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17 maggio 2021
Nessuna riqualificazione giuridica del fatto se sfavorevole al reo

La Corte Costituzionale chiarisce il divieto di riqualificare un fatto contestato all'imputato tutte le volte in cui costituisca un'ipotesi di analogia in malam partem.

a cura di La Redazione

Il Tribunale di Torre Annunziata sollevava la questione di legittimità costituzionale in relazione all'art. 521 c.p.p., con riferimento agli artt. 3,24 e 111 della Costituzione, «nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato, allorquando sia invitato dal giudice del dibattimento ad instaurare il contraddittorio sulla riqualificazione giuridica del fatto, di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al fatto diversamente qualificato dal giudice in esito al giudizio».

Il caso da cui trae origine la questione sottoposta alla Consulta riguarda un imputato accusato di atti persecutori, al quale veniva prospettata, in esito al dibattimento, la possibilità di riqualificare i fatti contestatogli nella diversa e più grave fattispecie di maltrattamenti in famiglia. A fronte di detta modifica, l'imputato chiedeva di essere ammesso al giudizio abbreviato.
Considerato che il codice di rito vieta di chiedere il rito abbreviato al termine del dibattimento, il giudice rimettente riteneva che tale preclusione fosse incompatibile con i principi del giusto gusto processo e di uguaglianza e pertanto chiede alla Corte Costituzionale di esprimersi sulla questione in esame.

Nelle sue argomentazioni la Consulta ricorda anzitutto il criterio interpretativo in materia penale sancito all'art. 25, secondo comma, Cost. che vieta di applicare la legge a situazioni non ascrivibili ad uno dei significati letterali delle espressioni utilizzate dal legislatore al fine di garantire al cittadino la prevedibilità dell'applicazione della legge penale.
Nel caso in esame, la Corte Costituzionale osserva che il giudice rimettente non aveva spiegato i motivi per i quali aveva ritenuto sussistenti i presupposti del mutamento della qualificazione giuridica del fatto, considerando che il reato di maltrattamenti in famiglia presuppone che le condotte abusive siano compiute nei confronti della stessa famiglia oppure di una persona convivente, mentre nel caso di specie la relazione tra vittima e imputato era durata poco tempo e con una permanenza non continuativa presso l'abitazione del partner.
Pertanto, in assenza di tale dimostrazione, con sentenza n. 98 del 14 maggio 2021, la Consulta ritiene non applicabile il reato di maltrattamenti in famiglia in luogo di quello di atti persecutori in quanto «costituirebbe il frutto di una interpretazione analogica in sfavore del reo della norma penale, come tale vietata dall'art. 25, secondo comma, Cost.»

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