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10 giugno 2021
Professione avvocato: stop al vincolo dei 5 affari all’anno

Avviata la procedura di infrazione comunitaria, il Consiglio di Stato dà il via libera alla modifica del decreto ministeriale in merito alla continuità della professione forense.

La Redazione

Con il provvedimento n. 1012 del 9 giugno 2021, il Consiglio di Stato esprime parare favorevole all'ulteriore corso dello schema di D.M. recante «Regolamento concernente modifiche al decreto del Ministero della Giustizia 25 febbraio 2016, n. 47, recante disposizioni per l'accertamento dell'esercizio della professione forense».

La modifica al decreto si è resa necessaria a seguito della procedura di infrazione comunitaria avviata dopo che la Commissione europea aveva rilevato che l'art. 2 del D.M. in esame viola l'art. 59, par. 3, della direttiva 2005/36/CE e l'art. 49 TFUE, nonché l'art. 15, par. 3, in combinato disposto con l'art. 15, par. 2, lettera a), della direttiva 2006/123/CE nella parte in cui prevede che l'avvocato debba dimostrare di aver trattato cinque affari per ciascun anno, anche se l'incarico professionale è stato conferito ad altro professionista, per provare l'esercizio effettivo della professione.

Sebbene le Autorità italiane abbiano giustificato tale obbligo come garanzia per tutelare gli interessi individuali e pubblici sui quali la professione è destinata ad incidere, tuttavia la Commissione ritiene che non vi sia alcun nesso tra l'obbligo di trattare almeno cinque affari per ciascun anno e la garanzia del corretto esercizio della professione di avvocato. Secondo la stessa, infatti, la predetta garanzia è assicurata da altri criteri, come il continuo aggiornamento delle competenze professionali attraverso corsi di formazione continua. Aggiunge inoltre che non è proporzionato giudicare la competenza dell'avvocato sulla base del numero di affari trattati ogni anno in quanto il professionista potrebbe sospendere o limitare l'esercizio della professione per un determinato periodo di tempo per vari, ad esempio in caso di malattia o per necessità di assistere un familiare.
Per questi motivi, la Commissione conclude ribadendo la violazione del diritto comunitario.

Ciò detto, il Ministero della Giustizia ha ritenuto di risolvere la situazione con la soppressione della lettera c) dell'art. 2, c. 2, D.M. 47/2016, considerato che l'accertamento dell'effettività, della continuità nonché dell'abitualità dell'esercizio della professione forense è comunque garantito da altri requisiti, quali:

  • titolarità di partita IVA;
  • uso di locali e di almeno un'utenza telefonica destinata all'attività professionale;
  • titolarità di un indirizzo PEC comunicato al Consiglio dell'Ordine;
  • assolvimento dell'obbligo di aggiornamento professionale;
  • copertura assicurativa da responsabilità civile derivante dall'esercizio della professione.
Alla luce di tali osservazioni, il Consiglio di Stato ritiene che lo schema di decreto ministeriale consente di conformare la normativa nazionale a quella europea, e pertanto è favorevole all'ulteriore corso dello schema.
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