Sulla scorta dell’insegnamento della Corte costituzionale (sentenza n. 98/2021), con la sentenza in commento la Cassazione afferma che l’interruzione della convivenza comporta il venir meno del rapporto di necessaria prossimità tra autore del reato e persona offesa e, di conseguenza, impedisce la configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia.
La Corte d'Appello di Sassari confermava la condanna dell'imputato per il reato di maltrattamenti in famiglia ai danni della ex convivente.
Contro tale provvedimento, l'imputato propone ricorso in cassazione.
Con la sentenza n. 45520 del 30 novembre 2022, la Corte di Cassazione dichiara fondato il ricorso ma per un motivo diverso rispetto...
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Sassari confermava la condanna del ricorrente per il reato di maltrattamenti in famiglia, commesso a partire dal maggio del 2012 nei confronti di A.M., in epoca successiva alla cessazione della convivenza more uxorio, nel corso della quale era nato il figlio A..
2. avverso la predetta sentenza, il ricorrente ha formulato tre motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo, sostiene di non aver mai ricevuto alcuna notifica in ordine al procedimento in esame, sicchè la sentenza impugnata sarebbe affetta da nullità assoluta.
2.2. Con il secondo motivo, deduce il vizio di motivazione, evidenziando come la Corte di appello non avrebbe adeguatamente valutato le relazioni svolte dai servizi sociali, dalle quali sarebbe emersa una conflittualità reciproca. La condanna, pertanto, si era basata esclusivamente sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa che, essendosi costituita parte civile, era portatrice di un interesse patrimoniale a fronte del quale la sua attendibilità avrebbe richiesto una rigorosa verificata.
Inoltre, sottolinea come non fosse emerso un mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, circostanza ritenuta incompatibile con la natura del reato per il quale è intervenuta condanna.
2.3. Con il terzo motivo, infine, deduce vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche ed alla quantificazione della pena.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato, sia pur per un motivo diverso rispetto a quelli dedotti dal ricorrente.
2. Per quanto concerne la dedotta omessa vacatio in iudicium, la Corte di appello, nel rispondere all'analoga doglianza di nullità proposta in quella sede, evidenziava come l'imputato avesse ricevuto a mani proprie l'avviso di conclusione delle indagini, nonché la notifica del rinvio dell'udienza preliminare disposto a seguito della cancellazione dall'albo degli avvocati del difensore di fiducia nominato in precedenza. Il successivo decreto di rinvio a giudizio è stato ritenuto correttamente notificato, sia pur non a mani proprie, né il ricorrente ha dedotto vizi specifici di tale notifica. Quanto detto consente di affermare che il ricorrente ha avuto personale e sicura conoscenza del procedimento, sicchè alcuna nullità può ritenersi configurata.
3. Il secondo motivo di ricorso tende ad introdurre una rivalutazione nel merito, sovvertendo il conforme giudizio di colpevolezza espresso in primo e secondo grado.
Invero, dalla motivazione della sentenza impugnata risulta che le relazioni dei servizi sociali sono state valutate e dalle si è tratta ulteriore conferma delle gravi e reiterate aggressioni verbali e fisiche poste in essere ai danni della persona offesa, senza che sia emersa una reciprocità di condotte vessatorie, connotate da pari gravità, tale da poter consentire di escludere la sussistenza del reato.
Sono state valutate, inoltre, le plurime denunce sporte dalla persona offesa, nonchè il referto medico attestante le lesioni riportate nel luglio 2012, il tutto a conforto dell'attendibilità della ricostruzione dei fatti resa da quest'ultima.
4. Anche il terzo motivo di ricorso è inammissibile, posto che la Corte di appello, dopo aver dichiarato la prescrizione del reato di cui all'art. 570 cod. pen. originariamente posto in continuazione con quello di cui all'art. 572 cod. pen., ha rideterminato la pena per quest'ultima fattispecie, quantificandola nella misura già indicata dal giudice di primo grado. Orbene, in sede di appello la quantificazione della pena ed il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche non erano state oggetto di impugnazione, sicchè avverso tali statuizioni, rimaste immutate nel giudizio di appello, è preclusa la proposizione del ricorso per Cassazione.
5. Pur a fronte dell'infondatezza dei motivi di ricorso, deve rilevarsi d'ufficio l'erronea qualificazione giuridica del fatto per cui si procede.
Occorre premettere che la sentenza impugnata fornisce un dato certo per quanto riguarda l'inizio delle condotte maltrattanti, precisando che queste ebbero inizio solo a decorrere dal 20 maggio 2012, quando cessò totalmente la convivenza della coppia (si veda pg.17 sentenza di appello).
I fatti oggetto dell'imputazione, pertanto, si collocano tutti in un periodo in cui tra l'imputato e la persona offesa era venuta meno la convivenza more uxorio, il che impone di valutare d'ufficio la possibilità di ricondurre tale fattispecie nell'ambito del reato di maltrattamenti in famiglia.
Deve darsi atto del fatto che la questione era stata già esaminata in fase di appello e risolta nel senso di ritenere la configurabilità del reato di cui all'art.572 cod. pen. anche se le condotte erano state realizzate ai danni di persona non più convivente, sulla base dell'orientamento giurisprudenziale all'epoca prevalente (si veda pg.20 sentenza di appello).
La questione va, tuttavia, rivalutata alla luce del mutamento di giurisprudenza intervenuto sul punto ed indotto anche da una precisa indicazione proveniente da una recente sentenza della Corte costituzionale.
5.1. Sia pur non in modo uniforme, la pregressa giurisprudenza era prevalentemente orientata nel ritenere configurabile il delitto di maltrattamenti in famiglia anche nei casi di cessazione della convivenza more uxorio, quando tra i soggetti permaneva un vincolo assimilabile a quello familiare, in ragione di una mantenuta consuetudine di vita comune o dell'esercizio condiviso della responsabilità genitoriale ex art. 337-ter cod. civ. (da ultimo, Sez.6, n. 7259 del 26/11/2021, dep.2022, Rv. 283047).
La decisione richiamata si inseriva in un orientamento di legittimità ad avviso del quale il reato di maltrattamenti in famiglia sarebbe configurabile, nonostante l'avvenuta cessazione della convivenza, ove la relazione tra i soggetti rimanga comunque connotata da vincoli solidaristici, mentre si configurerebbe il reato di atti persecutori, nella forma aggravata prevista dall'art. 612-bis, comma secondo, cod. pen., quando non residui neppure un'aspettativa di solidarietà nei rapporti tra l'imputato e la persona offesa, non risultando insorti vincoli affettivi e di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale (tra le più recenti si veda Sez. 6, n. 37077 del 31/11/2020, Rv. 280431; Sez. 6, n. 37628 del 25/6/2019, Rv. 276697; Sez. 6, n. 25498 del 20/4/2017, Rv. 270673).
5.2. Secondo altro indirizzo giurisprudenziale, le condotte vessatorie poste in essere da parte di uno dei conviventi more uxorio ai danni dell'altro, dopo la cessazione della convivenza, non sono riconducibilità al reato di maltrattamenti in famiglia, potendosi ravvisare l'ipotesi aggravata del reato di atti persecutori ex art. 612-bis, comma secondo, cod. pen., ovvero, in difetto dei requisiti previsti da tale fattispecie, ulteriori e diverse ipotesi di reato (quali lesioni personali, minacce). Si è ritenuto, infatti, che terminata la convivenza viene meno la comunanza di vita e di affetti, nonché il rapporto di reciproco affidamento che giustificano la configurabilità della più grave ipotesi di cui all'art. 572 cod. pen. (Sez.6, n.15883 del 16/03/2022, Rv. 283436; Sez.6, n. Sez. 6, n. 10626 del 16/2/2022, Rv. 283003-02; Sez. 6, n. 45095 del 17/11/2021, Rv. 282398; Sez. 6, n. 39532 del 6/9/2021, B., Rv. 282254; Sez. 6, n. 10222 del 23/1/2019, Rv. 275617).
5.3. Si ritiene che l'orientamento da ultimo richiamato meriti di essere condiviso ed ulteriormente rafforzato, in quanto garantisce una lettura della fattispecie maggiormente rispettosa del dato normativo e della ratio sottesa alla maggior gravità del reato commesso in un ambito "familiare" o, comunque, ad esso assimilabile.
Per quanto attiene al primo aspetto, è necessario partire dalla sollecitazione contenuta nella recente sentenza n. 98 del 2021, con la quale la Corte costituzionale, sia pur non essendo stata direttamente investita della questione interpretativa dell'art. 572 cod. pen. bensì di una problematica di tipo processuale ricollegata a tale reato, sottolineava la necessità di verificare se e quali relazioni affettive non tradizionali potessero rientrare nella nozione di "famiglia" o "convivenza".
La Corte costituzionale ha sottolineato come il rispetto del principio dettato dall'art. 25 Cost. impedisce di riferire la norma incriminatrice a condotte non ascrivibili in alcuno dei significati letterali utilizzati dal Legislatore per la tipizzazione dell'illecito, in tal modo ponendo l'accento sulla necessità che i termini impiegati per descrivere la fattispecie di reato siano interpretati in modo da non alterare l'intrinseco significato delle nozioni che descrivono l'elemento oggettivo del reato.
Ponendo l'accento sul divieto di analogia, la Corte costituzionale ha sottolineato la necessità di un'interpretazione dell'art. 572 cod. proc. pen. ancorata ai concetti di "famiglia" e "convivenza", evitando che, pur nel comprensibile intento di estendere l'ambito della tutela penale, si possa giungere ad una vera e propria analogia in malam partem, riconducendo al reato di maltrattamenti in famiglia anche condotte poste in essere ai danni di soggetti nei cui confronti non è configurabile una relazione - attuale e privilegiata - con l'autore dell'illecito che possa giustificare la più grave risposta sanzionatoria.
5.4. Lo spunto proveniente dalla Corte costituzionale impone una verifica in ordine alla correttezza dell'interpretazione, finora prevalente, favorevole alla configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia anche nel caso in cui la condotta illecita intervenga tra soggetti che, avendo instaurato in passato una relazione more uxorio, l'abbiano successivamente interrotta.
Invero, se si valorizza il dato normativo contenuto all'art. 572 cod. pen., deve necessariamente concludersi che la norma descrive una condotta illecita intercorsa tra soggetti "conviventi", lì dove il sostantivo utilizzato, in mancanza di ulteriori specificazioni, fa necessariamente riferimento ad una relazione in atto e non già cessata.
Del resto, nei casi in cui il legislatore ha inteso far riferimento anche a rapporti di natura affettiva cessati al momento della commissione del reato, ha specificato tale peculiare aspetto della condotta. In tal senso è emblematico il disposto dell'art. 612-bis, comma secondo, cod. pen., lì dove è stata prevista una specifica aggravante per l'ipotesi in cui gli atti persecutori siano stati commessi «da persona che è o è stata legata da relazione affettiva» alla vittima del reato.
Nell'art. 572 cod. pen. non vi è traccia di una simile specificazione e, anzi, il dato letterale fa inequivocabilmente riferimento ad una convivenza in atto e non anche a una relazione cessata prima della commissione del reato.
5.5. La conferma della correttezza dell'interpretazione letterale della norma si può desumere dalla ratio della norma incriminatrice, posto che l'art. 572 cod. pen., letto nella sua complessità, è una disposizione chiaramente volta ad apprestare una tutela rafforzata in presenza di un rapporto di prossimità tra autore del reato e persona offesa, qual è quello che tipicamente si instaura tra persone legate da vincoli familiari o, comunque, conviventi.
Nel procedere all'interpretazione sistematica della norma, è essenziale tener conto del complessivo disposto del primo comma dell'art. 572 cod. pen., lì dove la fattispecie fa riferimento non solo a «una persona della famiglia o comunque convivente», ma anche a «una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per l'esercizio di una professione».
Ebbene, è proprio l'elencazione contenuta nella seconda parte dell'art. 572 cod. pen. che fa comprendere la ratio dell'incriminazione, volta a sanzionare quelle condotte maltrattanti la cui commissione è agevolata dal rapporto di stabile prossimità che si instaura tra autore del reato e persona offesa', ne consegue che è la frequentazione prolungata e la continua possibilità per il soggetto maltrattante di interagire con la vittima che descrivono la fattispecie.
La prossimità tra vittima e soggetto maltrattante è anche l'elemento che giustifica il trattamento sanzionatorio più grave rispetto a quello applicabile a colui che pone in essere le medesime condotte delittuose in assenza di una stabile relazione - di tipo familiare, ma anche di altra natura - con la persona offesa, proprio perché il legame interpersonale espone maggiormente la vittima alle condotte delittuose ed acuisce l'offensività delle stesse.
A riprova di quanto detto, è opportuno richiamare la consolidata giurisprudenza di questa Corte che ha ritenuto configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia in ambito scolastico, nei luoghi di lavoro, come pure all'interno di strutture sanitarie, a riprova di come il reato di maltrattamenti presuppone necessariamente una relazione personale che comporta per la vittima e l'autore del reato la condivisione prolungata di spazi e contesti deputato allo svolgimento di determinate attività.
Applicando tali considerazioni all'ipotesi dei soggetti che abbiano cessato una pregressa relazione di convivenza more uxorio, è agevole giungere alla conclusione secondo cui l'interruzione della convivenza determina il venir meno del rapporto di necessaria prossimità tra vittima ed autore degli illeciti e, quindi, impedisce la configurabilità del reato di maltrattamenti.
5.6. A diverse conclusioni non può condurre il fatto che gli ex conviventi siano tenuti ad intrattenere rapporti per effetto della condivisione della potestà genitoriale. Invero, conviventi mantengono un rapporto parentale esclusivamente con la prole e, al più, possono avere necessità di relazionarsi tra di loro per quelle che sono le problematiche di gestione dei figli minori. Si tratta, tuttavia, di rapporti episodici, tendenzialmente circoscritti nel tempo e nello spazio e tali da non determinare quella stabilità di frequentazione che costituisce il presupposto logico per l'instaurazione di una condotta maltrattante.
6. Alla luce di tali considerazioni, la sentenza impugnata va annullata con rinvio, dovendo la Corte di appello procedere alla verifica della possibilità di qualificare diversamente i fatti addebitati all'imputato per come descritti nella contestazione, verificando anche l'eventuale sopravvenuta prescrizione degli stessi.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Cagliari.