Ai fini della configurabilità del reato di adescamento ex art. 609-undecies c.p. non rileva la condizione soggettiva del minore, ma esclusivamente la sua età.
L'imputato propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello di Torino con cui era stata confermata la sua condanna per il reato di cui all'
Tra i motivi di doglianza, l'imputato lamenta la manifesta illogicità della...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza della Corte di appello di Torino del 4 marzo 2020 è stata confermata la decisione del Tribunale di Verbania (giudizio abbreviato) del 17 novembre 2017 che aveva condannato U. M. alla pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione relativamente al reato di cui all'art. 609 undecies cod. pen.; commesso dal febbraio al giugno 2016.
2. L'imputato ha proposto ricorso in cassazione per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
2. 1. Questione di costituzionalità dell'art. 609 undecies cod. pen. per contrasto con il principio di offensività (art. 13, 25, 21 e 27 della Costituzione). Il legislatore italiano ha anticipato la responsabilità penale per i contatti con i minori punendo fatti di contatto (virtuale) senza reale offensività; lo scopo sessuale dei contatti potrebbe restare nella mente dell'adescatore. Per la sanzione penale deve esserci la lesione di un bene giuridico, sia nella lesione effettiva e sia nella messa in pericolo del bene tutelato dalla norma.
L'art. 609 undecies cod. pen. mira a tutelare il bene della libertà e dell'equilibrato sviluppo psico sessuale dei minori. Il reale intento nascosto nella mente del soggetto attivo difficilmente può essere ben individuato, trattandosi di un'intenzione. Appare, quindi, evidente la violazione del principio di offensività e la fondatezza della questione di legittimità costituzionale, sollevata davanti ai giudici del merito. La Corte di appello ha valutato manifestamente infondata la questione richiamando la decisione della Cassazione N. 32170 del 2018, sul punto. La questione viene riproposta in questa sede in quanto la motivazione della Corte di appello risulta carente, limitandosi al richiamo della sentenza della Cassazione.
2. 2. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione relativamente all'elemento soggettivo del reato.
La sentenza impugnata non risponde alle specifiche prospettazioni dell'atto di appello. Nell'ultima conversazione, del 4 giugno 2016, tra l'imputato e la minore D. Bogo (nata il 13 agosto 2013) oltre all'utilizzo di un linguaggio molto spinto e a contenuto sessuale vi è la prova dell'innocenza dell'imputato. Infatti, alla domanda alla ragazza "esci stasera" e alla sua risposta affermativa l'imputato troncava la conversazione. La conclusione della conversazione è la prova inconfutabile dell'assenza dell'elemento soggettivo. Se l'intenzione fosse stata quella di contatto sessuale con la minore l'occasione era quella perfetta. La conversazione seppure a sfondo sessuale non aveva altro scopo (dolo specifico). Invece, la Corte di appello travisando la conversazione ritiene che la conversazione sia preliminare ad un incontro v' sessuale tra i due (un contatto fisico con la minore). Per la Corte di appello nella conversazione tra l'imputato e la parte offesa si inserì un'adulta (la madre di C. M., un'amica della parte offesa) e il ricorrente, rimproverato del contenuto della conversazione, si giustificò. Tale dato è sicuramente errato in quanto la donna iniziò la conversazione con l'imputato dopo 4 ore dalla fine della conversazione con la minore (la chat con la minore risale alle ore 17.10 mentre quella con la donna alle ore 21.08).
Per la Corte di appello la conversazione con la minore sarebbe stata interrotta dall'intervento della donna.
Inoltre, i due si incontravano spesso per il paese e il contatto fisico poteva benissimo avvenire nei numerosi incontri di persona.
2. 3. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione relativamente alla mancanza di lesione del bene giuridico tutelato. La libertà e l'equilibrato sviluppo psico sessuale della minore non risulta minimamente messo in pericolo dal comportamento del ricorrente. Con l'atto di appello era stata evidenziata la personalità della persona offesa, desunta dall'esame del suo profilo Facebook, nel quale si presentava come sposata. Sotto il profilo Facebook della stessa campeggia la scritta "MM." racchiusa da due cuoricini; S. era un Link che piaceva alla minore (like), insieme a "D. Italia", "A." e "M.".
Da questi elementi emerge la particolare libertà della ragazza in fatto di questioni sessuali, in maniera anche molto spinta.
Anche le insegnanti (Vicepreside) riferivano di una ragazza problematica, che aveva già avuto rapporti sessuali tanto da temere di essere rimasta incinta. La minore ha fatto ubriacare la sua amica G. con super alcolici mentre lei fingeva di bere, a tal punto che G. si sentiva male per strada con l'intervento dei Carabinieri (proprio l'attuale imputato M. dei CC), dimostrando spregiudicatezza e disinteresse per l'amica.
La stessa madre della parte offesa riferiva della problematica della figlia ("non obbedisce fa quello che vuole").
La sorella della minore dichiarava di aver prestato il telefono a D. e sbirciando sul profilo Facebook notava più Chat, una delle quali con tale O. Il telefono fu sottoposto a sequestro dai Carabinieri, ma i risultati delle analisi di tale sequestro non risultano agli atti. Per la Corte di appello i messaggi potrebbero essere stati cancellati dal telefono. I messaggi, però, non restano nel telefono ma nel profilo dell'utente (accessibili da qualsiasi terminale), conseguentemente la motivazione risulta illogica e contraddittoria, in quanto quello che si era eccepito riguardava gli esiti degli accertamenti sul telefono, scomparsi, non la cancellazione dei messaggi dal telefono.
Conseguentemente, all'epoca dei fatti di cui alle conversazioni della minore con l'imputato, D. aveva una maturità sessuale ben sviluppata, aveva conoscenza di tutto ciò che riguarda il sesso, per aver avuto rapporti e per la visione nei siti sopra ricordati (S., D. Italia, e nelle canzoni esplicite del Rap MM.).
2. 4. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione relativamente alle conversazioni intercorse su Messenger tra l'imputato e la minore.
Le conversazioni iniziano il 17 febbraio 2016, ma la sentenza prende in considerazione solo l'ultima del 4 giugno 2016, durata al massimo 20/30 minuti.
Nelle conversazioni la ragazza, fingendosi e dichiarandosi brutta, richiedeva, con malizia, i complimenti all'imputato sul suo aspetto fisico erotico. Il ricorrente prende anche le distanze dichiarando espressamente "se avessi giusto qualche anno in meno, giusto qualche anno", se tu "fossi più grande".
Nell'ultima conversazione il ricorrente solo per gioco (una battuta) si offriva di controllare la verginità della ragazza; la minore comprendeva il gioco che, invece, non è stato compreso dai giudici di merito. Dai toni della conversazione appare assolutamente evidente che nessuno dei due interlocutori avesse mai pensato al controllo della verginità di D. da parte dell'imputato. La conversazione è "riccamente farcita di faccine emoticon". La stessa minore aveva rassicurato la madre che si trattava solo di messaggi stupidi.
L'imputato, infatti, più volte aveva messo in chiaro che, in relazione all'età della ragazza, nessun atto sessuale tra loro due sarebbe mai potuto accadere. I complimenti fatti erano sempre provocati maliziosamente dalla minore, mai spontanei da parte dell'imputato.
2. 5. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione relativamente alla natura di solo turpiloquio delle conversazioni.
Il linguaggio delle conversazioni certamente deve ritenersi osceno, volgare e scurrile, spinto, ma questo è il linguaggio delle nuove generazioni, utilizzato anche dalla minore e non solo dall'imputato. Tale tipo di linguaggio, pertanto, non può minimamente scalfire una ragazza come D. abituata a tale tipo di comunicazione.
Non può, quindi, costituire la prova delle intenzioni delittuose dell'imputato; si tratta di un modo di comunicare, niente di più.
Ha chiesto pertanto l'annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione
3. Il ricorso è manifestamente infondato, in quanto i motivi sono generici e ripetitivi dell'appello, senza critiche specifiche di legittimità alle motivazioni della sentenza impugnata. Inoltre, il ricorso, articolato in fatto, valutato nel suo complesso, richiede alla Corte di Cassazione una rivalutazione del fatto, non consentita in sede di legittimità. La decisione della Corte di appello (e la sentenza di primo grado, in doppia conforme) contiene ampia e adeguata motivazione, senza contraddizioni e senza manifeste illogicità, sulla responsabilità del ricorrente, e sulla piena attendibilità della minore, parte offesa, peraltro con numerosi e convergenti riscontri alle sue dichiarazioni costituiti dai messaggi scambiati tra i due.
In tema di giudizio di Cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 - dep. 27/11/2015, M., Rv. 265482).
In tema di motivi di ricorso per Cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento. (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 - dep. 31/03/2015, O., Rv. 262965). In tema di impugnazioni, il vizio di motivazione non può essere utilmente dedotto in Cassazione solo perché il giudice abbia trascurato o disatteso degli elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero dovuto o potuto dar luogo ad una diversa decisione, poiché ciò si tradurrebbe in una rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimità. (Sez. 1, n. 3385 del 09/03/1995 - dep. 28/03/1995, P. ed altri, Rv. 200705).
4. La Corte di appello ( e il Giudice di primo grado), come visto, ha con esauriente motivazione, immune da vizi di manifesta illogicità o contraddizioni, dato conto del suo ragionamento che ha portato all'affermazione di responsabilità.
Relativamente al dolo specifico ("allo scopo di commettere i reati di cui agli art. 600, 600 bis, 600 ter e 600 quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all'articolo 600 quater. l, 600 quinquies, 609 bis, 609 quater, 609 quinquies e 609 octies") per il reato di adescamento, la Corte di appello correttamente evidenziava sia le conversazioni con la minore (esplicite per lo scopo sessuale, in progressione evidente) e sia il contenuto di altre chat, intrattenute dall'imputato con altre ragazze, aventi contenuti sessuali espliciti (ad esempio quella con "O.", che si presentava come di 14 anni). La sentenza evidenzia le condotte, poste in essere dall'imputato, idonee a disvelare in maniera incontrovertibile le reali intenzioni sessuali dell'adescatore, individuando nell'ultima conversazione, la proposta inequivoca e diretta di un incontro, per il controllo della condizione di verginità della minore.
Infatti, "In tema di reato di adescamento previsto dall'art. 609- undecies cod. pen., il dolo specifico consistente nell'intenzione di commettere i reati di cui agli artt. 600, 600-bis 600-ter e 600-quater cod. pen., non deve necessariamente risultare manifesto da quanto esplicitato nella condotta direttamente posta in essere nei confronti del minore, ben potendo la relativa prova essere ricavata anche aliunde. In motivazione la Corte ha anche precisato che, ove il soggetto agente prospettasse con chiarezza al minore il proposito di compiere con lo stesso atti sessuali, ricorrerebbe il diverso reato di tentata prostituzione minorile" (Sez. 7, Ordinanza n. 20427 del 19/06/2020 Cc. -dep. 09/07/2020- Rv. 280231 - 01; vedi anche Sez. 3, Sentenza n. 17373 del 31/01/2019 Ud. - dep. 23/04/2019 - Rv. 275946). La Corte di appello analizza tutta l'evoluzione delle Chat tra i due dall'iniziale messaggio del ricorrente fino all'ultima conversazione nella quale il ricorrente, esplicitamente, chiedeva alla ragazza di voler controllare direttamente il suo stato di verginità. Si tratta di evidenti accertamenti di merito insindacabili in sede di legittimità.
L'interruzione delle conversazioni da parte della madre di una minore, per la Corte di appello, non deve intendersi quale interruzione della singola conversazione (l'ultima), ma quale interruzione delle chat tra l'imputato e la minore persona offesa.
Su questi aspetti il ricorso, articolato in fatto e in maniera del tutto generica, reitera le motivazioni dell'atto di appello senza confrontarsi con la sentenza impugnata. Sostanzialmente non contiene motivi di legittimità nei confronti delle articolate e complete motivazioni della sentenza impugnata. Ripropone acriticamente dubbi soggettivi, adeguatamente risolti dalle decisioni di merito.
5. Manifestamente infondato il riferimento alle caratteristiche "spigliate" della ragazza, per la sua frequentazione ed interazione con siti dai contenuti di natura sessuale esplicita, o dalla infatuazione della stessa di un cantante Rap ("M."), poiché per la configurazione del reato non rileva la condizione soggettiva della minore, ma esclusivamente la sua età (minore di 16 anni; nel nostro caso la ragazza al momento dei fatti aveva meno di 14 anni e, quindi, non rileva tutta la problematica - giuridica - per i minori di 16 e maggiori di 14 anni).
L'adescamento è un reato di pericolo concreto volto ad evitare il rischio della commissione di più gravi reati. La norma sanziona una condotta che precede l'abuso del minore, anticipando in tal modo la soglia della punibilità (c.d. child grooming). Si tratta di un reato di c.d. pericolo indiretto, avendo il legislatore anticipato la repressione di condotte meramente preparatorie (di reati che sono ancora tutti nella mente del reo), prima ancora che gli atti possano considerarsi idonei e diretti in modo non equivoco a commettere il reato scopo (art. 56 cod. pen.). Se gli atti fossero già idonei e diretti in modo non equivoco a commettere un reato fine contro il minore non sarebbe configurabile il reato di adescamento, ma il tentativo del reato fine; infatti, la norma evidenzia la clausola "se il fatto non costituisce più grave reato" (vedi, per la tentata prostituzione minorile, Sez. 7, Ordinanza n. 20427 del 19/06/2020 Cc. - dep. 09/07/2020- Rv. 280231 - 01).
Non può dubitarsi che i reati di cui la norma intende evitare la commissione nei confronti dei minori ("allo scopo di commettere i reati di cui agli art. 600, 600 bis, 600 ter e 600 quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all'articolo 600 quater. l, 600 quinquies, 609 bis, 609 quater, 609 quinquies e 609 octies") si configurano anche nei confronti di un minore già con esperienze sessuali o con frequentazioni e interazione di siti hot o a contenuto sessuale (o, anche solo, volgare). Conseguentemente è configurabile anche il reato di adescamento, ovvero la tutela anticipata della integrità sessuale dei minori.
6. L'inammissibilità del riscorso esclude la valutazione della questione di costituzionalità: «L'inammissibilità del ricorso per cassazione, dovuta alla manifesta infondatezza o alla genericità dei motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto d'impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare ammissibile una questione di legittimità costituzionale - nella fattispecie, sollevata nella requisitoria del P.G. -» Sez. 6, n. 22439 del 15/05/2008 - dep. 04/06/2008, P.M. in proc. B. e altri, Rv. 24051301; vedi anche Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 - dep. 21/12/2000, D. L, Rv. 217266).
Comunque, per completezza, la Suprema Corte di Cassazione già ha ritenuto la questione manifestamente infondata: "È manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale del reato di adescamento di minorenne previsto dall'art. 609-undecies, cod. pen. in relazione agli artt. 13, 25, 21, 27 Cost. perché, integrando un reato di pericolo concreto, volto a neutralizzare il rischio di commissione dei più gravi reati a sfondo sessuale lesivi del corretto sviluppo psicofisico del minore e della sua autodeterminazione, non contrasta con il principio di offensività; necessitando, ai fini della verifica del dolo specifico, del ricorso a parametri oggettivi, dai quali possa dedursi il movente sessuale della condotta, non viola il principio di determinatezza della fattispecie penale; punendo, con una cornice edittale equa proporzionatamente inferiore rispetto a quella prevista per i reati fine, comportamenti idonei a mettere in pericolo un bene giuridico primario, meritevole di intensa tutela, è compatibile con il principio della rieducazione della pena" (Sez. 3, Sentenza n. 32170 del 15/03/2018 Ud. -dep. 13/07/2018- Rv. 273815 - 01).
7. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per la comunicazione del presente dispositivo al Ministero della difesa.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati significativi, a norma dell'art. 52 del d. lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.