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8 settembre 2021
L’utilizzo dei tabulati telefonici come fonti di prova viola la privacy?

La Cassazione chiarisce il suo orientamento a fronte della recente decisione della CGUE che afferma l'incompatibilità con la direttiva 2002/58/CE di una normativa che consenta genericamente alle autorità pubbliche di accedere ai dati inerenti al traffico o all'ubicazione.

La Redazione

Il Tribunale di Brescia rigettava il ricorso proposto dall'interessato contro l'ordinanza con cui il GIP aveva disposto nei suoi confronti la misura cautelare della custodia in carcere in relazione al delitto di associazione a delinquere finalizzata a commettere reati contro il patrimonio.
Lo stesso propone ricorso per cassazione deducendo, tra i diversi motivi, l'inutilizzabilità, quali fonti di prova, dei data retention acquisiti dal Pubblico Ministero relativi al traffico telefonico, non avendo il provvedimento impugnato né specificato quali fossero i reati da perseguire in violazione dell'art. 132 D. Lgs. n. 196/2003, né motivato la valenza indispensabile e assolutamente necessaria di tale violazione della privacy ai fini della prosecuzione delle indagini, tenendo conto della recente interpretazione fornita in materia dalla Corte di Giustizia europea con la sentenza del 2 marzo 2021.

Con la sentenza n. 33116 del 7 settembre 2021, la Suprema Corte dichiara il ricorso infondato.
In particolare, la Corte osserva come la CGUE abbia affermato il principio in base al quale l'art. 15, paragrafo 1, direttiva 2002/58/CE, deve interpretarsi nel senso che esso ostacola una normativa nazionale che consenta alle autorità pubbliche di accedere ad un insieme di dati inerenti al traffico o di dati relativi all'ubicazione, i quali siano in grado di fornire informazioni circa le comunicazioni effettuate dall'utente di uno strumento di comunicazione elettronica ovvero sull'ubicazione delle apparecchiature terminali utilizzate dal medesimo. In tal modo, secondo la Corte di Giustizia, sarebbe possibile trarre conclusioni specifiche in relazione alla vita privata dell'utente per scopi di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento dei reati, senza circoscrivere tale accesso a procedure volte alla lotta contro forme gravi di criminalità o alla prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica.

Ciò posto, gli Ermellini ritengono che la suddetta impostazione debba necessariamente confrontarsi con il quadro normativo nazionale esistente allo stato attuale e, in particolare, con l'orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, in materia di acquisizione dei dati contenuti nei tabulati telefonici, «la disciplina italiana di conservazione dei dati di cui all'art. 132 d. lgs. 196/2003 deve ritenersi compatibile con le direttive in tema di privacy, e ciò poiché la deroga stabilita dalla norma alla riservatezza delle comunicazioni è prevista dall'art. 132 cit. per un periodo di tempo limitato, ha come esclusivo obiettivo l'accertamento e la repressione dei reati ed è subordinata alla emissione di un provvedimento di una autorità giurisdizionale indipendente com'è appunto il pubblico ministero».

Non essendovi ad oggi alcuna normativa italiana ed europea in grado di specificare i casi nei quali possono essere acquisiti i dati del traffico telematico e telefonico, la Corte di Cassazione dichiara infondato il motivo di ricorso, non potendo trovare la decisione citata diretta applicazione in Italia fino a quando non interverrà il legislatore. Fino a quel momento, troverà applicazione l'art. 132 D. Lgs. n. 196/2003.

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