La Cassazione chiarisce il suo orientamento a fronte della recente decisione della CGUE che afferma l'incompatibilità con la direttiva 2002/58/CE di una normativa che consenta genericamente alle autorità pubbliche di accedere ai dati inerenti al traffico o all'ubicazione.
Il Tribunale di Brescia rigettava il ricorso proposto dall'interessato contro l'ordinanza con cui il GIP aveva disposto nei suoi confronti la misura cautelare della custodia in carcere in relazione al delitto di associazione a delinquere finalizzata a commettere reati contro il patrimonio.
Lo stesso propone ricorso per cassazione deducendo, tra i diversi motivi, l'inutilizzabilità, quali fonti di prova, dei data retention acquisiti dal Pubblico Ministero relativi al traffico telefonico, non avendo il provvedimento impugnato né specificato quali fossero i reati da perseguire in violazione dell'
Con la sentenza n. 33116 del 7 settembre 2021, la Suprema Corte dichiara il ricorso infondato.
In particolare, la Corte osserva come la CGUE abbia affermato il principio in base al quale l'art. 15, paragrafo 1, direttiva 2002/58/CE, deve interpretarsi nel senso che esso ostacola una normativa nazionale che consenta alle autorità pubbliche di accedere ad un insieme di dati inerenti al traffico o di dati relativi all'ubicazione, i quali siano in grado di fornire informazioni circa le comunicazioni effettuate dall'utente di uno strumento di comunicazione elettronica ovvero sull'ubicazione delle apparecchiature terminali utilizzate dal medesimo. In tal modo, secondo la Corte di Giustizia, sarebbe possibile trarre conclusioni specifiche in relazione alla vita privata dell'utente per scopi di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento dei reati, senza circoscrivere tale accesso a procedure volte alla lotta contro forme gravi di criminalità o alla prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica.
Ciò posto, gli Ermellini ritengono che la suddetta impostazione debba necessariamente confrontarsi con il quadro normativo nazionale esistente allo stato attuale e, in particolare, con l'orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, in materia di acquisizione dei dati contenuti nei tabulati telefonici, «la disciplina italiana di conservazione dei dati di cui all'
Non essendovi ad oggi alcuna normativa italiana ed europea in grado di specificare i casi nei quali possono essere acquisiti i dati del traffico telematico e telefonico, la Corte di Cassazione dichiara infondato il motivo di ricorso, non potendo trovare la decisione citata diretta applicazione in Italia fino a quando non interverrà il legislatore. Fino a quel momento, troverà applicazione l'
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza in data 30/03/2021, il Tribunale di Brescia, rigettava il ricorso ex art. 309 c.p.p., proposto nell'interesse di A.M.D. avverso l'ordinanza con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brescia, in data 05/02/2021, aveva disposto nei confronti del sunnominato la misura cautelare della custodia in carcere in relazione al delitto di associazione a delinquere finalizzata a commettere reati contro il patrimonio contestato al capo A), oltre che per i reati satellite di cui ai capi E) e C), quest'ultimo limitatamente all'art. 640-ter c.p., comma 3.
2. Avverso detta ordinanza, nell'interesse di A.M.D., viene proposto ricorso per cassazione, per lamentare quanto segue.
2.1. Primo motivo: violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione sul punto relativo alla valutazione della gravità indiziaria per tutti i reati contestati (capi A, C ed E) stante la inutilizzabilità, quale fonte di prova, dei data retention acquisiti dal pubblico ministero con decreto 22/11/2019 e relativo al traffico telefonico dei telefoni cellulari (omissis) e (omissis) (art. 311, art. 606, comma 1, lett. c) ed e), con riferimento al D.L. n. 196 del 2003, art. 132, così come modificato dalla L. n. 155 del 2005, art. 6, art. 191 c.p.p. e art. 273 c.p.p., comma 1). Il provvedimento impugnato non specifica quali fossero i reati da perseguire in violazione del D.L. n. 196 del 2003, art. 132, così come modificato dalla L. n. 155 del 2005, art. 6; neppure la necessità di individuare soggetti che potessero essere coinvolti nell'indagine in parola e nemmeno il motivo per cui tale violazione della privacy fosse indispensabile ed assolutamente necessaria per la prosecuzione delle indagini, nell'interpretazione recentemente offerta dalla Corte di Giustizia Europea con sentenza 02/03/2021. L'accoglimento dell'eccezione comporta l'ablazione di un indizio fondamentale relativo all'identificazione del ricorrente, facendo venir meno la localizzazione dei ritenuti correi P. e C. in quel di Bergamo nei giorni del 18/03/2019 e del 05/08/2019: elemento questo che toglie valore di riscontro circa l'identificazione dell' A. nel soggetto di cui alle chat del telefono cellulare sequestrato al P..
2.2. Secondo motivo: omessa motivazione sul punto relativo alla valutazione della gravità indiziaria dei reati di cui ai capi A), C) ed E). Si evidenzia la carenza di analisi e di valutazione della condotta tipica del reato di truffa informatica (e di conseguenza anche della partecipazione al reato associativo, contestato all' A. proprio e solo per lo specifico ruolo di operatore delle truffe), ed in particolare di come lo stesso sarebbe riuscito a carpire gli estremi dei conti correnti delle vittime e poi ad asportarvi le somme indicate.
2.3. Terzo motivo: omessa e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla sussistenza del reato di cui al capo E). Si evidenzia l'assurdo costituito dal fatto che i reati presupposti (capo C) avevano quasi tutti una data successiva a quella del contestato reato di autoriciclaggio (capo E).
2.4. Quarto motivo: omessa motivazione e manifesta illogicità della stessa sul punto relativo alla sussistenza dell'attualità e concretezza del rischio di recidivanza. Il valutato pericolo di recidivanza non individua segnali concreti e specifici da cui evincere che il rischio sia ancora in corso, posto che si tratta di condotte di reato risalenti a quasi due anni orsono (primo semestre del 2019).
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato, per taluni motivi anche in modo manifesto.
2. La trattazione del primo motivo impone alcune brevi considerazioni di carattere preliminare.
La Corte di giustizia dell'Unione Europea, con sentenza in data 02/03/2021 (H.K., C-746/18), ha affermato il principio secondo cui l'art. 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 luglio 2002 deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale, la quale consenta l'accesso di autorità pubbliche ad un insieme di dati relativi al traffico o di dati relativi all'ubicazione, idonei a fornire informazioni sulle comunicazioni effettuate da un utente di un mezzo di comunicazione elettronica o sull'ubicazione delle apparecchiature terminali da costui utilizzate e a permettere di trarre precise conclusioni sulla sua vita privata, per finalità di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di reati, senza che tale accesso sia circoscritto a procedure aventi per scopo la lotta contro le forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica.
Fermo quanto precede, ritiene il Collegio come l'impostazione della CGUE debba essere confrontata con l'assetto normativo attualmente delineatosi nel nostro ordinamento e, in particolare, con il consolidato orientamento della Suprema Corte secondo cui, in tema di acquisizione dei dati contenuti nei cd. tabulati telefonici, la disciplina italiana di conservazione dei dati di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 132, deve ritenersi compatibile con le direttive in tema di privacy, e ciò poichè la deroga stabilita dalla norma alla riservatezza delle comunicazioni è prevista dall'art. 132 cit. per un periodo di tempo limitato, ha come esclusivo obiettivo l'accertamento e la repressione dei reati ed è subordinata alla emissione di un provvedimento di una autorità giurisdizionale indipendente com'è appunto il pubblico ministero.
Invero, se, da un lato, è indubitabile che debba attribuirsi ai principi espressi nelle sentenze CGUE il valore fondante del diritto comunitario con efficacia erga omnes nell'ambito della Comunità, dall'altro, l'attività interpretativa del significato e dei limiti di applicazione delle norme comunitarie, operata nelle sentenze CGUE, può avere efficacia immediata e diretta nel nostro ordinamento limitatamente alle ipotesi in cui non residuino, negli istituti giuridici regolati, concreti problemi applicativi e correlati profili di discrezionalità che richiedano l'intervento del legislatore nazionale, tanto più laddove si tratti di interpretazioni di norme contenute nelle direttive (cfr., Sez. 2, n. 28523 del 15/04/2021, Lordi, non mass.).
La Suprema Corte ha già avuto modo di affermare che, in tema di acquisizione di dati contenuti in tabulati telefonici, la disciplina italiana di conservazione dei dati di traffico - c.d. "data retention" - di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 132, è compatibile con le direttive n. 2002/58/CE e 2006/24/CE in tema di tutela della "privacy", come interpretate dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE 8 aprile 2014, Digital Rights, C-293/12 e C-594/12; CGUE 21 dicembre 2016, Tele 2, C-203/15 e C-698/15), poichè la deroga stabilita dalla norma alla riservatezza delle comunicazioni è prevista per un periodo di tempo limitato, ha come esclusivo obiettivo l'accertamento e la repressione dei reati ed è subordinata alla emissione di un provvedimento da parte di un'autorità giurisdizionale (Sez. 2, n. 5741 del 10/12/2019, dep. 2020, Dedej, Rv. 278568; nello stesso senso, Sez. 3, n. 48737 del 25/09/2019, R., Rv. 277353, secondo cui la disciplina prevista dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 132, sebbene non limiti l'attività alle indagini relative a reati particolarmente gravi, predeterminati dalla legge, è compatibile con il diritto sovranazionale in tema di tutela della privacy da cui si ricava solo la necessità della proporzione tra la gravità dell'ingerenza nel diritto fondamentale alla vita privata, che l'accesso ai dati comporta, e quella del reato oggetto di investigazione, in base ad una verifica che il giudice di merito deve compiere in concreto; in parte motiva la S.C. ha precisato che la predetta valutazione non si presta ad una rigida codificazione e non può che essere rimessa al prudente apprezzamento dell'autorità giudiziaria).
Allo stato, quindi, non può che ritenersi come l'interpretazione proposta dalla CGUE sia del tutto generica nell'individuazione dei casi nei quali i dati di traffico telematico e telefonico possono essere acquisiti ("lotta contro le forme gravi di criminalità" o "prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica"), essendo evidente che tali aspetti non possono essere disciplinati da singole (e potenzialmente contrastanti) decisioni giurisprudenziali, dovendosi demandare al legislatore nazionale il compito di trasfondere i principi interpretativi delineati dalla Corte in una legge dello Stato.
Da qui l'impossibilità di ritenere che la sentenza della CGUE possa trovare diretta applicazione in Italia fino a quando non interverrà il legislatore italiano ed anche Europeo in quanto allo stato può e deve ritenersi applicabile D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 132: da qui l'infondatezza del primo motivo di ricorso.
3. Aspecifico e comunque manifestamente infondato è il secondo motivo. Il Tribunale ha evidenziato, con congrue valutazioni, la ricorrenza della gravità indiziaria in relazione ai reati di cui ai capi A), C) ed E).
3.1. Invero, in relazione al capo C), il Tribunale ha precisato come, dall'analisi del contenuto del telefono cellulare di P.G., sia stato possibile ricostruire le illecite attività da questi gestite e consistite essenzialmente nel reclutare svariati soggetti perchè aprissero conti correnti bancari e si facessero rilasciare carte prepagate da parte degli istituti di credito: carte che venivano poi utilizzate per farvi transitare i proventi delle frodi informatiche. In particolare, si legge nel provvedimento impugnato che "... dell'attività di reperimento dei "prestanome" si occupavano P.G. e C.L., con la collaborazione del soggetto indicato... come (omissis) o (omissis) o (omissis), che... veniva identificato con sicurezza nell'odierno indagato. I prestanome si recavano poi negli uffici delle banche loro indicate fornendo le utenze telefoniche necessarie per la recezione dei codici di attivazione delle carte. Quindi... il P.... provvedeva all'inoltro delle immagini delle carte allo stesso A.M.D., dandone notizia e C.L.. Le carte, trattenute fisicamente da P. e C. che provvedevano poi al ritiro del denaro presso gli sportelli bancari sul territorio, venivano poi "caricate" con il provento dell'attività di phishing proprio da A.. Non a caso P. inviava ad A. le immagini delle carte prepagate intestate ai prestanome e il PIN per il loro utilizzo, proprio in quanto era A. il soggetto deputato a compiete materialmente le operazioni di accesso e prelievo abusivo dai conti correnti delle persone offese...".
3.2. In relazione al capo A), il provvedimento impugnato dà atto dell'esistenza di una vera e propria organizzazione di uomini e mezzi (di cui l' A. aveva precisa consapevolezza di appartenere), mediante i quali ottenere svariate carte di credito dove convogliare i proventi dell'attività criminosa; della disponibilità di una società di capitali di diritto croato, costituita attraverso la produzione di documenti d'identità contraffatti, sui cui conti esteri reimpiegare i proventi delle truffe informatiche e degli illeciti utilizzi di carte di credito e dai quali bonificare tali somme su altri conti esteri; dall'ulteriore disponibilità di uno stabile canale di smercio dei telefoni cellulari provento di molteplici reati, al fine di compiere una serie indeterminata di condotte di indebito utilizzo di carte di credito, di truffe informatiche previo accesso abusivo in sistemi telematici e di autoriciclaggio.
3.3. Infine, in relazione al capo E), si evidenzia come l' A. sia stato il beneficiario, sui due conti bulgari al medesimo intestati, di ben cinque ordini di bonifico per consistenti importi, emessi dalla società Catalyze (intestata ad un prestanome, il sodale Pe.Gi.) e provenienti dalle frodi on-line ovvero da complessi meccanismi di reimpiego del denaro di provenienza illecita.
Con queste argomentate conclusioni, il ricorrente omette di confrontarsi, preferendo la "strada" conducente all'inammissibilità della pedissequa reiterazione del motivo di gravame.
4. Aspecifico e comunque manifestamente infondato è anche il terzo motivo.
In relazione alla deduzione difensiva secondo cui i reati presupposti (capo C) avevano quasi tutti una data successiva a quella del contestato reato di autoriciclaggio (capo E), il Tribunale spiega, con argomentate e non illogiche valutazioni, come la Catalyze fosse nata da un progetto del P. nel 2018 e che, conseguentemente, la stessa fosse già da tempo operativa e finanziata mediante i meccanismi truffaldini posti in essere anche grazie al contributo del ricorrente, con la conseguenza che "... la circostanza che alcune delle truffe specificamente descritte al capo C) siano state realizzate dopo la data di accertamento del reato di autoriciclaggio di cui al capo E), non scalfisse in alcun modo la validità dell'impianto accusatorio".
5. Manifestamente infondato è il quarto motivo.
5.1. Va premesso che la più recente giurisprudenza di legittimità, in tema di attualità delle esigenze cautelari, ha ormai superato un indirizzo interpretativo sviluppatosi all'indomani delle modifiche introdotte dalla L. n. 47 del 2015, ed imperniato sulla necessaria dimostrazione di "occasioni prossime favorevoli" alla reiterazione di condotte delittuose.
Si è infatti chiarito che "in tema di presupposti per l'applicazione delle misure cautelari personali, il requisito dell'attualità del pericolo di reiterazione del reato, introdotto nell'art. 274 c.p.p., lett. c), dalla L. 16 aprile 2015, n. 47, non va equiparato all'imminenza del pericolo di commissione di un ulteriore reato, ma indica, invece, la continuità del periculum libertatis nella sua dimensione temporale, che va apprezzata sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell'indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a realizzare" (così, Sez. 1, n. 14840 del 22/01/2020, Oliverio, Rv. 279122; nello stesso senso, Sez. 5, n. 11250 del 19/11/2018, dep. 2019, Avolio, Rv. 277242, secondo cui "in tema di misure cautelari personali, il requisito dell'attualità del pericolo previsto dall'art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c), non è equiparabile all'imminenza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto e richiede, invece, da parte del giudice della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un'analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale, la quale deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma non anche la previsione di specifiche occasioni di recidivanza").
5.2. In tale ottica interpretativa, che si condivide e si intende qui ribadire, l'ordinanza impugnata risulta immune da censure, avendo esaustivamente motivato in ordine agli indici di "attualizzazione" della pericolosità, con il richiamo ai seguenti elementi di fatto:
- non particolare risalenza delle condotte criminose;
- caratterizzazione di sistematicità e di professionalità;
- esistenza di precedenti specifici in capo al ricorrente;
- assoluta indifferenza dimostrata dallo stesso dinnanzi alle restrizioni già sofferte (lo stesso non ha avuto remore a commettere i reati quando si trovava in detenzione domiciliare e a proseguire nelle condotte criminose una volta scontata la pena in Italia).
Detti elementi rendono sintomatica una proclività a delinquere di non modesto allarme sociale, non limitabile allo stato con misure meno afflittive rispetto a quella di maggior rigore prevista dall'ordinamento e, allo stesso tempo, assolutamente recessivo ogni altro elemento pur di astratta lettura favorevole per l'indagato.
6. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.