seguiva controricorso, nel quale veniva eccepita l'inammissibilità del ricorso per essere lo stesso stato proposto oltre il termine breve di cui all'art. 325 c.p.c.. La controricorrente deduceva, infatti, di aver notificato la sentenza di appello a mezzo PEC in data 31 ottobre 2021 all'indirizzo del difensore degli appellanti, estratto dall'albo dell'Ordine professionale, e di aver ricevuto l'avviso di mancata consegna per essere il messaggio rifiutato dal sistema in quanto presente un “errore 5.2.2 – Info Cert S.p.A. – casella piena” e che tale mancata consegna, imputabile al destinatario, avrebbe comunque consentito il perfezionamento della notificazione, così come affermato dalla Suprema Corte con la decisione n. 3164/2020. Per questo motivo, il ricorso notificato il 24 gennaio 2022, sarebbe stato tardivamente proposto. Il Pubblico Ministero, vista la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale sulla questione del perfezionamento della notifica in caso di “casella piena,” proponeva la rimessione della causa alle Sezioni Unite, ritenendo che fosse necessario risolvere la questione a livello interpretativo generale. La Terza Sezione della Cassazione, con ordinanza interlocutoria, rimetteva la causa al Primo Presidente per la sua assegnazione alle Sezioni Unite, evidenziando che la questione era di particolare rilevanza per la corretta interpretazione delle modalità di notifica mediante PEC in ambito processuale. |
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Le Sezioni Unite della Cassazione devono risolvere il contrasto giurisprudenziale circa il perfezionamento della notificazione via PEC quando il messaggio non viene consegnato per causa imputabile al destinatario, in questo caso a causa della “casella piena” del destinatario. Primo orientamento – Cass. n. 3164/2020 e n. 24110/2021: la notifica deve considerarsi perfezionata quando la casella PEC del destinatario è piena.; secondo questo orientamento, la saturazione della casella PEC è imputabile al destinatario, il quale ha l'obbligo di monitorare la capienza della propria PEC. La normativa di riferimento è rappresentata dall'art. 16 del D.L. n. 179/2012 e dall'art. 149-bis c.p.c., che stabiliscono che la notifica si intende perfezionata nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento nella casella PEC del destinatario. Tale orientamento attribuisce una responsabilità diretta al destinatario per mantenere spazio disponibile nella propria casella e garantire la ricezione delle notifiche. Secondo orientamento – Cass. N. 40758/2021 e n. 2193/2023: questo orientamento, opposto al primo, afferma che in caso di mancato perfezionamento della notifica a causa di “casella piena” del destinatario, l'obbligo di procedere con una notifica alternativa ricade sul notificante. Secondo tale indirizzo, il notificante è tenuto a procedere a una nuova notifica tramite un canale alternativo, come il domicilio fisico, se il destinatario ha eletto un domicilio fisico. Inoltre, si esclude che la saturazione della casella PEC possa equivalere a un rifiuto intenzionale di ricevere l'atto, data la possibilità di eleggere un domicilio fisico che richiede un ulteriore tentativo di notifica presso tale indirizzo. Le Sezioni Unite hanno risolto il contrasto giurisprudenziale adottando l'orientamento che prevede il non perfezionamento della notifica in caso di “casella piena” e hanno affermato che: la notifica a mezzo PEC non si perfeziona se il sistema genera un avviso di mancata consegna, anche per causa imputabile al destinatario, come la saturazione della casella PEC. Il notificante, nel caso in cui sia necessaria una tempestiva notifica per evitare decadenze, è obbligato a riattivare tempestivamente il procedimento notificatorio con modalità ordinarie, seguendo le disposizioni degli articoli 137 e seguenti del c.p.c. Questa conclusione evita che il notificante subisca gli effetti negativi della decadenza a causa della gestione negligente della casella PEC da parte del destinatario. Le Sezioni Unite, nel motivare la loro decisione, hanno dato prevalenza alla lettera dell'art. 3-bis della Legge n. 53/1994, che prevede il perfezionamento della notifica solo quando viene generata la ricevuta di avvenuta consegna (RdAC). Questo principio, sancito in base alla normativa vigente prima della riforma del D.Lgs. n. 149/2022, evita interpretazioni che potrebbero favorire la saturazione delle caselle PEC e mantiene l'onere sul notificante di ripetere la notifica secondo le modalità ordinarie Il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite è il seguente: «Nel regime antecedente alla novella recata dal d.lgs. n. 149 del 2022, la notificazione a mezzo PEC eseguita dall'avvocato ai sensi dell'art. 3-bis della legge n. 53 del 1994 non si perfeziona nel caso in cui il sistema generi un avviso di mancata consegna, anche per causa imputabile al destinatario (come nell'ipotesi di saturazione della casella di PEC con messaggio di errore dalla dicitura ‘casella piena'), ma soltanto se sia generata la ricevuta di avvenuta consegna (c.d. RdAC). Ne consegue che il notificante, ove debba evitare la maturazione a suo danno di un termine decadenziale, sarà tenuto a riattivare tempestivamente il procedimento notificatorio attraverso le forme ordinarie di cui agli artt. 137 e ss. c.p.c., potendo così beneficiare del momento in cui è stata generata la ricevuta di accettazione della originaria notificazione inviata a mezzo PEC.» |
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La decisione della Corte appare assolutamente ineccepibile ed in linea con la normativa di riferimento nonché ad altri e diversi precedenti dei Giudici di legittimità, secondo i quali «l'esito negativo della notifica, sia pure chiaramente imputabile al destinatario per non aver reso possibile la ricezione di messaggi sulla propria casella di PEC, non consente di ritenere perfezionata tale notifica a mezzo PEC; non si applica, invero, con riguardo alla ricevuta di mancata consegna generata a seguito di notifica telematica effettuata da un avvocato ai sensi della L. n. 53 del 1994, la disciplina prevista nel caso in cui la ricevuta di mancata consegna venga generata a seguito di notifica (o comunicazione) effettuata dalla Cancelleria» (Cass., Sez. VI-5, 20 luglio 2018, n. 19397 e Cass., Sez. VI-5, 18 novembre 2019, n. 29851). Appare evidente come, nessuna norma, in caso di mancata consegna imputabile al destinatario, preveda che la notifica debba comunque considerarsi perfezionata, posto che l'art. 3-bis, comma 3, della Legge n. 53/1994 prevede esclusivamente che «La notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, nel momento in cui viene generata la ricevuta di accettazione prevista dall'articolo 6, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, e, per il destinatario, nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna prevista dall'articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68». Il già menzionato articolo disciplina, dunque, una fattispecie di perfezionamento della notificazione che si fonda, esclusivamente, sulla “RdAC”, la quale, a sua volta, è evento specificamente regolato con effetti determinati. Dunque, è anzitutto la “legge” - in base alla quale “è regolato” il “giusto processo” (art. 111, primo comma, Cost.) - a perimetrare con chiarezza le modalità e il momento in cui si “perfeziona” la notificazione telematica dell'atto processuale eseguita dall'avvocato. |
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza (ud. 17 settembre 2024) 5 novembre 2024, n. 28452
Svolgimento del processo
1. – A seguito di giudicato che riconobbe in favore di C.G. e del coniuge D.C.C., a titolo risarcitorio, la somma di euro 20.000,00, da doversi corrispondere dalla OMISSIS s.a.s. (di seguito anche solo: OMISSIS), il G., nel gennaio 2015, intimò precetto alla società debitrice per l’importo residuo di euro 15.032,15, detratta la somma di euro 8.000,00 pagata dalla OMISSIS ad entrambi i creditori. La società intimata propose, quindi, opposizione ex art. 615, primo comma, c.p.c., assumendo che il G. non aveva detratto l’ulteriore ricevuto importo di euro 3.500,00 ed eccependo che lo stesso, in assenza di solidarietà attiva, era privo di legittimazione attiva rispetto al credito spettante alla C., con conseguente errato calcolo degli interessi sul capitale.
1.1. - Nel corso del giudizio di opposizione, intervenuta volontariamente D.C.C., il G. rinunciò provvisoriamente alla somma di euro 3.500,00 ed accettò, a titolo di acconto, la somma, offerta dalla società intimata banco iudicis, di euro 4.886,67.
1.1. - Con sentenza del settembre 2018, l’adito Tribunale di Roma, nell’accogliere parzialmente l’opposizione, ritenne illegittimo il precetto sia per la quota parte di interessi concernenti il credito di euro 3.500,00, provvisoriamente rinunciato, sia per essere il G. privo di legittimazione attiva rispetto alla quota pate del credito spettante alla moglie; reputò, altresì, che all’intimante spettasse la somma di euro 4.886,67 e che, pertanto, il pagamento banco iudicis fosse stato satisfattivo, dovendosi unicamente corrispondere le spese intimate con il precetto, da ricalcolarsi in base al credito accertato.
2. - La decisione veniva, quindi, impugnata dal G. e dalla C. e la Corte di appello di Roma rigettava il gravame con sentenza resa pubblica il 28 ottobre 2021.
3. - Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso C.G. e D.C.C., affidando le sorti dell’impugnazione a tre motivi.
3.1 - Con il primo motivo denunciano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 1292 c.c., per aver la Corte territoriale erroneamente escluso la sussistenza di solidarietà attiva tra i concreditori – riconosciuta dalla stessa società debitrice, avendo essa rilasciato titoli di credito cointestati ad entrambi i creditori - e, di conseguenza, la legittimazione del G. ad intimare precetto anche per la quota parte del credito della C. e legittimazione di quest’ultima a proporre appello.
3.2. - Con il secondo motivo lamentano la “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia”, avuto riguardo all’intervento volontario della C. nel giudizio di opposizione e, quindi, alla sussistenza della legittimazione del G. ad agire anche per il recupero del credito della moglie.
3.3. - Con il terzo motivo deducono la “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia”, ossia “in ordine al calcolo degli interessi e alla decorrenza degli stessi che inficia il quantum già corrisposto al solo G. C.”.
4. – Ha resistito con controricorso la OMISSIS s.a.s., eccependo l’inammissibilità del ricorso per essere lo stesso stato proposto oltre il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c.
La controricorrente deduce, infatti, di aver notificato la sentenza di appello a mezzo PEC in data 31 ottobre 2021 all’indirizzo del difensore degli appellanti, estratto dall’albo dell’Ordine professionale, e di aver ricevuto l’avviso di mancata consegna per essere il messaggio rifiutato dal sistema in quanto presente un “errore 5.2.2 – Info Cert S.p.A. – casella piena”.
La OMISSIS assume, quindi, che, dovendo il difensore, obbligato ex lege a munirsi di indirizzo PEC, provvedere al “controllo periodico dello spazio disco a disposizione sulla sua PEC”, è “causa imputabile al destinatario” la mancata consegna dovuta alla saturazione della casella di posta elettronica e, dunque, alla “casella piena”, con conseguente perfezionamento della notificazione stessa, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., 11 febbraio 2020, n. 3164).
Il ricorso, notificato in data 24 gennaio 2022, sarebbe, dunque, stato tardivamente proposto.
5. – I ricorrenti hanno depositato memoria contestando l’eccezione della controricorrente.
5.1. – Ha depositato memoria anche il pubblico ministero, che ha concluso, in via principale, per la rimessione della causa alla Sezioni Unite, essendovi, sulla questione del perfezionamento o meno della notificazione nel caso di mancata consegna del messaggio di PEC per “casella piena”, posizioni contrastanti nella giurisprudenza di questa Corte; in subordine, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso per essere stato tardivamente proposto, aderendo all’orientamento indicato dalla stessa parte controricorrente.
6. – Con ordinanza interlocutoria del 21 novembre 2023, n. 32287, la Terza Sezione civile, ravvisando orientamenti giurisprudenziali non univoci sull’anzidetta questione di diritto e, comunque, integrando essa una questione di massima di particolare importanza (“involgendo i presupposti stessi del funzionamento delle modalità di notificazione coi i nuovi e generalizzati strumenti tecnologici in ogni ambito processuale”), ha rimesso gli atti al Primo Presidente ai sensi dell’art. 374 c.p.c.
7. - La causa è stata, quindi, assegnata a queste Sezioni Unite.
7.1. - Il pubblico ministero ha depositato ulteriore memoria, ribadendo le conclusioni già rassegnate nel senso dell’inammissibilità del ricorso per tardiva proposizione. A tal fine, nella memoria si argomenta ampiamente sulle ragioni che condurrebbero a ritenere perfezionata la notificazione a mezzo PEC eseguita dal difensore ove la ricevuta emessa dal sistema attesti che la mancata consegna del messaggio sia dovuta a “casella piena” del destinatario, poiché un tale evento sarebbe da equipararsi all’avvenuta consegna del messaggio stesso, rappresentando la saturazione della casella di PEC una causa imputabile al destinatario medesimo per inadeguata gestione dello spazio di archiviazione e di ricezione dei messaggi di posta elettronica.
Motivi della decisione
1. – Queste Sezioni Unite sono chiamate a pronunciarsi sulla seguente questione di diritto: se la notificazione a mezzo PEC di un atto processuale, eseguita dall’avvocato in base alla legge 21 gennaio 1994, n. 53, nel testo vigente anteriormente alle modifiche apportate dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, possa ritenersi perfezionata nel caso in cui il sistema restituisca al mittente un avviso di mancata consegna al destinatario con l’attestazione di “casella piena”.
Tale questione viene in rilievo, nella specie, ai fini della delibazione sulla tempestività della proposizione del ricorso per cassazione, che è stato notificato dal difensore dei ricorrenti al difensore della OMISSIS s.a.s., patrocinante in secondo grado, il 24 gennaio 2022, sul presupposto che non fosse stata notificata la sentenza di appello pubblicata il 28 ottobre 2021 e che, dunque, operasse il termine semestrale di cui all’art. 327 c.p.c.
La OMISSIS, nel resistere con controricorso, ha dedotto e provato di aver, invece, notificato l’anzidetta sentenza, a mezzo PEC inviata all’indirizzo del difensore degli appellanti, attuali ricorrenti, in data 31 ottobre 2021, avendo, però, restituita dal sistema l’avviso di mancata consegna al destinatario per “casella piena”.
È evidente, tuttavia, che la questione da esaminare assume una portata più generale, non confinata al caso di specie, investendo ogni ambito in cui la notificazione di un atto processuale eseguita a mezzo PEC da un avvocato ai sensi dell’art. 3-bis della legge n. 53/1994 (introdotto dall’art. 16 quater del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, nella legge
17 dicembre 2012, n. 221) abbia come esito una mancata consegna per essere la casella di PEC del destinatario satura e, dunque, per causa imputabile allo stesso notificatario.
2. – L’ordinanza interlocutoria della Terza Sezione dà risalto alla presenza di orientamenti non univoci nella giurisprudenza di questa Corte, muovendo da quello – richiamato dalla controricorrente e che lo stesso pubblico ministero chiede che venga ribadito – per cui è da ritenersi perfezionata la notifica a mezzo PEC in caso di ricevuta attestante la “casella piena” della posta elettronica del destinatario, in quanto da equipararsi alla avvenuta consegna del messaggio di PEC per essere la “saturazione della capienza … un evento imputabile al destinatario, per l’inadeguata gestione dello spazio per l’archiviazione e la ricezione di nuovi messaggi” (così Cass. n. 3164/2020, citata).
2.1. - Le ragioni di siffatto indirizzo – anticipato da cass., 22 maggio 2018, n. 12541 e poi confermato da Cass., 7 settembre 2021, n. 24110 (nonché ripreso, ma senza farne diretta applicazione, da Cass., 12 settembre 2022, n. 26810 e da Cass., 1° settembre 2023, n. 25586) – sono state ravvisate nella reputata “sostanziale equivalenza”, ai predetti fini, tra quanto previsto dall’art. 16, comma 6, del d.l. n. 179/2012, convertito, con modificazioni, nella legge n. 221/2012 (come modificato dall’art. 47 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, nella legge 11 agosto 2014, n. 114) e dall’art. 149- bis, comma terzo, c.p.c. (introdotto dall’art. 4 del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito, con modificazioni, nella legge 22 febbraio 2010, n. 24), che disciplina le notificazioni telematiche dell’ufficiale giudiziario stabilendo che “la notifica si intende perfezionata nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella casella di posta elettronica certificata del destinatario”.
Di qui – prosegue la Sezione rimettente – il rilievo che Cass. n. 3164/2020 attribuisce, per un verso, all’“onere del difensore [di] provvedere al controllo preventivo della propria casella di PEC”, come previsto dall’art. 20 del decreto ministeriale 21 febbraio 2011, n. 44, e successive modificazioni (Regolamento concernente le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell’art. 4 del d.l. n. n. 193/2009, convertito nella legge n. 24/2010), e, per altro verso, al significato da assegnare all’espressione “rende disponibile” presente nel citato art. 149-bis, che individuerebbe “un’azione dell’operatore determinativa di effetti potenziali e non una condizione di effettività di detta potenzialità dal punto di vista del destinatario”. Ne deriva che «qualora il “rendere disponibile” quale azione dell’operatore non possa evolversi in una effettiva disponibilità da parte del destinatario per causa a lui imputabile come per essere la casella satura, la notificazione si abbia per perfezionata, con la conseguenza che il notificante può procedere all’utilizzazione dell’atto come se fosse stato notificato».
2.2. – Un diverso orientamento, originato da Cass., 20 dicembre 2021, n. 40758, esclude che la notificazione possa reputarsi perfezionata con il primo invio telematico non andato a buon fine a motivo della “casella piena”, e dunque per causa imputabile al destinatario, ove, anche in eventuale associazione con il domicilio digitale, “concorra una specifica elezione di domicilio fisico”, per cui “il notificante ha il più composito onere di riprendere idoneamente il procedimento notificatorio presso il domiciliatario fisico eletto in un tempo adeguatamente contenuto”.
Come dà conto l’ordinanza interlocutoria n. 32287/2023, tale indirizzo giurisprudenziale muove dalla premessa per cui, anche in assenza di indicazione di “domicilio digitale”, è valida la notificazione effettuata a mezzo PEC all’indirizzo del difensore risultante dal Re.G.Inde, ai sensi dell’art. 16-sexies del citato d.l. n. 179/2012 e successive modificazioni.
Tuttavia, ove sia stata effettuata, “eventualmente in associazione con il domicilio digitale”, anche una elezione di domicilio fisico, quale “prerogativa processuale della parte” pur sempre esercitabile, il mancato perfezionamento della notificazione per causa imputabile al destinatario “impone alla parte di provvedere tempestivamente al suo rinnovo secondo le regole generali dettate dagli artt. 137 e seguenti, c.p.c., e non mediante deposito dell’atto in cancelleria, non trovando applicazione la disciplina di cui all’art. 16, comma 6, ultima parte, del (…) decreto legge n. 179 del 2012”, essendo tale norma riferibile alle sole notificazioni e comunicazioni effettuate dalla cancelleria.
Ne, secondo cass. N. 40758/2021, potrebbe opinarsi diversamente in base alla lettera dell’art. 149-bis, comma 3, c.p.c., avendo “carattere neutro” l’espressione “rendere disponibile” ivi utilizzata, dovendosi, altresì, escludere che possa reputarsi perfezionata la notificazione a mezzo PEC al primo invio con esito negativo per “casella piena” pur in presenza di elezione di domicilio fisico, in quanto ciò presupporrebbe l’avvenuta soppressione di una tale facoltà processuale pur in assenza di una norma in questo senso.
Ed ancora, l’orientamento inaugurato da Cass. n. 40758/2021 – e seguito anche dalla più recente Cass. n. 2193/2023 - esclude che il perfezionamento della notifica in caso di saturazione della casella di PEC del destinatario possa giustificarsi in base alla previsione dell’art. 20 del d.m. n. 44/2011, avendo tale fonte “natura secondaria”; né sarebbe concludente il riferimento all’art. 138, secondo comma, c.p.c. sul perfezionamento della notificazione a “mani proprie” in caso di rifiuto di riceverla da parte del destinatario, giacché “la responsabilità, in ipotesi anche colposa, di lasciare la casella di p.e.c. satura, non può equivalere a un intenzionale rifiuto di ricevere notificazione tramite essa, tanto più attesa l’alternativa elezione di domicilio fisico utilizzabile”.
La Sezione rimettente evidenzia, in ogni caso, che, secondo la citata Cass. n. 40758/2021, la circostanza di aver eletto domicilio fisico “assume carattere dirimente” perché il notificante debba attivarsi nuovamente in base alle regole generali di cui agli artt. 137 e ss. c.p.c., giacché, diversamente, non può “sussistere alcun altro affidamento, da parte del notificatario, se non alla propria costante gestione della casella di posta elettronica, e nessun’altra appendice alla condotta esigibile dal notificante”.
2.3. – L’ordinanza interlocutoria della Terza Sezione si interroga, altresì, sull’effettiva tenuta “sia sul piano del metodo, che del risultato ermeneutico” delle impostazioni, tra loro divergenti, che, dunque, si registrano nella giurisprudenza di questa Corte sul tema controverso.
Il Collegio rimettente, per un verso, evidenzia che l’opzione interpretativa seguita da Cass. n. 40758/2021 si legherebbe ad “una specifica caratteristica della fattispecie”, per cui, in ipotesi di “casella piena” della PEC del destinatario della notificazione, l’onere di ripresa del procedimento notificatorio ovvero il perfezionamento della notificazione stessa risulterebbero condizionati, rispettivamente, dalla presenza o meno di una elezione di domicilio fisico. Soluzione, questa, che, però, non si confronterebbe «con la necessità di rinvenire, nell’ordito normativo, una regola generale che risolva le suddette questioni già all’interno della fattispecie “minima” (ossia, messaggio PEC non consegnato per “casella piena” del destinatario), a prescindere dall’elezione di domicilio».
Per altro verso, argomenta ancora la Terza Sezione, l’orientamento “più rigoroso”, espresso da Cass. n. 3164/2020, pur meritando “apprezzamento” le esigenze che esso intende garantire (e cioè, evitare che gli operatori siano disincentivati “dalla necessaria cura del proprio indirizzo PEC e degli specifici adempimenti connessi alla peculiarità del mezzo telematico ormai in via generalizzata in posto come modalità di interazione tra i soggetti tenuti a dotarsene”), verrebbe, “sostanzialmente”, a fare applicazione analogica dell’art. 16, comma 6, del d.l. n. 179 del 2012, “senza però adeguatamente considerare” che il relativo art. 3-bis, comma 3 (nel testo applicabile ratione temporis), prevede che la notifica si perfezioni per il destinatario “nel momento in cui viene generate la ricevuta di avvenuta consegna”.
Sicché, non sarebbe configurabile, “almeno con riferimento al caso della notifica diretta da parte dell’avvocato”, una lacuna normativa, avendo la legge dettato una specifica regola che “non pare ammettere equipollenti”. E tale regola – prosegue l’ordinanza interlocutoria - non risulterebbe, comunque, “oggetto di approfondimento, né di confronto”, da parte dell’orientamento in esame, con quella dettata dall’art. 149-bis, comma terzo, c.p.c., poiché il ritenuto perfezionamento della notifica per saturazione della casella di PEC prescinderebbe anche dalla “mera conoscibilità” del contenuto della notificazione stessa, non potendo applicarsi la disciplina dell’art. 16, comma 4, del d.m. n. 44/2011, “relativa alle sole comunicazioni dell’ufficio”, né potendo equipararsi quella recata dall’art. 138, secondo comma, c.p.c., concernente il rifiuto di ricevere la consegna dell’atto.
La Sezione rimettente dà, altresì, evidenza al fatto che, anche argomentando in termini di “autoresponsabilità e di affidamento” al fine di corroborare la soluzione “più rigorosa” del perfezionamento della notificazione telematica in caso di “casella piena” del destinatario della PEC, occorre, però, confrontarsi con la regola dettata dal citato art. 3-bis, comma 3, che non autorizzerebbe altra interpretazione che quella del perfezionamento della notifica soltanto con la generazione del messaggio di “avvenuta” consegna.
E in questi termini sarebbero apprezzabili ulteriori dati normativi presenti nel sistema vigente [art. 15, comma 3, della legge fall., come modificato dall’art. 17, lett. a), del d.l. n. 179/2012, convertito con modificazioni, nella legge n. 221/2012; art. 40, commi 6, 7 e 8, del d.lgs. n. 14/2019, entrato in vigore il 15 luglio 2022], da cui si evincerebbe che la mancata consegna del messaggio di PEC, anche per causa imputabile al destinatario, “non comporta mai il perfezionamento della notifica, sempre occorrendo una ulteriore iniziativa del notificante, quale che sia”.
Un esito, questo, che trova conferma – conclude il Collegio rimettente – anche nella recente riforma processuale recata dal d.lgs. n. 149/2022, che ha introdotto l’art. 3-ter della legge n. 53/1994 (poi modificato dalla legge n. 87/2023).
3. - Ritengono queste Sezioni Unite che la questione di diritto, oggetto del contrasto giurisprudenziale ravvisato dall’ordinanza interlocutoria n. 32287/2023, debba essere risolta in forza del seguente principio di diritto, che dà continuità ad un’opzione ermeneutica già presente nella giurisprudenza di questa Corte e che si colloca nell’ottica prospettica che la stessa Sezione rimettente appare privilegiare come soluzione sistematica e in linea con le coordinate della materia (cfr. § 2.3. che precede).
Il principio di diritto che va, quindi, affermato è il seguente:
«nel regime antecedente alla novella recata dal d.lgs. n. 149 del 2022, la notificazione a mezzo PEC eseguita dall’avvocato ai sensi dell’art. 3-bis della legge n. 53 del 1994 non si perfeziona nel caso in cui il sistema generi un avviso di mancata consegna, anche per causa imputabile al destinatario (come nell’ipotesi di saturazione della casella di PEC con messaggio di errore dalla dicitura “casella piena”), ma soltanto se sia generata la ricevuta di avvenuta consegna (c.d. “RdAC”). Ne consegue che il notificante, ove debba evitare la maturazione a suo danno di un termine decadenziale, sarà tenuto a riattivare tempestivamente il procedimento notificatorio attraverso le forme ordinarie di cui agli artt. 137 e ss. c.p.c., potendo così beneficiare del momento in cui è stata generata la ricevuta di accettazione della originaria notificazione inviata a mezzo PEC».
3.1. – Come detto, non mancano precedenti che cospirano nel senso indicato dal principio appena enunciato.
Secondo Cass., Sez. VI-5, 20 luglio 2018, n. 19397 (e in senso conforme anche Cass., Sez. VI-5, 18 novembre 2019, n. 29851) “l’esito negativo della notifica, sia pure chiaramente imputabile al destinatario per non aver reso possibile la ricezione di messaggi sulla propria casella di PEC, non consente di ritenere perfezionata tale notifica a mezzo PEC; non si applica, invero, con riguardo alla ricevuta di mancata consegna generata a seguito di notifica telematica effettuata da un avvocato ai sensi della l. n. 53 del 1994, la disciplina prevista nel caso in cui la ricevuta di mancata consegna venga generata a seguito di notifica (o comunicazione) effettuata dalla Cancelleria”. Prosegue, quindi, l’ordinanza affermando che l’articolo 16, comma 6, d.l. n. 179 del 2012 “è riferibile [...] esclusivamente alle comunicazioni/notificazioni della cancelleria e non anche alle notifiche effettuate a mezzo PEC dagli avvocati, il che impone, dunque, di provvedere a rinnovare la notifica dell’atto secondo le regole generali dettate dagli artt. 137 e ss. c.p.c., anche nel caso in cui la notifica effettuata non vada a buon fine per causa imputabile al destinatario, atteso che la notifica si perfeziona unicamente al momento della generazione della ricevuta di avvenuta consegna”.
Negli stessi termini si orienta la successiva Cass., Sez. Lav., 30 dicembre 2019, n. 34736, la cui motivazione si sviluppa anche più approfonditamente, mettendo in risalto, tra l’altro, che “soltanto per la notifica a mezzo cancelleria vi è una garanzia presidiata da una misura organizzativa, ossia uno strumento che ripercorre la norma consentendo il depositato in cancelleria dell’atto non ricevuto dal destinatario per causa allo stesso imputabile e la previsione normativa che regola tali notificazioni di cancelleria non è estensibile ad ipotesi, quale quella qui scrutinata, non assistita da analoga garanzia, verificandosi diversamente una conseguenza punitiva e sanzionatoria che non trova alcun appiglio normativo. Tuttavia, la peculiarità dell’ipotesi che conduce all’impossibilità di ritenere la notifica come effettuata, può essere eccessivamente penalizzante per il notificante sul quale ricadrebbero in toto le conseguenze del negligente comportamento del destinatario della notifica, ciò che dovrebbe indurre a ritenere utilmente richiamabile nella fattispecie considerati i principi espressi da ultimo da Cass. s. u. 17.5.2016 n. 14594, cui sono conformi, tra le altre, Cass. 31.7.2017 n. 19059, Cass. 11.5.2018 n. 11485. Il principio affermato è quello alla cui stregua, in notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni imputabili al notificante, questi, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria (con rilevanza del termine iniziale di attivazione del procedimento), deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa”.
Il percorso così tratteggiato è seguito anche da Cass., Sez. VI-3, 26 maggio 2021, n. 14446.
In questo più ampio contesto trovano, dunque, radici più salde le ragioni che stanno alla base dell’enunciato principio di diritto e che possono essere sintetizzate nei termini di seguito precisati.
Con l’avvertenza, sin d’ora, che, ove non altrimenti specificato, il compendio normativo al quale si farà riferimento è quello rilevante ratione temporis per la decisione e, dunque, sostanziato dalle disposizioni precedenti alla riforma processuale di cui al d.lgs. n. 149 del 2022 e successive modificazioni, nonché alla novellazione del d.m. n. 44/2011 recata dal d.m. 29 dicembre 2023, n. 217.
3.2. - L’art. 3-bis, comma 3, della legge n. 53/1994 prevede testualmente: “La notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, nel momento in cui viene generata la ricevuta di accettazione prevista dall’articolo 6, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, e, per il destinatario, nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna prevista dall’articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68”.
Giova rammentare che ai sensi dell’art. 6 del d.p.r. n. 68/2005 (Regolamento recante disposizioni per l’utilizzo della posta elettronica certificata), la ricevuta di avvenuta consegna è fornita al mittente dal gestore di PEC utilizzato dal destinatario della notificazione (comma 2) e la “RdAC” dà al mittente la “prova che il suo messaggio di posta elettronica certificata è effettivamente pervenuto all’indirizzo elettronico dichiarato dal destinatario e certifica il momento della consegna tramite un testo, leggibile dal mittente, contenente i dati di certificazione” (comma 3). La “RdAC”, che può “contenere anche la copia completa del messaggio di posta elettronica certificata consegnato” (comma 4), è, quindi, “rilasciata contestualmente alla consegna del messaggio di posta elettronica certificata nella casella di posta elettronica messa a disposizione del destinatario dal gestore, indipendentemente dall’avvenuta lettura da parte del soggetto destinatario” (comma 5).
L’art. 3-bis, comma 3, della legge n. 53/1994 disciplina, dunque, una fattispecie di perfezionamento della notificazione che si fonda, esclusivamente, sulla “RdAC”, la quale, a sua volta, è evento specificamente regolato con effetti determinati.
Dunque, è anzitutto la “legge” - in base alla quale “è regolato” il “giusto processo” (art. 111, primo comma, Cost.) - a perimetrare con chiarezza le modalità e il momento in cui si “perfeziona” la notificazione telematica dell’atto processuale eseguita dall’avvocato.
E una diversa curvatura della regola dettata dall’art. 3-bis, comma 3, della legge n. 53/1994 non si rinviene nella normativa regolamentare (adottata con decreti ministeriali: d.m. n. 44/2011 e successive modificazioni) abilitata dall’art. 4 del decreto-legge n. 193/2009 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 24/2010) a dettare “le regole tecniche per l’adozione nel processo civile … delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione” e che – come anche argomentato nelle memorie del pubblico ministero – è da ritenersi (solo) integrativa della fonte primaria.
L’art. 18, comma 6, del d.m. 44/2011 ribadisce, per la notifica telematica ex art. 3-bis, comma 3, della legge n. 53/1994, la necessità della “RdAC” ed anzi precisa che deve essere “quella completa, di cui all’articolo 6, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68”.
L’art. 20 dello stesso d.m. 44/2011, richiamato segnatamente da Cass. n. 3164/2020 (e dalle altre pronunce conformi) – il quale detta una disposizione che effettivamente impone al “soggetto abilitato esterno” (tra cui, in particolare, l’avvocato) di dotarsi di una casella di PEC conforme agli obblighi previsti dal d.P.R. n. 68/2005 e, in particolare, di “verificare l’effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione” (comma 5) e, dunque, di vigilare diligentemente sulla possibile saturazione della casella di PEC - non disciplina affatto gli effetti dell’inadempimento di tale obbligo, né, a tal fine, dispone, pur afferendo all’ambito delle notifiche eseguite (anche) dagli avvocati, una fictio iuris del perfezionamento della notificazione che immuti proprio la previsione legale di cui all’art. 3-bis, comma 3, della legge n. 53/1994.
In definitiva, un’interpretazione che intenda ritenere perfezionata la notifica a mezzo PEC ai sensi del citato art. 3-bis, comma 3, anche in assenza di “RdAC” trova già deciso ostacolo nella stessa lettera della legge.
3.3. – Non è, però, soltanto il mero enunciato normativo di cui all’art. 3-bis, comma 3, della legge n. 53/1994 ad impedire una tale soluzione, venendo essa contrastata da una lettura sistematica dell’assetto ordinamentale che, ispirato dai principi superiori della materia, rinviene coordinate comuni quanto agli effetti delle notificazioni a mezzo PEC non andate a buon fine per causa imputabile al destinatario.
3.4. - In tal senso, rimanendo nel perimetro delle notificazioni degli atti in materia civile al difensore da eseguirsi “ad istanza di parte”, una indiretta, ma significativa conferma del principio per cui la notificazione a mezzo PEC, il cui esito non sia la generazione della “RdAC” per causa imputabile al destinatario, non per ciò stesso può reputarsi perfezionata, si rinviene nell’art. 16-sexies del d.l. n. 179/2012, come modificato dal d.l. n. 90/2014.
La disposizione – fatta salva la disciplina appositamente prevista per il giudizio di legittimità [per il quale l’art. 366, secondo comma, c.p.c. prevede, come alternativa all’indicazione dell’indirizzo di PEC del difensore del ricorrente (o del controricorrente, in base al richiamo operato dall’art. 370 c.p.c.), l’elezione del domicilio in Roma] - così stabilisce: “… quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui all’articolo 6- bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia”.
In questo caso la norma – che ha inteso superare l’obbligo, divenuto non più attuale, dell’elezione del domicilio “fisico” per il difensore extra-districtum nel Comune nel cui circondario ha sede il giudice adito (art. 82 del r.d. n. 37 del 1934: cfr., tra le altre, Cass., 11 luglio 2017, n. 17048) – impone espressamente di procedere ad una nuova notificazione, nel caso specifico da effettuarsi in cancelleria, ove la notificazione a mezzo PEC, da doversi necessariamente utilizzare nei confronti del difensore, non si sia perfezionata proprio per causa imputabile al destinatario.
Ciò che, del resto, analogamente prevede(va) il citato art. 366, comma secondo (come sostituito dall’art. 25 della legge 11 novembre 2011, n. 183), c.p.c. nel caso in cui, mancando l’elezione di domicilio in Roma, sia altresì carente l’indicazione da parte dell’avvocato dell’indirizzo PEC comunicato all’ordine, ossia in ipotesi di notificazione non eseguibile per causa imputabile al destinatario della stessa.
3.5. – Il principio anzidetto, che l’ordinamento fa proprio per le notificazioni a mezzo PEC ad “istanza di parte”, trova ulteriore seguito nella disciplina che l’art. 16 del d.l. n. 179/2012 detta, specificamente, per il distinto ambito delle comunicazioni e notificazioni telematiche di cancelleria.
In linea più generale, l’art. 16, comma 4, d.l. n. 179/2012 prevede che, nei procedimenti civili, “le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici”.
Il comma 6 dello stesso art. 16 stabilisce, quindi, che “le notificazioni e comunicazioni ai soggetti per i quali la legge prevede l’obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, che non hanno provveduto ad istituire o comunicare il predetto indirizzo, sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria. Le stesse modalità si adottano nelle ipotesi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario”.
A sua volta, il successivo comma 8 dispone che, “(q)uando non è possibile procedere ai sensi del comma 4 per causa non imputabile al destinatario, nei procedimenti civili si applicano l’articolo 136, terzo comma, e gli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile”.
Dunque, diversamente da quanto previsto per le notificazioni “ad istanza di parte” ai sensi della legge n. 53/1994 (il cui art. 3- bis non ha introdotto un obbligo per l’avvocato di procedere alla notificazione per via telematica, rendendo tale modalità solo facoltativa), nel caso delle comunicazioni/notificazioni di cancelleria è la stessa legge ad imporre che esse avvengano “esclusivamente” a mezzo PEC nei confronti dei soggetti obbligati a munirsene, con la conseguenza che un tale obbligo non è surrogabile altrimenti, salvo che la notificazione telematica sia impedita per ragioni oggettive, ossia per causa non imputabile al destinatario o in casi di notificazione da eseguirsi nei confronti di soggetto non tenuto a munirsi di PEC, dovendosi, quindi, fare ricorso, in siffatte ipotesi, alle forme ordinarie (art. 136 c.p.c. per le comunicazioni e artt. 137 e ss. c.p.c. per le notificazioni).
Risulta, pertanto, coerente con la regola della “esclusività” la previsione del citato comma 6 dell’art. 16, secondo cui, in caso di mancata consegna del messaggio di PEC per causa imputabile al destinatario, la comunicazione/notificazione si perfeziona con il deposito in cancelleria (e cioè, presso l’indirizzo PEC della cancelleria).
Del resto, anche in procedimenti diversi da quelli “civili”, come quelli già regolati dal regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nelle ipotesi di comunicazioni provenienti dall’ufficio giudiziario la mancata consegna del messaggio di PEC “per cause imputabili al destinatario” non ne comporta comunque il perfezionamento, essendo a tal fine necessario che le comunicazioni siano “eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria” (art. 31 bis, comma secondo, del r.d. n. 267/1942, introdotto dall’art. 17 del d.l. n. 179/2012) oppure – in base ad una diversa modalità prescelta dal legislatore, ma pur sempre in armonia con il principio anzidetto – che la notificazione (risultata impossibile o che abbia avuto esito negativo “per qualsiasi ragione”) del ricorso e del decreto di convocazione del debitore e dei creditori da parte del tribunale nel procedimento per la dichiarazione di fallimento sia (anzitutto) eseguita, a cura del ricorrente, “esclusivamente di persona”, ex art. 107, primo comma, del d.P.R. n. 1229/1959, “presso la sede risultante dal registro delle imprese” (art. 15, terzo comma, del r.d. n. 267/1942, sostituito dall'art. 17 del d.l. n. 179/2012).
3.6. - Ai fini del perfezionamento della comunicazione/notificazione telematica di cancelleria che non abbia avuto esito positivo per causa imputabile al destinatario si rivela, dunque, necessaria l’attivazione di una ulteriore modalità di esecuzione – il deposito in cancelleria o altra modalità che il legislatore ritenga equipollente -, non essendo sufficiente allo scopo il mero avviso di mancata consegna che il gestore di PEC rilascia al solo mittente, così da rendere il destinatario della comunicazione/notificazione ignaro di un siffatto evento.
In tal caso verrebbe sottratta a quest’ultimo anche la possibilità di venire a conoscenza che nei suoi confronti è stata effettuata una comunicazione/notificazione e ciò in collisione con gli art. 24 e 111 Cost. “in una materia nella quale, invece, le garanzie di difesa e di tutela del contraddittorio devono essere improntate a canoni di effettività e di parità” (così Corte cost., sentenza n. 3 del 2010; analogamente Corte cost., sentenza n. 67 del 2019), essendo lo scopo della comunicazione/notificazione proprio quello di assicurare al destinatario la possibilità, non meramente teorica, di conoscere l’atto del processo (Corte cost., sentenze 346 del 1998 e n. 175 del 2018; tra le altre anche Cass., 4 marzo 2020, n. 6089).
Sicché, l’onere di diligenza e la connessa autoresponsabilità per non avervi adempiuto possono farsi carico al notificatario soltanto ove operi una disciplina che consenta già allo stesso notificante di fare affidamento sull’attivazione di meccanismo di notificazione che siano idonei ad assicurare al destinatario della notificazione “il diritto di difesa, nella sua declinazione di conoscibilità”, dell’atto/attività processuale (così Corte cost., sentenza n. 146 del 2016). Ed è significativo che la citata sentenza n. 146 del 2016, seppure non in riferimento ad un procedimento “civile”, ossia alla notifica del ricorso per la dichiarazione (dell’allora) di fallimento e del decreto di fissazione dell'udienza (art. 15, terzo comma, del r.d. n. 267/1942, citato), ha individuato il momento originante l’autoresponsabilità del debitore, per non aver assolto agli obblighi di legge su di lui incombenti (dotarsi di indirizzo PEC e aver indicato l’indirizzo della sede legale dell’impresa nell’apposito registro), nell’esito negativo di un “duplice meccanismo di notifica”, prima a mezzo PEC e poi presso la sede legale dell’impresa collettiva, per cui solo in tal caso “il deposito dell’atto introduttivo della procedura fallimentare presso la casa comunale ragionevolmente si pone come conseguenza immediata e diretta della violazione, da parte dell’imprenditore collettivo, dei descritti obblighi impostigli dalla legge”.
Dunque, nei procedimenti “civili”, il deposito in cancelleria della comunicazione/notificazione nel caso di mancata generazione della “RdAC” per causa imputabile al destinatario è modalità di esecuzione che ne assicura la conoscibilità.
Il destinatario, infatti, è “nella condizione di prendere cognizione degli estremi della comunicazione medesima, in quanto il sistema invia un avviso al portale dei servizi telematici, di modo che il difensore destinatario, accedendovi, viene informato dell’avvenuto deposito” (Cass., Sez. II, 9 agosto 2018, n. 20698).
In tal senso dispone l’art. 16, comma 4, del d.m. n. 44/2011, precisando che: “… nel caso in cui viene generato un avviso di mancata consegna previsto dalle regole tecniche della posta elettronica certificata, si procede ai sensi del comma 3 del medesimo articolo 51 e viene pubblicato nel portale dei servizi telematici, secondo le specifiche tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 34, un apposito avviso di avvenuta comunicazione o notificazione dell’atto nella cancelleria o segreteria dell’ufficio giudiziario, contenente i soli elementi identificativi del procedimento e delle parti e loro patrocinatori. Tale avviso è visibile solo dai soggetti abilitati esterni legittimati ai sensi dell’articolo 27, comma 1, del decreto ministeriale 21 febbraio 2011, n. 44” (ossia, agli avvocati costituiti in giudizio e alle parti private personalmente).
Un tale meccanismo di garanzia, invece, non è affatto contemplato nell’ipotesi di notificazione telematica ex art. 3-bis, comma 3, della legge n. 53/1994 che abbia avuto esito di mancata consegna per causa imputabile al destinatario, il quale, dunque, ove si ritenesse comunque perfezionata la notificazione stessa, non avrebbe possibilità alcuna di venirne a conoscenza.
Tuttavia, il coordinamento sistematico tra la lettera della disposizione, l’assetto ordinamentale della specifica materia nel quale lo stesso citato art. 3-bis si colloca e i richiamati principi costituzionali consentono, per l’appunto, di ritenere diversamente, ossia che, non essendosi perfezionata la notificazione - anche se per una causa imputabile al destinatario della stessa (tra cui è da annoverare pure il rifiuto del messaggio di PEC per essere la relativa “casella piena”) -, l’avvocato notificante dovrà fare ricorso alle forme ordinarie di cui agli artt. 137 e ss. c.p.c.
3.7. – Un siffatto esito ermeneutico non è affatto ostacolato dall’enunciato del comma terzo dell’art. 149-bis c.p.c., secondo il quale il perfezionamento della notifica si ha nel “momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella casella di posta elettronica certificata del destinatario”.
L’espressione “rende disponibile” ivi utilizzata dal legislatore non soltanto è, di per sé, “neutra” (così la citata Cass. n. 40758/2021), ma rinviene un significato suo proprio se letta nell’intero sviluppo del periodo nel quale è inserita e, quindi, nel contesto della norma complessivamente considerata.
Il documento informatico notificato telematicamente dall’ufficiale giudiziario è reso disponibile al destinatario proprio “nella” sua “casella” di PEC, così da far intendere che è la casella di PEC del destinatario a dover contenere quel documento, ciò che non sarebbe nel caso di mancata consegna e tanto non solo per causa imputabile al destinatario, ma anche per ragioni oggettive ad esso estranee.
La conferma in tal senso si rinviene dalla ulteriore disciplina dettata dall’art. 149-bis c.p.c., la quale, oltre a non imporre l’esclusività del canale telematico per la notificazione (primo comma), prevede, segnatamente, che l’ufficiale giudiziario, “(e)seguita la notificazione” (quinto comma), restituisce al mittente, oltre all’atto “notificato” e alla “relazione di notificazione”, anche gli “allegati previsti dal quinto comma” (comma sesto) e cioè le “ricevute di invio e di consegna previste dalla normativa, anche regolamentare, concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici trasmessi in via telematica” (quinto comma). La restituzione al mittente della “ricevuta di consegna” è da intendersi come prova dell’avvenuta consegna ai sensi del citato art. 6 del d.P.R. n. 68/2005 (la “RdAC”), la quale può, infatti, darsi soltanto a notificazione “eseguita”, ossia a notificazione che abbia avuto buon fine alla stregua della modalità di volta in volta stabilita dal legislatore, come, del resto, si evince dalla complessiva disciplina sulle forme ordinarie di notificazione di cui agli artt. 137 e ss. c.p.c. là dove si fa specifico riferimento alla ‘esecuzione’ delle notificazioni.
Nei termini così delineati converge, altresì, la normativa regolamentare, richiamata dal quinto comma dell’art. 149-bis c.p.c. L’art. 17 del d.m. n. 44/2011, che disciplina le notificazioni per via telematica dell’ufficiale giudiziario (UNEP), al comma 5 prevede – in coerenza con la regolamentazione codicistica – che il sistema informatico dell’UNEP, “eseguita la notificazione”, provvede alla trasmissione per via telematica “a chi ha richiesto il servizio”, del documento informatico (con la relazione di notificazione) e delle “ricevute di posta elettronica certificata, secondo le specifiche tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 34”; ricevute che, come visto, la norma del codice di rito individua come “di invio e di consegna”.
A sua volta, l’art. 19 (concernente le “Notificazioni per via telematica a cura degli uffici NEP”) delle specifiche tecniche alle quali rinvia l’art. 34 del d.m. n. 44/2011 (specifiche dettate con provvedimento del 16 aprile 2014 del Responsabile per i sistemi informativi automatizzati della Direzione generale per i sistemi informativi automatizzati, nella versione da ultimo modificata con decreto del 26 luglio 2021, applicabile ratione temporis) esibisce, al comma 6, la stessa formulazione del citato comma 5 dell’art. 17 del d.m. n. 44/2011, facendo, quindi, ancora riferimento alle “ricevute di posta elettronica”.
Tra queste, le ricevute di consegna sono da intendersi, tecnicamente, di “avvenuta consegna” (“RdAC”), come si evince chiaramente dagli artt. 16, comma 4, del d.m. n. 44/2011 e 17, comma 3, delle specifiche tecniche, là dove entrambe le disposizioni distinguono tali “ricevute” dagli “avvisi di mancata consegna”, dando evidenza anche terminologica alla differenza tra i due eventi.
Del resto, ben si comprende come una tale distinzione sia presente solo nella disciplina che attiene alle comunicazioni/notificazioni di cancelleria, essendo solo per queste - e non già per le notificazioni per via telematica dell’ufficiale giudiziario - previsto, in caso di mancata consegna, il deposito in cancelleria in ipotesi di mancata consegna per causa imputabile al destinatario e l’attivazione dell’ulteriore meccanismo di garanzia costituito dalla pubblicazione nel portale dei servizi telematici (PST) di apposito avviso di avvenuta comunicazione/notificazione dell’atto in cancelleria.
3.8. – Né dall’art. 138, secondo comma, c.p.c. può trarsi argomento che possa superare, in modo convincente, quanto evidenziato in termini di ricognizione del sistema e indurre a ritenere, diversamente, che la notificazione telematica ai sensi della citata legge n. 53/1994 possa dirsi “eseguita” pur in ipotesi di mancata consegna per causa imputabile al destinatario.
La fictio iuris della notificazione “fatta in mani proprie” in caso di rifiuto del destinatario di ricevere la copia dell’atto che l’ufficiale giudiziario sta tentando di consegnare è espressione di un intenzionale contegno del destinatario stesso, che non è dato assimilare alla “responsabilità, in ipotesi anche colposa, di lasciare la casella di p.e.c. satura” (così la citata Cass. n. n. 40758/2021).
E a tal riguardo varrà anche considerare che il destinatario, nel rifiutare intenzionalmente la consegna a sue mani dell’atto giudiziario, ha avuto in tal modo cognizione della tentata notifica nei suoi confronti, là dove, invece, la consapevolezza anche di un tale evento rimane affatto impedita nel caso di mancata consegna della notificazione telematica, ad istanza di parte, per causa imputabile al destinatario stesso.
3.9. – L’assetto così delineato, su cui poggia il principio di diritto enunciato in questa sede, rinviene ulteriore e significativo conforto dalla disciplina recata dalla riforma del processo civile del 2022, per quanto qui rileva con effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023, come stabilito dall’articolo 35, comma 1, del d.lgs. 149/2022 medesimo, in forza della modifica recata dall’articolo 1, comma 380, lettera a), della legge 29 dicembre 2022, n. 197.
In tale prospettiva vale rammentare (alla stregua di quanto già enunciato da Cass., S.U., 28 gennaio 2021, n. 2061e poi ripreso da Cass., S.U., 9 settembre 2021, n. 24413) che il canone dell’interpretazione c.d. evolutiva (o storico-evolutiva) - che si coordina con gli altri (letterale, teleologico, sistematico) per guidare lo svolgimento dell’interpretazione giuridica, così da costituire un complesso di criteri filtranti la ‘lettura’ delle norme, le quali, in quanto modelli deontici di condotta, necessitano di trovare concreta attuazione e, quindi, di essere immerse nella realtà viva e mutevole dell’ordinamento - può ben esplicare la propria modalità operativa anche nutrendosi del diritto positivo di più recente conio, successivo, dunque, all’assetto regolatorio pertinente alla disciplina da interpretare, gettando su di essa una luce retrospettiva capace di disvelarne senso e orientamento, semmai anche differenti da quelli sino ad allora affermati, ove rispondenti alle predette esigenze.
La riforma del 2022 ha introdotto, anzitutto, l’obbligatorietà della notifica a mezzo PEC da parte dell’avvocato: così l’art. 3-ter della legge n. 53/1994, inserito dall’art. 12, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 149/2022 e analogamente la norma generale dell’art. 137, commi sesto e settimo, c.p.c. [novellati dall’art. 3, comma 11, lett. b), n. 2, del d.lgs. n. 149/2022], per cui l’avvocato provvede a termini di legge e la richiede all’ufficiale giudiziario soltanto ove non gli sia possibile la notificazione telematica.
Il citato art. 3-ter disciplina poi gli effetti della notificazione a mezzo PEC non andata a buon fine.
Il comma 2 prevede, infatti, che: “…quando per causa imputabile al destinatario la notificazione a mezzo di posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato non è possibile o non ha esito positivo: a) se il destinatario è un’impresa o un professionista iscritto nell’indice INI- PEC di cui all’articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, l’avvocato esegue la notificazione mediante inserimento a spese del richiedente nell’area web riservata prevista dall’articolo 359 del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, dichiarando la sussistenza di uno dei presupposti per l’inserimento; la notificazione si ha per eseguita nel decimo giorno successivo a quello in cui è compiuto l’inserimento; b) se il destinatario è una persona fisica o un ente di diritto privato non tenuto all’iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese e ha eletto il domicilio digitale di cui all’ articolo 6-quater del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, l’avvocato esegue la notificazione con le modalità ordinarie”.
Il successivo comma 3 regola, poi, il caso di notificazione impossibile o con esito negativo “per causa non imputabile al destinatario”, disponendo che venga eseguita “con le modalità ordinarie”.
L’efficacia delle disposizioni dettate dai citati commi 2 e 3 dell’art. 3-ter è stata sospesa, dapprima, sino al 31 dicembre 2023 in forza dell’art. 4-ter, comma 1, del d.l. 10 maggio 2023, n. 51 (convertito, con modificazioni, nella legge 3 luglio 2023, n. 87) e, poi, sino al 31 dicembre 2024 dall’art. 11, comma 5-bis, del d.l. 30 dicembre 2023, n. 215 (convertito, con modificazioni, nella legge 23 febbraio 2024, n. 18).
Tuttavia, la normativa che ha disposto la sospensione dell’efficacia delle anzidette disposizione ha anche precisato che: “Fino a tale data, quando la notificazione ai sensi del comma 1 dell’articolo 3-ter della citata legge n. 53 del 1994 non è possibile o non ha esito positivo, essa è eseguita con le modalità ordinarie e si perfeziona, per il soggetto notificante, nel momento in cui è generata la ricevuta di accettazione della notificazione dallo stesso inviata mediante posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato”.
Il differimento dell’espressa, innovativa previsione circa il perfezionamento della notifica in caso di mancata consegna per causa imputabile è, infatti, dovuto proprio alla mancanza del luogo di “messa a disposizione” della notifica (vale a dire l’area web), come elemento essenziale per configurare il meccanismo, innanzi ricordato, già realizzato con le comunicazioni e notificazioni di cancelleria (consultazione tramite PST).
Ed è in ogni caso significativo quanto puntualizzato dall’art. 3-ter là dove collega il perfezionamento della notificazione non già alla mera mancata consegna per causa imputabile al destinatario, ma al decimo giorno successivo a quello in cui è compiuto l’inserimento nell’area web; inserimento che, dunque, è essenziale e necessario proprio perché il perfezionamento della notifica si realizza soltanto con la relativa messa a disposizione del destinatario.
Del resto, come in precedenza evidenziato, anche l’art. 16, comma 6, del d.l. n. 179/2012 collega il perfezionamento della comunicazione/notificazione di cancelleria con il deposito dell’atto nella cancelleria stessa e non con la mera generazione del messaggio di “casella piena”.
Infine, anche secondo l’art. 3-ter, la mancata notifica per causa imputabile al destinatario che sia persona fisica o un ente di diritto privato non tenuto all’iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese e ha eletto il domicilio digitale di cui all’ articolo 6-quater del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, si esegue con modalità ordinarie.
In questo caso c’è stato un disallineamento rispetto ai principi della legge delega, giacché l’art. 1, comma 20, lett. b), prevedeva che in tutti i casi di notificazione a mezzo PEC con esito negativo per causa imputabile al destinatario si procedesse “esclusivamente mediante inserimento, a spese del richiedente, nell’area web riservata di cui all’articolo 359 del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, 14”.
La Relazione illustrativa al d.lgs. n. 149/2022 (in G.U., serie generale n. 245, supplemento ordinario n. 5 del 19 ottobre 2022) dà ragione di un tale “leggero discostamento dal principio di delega”, evidenziando che la scelta di far eseguire la notificazione nelle forme ordinarie è stata effettuata “in considerazione della particolare delicatezza del procedimento notificatorio, che deve tendere ad assicurare quanto più possibile che il destinatario abbia effettiva conoscenza dell’atto”.
Pertanto, proprio nell’ottica delle garanzie della difesa – che nel caso della notificazione, come detto, assumono una rilevanza affatto particolare, giacché strumento necessario per il relativo esercizio nell’ambito di un processo che assicuri effettività al contraddittorio tra le parti -, trova ulteriore e significativa conferma la mancanza di equivalenza fra oneri di tenuta PEC e perfezionamento o meno della notifica; perfezionamento che, dunque, richiede pur sempre un quid pluris rispetto al mero evento della mancata consegna del messaggio di PEC e dei relativi allegati, anche se dovuta a causa imputabile al destinatario.
3.10. – Va, infine, precisato che il mancato assolvimento all’onere di diligenza nella tenuta e nel controllo della casella di PEC da parte del soggetto abilitato esterno, imposto dall’art. 20 del d.m. n. 44/2011, non è senza effetti, non potendo ridondare in danno del notificante.
Trova, infatti, applicazione il principio ribadito da questa Sezioni Unite con la sentenza n. 14594 del 15 luglio 2016, secondo cui in caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento.
Pertanto, ove la notificazione telematica ad istanza di parte, effettuata dall’avvocato ai sensi dell’art. 3-bis della legge n. 53/1994, non si sia perfezionata per una causa imputabile al destinatario (ipotesi che annovera quella della casella di PEC del destinatario “piena”) e ciò abbia comportato la scadenza di un termine processuale stabilito a pena di decadenza, il notificante potrà attivare nuovamente, e tempestivamente, il procedimento notificatorio e beneficiare, ai fini del rispetto del termine di decadenza posto a suo svantaggio, del momento in cui è stata inviata la originaria notifica a mezzo PEC (con generazione, quindi, della ricevuta di accettazione), seppur esitata con avviso di mancata consegna per una causa imputabile al notificatario.
4. - Alla luce del principio di diritto enunciato inizialmente (al § 3), il ricorso è, pertanto, ammissibile.
La OMISSIS s.a.s. ha provveduto unicamente alla notificazione a mezzo PEC della sentenza di appello in data 31 ottobre 2021, eseguita ai sensi della legge n. 53/1994 e non andata a buon fine per causa imputabile al difensore degli appellanti (attuali ricorrenti).
Sicché, non potendo tale notificazione telematica reputarsi perfezionata, ne consegue che il termine per l’impugnazione della sentenza era quello di sei mesi di cui all’art. 327 c.p.c. e non già il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c.
Dunque, il ricorso, notificato in data 24 gennaio 2022, è stato tempestivamente proposto, poiché la sentenza di appello è stata resa pubblica il 28 ottobre 2021.
5. – Rigettata, pertanto, l’eccezione di tardività del ricorso e dichiarato questo ammissibile, l’esame dei relativi motivi va rimesso alla Terza Sezione civile.
Le spese del giudizio di legittimità saranno regolate con la sentenza definitiva.
P.Q.M.
rigettando l’eccezione di tardività del ricorso, lo dichiara ammissibile e ne rimette l’esame alla Terza Sezione civile, unitamente alla regolazione delle spese del giudizio.