Il Consiglio Superiore della Magistratura aveva deliberato le suddette nomine il 20 luglio 2020, entrambe confermate dal TAR Lazio, ma Palazzo Spada ha accolto il ricorso dell'appellante, il quale lamentava la contraddittorietà e la carenza di motivazione a fondamento delle nomine, ponendo l'accento sulla mancata considerazione di fatti rilevanti in sede di valutazione delle sue esperienze professionali e sulla sopravvalutazione delle esperienze di Pietro Curzio.
Nello specifico, l'appellante lamenta la sottovalutazione degli anni di esercizio delle funzioni di Giudice di legittimità, i quali erano complessivamente di più rispetto a quelli svolti del collega.
In risposta, il Consiglio di Stato ha chiarito in via preliminare che il Testo unico sulla dirigenza giudiziaria costituisce un atto amministrativo contenente un elenco di criteri sulla base dei quali il CSM deve valutare i diversi candidati. Ciò non toglie, però, che il Giudice amministrativo debba verificare se i presupposti per derogare alle previsioni siano state specificate e provate in maniera adeguata.
In sostanza, il CSM ha preferito la nomina di Pietro Curzio in luogo di quella dell'appellante per via delle esperienze organizzative maturate, ma secondo il Consiglio di Stato la motivazione sulla quale si basa il provvedimento di nomina non può resistere alle doglianze dell'appellante in quanto irragionevole e gravemente carente.
Ciò soprattutto perchè, come evidenzia il Consiglio di Stato, il criterio di preferenza addotto dal CSM risiede nel fatto che Curzio avesse operato nella Sesta sezione della Corte di Cassazione (che funge da sezione "filtro), considerando tale esperienza maggiormente rilevante rispetto alle altre.
Tale motivazione eccede i limiti di discrezionalità del CSM, risolvendosi in una sorta di "preferenza precostituita" per l'esperienza maturata da Curzio presso la sezione specifica della Cassazione, senza che a ciò sia dato alcun rilievo dal suddetto Testo unico.
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza (ud. 25 novembre 2021) 14 gennaio 2022, n. 268
Svolgimento del processo
1. Con delibera del Csm del 15 luglio 2020 veniva conferito al dott. Pietro Curzio l’incarico direttivo di Primo Presidente della Corte di cassazione nell’ambito della procedura comparativa indetta con bando del 1° aprile 2020.
La proposta in favore del dott. Curzio era stata formulata dalla V Commissione del Csm all’unanimità; nel plenum la votazione non era unanime, stante l’astensione di uno dei componenti, oltre alla non partecipazione al voto del Presidente della Repubblica.
2. Avverso la delibera, la relativa proposta, e gli atti presupposti, connessi e consequenziali proponeva ricorso altro candidato, il dott. Angelo Spirito, odierno appellante.
3. Il Tribunale amministrativo adìto, nella resistenza del Csm, del Ministero della Giustizia e del dott. Curzio, respingeva il ricorso.
4. Avverso la sentenza ha proposto appello il dott. Spirito deducendo:
I) error in iudicando per motivazione manifestamente carente e contraddittoria; erronea interpretazione dell’art. 12 d.lgs. n. 160 del 2006; violazione degli artt. 2, 25 e 26 Testo unico sulla dirigenza giudiziaria; disparità di trattamento e difetto d’istruttoria;
II) error in iudicando per motivazione manifestamente carente e contraddittoria; violazione dell’art. 12 d.lgs. n. 160 del 2006; violazione degli artt. 21, 25 e 26 Testo unico sulla dirigenza giudiziaria; eccesso di potere per difetto d’istruttoria, mancata considerazione di fatti rilevanti (nella specie, le esperienze professionali dell’odierno appellante), grave travisamento dei fatti (nella specie, patente sopravvalutazione delle esperienze professionali del controinteressato);
III) error in iudicando per motivazione manifestamente carente e contraddittoria; violazione dell’art. 12 d.lgs. n. 160 del 2006; violazione degli artt. 21, 25 e 26 Testo unico sulla dirigenza giudiziaria; eccesso di potere per grave travisamento dei fatti (nella specie patente sopravvalutazione delle esperienze professionali del controinteressato con riguardo alle funzioni di Presidente della Sesta Sezione);
IV) error in iudicando per motivazione manifestamente carente e contraddittoria; violazione dell’art. 3 l. n. 241 del 1990; eccesso di potere per motivazione meramente apparente della deliberazione impugnata e manifesta ingiustizia.
5. Resistono all’appello il Csm e il Ministero della Giustizia, nonché il dott. Curzio, chiedendone la reiezione.
6. All’udienza pubblica del 25 novembre 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
1. Vanno anzitutto esaminate le eccezioni preliminari sollevate dal dott. Curzio.
1.1. Eccepisce l’appellato l’inammissibilità del gravame per non avere il dott. Spirito mosso specifiche censure alla sentenza ai sensi dell’art. 101 Cod. proc. amm.
In senso contrario, va osservato come l’appello enuclei in realtà in modo sufficientemente dettagliato le ragioni di doglianza nei confronti della sentenza, i cui capi criticati pure chiaramente individua (v., al riguardo, infra, sub § 2 ss.): il che vale di per sé a ritenere infondata l’eccezione sollevata.
1.2. Sempre in via preliminare il controinteressato eccepisce l’inammissibilità delle censure in quanto incidenti sul merito delle valutazioni operate dal Csm e rivolte a censurare il “tono” della delibera più che i suoi profili d’illegittimità.
Neanche tale eccezione è condivisibile, atteso che le doglianze formulate dall’appellante (fermo quanto di seguito esposto in relazione a ciascuna di esse) valgono effettivamente a enucleare nel complesso - per quanto qui di rilievo - vizi di legittimità da cui la delibera risulterebbe affetta (v. infra, sub § 2 ss.).
1.3. Ancora, il dott. Curzio eccepisce che l’appellante non avrebbe contestato la valutazione espressa dal Csm in relazione all’indicatore specifico sub art. 21, lett. c) del Testo unico sulla dirigenza giudiziaria, essendo rimasti incontestati i rilievi per cui il dott. Spirito non ha sviluppato una concreta attività di esame preliminare dei ricorsi mentre il dott. Curzio ha maturato un’esperienza in tal senso dapprima presso la cd. “Struttura centralizzata”, e successivamente quale Presidente della Sesta Sezione civile, svolgendo in un primo tempo l’incarico di coordinatore della sottosezione lavoro, e poi assumendo direttamente la responsabilità della sezione spoglio.
In senso contrario è sufficiente richiamare il terzo motivo di gravame, col quale l’appellante si duole (anche) della valutazione del Csm in relazione al suddetto indicatore specifico, e lamenta in specie il mancato richiamo e l’omessa valorizzazione delle proprie esperienze di spoglio (cfr. infra, sub §§ 3.1 e 3.3.6.2), oltre a censurare i profili di valutazione correlati all’attività direttiva svolta dall’appellato quale Presidente della Sesta Sezione civile della Corte (infra, sub § 3.1, cit., e 3.3.6.3).
2. Nel merito, col primo motivo d’impugnazione l’appellante si duole del mancato accoglimento della censura con cui aveva dedotto in primo grado l’illegittimità della delibera alla luce dell’assenza d’una vera e propria valutazione comparativa fra i candidati, considerato che la stessa prende le mosse dal curriculum del candidato proposto e riproduce con esposizione ridotta a incompleta i profili degli altri candidati, così falsando di fatto l’attività di confronto.
La sentenza non avrebbe operato al riguardo alcuna valutazione critica del deliberato, limitandosi a riprodurlo, e dunque a reiterarne i contenuti.
In tale prospettiva, è rimasto negletto e non adeguatamente considerato il consistente divario fra i curricula dei due candidati, dai quali emergeva una ben più ampia esperienza del dott. Spirito che avrebbe dovuto essere congruamente valorizzata.
2.1. Il motivo, per la parte in cui non sovrapponibile agli altri tre - cui si rinvia per una trattazione congiunta - non è condivisibile.
2.1.1. Così come ritenuto dalla sentenza, la comparazione eseguita muovendo dal profilo del dott. Curzio non dà luogo ex se ad alcun profilo d’illegittimità, trattandosi di mera tecnica redazionale in sé non illegittima né pregiudizievole purché sfociante, sul piano sostanziale, in una valutazione comparata dei profili dei candidati adeguata e sufficientemente approfondita.
Nella specie è del resto effettivamente ravvisabile un momento di comparazione fra il curriculum del dott. Curzio e quello degli altri candidati (sub par. 4 ss.) - incluso, singolarmente, l’odierno appellante (sub par. 4.2) - al di là degli eventuali suoi vizi e lacune sostanziali.
Allo stesso modo, non risulta di per sé idonea a viziare la delibera la circostanza dell’omessa audizione del dott. Spirito nell’ambito del procedimento - della quale l’appellante fa menzione - atteso che in relazione a ciò non sono dedotti, né comunque emergono, specifici profili d’illegittimità della comparazione, e neppure vizi di ordine procedurale; la stessa audizione del dott. Curzio, cui la delibera fa riferimento, riguarda la (distinta) procedura relativa alla nomina di Presidente aggiunto della Corte di cassazione, ed è acquisita nel procedimento in esame e richiamata quale mero elemento confermativo della valutazione espressa dal Csm.
3. Col secondo motivo l’appellante si duole del mancato accoglimento della doglianza con cui aveva dedotto in primo grado gli errori commessi dal Csm nella valutazione comparativa sugli indicatori specifici di cui alle lett. a) e b) dell’art. 21 del Testo unico.
In particolare, il Csm avrebbe trascurato il principale indicatore di professionalità, rappresentato dall’entità della permanenza nell’esercizio delle funzioni di legittimità, che ammonta per l’appellante al considerevole periodo di 23 anni e 3 mesi, contro i soli 12 anni e 6 mesi del dott. Curzio.
Ancora, la sentenza sarebbe incorsa in errore nel calcolare il periodo di permanenza del dott. Curzio quale componente delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, che ammonterebbe a 4 anni e 10 mesi anziché i ritenuti 6 anni, periodo del resto non paragonabile a quello (ben più consistente) vantato dall’appellante, pari a complessivi 10 anni e 7 mesi.
Anche i dati sulle sentenze redatte in veste di estensore in Sezioni Unite dimostrerebbero uno scarto considerevole fra i due candidati, non adeguatamente considerato dal Csm, atteso che il dott. Spirito è stato autore di 172 sentenze, da cui sono state tratte 103 massime, contro le 71 sentenze, cui corrispondono 29 massime, del dott. Curzio.
In tale contesto, la differenza quantitativo-temporale nelle esperienze dei due candidati è così consistente da non potere essere aliunde colmata.
Allo stesso modo, l’esperienza maturata dal dott. Curzio presso la Sesta Sezione civile sarebbe priva di valore nomofilattico, e dunque dovrebbe essere considerata di suo non significativa in termini di “permanenza nelle funzioni di legittimità” ex art. 21, lett. a) del Testo unico in funzione dell’ufficio messo a concorso.
Al contempo, l’affermata maggior completezza del percorso professionale del controinteressato è tratta invero da un solo anno di attività da questi svolta nel settore penale in sede di legittimità.
La delibera risulta dunque irragionevolmente ed erroneamente motivata, pervenendo a risultati comparativi altrettanto erronei.
3.1. Col terzo motivo l’appellante censura il rigetto della doglianza con cui in primo grado aveva denunciato gli errori commessi dal Csm nella valutazione degli indicatori specifici di cui alle lett. c) e d) dell’art. 21 del Testo unico.
Nella specie, l’appellante critica la delibera per il rilievo che attribuisce all’esperienza direttiva del dott. Curzio presso la Sesta Sezione civile della Corte di cassazione.
Tale Sezione, sottolinea l’appellante, è caratterizzata da un meccanismo di coassegnazione dei magistrati rispetto alla loro Sezione di effettiva appartenenza, e dunque da un’attività di coordinamento limitata e circoscritta affidata al Presidente. La Sezione, inoltre, come già posto in risalto, sarebbe priva di compiti nomofilattici, assolvendo una funzione sostanzialmente ausiliaria e gregaria delle altre Sezioni.
Peraltro le stesse statistiche di produttività della Sesta Sezione risulterebbero peggiorate nel periodo di presidenza del dott. Curzio.
In tale contesto, il giudice di primo grado sarebbe incorso in errore nel limitarsi ad affermare la “opinabilità” del suddetto giudizio incentrato sul rilievo attribuito all’esperienza direttiva presso la Sesta Sezione, e avrebbe omesso il sindacato sulla relativa motivazione e sull’eccesso di potere per arbitrarietà, irragionevolezza e incongruenza.
Al contempo, l’appellante deduce che è stata trascurata la propria rilevante esperienza nell’ufficio spoglio - pari a quasi 10 anni - mancante nel percorso del dott. Curzio e ben rilevante ai fini dell’indicatore specifico sub lett. c) dell’art. 21; lo stesso appellante fu del resto uno dei magistrati che diedero vita alla suddetta Sesta Sezione civile della Corte.
In tale contesto la delibera sarebbe viziata anche per travisamento di fatto, laddove esclude lo svolgimento di attività di spoglio dei ricorsi da parte del dott. Spirito.
In relazione all’indicatore specifico di cui alla lett. d), l’appellante si duole poi dell’omessa considerazione delle proprie esperienze ordinamentali (in specie, nel settore informatico; quale componente della Commissione per l’automazione dei servizi di cancelleria; nell’ambito del C.E.D.; quale referente distrettuale per la formazione decentrata per il periodo 2005-2007 della Corte di cassazione; quale componente della Commissione permanente per la creazione e l’aggiornamento dell’archivio informatico dei quesiti della prova preliminare del concorso per uditore giudiziario; quale componente della Commissione per la valutazione della capacità scientifica e di analisi delle norme ai fini del conferimento delle funzioni di legittimità ex art. 12 d.lgs. n. 160 del 2006; quale componente della Commissione Tributaria Centrale; quale componente della Commissione esaminatrice di concorsi per il ruolo di Consigliere di Stato).
In particolare, il giudice di primo grado avrebbe omesso qualsivoglia motivazione in ordine alla corrispondente censura proposta dal ricorrente, e sarebbe altresì incorso in errore - al pari del Csm - nel qualificare le suddette esperienze come organizzative anziché ordinamentali, trattandosi peraltro di attività ben idonee a superare a fini valutativi quelle di (risalente) partecipazione del dott. Curzio, quale componente per due mandati, al Consiglio Giudiziario di Bari, valorizzate dalla delibera fra le esperienze ordinamentali ex art. 34, comma 2, Testo unico.
Ancora, sarebbero state trascurate le esperienze organizzative vantate dall’appellante (ad es., quale pretore mandamentale provvisto dei correlati compiti direzionali; istruttore di importanti processi in materia di criminalità organizzata, in relazione ai quali il dott. Spirito contribuì anche alla sperimentazione di un software di coordinamento e organizzazione assurto a prototipo per affari similari; componente della Commissione di studio per l’organizzazione degli uffici del settore penale in previsione dell’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale).
Sarebbero state parimenti neglette le esperienze organizzative maturate dall’appellante presso la Corte di cassazione, fra cui in particolare l’introduzione dell’innovativo cd. “metodo progettuale” per la formazione dei ruoli d’udienza in Terza Sezione civile.
3.2. Col quarto motivo l’appellante si duole dell’omessa pronuncia sulla censura con cui aveva dedotto in primo grado il grave vizio di motivazione della delibera in ordine all’affermata prevalenza del profilo del dott. Curzio, stante l’assenza di un’effettiva e analitica comparazione sugli indicatori specifici previsti dal Testo unico, dal cui scrutinio analitico non può prescindersi nella valutazione, e difettando in specie una loro disamina “incrociata” fra i candidati.
3.3. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per connessione - nonché insieme con le residue doglianze proposte col primo motivo d’appello - sono fondati, nei termini e per le ragioni che seguono.
3.3.1. È controverso il concorso per l’incarico di Primo Presidente della Corte di cassazione.
Si tratta di un incarico rientrante fra le funzioni direttive apicali giudicanti di legittimità, ai sensi dell’art. 10, comma 16, d.lgs. n. 160 del 2006 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150).
Per tali incarichi l’art. 12, comma 11, d.lgs. n. 160 del 2006 prevede specificamente che «oltre agli elementi desunti attraverso le valutazioni di cui all’articolo 11, commi 3 e 5, il magistrato, alla data della vacanza del posto da coprire, deve avere svolto funzioni di legittimità per almeno quattro anni; devono essere, inoltre, valutate specificamente le pregresse esperienze di direzione, di organizzazione, di collaborazione e di coordinamento investigativo nazionale, con particolare riguardo ai risultati conseguiti, i corsi di formazione in materia organizzativa e gestionale frequentati anche prima dell’accesso alla magistratura nonché ogni altro elemento che possa evidenziare la specifica attitudine direttiva».
Il successivo comma 12 stabilisce che «Ai fini di quanto previsto dai commi 10 e 11, l’attitudine direttiva è riferita alla capacità di organizzare, di programmare e di gestire l’attività e le risorse in rapporto al tipo, alla condizione strutturale dell’ufficio e alle relative dotazioni di mezzi e di personale; è riferita altresì alla propensione all’impiego di tecnologie avanzate, nonché alla capacità di valorizzare le attitudini dei magistrati e dei funzionari, nel rispetto delle individualità e delle autonomie istituzionali, di operare il controllo di gestione sull’andamento generale dell’ufficio, di ideare, programmare e realizzare, con tempestività, gli adattamenti organizzativi e gestionali e di dare piena e compiuta attuazione a quanto indicato nel progetto di organizzazione tabellare».
3.3.2. Preliminarmente, occorre rammentare che per consolidata giurisprudenza il Testo unico sulla dirigenza giudiziaria, difettando la clausola legislativa a regolamentare e riguardando comunque una materia riservata alla legge (art. 108, 1° comma, Cost.), non costituisce un atto normativo, ma un atto amministrativo di autovincolo nella futura esplicazione della discrezionalità del Csm a specificazione generale di fattispecie in funzione di integrazione, o anche suppletiva dei principi specifici espressi dalla legge: vale a dire si tratta soltanto di una delibera che vincola in via generale la futura attività discrezionale dell’organo di governo autonomo (in termini, tra le tante, Cons. Stato, V, 27 settembre 2021, n. 6476; 26 maggio 2020, n. 3339; 21 maggio 2020, n. 3213; 28 febbraio 2020, nn. 1448 e 1450; 7 febbraio 2020, n. 976; 22 gennaio 2020, n. 524; 9 gennaio 2020, nn. 192 e 195; 7 gennaio 2020, nn. 71 e 84; 2 gennaio 2020, nn. 8 e 9; 2 agosto 2019, n. 5492; 17 gennaio 2018, n. 271; 6 settembre 2017, nn. 4215 e 4216). Per conseguenza il Testo unico non reca norme, cioè regole di diritto, ma solo pone criteri per un futuro e coerente esercizio della discrezionalità valutativa dell’organo di governo autonomo: sicché un successivo contrasto con le sue previsioni non concretizza una violazione di precetti, ma un discostamento da quei criteri che, per la pari ordinazione dell’atto e il carattere astratto del primo, va di volta in volta giustificato e seriamente motivato. Ove ciò non avvenga, si manifesta un uso indebito e distorto di quel potere valutativo, vale a dire ricorre un eventuale vizio di eccesso di potere, non già di violazione di legge. In ipotesi di denunciato contrasto con il Testo unico, dunque, il sindacato di legittimità del giudice amministrativo deve vagliare se in concreto siano stati indicati e adeguatamente dimostrati esistenti i detti presupposti per derogarvi. Al tempo stesso, ove si rilevi che una previsione del Testo unico si pone in contrasto con la legge, andrà senz’altro ritenuta priva di effetti e non applicata dal giudice, quand’anche non espressamente impugnata.
3.3.3. Ciò ricordato, va rilevato che il Testo unico, a fronte delle previsioni dell’art. 12 d.lgs. n. 160 del 2006 in relazione al conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi (fra cui le funzioni direttive apicali giudicanti di legittimità, cui si riferisce in particolare il citato art. 12, comma 11, d.lgs. n. 160 del 2006) individua i due parametri generali delle «attitudini» e del «merito» ai fini della valutazione comparativa dei candidati, che confluiscono in un giudizio finale «complessivo e unitario» (art. 2, comma 1, Testo unico).
In relazione alle attitudini il Testo unico distingue poi due categorie di indicatori utili alla valutazione individuale e comparativa dei magistrati: gli indicatori «generali», di cui agli artt. 6 ss. del Testo unico (Sezione I, Capo I, Parte II), e gli indicatori «specifici», previsti dagli artt. 14 ss. (Sezione II del medesimo Capo).
Ai fini della valutazione comparativa delle attitudini, l’art. 26 stabilisce a sua volta che il giudizio è formulato in maniera complessiva e unitaria, frutto della valutazione integrata e non meramente cumulativa degli indicatori, e precisa come «nell’ambito di tale valutazione, speciale rilievo è attribuito agli indicatori individuati negli articoli da 15 a 23 in relazione a ciascuna delle tipologie di ufficio» (cfr. art. 26, comma 3), e cioè agli indicatori specifici.
Con riguardo ai criteri di valutazione per il conferimento di uffici direttivi giudicanti di legittimità, l’art. 21 del Testo unico stabilisce che «Costituiscono specifici indicatori di attitudine direttiva […]: a) l’adeguato periodo di permanenza nelle funzioni di legittimità almeno protratto per sei anni complessivi anche se non continuativi; b) la partecipazione alle Sezioni Unite; c) l’esperienza maturata all’ufficio spoglio; d) l’esperienze e le competenze organizzative maturate nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, anche con riferimento alla presidenza dei collegi».
L’art. 33 attribuisce peraltro al riguardo, per il conferimento della dirigenza di uffici giudicanti di legittimità, «speciale rilievo, in posizione pariordinata tra loro» ai suddetti indicatori specifici di cui all’art. 21.
La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha chiaramente posto in risalto, in proposito, che lo «speciale rilievo» attribuito agli indicatori specifici ex art. 26, comma 3, Testo unico va inteso “nel senso, evidenziato dalla relazione illustrativa del T.U., che ‘gli elementi e le circostanze sottese agli indicatori specifici, proprio per la loro più marcata attinenza al profilo professionale richiesto per il posto da ricoprire, abbiano un adeguato spazio valutativo e una rafforzata funzione selettiva’, in ordine alle caratteristiche dell’incarico da conferire.
Pertanto, laddove un candidato possa in concreto vantare indicatori specifici, questo ‘speciale rilievo’ che va ad essi dato implica che non se ne possa pretermettere la valutazione e il peso. Il che, se non significa che senz’altro debbano contrassegnare la prevalenza di quel candidato su altri candidati, impone nondimeno l’onere di una particolare ed adeguata motivazione, nella valutazione complessiva, nell’ipotetica preferenza per un candidato che ne sia privo (o sia in possesso di indicatori specifici meno significativi): per modo che ne sia evidenziata e giustificata, attraverso il puntuale esame curriculare, la maggiore ‘attitudine generale’ o il particolare ‘merito’” (Cons. Stato, V, 31 agosto 2021, n. 6127; cfr. anche Id., 4 agosto 2021, n. 5475; 29 marzo 2021, n. 2647; 20 ottobre 2020, n. 6328; 29 ottobre 2018, n. 6137).
Va ancora soggiunto, in relazione all’incarico qui controverso, che ai sensi dell’art. 34, comma 1, Testo unico «Per il conferimento […] delle funzioni apicali giudicanti […] di legittimità (Primo Presidente della Corte di Cassazione […]) costituisce elemento di valutazione positiva la possibilità che l’aspirante assicuri, alla data della vacanza dell’ufficio, la permanenza nello stesso per un periodo non inferiore a due anni, salvo che ricorrano particolari circostanze ed esigenze che facciano ritenere necessario un periodo più lungo o adeguato un periodo più breve».
Proprio con riferimento alle funzioni direttive apicali di legittimità, l’art. 34, comma 2, Testo unico prevede inoltre che «Costituisce, di regola, elemento preferenziale […] il positivo esercizio, negli ultimi quindici anni, per almeno un biennio, di funzioni direttive di legittimità nonché le significative esperienze in materia ordinamentale”.
La valutazione comparativa, infine, deve essere effettuata in prospettiva funzionale, ai sensi dell’art. 25, comma 1, Testo unico, e cioè «al fine di preporre all’ufficio da ricoprire il candidato più idoneo per attitudini e merito, avuto riguardo alle esigenze funzionali da soddisfare ed, ove esistenti, a particolari profili ambientali».
3.3.4. Ricostruito il tessuto normativo e regolatorio che governa la fattispecie occorre procedere all’esame - nel prisma delle doglianze proposte dall’appellante - delle valutazioni espresse nella delibera impugnata in relazione ai profili dei due candidati.
Ciò non senza aver precisato, ancora in via preliminare, che il Csm, organo di rilievo costituzionale cui solo spettano le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, nonché le promozioni ed i provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati (ex art. 105 Cost.) per garanzia dell’indipendenza dell’ordine giudiziario, è titolare - per quanto qui di rilievo, ai fini del conferimento degli incarichi direttivi - di un’ampia discrezionalità, il cui contenuto resta estraneo al sindacato di legittimità del giudice amministrativo salvo che per irragionevolezza, omissione o travisamento dei fatti, arbitrarietà o difetto di motivazione, senza alcun apprezzamento che sconfini nella valutazione di opportunità, convenienza o condivisibilità della scelta (ex multis, Cons. Stato, V, 11 maggio 2021, nn. 3712 e 3713; 12 febbraio 2021, n. 1257; 10 febbraio 2021, n. 1238; 10 febbraio 2021, n. 1077; 11 gennaio 2021, nn. 331 e 332; 16 novembre 2020, nn. 7095 e 7098; 19 maggio 2020, n. 3171; 14 maggio 2021, n. 3047; 9 gennaio 2020, n. 192; 5 giugno 2019, n. 3817; 4 gennaio 2019, n. 97; 5 marzo 2018, n. 1345; 23 gennaio 2018, n. 432; 17 gennaio 2018, n. 271; 18 dicembre 2017, n. 5933; 11 dicembre 2017, n. 5828; 16 ottobre 2017, n. 4786; IV, 6 dicembre 2016, n. 5122; 11 settembre 2009, n. 5479; 31 luglio 2009, n. 4839; 14 luglio 2008, n. 3513; cfr. anche Id., V, 5 giugno 2018, n. 3383; Cass., SS.UU., 5 ottobre 2015, n. 19787).
Di qui un sindacato di legittimità astretto ai vincoli e limiti suesposti indicati dalla giurisprudenza sopra richiamata.
3.3.5. Nel caso di specie, quanto alla valutazione degli indicatori specifici, la delibera impugnata dà conto che il dott. Spirito “svolge funzioni di legittimità da lungo tempo (dal 1996 come applicato e poi dal 2002 come consigliere), assegnato al settore civile”, mentre il dott. Curzio “svolge funzioni di legittimità dal 2007, inizialmente assegnato al settore penale e quindi alla sezione lavoro e alle Sezioni Unite civili” (indicatore sub art. 21, lett. a), Testo unico).
Sotto altro profilo, inerente all’indicatore di cui alla lett. b), pone in risalto che l’appellante “ha maturato una consolidata esperienza di partecipazione alle Sezioni Unite - dal 2008 al 2016 e quindi dal 2018 quale Presidente titolare -” mentre il dott. Curzio “è componente delle Sezioni Unite dal 2014, inizialmente come consigliere e poi come presidente di sezione, e durante l’anno 2019 ha svolto in più occasioni le funzioni di presidente facente funzioni su delega del Primo Presidente”.
In tale contesto, in chiave comparativa rispetto all’indicatore sub lett. a) la delibera afferma la non significatività della maggior durata temporale dell’esperienza nelle funzioni di legittimità dell’appellante, considerata la “assoluta padronanza da parte del dott. Curzio” delle medesime funzioni, e rilevato che gli indicatori vanno valutati per la loro “pregnanza”, e nella specie “se l’esperienza del dott. Spirito nelle funzioni di legittimità è essenzialmente civilistica, l’esperienza del dott. Curzio è complessivamente più completa, avendo inizialmente per oltre un anno svolto funzioni penali, sottoscrivendo importanti sentenze, per poi venire assegnato alla Sezione lavoro e alle Sezioni Unite civili”.
Un apprezzamento di sostanziale equivalenza è poi espresso dal Csm in relazione all’indicatore sub lett. b), ponendo in risalto che “Per quanto attiene […] all’esperienza alle Sezioni Unite, non pare la differenza temporale particolarmente significativa, considerato che peraltro entrambi hanno svolto in più occasioni con autorevolezza le funzioni di Presidente facente funzioni su delega del Primo Presidente, sottoscrivendo molteplici decisioni”.
Sugli altri indicatori specifici previsti dall’art. 21, di cui alle lett. c) e d), la delibera esprime una valutazione di maggior pregnanza in favore del dott. Curzio “nella prospettiva funzionale delle esigenze dell’Ufficio (art. 25, comma 1 TU)”.
Quanto all’indicatore sub lett. c), premette che il dott. Spirito “quale Presidente non titolare ha coadiuvato il Presidente titolare nella formazione dei ruoli d’udienza in relazione allo spoglio”, mentre il dott. Curzio “ha svolto attività di spoglio inizialmente nel 2009, quale componente della ‘Struttura centralizzata’ per lo spoglio dei processi civili, e poi dal luglio 2010 quale componente della Sesta Sezione civil[e], con funzioni, dal gennaio 2014, di Coordinatore della Sottosezione Lavoro, e infine tra il 2018 e il 2020 quale Presidente Titolare della Sesta sezione civile”, ove peraltro “ha maturato un’esperienza attinente allo spoglio particolarmente pregnante, anche nella funzione direttiva” (cfr. pag. 13 della delibera).
Ravvisa di seguito un’espressa prevalenza del profilo del dott. Curzio in quanto “se il dott. Spirito, quale Presidente non titolare, ha coadiuvato il Presidente titolare alla formazione dei ruoli - oltre ad avere concorso all’ideazione della Sesta Sezione -, non ha pur tuttavia sviluppato una concreta attività di esame preliminare dei ricors[i], viceversa il dott. Curzio ha maturato un’esperienza prima alla Struttura centralizzata e poi alla Sesta sezione civile, svolgendo prima l’incarico di coordinatore della sottosezione lavoro e poi, soprattutto, di Presidente Titolare della Sesta sezione civile, con quindi assunzione della diretta responsabilità della sezione spoglio. Pertanto il dott. Curzio, oltre ad aver svolto attività di spoglio, ha maturato esperienze di direzione proprio in relazione a tale indicatore specifico”.
Allo stesso modo, rispetto all’indicatore previsto dalla lett. d), il Csm dà conto preliminarmente che il dott. Spirito “ha maturato importanti esperienze organizzativ[e] in Corte di Cassazione, innanzitutto dal giugno 2016 come Presidente di Sezione e dal marzo 2018 come Presidente Titolare della Terza Sezione civile, avendo anche in precedenza presieduto collegi e prestato una stretta collaborazione con il Presidente titolare” (tra l’altro, quale Presidente della Terza Sezione civile “si è distinto per l’introduzione di una nuova prassi organizzativa nella formazione dei ruoli di udienza definita ‘metodo progettuale’, che ha portato al raggiungimento del miglior risultato tra le sezioni civili in termini di produttività e di indice di ricambio”); mentre il controinteressato “ha maturato esperienze organizzative presso il Supremo Collegio particolarmente rilevanti, innanzitutto dal 2016 come Presidente di sezione e dal 2018 come Presidente Titolare prima della Sesta sezione civile e dal 2020 della Sezione lavoro, ma anche prima come presidente di collegio e coordinatore della sottosezione lavoro della Sesta sezione civile, oltre che come referente per l’informatica”.
La valutazione complessiva espressa in ordine alle esperienze organizzative maturate confluisce poi in un maggior apprezzamento per il curriculum del dott. Curzio.
Premessa l’eccellente capacità di direzione dimostrata dall’odierno appellato quale Presidente titolare della Sesta Sezione (“si è distinto per l’eccellente capacità di direzione di una struttura chiave e centrale nell’organizzazione della Corte di Cassazione, per la funzione di ‘filtro’ rispetto alle Sezioni ordinarie”), concretatasi anche nell’elaborazione e adozione di moduli organizzativi che hanno ottimizzato la struttura con conseguente aumento della produttività sezionale e diminuzione della durata media dei procedimenti, il Csm ritiene che “Nella prospettiva funzionale del Supremo Collegio la titolarità della Sesta sezione civile appare particolarmente rilevante. Questo sia in considerazione del ruolo centrale e strategico di filtro che assume tale sezione, atteso che ha il compito di decidere, con la massima rapidità possibile, un numero di ricorsi tale da consentire alle sezioni ordinarie di svolgere esclusivamente l’attività nomofilattica, propria della Corte. […] Ulteriormente […] l’organizzazione della complessiva attività delle cinque sottosezioni in cui si articola la Sesta sezione, corrispondenti delle sezioni ordinarie, con il necessario raccordo con queste, appare particolarmente significativa, sempre nella prospettiva funzionale, per l’acquisizione della piena conoscenza delle problematiche delle diverse sezioni civili della Corte, e quindi di una prospettiva complessiva del settore civile”.
Alla luce di ciò la delibera formula al riguardo un giudizio di preminenza del profilo del dott. Curzio nei seguenti termini: “considerato che entrambi [i candidati] nelle funzioni direttive anche come Presidente Titolare hanno dato eccellente prova di capacità organizzative, il fatto che queste funzioni siano state svolte dal dott. Curzio nell’ambito di una sezione centrale per la funzionalità dell’intero settore civile della Corte di Cassazione, e ciò sia avvenuto potenziando la funzione di filtro della stessa nell’ambito di un rapporto costante con le sezioni ordinarie, porta a ritenere lo stesso maggiormente idoneo a ricoprire l’incarico di Primo Presidente, avendo acquisito una visione complessiva dell’Ufficio”.
In ordine agli indicatori generali la delibera pone poi in risalto che “Se l’esame degli indicatori specifici porta ad un giudizio di prevalenza del dott. Curzio, questo non è sovvertito dall’esame degli indicatori generali. In particolare, va considerato che entrambi hanno maturato una rilevante esperienza nella formazione anche presso la Corte di Cassazione. Inoltre il dott. Spirito non vanta ulteriori esperienze così significative da portare ad un diverso giudizio di prevalenza”.
Di qui la conclusione cui il Csm perviene, affermando che “considerato l’eccellente profilo di merito di entrambi i candidati, una valutazione complessiva e integrata degli indicatori attitudinali, tenuto conto delle esigenze funzionali dell’Ufficio da ricoprire, porta ad un giudizio di prevalenza del dott. Curzio”.
3.3.6. La motivazione così espressa a fondamento del giudizio di prevalenza, ritenuta legittima dal giudice di primo grado, non resiste alle doglianze articolate dall’appellante, risultando irragionevole e gravemente carente per i motivi di seguito esposti.
3.3.6.1. Sotto un primo profilo, si appalesa manifestamente irragionevole e difettosamente motivato il giudizio espresso dal Csm in relazione agli indicatori specifici sub lett. a) e b) dell’art. 21 del Testo unico.
È infatti palese la (consistente) maggior esperienza del dott. Spirito sul parametro di cui alla lett. a), rispetto al quale la stessa delibera dà conto che mentre l’appellante “svolge funzioni di legittimità da lungo tempo (dal 1996 come applicato e poi dal 2002 come consigliere)”, e dunque “da quasi venticinque anni”, “dal 2016 anche con funzioni direttive”, il dott. Curzio “svolge funzioni di legittimità dal 2007”, cioè “da circa tredici anni”.
Lo stesso è a dirsi per l’indicatore sub lett. b), considerato che l’appellante ha preso parte alle Sezioni Unite “dal 2008 al 2016 [periodo nel corso del quale “ha steso ben 172 sentenze per le Sezioni Unite, dalle quali risultano estratte 103 massime”] e quindi dal 2018 quale Presidente titolare” (avendo anche presieduto il collegio “quale facente funzioni del Primo Presidente” in relazione a 211 provvedimenti), mentre il controinteressato ne è componente “dal marzo 2014 quale consigliere, dal giugno 2016 quale presidente di sezione, e dal gennaio 2018 quale presidente titolare della Sesta sezione civile”, avendo svolto anche “durante l’anno 2019 […] in più occasioni le funzioni di presidente facente funzioni su delega del Primo Presidente”.
Alla luce di ciò, il giudizio formulato dal Csm in relazione ai suddetti indicatori specifici sub lett. a), b) dell’art. 21, rispetto ai quali si perviene a un giudizio di sostanziale equivalenza fra i candidati, si appalesa irragionevolmente e carentemente motivato.
Quanto all’indicatore sub lett. a) non vale infatti limitarsi ad affermare che “il fatto che il dott. Spirito svolga funzioni di legittimità da più tempo del dott. Curzio non appare significativo, in considerazione dell’assoluta padronanza da parte del dott. Curzio delle funzioni di legittimità, attestata da tutte le valutazioni che sottolineano l’eccezionale professionalità dimostrata anche in tali funzioni”, stante l’aspecificità e astrattezza del riferimento, non in grado di fornire spiegazione concreta e circostanziata della ragione per cui esperienze (così consistentemente) diverse possano ritenersi sostanzialmente equivalenti.
Lo stesso è a dirsi per l’affermazione della maggior completezza dell’esperienza del dott. Curzio, “avendo inizialmente per oltre un anno svolto funzioni penali, sottoscrivendo importanti sentenze, per poi venire assegnato alla Sezione lavoro e alle Sezioni Unite civili”: il richiamo a “oltre un anno” di funzioni penali - peraltro non estranee all’esperienza complessiva del dott. Spirito - non consente infatti di motivare, da solo, secondo canoni di ragionevolezza e piena intellegibilità, la conclusione di sostanziale equivalenza a fronte di un così considerevole divario quantitativo-temporale nell’esercizio delle funzioni di legittimità. Né vengono del resto forniti altri elementi idonei a sostenere un giudizio di diversa “pregnanza” delle esperienze in comparazione.
Lo stesso è a dirsi rispetto all’indicatore specifico sub lett. b), in relazione al quale - anche al di là del suddetto errore denunciato dall’appellante in ordine alla quantificazione degli anni trascorsi dal dott. Curzio in Sezioni Unite, avendo comunque la stessa amministrazione riconosciuto come l’esperienza dell’appellato ammonti a 4 anni e 10 mesi (cfr. memoria, pag. 22) - sussiste un oggettivo e considerevole divario di fronte al quale la delibera si limita ad affermare che “non pare la differenza temporale particolarmente significativa, considerato che peraltro entrambi hanno svolto in più occasioni con autorevolezza le funzioni di Presidente facente funzioni su delega del Primo Presidente, sottoscrivendo molteplici decisioni”: il che non vale a offrire ragionevole e compiuta spiegazione dell’esito valutativo, finendo invece per sminuire il significato concreto dell’indicatore specifico.
In tale contesto, l’oggettiva consistenza dei dati curriculari nei termini suindicati avrebbe richiesto una (ben diversa e) più adeguata motivazione in ordine alle conclusioni raggiunte dal Csm: seppure il dato quantitativo-temporale sul possesso degli indicatori specifici non ha infatti valore assorbente e insuperabile, né implica di per sé alcun automatismo sull’esito valutativo, occorre nondimeno una motivazione ragionevole e adeguata per poter giustificare una conclusione difforme dalle (univoche) emergenze dei dati oggettivi.
Tanto in più in un caso, quale quello in esame, in cui l’importanza del posto a concorso, gli eccellenti profili dei candidati in competizione e la indiscutibile rilevanza dei loro curricula impongono - oltre all’attenta, accurata e completa ricognizione di tutti gli aspetti della rispettiva carriera, anche attraverso la opportuna comparazione - un particolare obbligo di motivazione, puntuale ed analitico, tale da far emergere in modo quanto più preciso ed esauriente le ragioni della prevalenza di un candidato sull’altro.
Ferma infatti l’esclusiva attribuzione al Csm del merito delle valutazioni, su cui non è ammesso alcun sindacato giurisdizionale, nella specie la motivazione posta a fondamento della valutazione si manifesta gravemente lacunosa e irragionevole.
3.3.6.2. Ad analoghe conclusioni si perviene anche sulla valutazione compiuta dal Csm in ordine all’indicatore di cui alla lett. c) dell’art. 21 del Testo unico in relazione all’attività di spoglio.
Si duole l’appellante, al riguardo, della valorizzazione per tale indicatore della sola attività di ausilio al Presidente titolare riconosciuta al dott. Spirito, affermando la delibera che egli “non ha pur tuttavia sviluppato concreta attività di esame preliminare dei ricors[i]” maturata invece dal dott. Curzio “prima alla Struttura centralizzata e poi alla Sesta sezione civile, svolgendo prima l’incarico di coordinatore della sottosezione lavoro e poi, soprattutto, di Presidente Titolare della Sesta sezione civile, con quindi assunzione della diretta responsabilità della sezione spoglio”.
In tal modo il Csm avrebbe del tutto trascurato l’attività di spoglio prestata dall’appellante per un periodo di quasi dieci anni presso l’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di cassazione, nonché l’analoga esperienza maturata dal 2002 quale componente del gruppo di magistrati designati alla sperimentazione della primigenia attività di “filtro” - poi confluita nell’istituzione della Sesta Sezione civile - a seguito delle modifiche processuali allora apportate con la novellazione dell’art. 375 Cod. proc. civ.
La doglianza è condivisibile, nei termini e per le ragioni che seguono.
La stessa delibera dà conto che il dott. Spirito “Dal marzo 1992 al dicembre 1996 è stato destinato, quale magistrato di tribunale, all’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione, ove è stato addetto al servizio civile”, e che ivi ha svolto un’attività di “cosiddetta fogliettazione (che consisteva nella redazione di una relazione per ognuno dei ricorsi da trattare) per le tre sezioni civili cosiddette generaliste e poi esclusivamente al servizio della Prima sezione civile e alla redazione di relazioni per le Sezioni Unite in ipotesi di contrasto di giurisprudenza, di questioni di massima di particolare importanza e di conflitti di giurisdizione”, venendo poi addetto alla massimazione delle sentenze delle Sezioni Unite e della Prima Sezione civile.
La delibera pone in risalto altresì che l’appellante ha successivamente svolto “le funzioni di magistrato d’appello destinato alla Corte di Cassazione [continuando] il servizio presso il Massimario […]”.
Emerge da tale descrizione una cospicua attività svolta dal dott. Spirito, sostanzialmente accostabile a quella di spoglio (cfr. il riferimento alla “fogliettazione” e alle “relazioni” per le Sezioni Unite della Corte), che il Csm trascura in fase di valutazione comparativa in relazione all’indicatore specifico di cui all’art. 21, lett. c), Testo unico.
L’appellante evidenzia a sua volta, al riguardo, la funzione - in sé non contestata dalle altre parti - che l’Ufficio del Massimario assolveva in quegli anni, comprensiva di vera e propria attività di “spoglio” (cfr., anche Cons. Stato, V, 6 settembre 2017, n. 4220, in cui si pone in risalto, peraltro, anche che “in tanto l’indicatore attitudinale specifico in questione [i.e., ex art. 21, lett. c), Testo unico] può essere ritenuto legittimo in quanto con esso sia valorizzata l’attività di spoglio svolta dal magistrato a prescindere dalla formale assegnazione ad un’unità organizzativa a ciò appositamente deputata”).
Alla luce di ciò, la motivazione della delibera in ordine alla valutazione comparata sull’indicatore specifico sub lett. c) dell’art. 21 del Testo unico - con l’affermazione che il dott. Spirito “non ha pur tuttavia sviluppato concreta attività di esame preliminare dei ricors[i]” - si appalesa erronea, contraddittoria rispetto alla descrizione preliminare dell’esperienza dell’appellante, o comunque gravemente lacunosa, non fornendo spiegazione delle ragioni di tale assunto, e dunque non valendo a sorreggere ex se le conclusioni comparative accolte.
Di qui l’ulteriore profilo d’illegittimità della delibera.
3.3.6.3. Anche in relazione alla valutazione espressa dal Csm in ordine all’esperienza del dott. Curzio quale Presidente della Sesta Sezione civile della Corte le doglianze proposte dall’appellante sono condivisibili, nei termini e per le ragioni che seguono.
Come già evidenziato, il giudizio di prevalenza del Csm - che ha concorso in misura significativa, in una all’esperienza di spoglio maturata (ritenuta dalla delibera “particolarmente pregnante” in capo all’appellato) per l’apprezzamento finale e l’individuazione del dott. Curzio quale candidato preferibile per il conferimento dell’incarico - s’è incentrato sulle peculiarità della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, da un lato in ragione del ruolo essenziale e strategico che essa presenta quale Sezione “filtro”, dall’altro alla luce delle sue caratteristiche organizzative, trattandosi di Sezione articolata in più sottosezioni richiedenti un’attività di raccordo e coordinamento in grado di far sperimentare le problematiche delle diverse sezioni civili, e così acquisire una visione d’insieme dell’intero ufficio.
Per tali ragioni, l’eccellente direzione di tale Sezione dimostrata dal dott. Curzio varrebbe a porlo in posizione prioritaria rispetto al dott. Spirito.
La sentenza impugnata ha confermato la legittimità di tale motivazione, che sfuggirebbe alle censure d’irragionevolezza rientrando negli spazi di opinabilità rimessi al Csm.
La statuizione non resiste a ben vedere alle critiche dell’appellante.
La motivazione espressa nella delibera esorbita infatti dai margini di discrezionalità riconosciuti al Csm, risolvendosi in una preferenza precostituita per l’esperienza maturata presso una specifica Sezione dell’ufficio (in specie, la Sesta Sezione civile) in assenza di criteri (predeterminati) in tal senso nell’ambito del Testo unico, e ben al di là del significato proprio del principio funzionalistico di cui all’art. 25, comma 1, Testo unico.
La valutazione espressa finisce infatti per prediligere staticamente (e in termini aprioristici) una Sezione dell’ufficio rispetto alle altre; e sebbene non si possa neppure pervenire ad obliterare tout court - altrettanto acriticamente - la rilevanza dell’attività svolta presso la Sesta Sezione (la quale partecipa comunque all’elaborazione della giurisprudenza di legittimità, oltreché all’individuazione delle questioni da rimettere alle altre sezioni, a prescindere peraltro dal sistema d’assegnazione dei magistrati alla Sezione), la motivazione sostanzialmente incentrata sulla superiorità dell’attività direzionale di una Sezione anziché delle altre non risulta di per sé adeguata a sorreggere il giudizio di prevalenza, e va al di là della opinabilità, e cioè del fisiologico esercizio della discrezionalità spettante all’amministrazione nel quadro degli indicatori previsti dal Testo unico.
In tale prospettiva, la motivazione spesa si esaurisce e viene a coincidere invero con un (autonomo e postumo) criterio valutativo - incentrato sulla posizione attitudinale privilegiata riconosciuta all’esercizio delle funzioni direttive in una data Sezione della Corte - privo delle necessarie garanzie di predeterminazione e sorvegliabilità della ponderazione e del nesso fra premesse e risultati conclusivi: il che conduce evidentemente ben oltre la discrezionalità valutativa nell’apprezzamento dell’uno o dell’altro profilo curriculare.
A prescindere dunque dalle critiche formulate dall’appellante in ordine ai risultati sezionali riconosciuti al dott. Curzio - critiche con le quali si deduce un peggioramento del cd. “indice di ricambio”, e che tuttavia non considerano, da un lato l’aumento dei ricorsi “in ingresso” o “sopravvenuti” registrato dalla Sesta Sezione, dall’altro che quest’ultima include fra le proprie funzioni anche quella di rinvio delle cause alle altre sezioni, sicché il numero di ricorsi “definiti” non risulta di per sé solo determinante - la motivazione espressa dal Csm in parte qua a giustificazione della preminenza del dott. Curzio risulta illegittima, manifestamente irragionevole, e comunque di suo insufficiente a sorreggere le conclusioni all’uopo formulate dalla delibera.
Di qui l’illegittimità di quest’ultima anche in relazione a tale profilo.
3.4. Per le ragioni sopra esposte, dunque, sono fondate le suddette doglianze formulate dall’appellante, dalle quali risulta l’illegittimità - nei sensi suindicati - della valutazione del Csm in relazione ai citati indicatori posti a fondamento della decisione assunta (coincidenti in specie con indicatori specifici, cui compete lo speciale rilievo nella valutazione di cui all’art. 26, comma 3 - oltreché art. 33 - del Testo unico) con conseguente annullamento della delibera gravata, stante la compromissione del relativo sostrato motivazionale, non più in grado a fronte dei vizi divisati di sorreggere e giustificare gli esiti della determinazione amministrativa.
Né rileva, in tale contesto, il richiamo nella motivazione del deliberato ai profili preferenziali di cui al comma 2 dell’art. 34 del Testo unico (“entrambi [i candidati] svolgono funzioni direttive di legittimità da oltre i due anni previsti come elemento preferenziale per il conferimento dell’incarico”, ma “Se il dott. Curzio ha maturato una significativa esperienza ordinamentale - prevista al pari come elemento preferenziale -, ancorché risalente, nell’organo locale di autogoverno [i.e. Consiglio Giudiziario di Bari, nei bienni 1989-1991 e 1995-1997, che la stessa delibera indica come “risalenti”], non paiono viceversa ravvisarsi nel profilo del dott. Spirito esperienze particolarmente significative […]”) attesa la valenza ancillare del passo motivazionale - essendo invece il giudizio di preminenza incentrato sull’apprezzamento nei termini suindicati degli indicatori, determinante nella valutazione finale espressa dall’amministrazione - in coerenza del resto col significato degli “elementi preferenziali”, che non si sostituiscono né obliterano ex se gli indicatori, in particolare quelli specifici.
Sono infine assorbiti gli altri rilievi mossi dall’appellante - in particolare, in ordine alla mancata valorizzazione ed erronea qualificazione dei profili della propria esperienza, in specie di natura ordinamentale e organizzativa, di cui il Csm dà comunque conto (cfr. par. 4.2 della delibera) - considerato del resto che l’accoglimento dell’appello implica la rieffusione del potere amministrativo, nel rispetto delle competenze e attribuzioni proprie del Csm, in conformità con le superiori statuizioni.
Va infatti ribadito il principio generale, già affermato dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, che l’annullamento degli atti non esautora il Consiglio Superiore della Magistratura dall’esercizio delle funzioni attribuite dalla Costituzione e dalla legge, in particolare - nel caso di specie - di conferire gli incarichi direttivi degli uffici giudiziari, comportando invece l’obbligo di riprovvedere, tenendo conto degli specifici motivi che hanno determinato l’annullamento, restando pertanto piena (ed esclusiva) la discrezionalità delle valutazioni di merito sulla prevalenza di un candidato rispetto agli altri (cfr. Cons. Stato, V, 15 luglio 2020, n. 4584).
4. In conclusione, per le suesposte ragioni l’appello è fondato e va accolto, con conseguente riforma della sentenza impugnata, accoglimento del ricorso di primo grado e annullamento della delibera gravata.
4.1. La particolarità della controversia e la natura degli interessi coinvolti giustificano l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado annullando il provvedimento gravato;
compensa integralmente le spese fra le parti.
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza (ud. 25 novembre 2021) 14 gennaio 2022, n. 267
Svolgimento del processo
1. Con delibera del Csm del 15 luglio 2020 veniva conferito alla dott.ssa Margherita Cassano l’incarico direttivo di Presidente aggiunto della Corte di cassazione nell’ambito della procedura comparativa indetta con bando del 19 dicembre 2019.
La proposta in favore della dott.ssa Cassano era stata formulata dalla V Commissione del Csm all’unanimità, previo conferimento delle funzioni direttive superiori giudicanti di legittimità; nel plenum la votazione non era unanime, stante l’astensione di uno dei componenti.
2. Avverso la delibera, la relativa proposta, e gli atti presupposti, connessi e consequenziali proponeva ricorso altro candidato, il dott. Angelo Spirito, odierno appellante.
3. Il Tribunale amministrativo adìto, nella resistenza del Csm, del Ministero della Giustizia e della dott.ssa Cassano, respingeva il ricorso.
4. Avverso la sentenza ha proposto appello il dott. Spirito deducendo:
I) error in iudicando: manifesta contraddittorietà della motivazione della sentenza e mancata considerazione di elementi di fatto rilevanti;
II) error in iudicando: manifesta contraddittorietà della motivazione e mancata considerazione di elementi di fatto rilevanti; in particolare, in relazione alla ritenuta equivalenza dei candidati negli indicatori di cui alle lettere a), b) e c) dell’art. 21 Testo unico dirigenza giudiziaria e alla ritenuta prevalenza della controinteressata nell’indicatore della lettera d); erronea interpretazione degli artt. 10 e 12 d.lgs. n. 160 del 2006 e delle previsioni di cui agli artt. 21 e 25 Testo unico; motivazione contraddittoria, irragionevole e arbitraria;
III) error in iudicando: manifesta contraddittorietà della motivazione e mancata considerazione di elementi di fatto rilevanti; in particolare, sulla ritenuta prevalenza dell’appellata riferita all’esperienza di componente del Csm; violazione degli artt. 10 e 11 d.lgs n. 160 del 2006 e travisamento dei fatti; disparità di trattamento.
5. Resistono all’appello il Csm e il Ministero della Giustizia, nonché la dott.ssa Cassano, chiedendone la reiezione.
6. All’udienza pubblica del 25 novembre 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo di gravame l’appellante deduce l’insufficienza e lacunosità della motivazione della sentenza, la quale avrebbe peraltro mancato di pronunciarsi su molte delle critiche formulate dal ricorrente.
2. Col secondo motivo si duole del mancato accoglimento della censura con cui aveva dedotto in primo grado l’irragionevole valutazione comparativa compiuta dal Csm in relazione agli indicatori specifici sub lett. a), b) e c) dell’art. 21 del Testo unico sulla dirigenza giudiziaria in un quadro in cui la controinteressata non aveva mai ottenuto il conferimento delle funzioni direttive giudicanti di legittimità e presentava un più breve periodo di esercizio delle funzioni presso la Corte di cassazione, nonché una minore esperienza presso le Sezioni Unite e nell’attività di cd. “spoglio”.
In tale contesto, la motivazione del provvedimento risulterebbe gravemente illogica e irragionevole già nell’affermare la parità attitudinale fra la controinteressata e l’odierno appellante in riferimento ai detti indicatori sub lett. a), b) e c).
Anche rispetto all’indicatore specifico sub lett. d) dell’art. 21, le funzioni organizzative apprezzabili ai fini del conferimento dell’incarico a concorso non potrebbero che essere quelle di legittimità, non già le funzioni maturate presso altri uffici, come nella specie dalla controinteressata presso la Corte di appello di Firenze.
L’esaltazione dell’esperienza organizzativa maturata dalla dott.ssa Cassano sarebbe poi fuori luogo, considerato che nella specie non è previsto l’esercizio di funzioni di tal natura presso l’ufficio di destinazione, avente una più spiccata inclinazione giurisdizionale funzionalizzata alla nomofilachia.
3. Col terzo motivo l’appellante deduce che le funzioni prestate al di fuori del servizio magistratuale - coincidenti, in specie, con l’essere stata l’appellata componente del Csm - sono valutabili ex art. 12, comma 10, d.lgs. n. 160 del 2006 solo per incarichi direttivi di merito, non anche di legittimità.
In ogni caso il giudice di primo grado avrebbe omesso di pronunciarsi - o avrebbe comunque formulato una motivazione contraddittoria - sulla doglianza con cui s’era dedotto in primo grado che l’esperienza ordinamentale può al più rilevare ai fini del conferimento dell’incarico direttivo apicale di legittimità (i.e., Primo Presidente della Corte di cassazione), ma non anche di quello direttivo superiore di legittimità (i.e., Presidente aggiunto della Corte di cassazione) ai sensi dell’art. 34, comma 2, del Testo unico, e che d’altra parte una siffatta esperienza è apprezzabile solo unitamente a funzioni direttive di legittimità già effettivamente svolte.
L’appellante si duole infine dell’omessa valorizzazione, da parte del Csm, delle proprie esperienze ordinamentali, anch’esse trascurate dal giudice di primo grado.
3.1. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in ragione della loro connessione, sono fondati, nei termini e per le ragioni che seguono.
3.2. Vanno dapprima scrutinate le eccezioni preliminari sollevate al riguardo dagli appellati.
3.2.1. Eccepiscono anzitutto questi ultimi la novità e conseguente inammissibilità della doglianza incentrata sull’inapplicabilità nella specie del suddetto criterio preferenziale ex art. 34, comma 2, del Testo unico in quanto non pertinente rispetto all’ufficio a concorso: si tratterebbe infatti di doglianza dedotta dal ricorrente in primo grado solo con memoria difensiva e non anche col ricorso introduttivo; al contempo, il dott. Spirito non avrebbe proposto impugnazione avverso il capo della sentenza che afferma siffatta tardività.
Per le stesse ragioni, il terzo motivo di gravame sarebbe inammissibile nella parte in cui censura l’omessa pronuncia del Tar in ordine alla detta inapplicabilità del criterio sub art. 34, comma 2, Testo unico.
3.2.1.1. Le eccezioni non sono condivisibili.
In primo grado il ricorrente denunciava chiaramente l’illegittimità della delibera per (fra l’altro) “eccesso di potere per disparità di trattamento, travisamento dei fatti, assoluta insufficienza e contraddittorietà della motivazione, manifesta ingiustizia”, e in tale contesto deduceva espressamente che “Non è dubbio che tale incarico [i.e., quale componente del Csm] sia una ‘esperienza ordinamentale’ di rilievo, ma non può prevalere sulla attività giurisdizionale […]”.
Il che ben vale a esprimere il vizio fatto valere in termini d’illegittimità della delibera per aver malamente apprezzato - a fronte della “speciale natura delle funzioni da conferire” (cfr. ricorso, sub par. 3) - la prevalenza della dott.ssa Cassano sulla base di un elemento (i.e., l’esperienza quale componente del Csm) che non poteva essere utile a un siffatto giudizio preferenziale.
La successiva memoria ha semplicemente sviluppato l’argomento, richiamando anche l’art. 34, comma 2, del Testo unico sulla dirigenza giudiziaria, di cui alla delibera del Csm n. P-14858-2015 del 28 luglio 2015 (cfr. memoria dell’8 febbraio 2021, spec. par. 6.3), ma non ha allegato né una nuova doglianza, né un fatto nuovo, limitandosi a ribadire il medesimo vizio, per la medesima ragione e circostanza di fatto, sulla base di un ulteriore (rafforzativo) riferimento normativo, peraltro rilevante pur sempre in termini di eccesso di potere, giammai quale parametro di (distinta) violazione di legge (per la qualificazione del Testo unico quale atto di autovincolo anziché fonte di natura normativa, con conseguente configurazione della relativa violazione alla stregua di vizio di eccesso di potere e non di violazione di legge, cfr., inter multis, Cons. Stato, V, 16 novembre 2020, n. 7098; 21 maggio 2020, n. 3213; cfr. amplius infra, sub § 3.3.2).
D’altra parte il dott. Spirito, deducendo con l’atto di appello di aver fatto valere la doglianza sin con il ricorso di primo grado (cfr. par. 3 appello), impugna in effetti il capo di sentenza che riconduce invece la censura alla sola memoria difensiva; e anche se in effetti l’esplicitazione della doglianza rispetto alle funzioni apicali ex art. 34, comma 2, Testo unico è avvenuta con la suddetta memoria, è vero che con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado era stata chiaramente dedotta - nei termini suindicati - l’impropria applicazione di un criterio di prevalenza che anteponesse l’esperienza ordinamentale all’attività giurisdizionale, ciò che vale di per sé alla formulazione della censura, di cui il richiamo all’art. 34, comma 2, Testo unico rappresenta una declinazione o sviluppo argomentativo, che peraltro vale anche alla riedizione della doglianza originaria, intatta nella sua essenza.
Va peraltro osservato come, ad ogni modo, la censura non sia nella specie in sé determinante, attesa la sufficiente attitudine demolitoria delle altre, cui essa si affianca (v. infra, sub § 3.3.6 ss.), anche alla luce del carattere ancillare del contestato passo motivazionale della delibera del Csm, già riconosciuto dalla sentenza di primo grado.
3.2.2. Eccepisce ancora la controinteressata l’inammissibilità del gravame per carenza del requisito della specificità dei motivi di doglianza.
In specie, il primo motivo sarebbe viziato per genericità, mentre il secondo e il terzo non conterrebbero alcuna specifica censura alle motivazioni della sentenza in parte qua.
3.2.2.1. Neanche tali eccezioni sono condivisibili.
L’appello contiene nel suo complesso ragioni di doglianza sufficientemente precise e specifiche, e colpisce effettivamente la ratio decidendi della sentenza nei suoi diversi capi.
I denunciati profili di genericità del primo motivo derivano dal fatto che esso - indirizzato verso i vizi motivazionali della sentenza - è inautonomo e si aggancia agli altri, con cui va esaminato congiuntamente.
In specie, le doglianze complessivamente formulate dall’appellante attengono all’irragionevole conferma, da parte del giudice di primo grado, della valutazione svolta dal Csm con riguardo alla “ritenuta equivalenza dei candidati negli indicatori di cui alle lettere a), b) e c) dell’art. 21” (cfr. l’atto di appello) e alla “prevalenza della controinteressata nell’indicatore della lettera d)” (non avendo la sentenza adeguatamente considerato a tal fine le censure mosse dal ricorrente), nonché in relazione alla ritenuta prevalenza dell’appellata alla luce dell’esperienza maturata quale componente del Csm.
In tale contesto l’appellante deduce altresì che, nonostante la sentenza riconosca la rilevanza e gerarchia degli indicatori, non ne trae poi le dovute conseguenze: lo stesso Tar invoca infatti la necessità d’una motivazione rafforzata in caso di ritenuta prevalenza del candidato che possieda in minor misura un dato indicatore, e tuttavia non considera che nella specie una suddetta motivazione risulta mancante, e che per l’indicatore sub lett. d) dell’art. 21 del Testo unico essa è irragionevole in quanto incentrata sull’attività organizzativa relativa a un ufficio diverso da quello messo a bando, e valorizzando profili organizzativi funzionalmente non coerenti con lo stesso.
Allo stesso modo, il giudice di primo grado non avrebbe apprezzato adeguatamente la doglianza circa l’illegittimo riferimento all’esperienza dell’appellata quale componente del Csm, anche alla luce dei limiti previsti dall’art. 34, comma 2, Testo unico, nonché in ragione della necessaria compresenza - a fini valutativi - della “esperienza ordinamentale” con quelle di natura direttiva; analogamente non sarebbero state considerate dal Tar le censure incentrate sull’inadeguato apprezzamento del profilo del dott. Spirito sugli aspetti ordinamentali (per le varie doglianze formulate dall’appellante, cfr. anche retro, sub § 1 ss.).
In tale quadro vale peraltro osservare come la stessa appellata dia conto che la sentenza si richiama alla delibera impugnata e ne riporta espressamente diversi passi: di qui le coerenti censure che l’appellante formula nei confronti della sentenza, insieme con il provvedimento in parte qua.
3.2.3. La dott.ssa Cassano eccepisce ancora la novità e inammissibilità della doglianza incentrata sulla non utilità dell’attività direttiva svolta presso uffici di merito ai fini del conferimento di incarichi direttivi di legittimità.
Anche l’amministrazione - seppure in termini generici - deduce la novità delle doglianze inerenti all’indicatore specifico sub art. 21, lett. d), Testo unico, che non sarebbero state proposte in primo grado.
3.2.3.1. Le eccezioni possono essere assorbite in relazione al profilo di doglianza incentrato sulla lettura riduttiva dell’art. 21, lett. d), Testo unico proposta dall’appellante - cioè tale per cui «l’esperienze e le competente organizzative maturate nell’esercizio delle funzioni giudiziarie» sarebbero solo quelle presso uffici di legittimità - attesa la sua infondatezza (cfr. infra, sub § 3.3.6.2).
Per il resto, risultano pienamente ammissibili gli altri profili di censura inerenti ai vizi nell’apprezzamento - in prospettiva funzionale, ai fini del conferimento dell’incarico controverso - dell’esperienza direttiva maturata dalla dott.ssa Cassano presso la Corte di appello di Firenze (su cui v. infra, al medesimo § 3.3.6.2).
Nel ricorso di primo grado il dott. Spirito esprimeva infatti l’essenza di tali censure - pur sinteticamente nel quadro della dedotta erroneità della comparazione curriculare - dolendosi che “Altrettanto si fa con le capacità organizzative: si esaltano quelle dimostrate dalla controinteressata (solo nel periodo di presidenza della Corte di appello di Firenze) e si sottovalutano le capacità organizzative di cui il ricorrente ha dato prova […]”, in un contesto in cui chiaramente si lamentava la necessità che la valutazione fosse eseguita in termini funzionali (“Nella giurisprudenza amministrativa costituisce un dato sicuro che ‘merito e attitudini debbono avere riguardo alle funzioni dell’ufficio da conferire’ […]. D’altronde sarebbe illogica qualsiasi altra interpretazione dei criteri di valutazione comparativa”), e che nella delibera “si è dato rilievo a circostanze che, con l’idoneità a svolgere le funzioni di Presidente Aggiunto della Corte di Cassazione non hanno alcun rapporto” (cfr. il ricorso, che sviluppa subito dopo il rilievo rispetto all’incarico svolto dalla dott.ssa Cassano presso il Csm).
L’argomento è poi ulteriormente sviluppato in memoria, deducendo che “Ne segue che la delibera impugnata è viziata da violazione di legge ed eccesso di potere nella parte in cui ha ritenuto prevalente (e non recessiva) l’esperienza della Dott.ssa Cassano, quale componente del CSM e quale Presidente di una Corte d’Appello, senza prima procedere alla valutazione dell’incidenza e della durata dell’esperienza nomofilattica”, e che le pertinenti “disposizioni normative ([…] soprattutto dell’art. 25 del T.U.) […] impongono la valutazione comparativa finalizzata a preporre alla funzione direttiva superiore di legittimità”, con conseguente censurabilità della delibera ove “afferma che ‘l’incarico di Presidente della Corte d’appello di Firenze è da considerarsi assolutamente significativa anche rispetto al ruolo, comune agli altri candidati, di Presidente di Sezione presso la Corte di cassazione’”.
D’altra parte, la sentenza ha a sua volta valorizzato espressamente tale elemento della motivazione della delibera, con conseguente soccombenza sul punto del dott. Spirito, che vi ha coerentemente mosso doglianza.
3.3. Nel merito, come anticipato, l’appello è fondato.
3.3.1. È controverso il concorso per l’incarico di Presidente aggiunto della Corte di cassazione.
Si tratta di un incarico rientrante fra le funzioni direttive superiori giudicanti di legittimità, ai sensi dell’art. 10, comma 15, d.lgs. n. 160 del 2006 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150).
Per tali incarichi l’art. 12, comma 11, d.lgs. n. 160 del 2006 prevede specificamente che «oltre agli elementi desunti attraverso le valutazioni di cui all’articolo 11, commi 3 e 5, il magistrato, alla data della vacanza del posto da coprire, deve avere svolto funzioni di legittimità per almeno quattro anni; devono essere, inoltre, valutate specificamente le pregresse esperienze di direzione, di organizzazione, di collaborazione e di coordinamento investigativo nazionale, con particolare riguardo ai risultati conseguiti, i corsi di formazione in materia organizzativa e gestionale frequentati anche prima dell’accesso alla magistratura nonché ogni altro elemento che possa evidenziare la specifica attitudine direttiva».
Il successivo comma 12 stabilisce che «Ai fini di quanto previsto dai commi 10 e 11, l’attitudine direttiva è riferita alla capacità di organizzare, di programmare e di gestire l’attività e le risorse in rapporto al tipo, alla condizione strutturale dell’ufficio e alle relative dotazioni di mezzi e di personale; è riferita altresì alla propensione all’impiego di tecnologie avanzate, nonché alla capacità di valorizzare le attitudini dei magistrati e dei funzionari, nel rispetto delle individualità e delle autonomie istituzionali, di operare il controllo di gestione sull’andamento generale dell’ufficio, di ideare, programmare e realizzare, con tempestività, gli adattamenti organizzativi e gestionali e di dare piena e compiuta attuazione a quanto indicato nel progetto di organizzazione tabellare».
3.3.2. Occorre preliminarmente rammentare che - come già accennato - per consolidata giurisprudenza il Testo unico sulla dirigenza giudiziaria, difettando la clausola legislativa a regolamentare e riguardando comunque una materia riservata alla legge (art. 108, 1° comma, Cost.), non costituisce un atto normativo, ma un atto amministrativo di autovincolo nella futura esplicazione della discrezionalità del Csm a specificazione generale di fattispecie in funzione di integrazione, o anche suppletiva dei principi specifici espressi dalla legge: vale a dire si tratta soltanto di una delibera che vincola in via generale la futura attività discrezionale dell’organo di governo autonomo (in termini, tra le tante, Cons. Stato, V, 27 settembre 2021, n. 6476; 26 maggio 2020, n. 3339; 28 febbraio 2020, nn. 1448 e 1450; 7 febbraio 2020, n. 976; 22 gennaio 2020, n. 524; 9 gennaio 2020, nn. 192 e 195; 7 gennaio 2020, nn. 71 e 84; 2 gennaio 2020, nn. 8 e 9; 2 agosto 2019, n. 5492; 17 gennaio 2018, n. 271; 6 settembre 2017, nn. 4215 e 4216). Per conseguenza il Testo unico non reca norme, cioè regole di diritto, ma solo pone criteri per un futuro e coerente esercizio della discrezionalità valutativa dell’organo di governo autonomo: sicché un successivo contrasto con le sue previsioni non concretizza una violazione di precetti, ma un discostamento da quei criteri che, per la pari ordinazione dell’atto e il carattere astratto del primo, va di volta in volta giustificato e seriamente motivato. Ove ciò non avvenga, si manifesta un uso indebito e distorto di quel potere valutativo, vale a dire ricorre un eventuale vizio di eccesso di potere, non già di violazione di legge. In ipotesi di denunciato contrasto con il Testo unico, dunque, il sindacato di legittimità del giudice amministrativo deve vagliare se in concreto siano stati indicati e adeguatamente dimostrati esistenti i detti presupposti per derogarvi. Al tempo stesso, ove si rilevi che una previsione del Testo unico si pone in contrasto con la legge, andrà senz’altro ritenuta priva di effetti e non applicata dal giudice, quand’anche non espressamente impugnata.
3.3.3. Ciò ricordato, va rilevato che il Testo unico, a fronte delle previsioni dell’art. 12 d.lgs. n. 160 del 2006 in relazione al conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi (fra cui le funzioni direttive superiori giudicanti di legittimità, cui si riferisce in particolare il citato art. 12, comma 11, d.lgs. n. 160 del 2006) individua i due parametri generali delle «attitudini» e del «merito» ai fini della valutazione comparativa dei candidati, che confluiscono in un giudizio finale «complessivo e unitario» (art. 2, comma 1, Testo unico).
In relazione alle attitudini il Testo unico distingue poi due categorie di indicatori utili alla valutazione individuale e comparativa dei magistrati: gli indicatori «generali», di cui agli artt. 6 ss. del Testo unico (Sezione I, Capo I, Parte II), e gli indicatori «specifici», previsti dagli artt. 14 ss. (Sezione II del medesimo Capo).
Ai fini della valutazione comparativa delle attitudini, l’art. 26 stabilisce a sua volta che il giudizio è formulato in maniera complessiva e unitaria, frutto della valutazione integrata e non meramente cumulativa degli indicatori, e precisa come «nell’ambito di tale valutazione, speciale rilievo è attribuito agli indicatori individuati negli articoli da 15 a 23 in relazione a ciascuna delle tipologie di ufficio» (cfr. art. 26, comma 3), e cioè agli indicatori specifici.
Con riguardo ai criteri di valutazione per il conferimento di uffici direttivi giudicanti di legittimità, l’art. 21 del Testo unico stabilisce che «Costituiscono specifici indicatori di attitudine direttiva […]: a) l’adeguato periodo di permanenza nelle funzioni di legittimità almeno protratto per sei anni complessivi anche se non continuativi; b) la partecipazione alle Sezioni Unite; c) l’esperienza maturata all’ufficio spoglio; d) l’esperienze e le competenze organizzative maturate nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, anche con riferimento alla presidenza dei collegi».
L’art. 33 attribuisce peraltro al riguardo, per il conferimento della dirigenza di uffici giudicanti di legittimità, «speciale rilievo, in posizione pariordinata tra loro» ai suddetti indicatori specifici di cui all’art. 21.
La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha chiaramente posto in risalto, in proposito, che lo «speciale rilievo» attribuito agli indicatori specifici ex art. 26, comma 3, Testo unico va inteso “nel senso, evidenziato dalla relazione illustrativa del T.U., che ‘gli elementi e le circostanze sottese agli indicatori specifici, proprio per la loro più marcata attinenza al profilo professionale richiesto per il posto da ricoprire, abbiano un adeguato spazio valutativo e una rafforzata funzione selettiva’, in ordine alle caratteristiche dell’incarico da conferire.
Pertanto, laddove un candidato possa in concreto vantare indicatori specifici, questo ‘speciale rilievo’ che va ad essi dato implica che non se ne possa pretermettere la valutazione e il peso. Il che, se non significa che senz’altro debbano contrassegnare la prevalenza di quel candidato su altri candidati, impone nondimeno l’onere di una particolare ed adeguata motivazione, nella valutazione complessiva, nell’ipotetica preferenza per un candidato che ne sia privo (o sia in possesso di indicatori specifici meno significativi): per modo che ne sia evidenziata e giustificata, attraverso il puntuale esame curriculare, la maggiore ‘attitudine generale’ o il particolare ‘merito’” (Cons. Stato, V, 31 agosto 2021, n. 6127; cfr. anche Id., 4 agosto 2021, n. 5475; 29 marzo 2021, n. 2647; 20 ottobre 2020, n. 6328; 29 ottobre 2018, n. 6137).
Va ancora soggiunto, in relazione all’incarico qui controverso, che ai sensi dell’art. 34, comma 1, Testo unico «Per il conferimento delle funzioni direttive superiori giudicanti [nella specie di] Presidente Aggiunto della Corte di Cassazione […] costituisce elemento di valutazione positiva la possibilità che l’aspirante assicuri, alla data della vacanza dell’ufficio, la permanenza nello stesso per un periodo non inferiore a due anni, salvo che ricorrano particolari circostanze ed esigenze che facciano ritenere necessario un periodo più lungo o adeguato un periodo più breve».
La valutazione comparativa, infine, deve essere effettuata in prospettiva funzionale, ai sensi dell’art. 25, comma 1, Testo unico, e cioè «al fine di preporre all’ufficio da ricoprire il candidato più idoneo per attitudini e merito, avuto riguardo alle esigenze funzionali da soddisfare ed, ove esistenti, a particolari profili ambientali».
3.3.4. Ricostruito il tessuto normativo e regolatorio che governa la fattispecie occorre procedere all’esame - nel prisma delle doglianze proposte dall’appellante - delle valutazioni espresse nella delibera impugnata in relazione ai profili dei due candidati.
Ciò non senza aver precisato, ancora in via preliminare, che il Csm, organo di rilievo costituzionale cui solo spettano le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, nonché le promozioni ed i provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati (ex art. 105 Cost.) per garanzia dell’indipendenza dell’ordine giudiziario, è titolare - per quanto qui di rilievo, ai fini del conferimento degli incarichi direttivi - di un’ampia discrezionalità, il cui contenuto resta estraneo al sindacato di legittimità del giudice amministrativo salvo che per irragionevolezza, omissione o travisamento dei fatti, arbitrarietà o difetto di motivazione, senza alcun apprezzamento che possa sconfinare nella valutazione di opportunità, convenienza o condivisibilità della scelta (ex multis, Cons. Stato, V, 11 maggio 2021, nn. 3712 e 3713; 12 febbraio 2021, n. 1257; 10 febbraio 2021, n. 1238; 10 febbraio 2021, n. 1077; 11 gennaio 2021, nn. 331 e 332; 16 novembre 2020, nn. 7095 e 7098; 19 maggio 2020, n. 3171; 14 maggio 2021, n. 3047; 9 gennaio 2020, n. 192; 5 giugno 2019, n. 3817; 4 gennaio 2019, n. 97; 5 marzo 2018, n. 1345; 23 gennaio 2018, n. 432; 17 gennaio 2018, n. 271; 18 dicembre 2017, n. 5933; 11 dicembre 2017, n. 5828; 16 ottobre 2017, n. 4786; IV, 6 dicembre 2016, n. 5122; 11 settembre 2009, n. 5479; 31 luglio 2009, n. 4839; 14 luglio 2008, n. 3513; cfr. anche Id., V, 5 giugno 2018, n. 3383; Cass., SS.UU., 5 ottobre 2015, n. 19787).
Di qui un sindacato di legittimità astretto ai vincoli e limiti suesposti indicati dalla giurisprudenza sopra richiamata.
3.3.5. Nel caso di specie, quanto alla valutazione degli indicatori specifici, la proposta accolta dalla delibera afferma che “entrambi [i candidati] possono vantare un lungo svolgimento delle funzioni di legittimità, la partecipazione alle Sezioni Unite e lo svolgimento dell’attività di spoglio; e se il dott. Spirito ha svolto tali funzioni per più lungo tempo, anche la dott.ssa Cassano può vantare una lunga esperienza nelle funzioni di legittimità, per oltre tredici anni, periodo tale da integrare pienamente l’indicatore specifico di cui all’art. 21, lett. a), T.U.”.
In tal modo, rispetto agli indicatori sub lett. a), b), e c) dell’art. 21 del Testo unico viene affermata sostanzialmente un’equivalenza dei profili dei due candidati.
In relazione all’indicatore di cui alla successiva lett. d), la medesima proposta afferma la “Ben più significativa […] esperienza organizzativa della dott.ssa Cassano, la quale, dal 26.1.2016, è Presidente della Corte d’Appello di Firenze, ufficio di grandi dimensioni e dunque particolarmente complesso […]”.
In relazione agli indicatori generali, poi, si afferma che “Nettamente prevalenti sono […] le esperienze della dott.ssa Cassano, la quale, in particolare, è stata - unica fra i candidati - Consigliere del C.S.M., incarico ordinamentale di grande rilevanza […]”, esperienza ritenuta di “elevatissimo valore con riferimento alle competenze acquisite sul piano ordinamentale”, completata a seguire con l’esercizio della “Presidenza del Consiglio Giudiziario di Firenze”.
Ancora, la prevalenza della dott.ssa Cassano sugli indicatori generali sarebbe confermata dall’incarico ricoperto quale vice-direttore del C.E.D. della Corte di cassazione fino al gennaio del 2016, che si affianca alle altre esperienze quale componente del gruppo di lavoro cd. “scrivania virtuale” e di collaborazione al supporto di semplificazione di varie attività in favore dei magistrati di legittimità; componente dell’Agenzia per l’Italia digitale; referente per la formazione decentrata presso la Corte di cassazione e affidataria di uditori giudiziari e tirocinanti.
Sicché, complessivamente, “Non [vi sarebbe] dubbio che tutte queste esperienze, e in particolare quella di consigliere del C.S.M. e di vicedirettore del C.E.D. della Corte di Cassazione, risultino prevalenti rispetto a quelle del dott. Spirito, che […] devono considerarsi decisamente recessive sotto il profilo ordinamentale, organizzativo ed attitudinale”.
Il giudizio di prevalenza viene infine confermato dalla valutazione degli elementi di preferenza di cui all’art. 34, comma 2, Testo unico, argomentando che “se il dott. Spirito è Presidente di Sezione della Corte di Cassazione, la dott.ssa Cassano è stata consigliere del C.S.M. ed è, quale Presidente della Corte d’Appello, Presidente del Consiglio Giudiziario di Firenze”.
Quanto sopra vale a fondare, nel complesso, il giudizio di prevalenza formulato in favore della dott.ssa Cassano, sintetizzato - “ritenuto equivalente il merito” - nella “valutazione di tutti gli indicatori, sia quelli specifici sia quelli generali, tenuto conto dei criteri preferenziali di cui all’art. 34 T.U., e segnatamente delle rilevanti esperienze ordinamentali”.
3.3.6. La motivazione così espressa a fondamento del giudizio di prevalenza, ritenuta legittima dal giudice di primo grado, non resiste alle doglianze articolate dall’appellante, risultando manifestamente irragionevole e carente per i motivi di seguito esposti.
3.3.6.1. Sotto un primo profilo, si appalesa manifestamente irragionevole e difettosamente motivata la ritenuta equivalenza dei profili dei candidati in relazione agli indicatori specifici sub lett. a), b) e c) dell’art. 21 del Testo unico.
È infatti palese la (consistente) maggior esperienza del dott. Spirito sul parametro di cui alla lett. a), rispetto al quale la stessa proposta della V Commissione dà conto che mentre l’appellante “ha svolto per più di venti anni le funzioni di legittimità […]”, mentre la dott.ssa Cassano può vantare analoga esperienza “per oltre tredici anni”.
Lo stesso è a dirsi per l’indicatore sub lett. b), considerato che l’appellante “È stato per circa otto anni (dal 2008 al 2016) componente delle Sezioni Unite civili della Corte di cassazione” e “nel corso di questo ampio periodo […] ‘ha steso ben 172 sentenze per le Sezioni Unite, dalle quali risultano estratte 103 massime’”, e “Dal 9 marzo 2018 ne fa di nuovo parte come Presidente Titolare della Terza Sezione civile”; mentre la dott.ssa Cassano ha fatto parte delle Sezioni Unite Penali della Corte di cassazione “dal giugno 2010” - assumendo successivamente le funzioni di Presidente della Corte di appello di Firenze dal 26 gennaio 2016 - per un periodo dunque di circa cinque anni e sette mesi, in relazione al quale vengono richiamate nella proposta sette sentenze redatte.
Alla luce di ciò, al di là delle difese dell’appellata, con cui si deduce la minor frequenza nella celebrazione di udienze per le Sezioni Unite Penali, emerge chiaramente e obiettivamente, dalla semplice lettura dei dati, una netta prevalenza quantitativo-temporale dell’esperienza dell’odierno appellante in relazione ai parametri sub lett. a) e b) dell’art. 21, anche in ordine alla partecipazione (oltreché redazione di sentenze) in Sezioni Unite.
Né rileva il richiamare, in senso inverso, il precedente di questa V Sezione n. 913 del 2021 (i.e., Cons. Stato, V, 1° febbraio 2021, n. 913), il quale supera sì il dato quantitativo-temporale, ma alla luce di uno specifico giudizio di maggior completezza, in quel caso formulato, in ragione della poliedricità dell’esperienza maturata dal candidato (“L’assoluta eccellenza dell’attività svolta dal-OMISSIS- presso la Procura Generale, in tutte le sue articolazioni, comprova - secondo la quinta Commissione - l’assoluta padronanza delle funzioni di legittimità del controinteressato”, potendo quindi escludersi “nel caso di specie” che “alla minor durata delle funzioni di legittimità svolte dal-OMISSIS- corrisponda una minor padronanza delle funzioni”; ancora, “il CSM ha espressamente motivato tale valutazione proprio con riferimento alla maggior diversità di esperienze nelle funzioni specifiche di legittimità maturate dal controinteressato, e quindi alla maggior completezza del profilo dello stesso”).
Quanto all’indicatore specifico di cui alla lett. c) dell’art. 21, risulta l’esperienza maturata dal dott. Spirito all’ufficio spoglio quale Presidente non titolare delle Terza Sezione civile, coadiuvando il Presidente titolare nella formazione dei ruoli d’udienza; e la delibera menziona anche l’attività svolta all’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di cassazione dal 19 marzo 1992 al 10 dicembre 1996 con funzioni di magistrato di Tribunale applicato, e successivamente dall’11 dicembre 1996 al 1° ottobre 2002 quale magistrato d’appello applicato al Massimario della Corte di cassazione (cfr. al riguardo, in relazione alle funzioni di spoglio e al significato nel quadro del suddetto indicatore specifico sub art. 21, lett. c), Cons. Stato, V, 6 settembre 2017, n. 4220); la dott.ssa Cassano risulta invece aver svolto attività d’esame preliminare dei ricorsi di competenza della Prima Sezione penale dal febbraio 2007, in media per due giorni alla settimana, oltreché di classificazione dei processi assegnati alla Sezione Lavoro dal 2003 in avanti (cfr. la stessa memoria difensiva dell’appellata, pag. 21, in cui si dà atto che la dott.ssa Cassano ha svolto l’attività di spoglio per nove anni; cfr. anche l’autorelazione, in atti).
Rispetto a tale indicatore non emerge una altrettanto netta e manifesta prevalenza quantitativa dell’uno sull’altro candidato; in ogni caso, la valutazione di equivalenza è unitariamente e complessivamente eseguita dal Csm sui tre indicatori nonostante i considerevoli divari riscontrabili in relazione a quelli di cui alle lett. a) e b).
In tale contesto, è del resto la stessa proposta della V Commissione a dar conto che il dott. Spirito ha svolto le funzioni relative ai suddetti indicatori specifici “per più lungo tempo” (“entrambi [i candidati] possono vantare un lungo svolgimento delle funzioni di legittimità, la partecipazione alle Sezioni Unite e lo svolgimento dell’attività di spoglio”, con la precisazione subito seguente che “il dott. Spirito ha svolto tali funzioni per più lungo tempo” […]).
Alla luce di ciò, il giudizio complessivo di sostanziale equivalenza formulato dal Csm in relazione ai suddetti indicatori specifici sub lett. a), b) e c) dell’art. 21 si appalesa irragionevolmente e carentemente motivato: non vale infatti, al riguardo, limitarsi ad affermare che “anche la dott.ssa Cassano può vantare una lunga esperienza nelle funzioni di legittimità, per oltre tredici anni, periodo tale da integrare pienamente l’indicatore specifico di cui all’art. 21, lett. a), T.U.”.
Al di là, infatti, del periodo minimo di adeguatezza previsto dall’art. 21, lett. a) del Testo unico («periodo di permanenza nelle funzioni di legittimità almeno protratto per sei anni complessivi anche se non continuativi», oltre al requisito minimo prescritto dalla legge di aver svolto le suddette funzioni per almeno quattro anni, ex art. 12, comma 11, d.lgs. n. 160 del 2006) resta indubbia la maggior esperienza (e dunque il possesso in misura più elevata) dell’indicatore sub lett. a) da parte dell’appellante, peraltro in termini quantitativamente considerevoli.
Lo stesso è a dirsi rispetto all’indicatore specifico sub lett. b), in relazione al quale il Csm non fornisce alcuna specifica motivazione giustificativa della conclusione accolta.
In tale contesto, l’oggettiva consistenza dei dati curriculari nei termini suindicati avrebbe richiesto una (ben diversa e) più adeguata motivazione in ordine alla conclusione di ritenuta equivalenza dei profili dei candidati, conclusione che non risulta invece allo stato esplicabile né ragionevolmente intellegibile alla luce dello scarno passaggio motivazionale speso dal Csm al riguardo.
Tanto in più in un caso, quale quello in esame, in cui l’importanza del posto a concorso, gli eccellenti profili dei candidati in competizione e la indiscutibile rilevanza dei loro curricula impongono - oltre all’attenta, accurata e completa ricognizione di tutti gli aspetti della rispettiva carriera, anche attraverso la opportuna comparazione - un particolare obbligo di motivazione, puntuale ed analitico, tale da far emergere in modo quanto più preciso ed esauriente le ragioni della prevalenza di un candidato sull’altro.
Ferma infatti l’esclusiva attribuzione al Csm del merito delle valutazioni, su cui non è ammesso alcun sindacato giurisdizionale, nella specie la motivazione posta a fondamento della valutazione si manifesta gravemente lacunosa e irragionevole.
Di qui l’illegittimità della delibera, considerato del resto che il vizio ravvisato in relazione ai suddetti indicatori specifici - cui compete, insieme a quello di cui alla lett. d) dell’art. 21 lo speciale rilievo nella valutazione di cui all’art. 26, comma 3, (oltreché art. 33) Testo unico - risulta di suo efficiente ai fini dell’alterazione dell’equilibrio motivazionale posto a fondamento della delibera, che, accertato il vizio nei termini suindicati, non vale più a sorreggere e giustificare le conclusioni finali cui il Csm è pervenuto.
Ne consegue la sufficienza delle suddette (fondate) doglianze ai fini dell’accoglimento dell’appello e, in riforma della sentenza, all’annullamento della delibera impugnata.
3.3.6.2. A ciò si aggiunga che, anche rispetto all’indicatore specifico di cui alla lett.
d) dell’art. 21, seppure va respinta la tesi dell’appellante per cui le «esperienze e le competenze organizzative maturate nell’esercizio delle funzioni giudiziarie» prese in considerazione dalla disposizione (cfr., analogamente, il citato art. 12, comma 11, d.lgs. n. 160 del 2006, in cui si prevede che «devono essere […] valutate specificamente le pregresse esperienze di direzione, di organizzazione, di collaborazione […]»; il successivo comma 12, cit., precisa peraltro il portato e significato applicativo della previsione) siano solo quelle di legittimità (prova evidente si ricava dal successivo art. 34, comma 2, Testo unico, che esplicita attraverso il genitivo il riferimento preferenziale alle funzioni direttive «di legittimità», imponendo a contrario una lettura estensiva dell’art. 21 lett. d), in coerenza con il canone interpretativo dell’ubi dixit voluit, ubi noluit tacuit), resta fermo il parametro generale delle «esigenze funzionali» di cui all’art. 25, comma 1, del Testo unico che vale anch’esso a conformare gli oneri di adeguatezza motivazionale ravvisabili in capo al Csm.
In particolare, considerato l’ufficio messo a concorso (i.e., Presidente aggiunto della Corte di cassazione), nonché apprezzato il relativo preminente ruolo nomofilattico (su cui cfr. Cons. Stato, V, 15 luglio 2020, n. 4584, che pone in risalto la rilevanza del “riferimento dell’art. 25 alle «esigenze funzionali da soddisfare», nella funzione propria della Corte di cassazione, vale a dire la funzione di nomofilachia (art. 65 dell’Ordinamento giudiziario, che demanda [alla] Corte di cassazione di assicurare «l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge» nonché «l’unità del diritto obbiettivo nazionale»), di cui la figura del presidente aggiunto può essere preminente attore, potendogli competere di presiedere le Sezioni Unite civili o penali (ivi andando a parteciparealla funzione nomofilattica rinforzata dell’art. […] 374, terzo comma, Cod. proc. civ. o dell’art. 618 Cod. proc. pen.)”), manca una ragionevole e adeguata motivazione sulle ragioni per le quali sia stata ritenuta prevalente l’esperienza organizzativa della controinteressata di direzione di uno degli uffici d’appello sul territorio (“Ben più significativa […] appare l’esperienza organizzativa della dott.ssa Cassano, la quale, dal 26.1.2016, è Presidente della Corte d’Appello di Firenze, ufficio di grandi dimensioni e dunque particolarmente complesso”) rispetto a quella direttiva maturata dall’appellante presso la stessa Corte di cassazione (il dott. Spirito risulta infatti “Dal 23.6.2016 […] Presidente di Sezione [e] dal 9.3.18 Presidente Titolare della III Sezione civile”, oltre ad aver già “fornito collaborazione al Presidente Titolare nell’organizzazione della Sezione”).
In tale prospettiva, la motivazione della delibera si appalesa lacunosa - e allo stato irragionevole - sul perché l’esperienza organizzativa (pur ripercorsa dal Csm) presso una Corte territoriale sia da ritenere “più pregnante rispetto all’attività organizzativa e direttiva compiuta dal dott. Spirito”, alla luce della natura e dei tratti specifici dell’ufficio da conferire, da valorizzare (anche) nel prisma del principio di funzionalità di cui all’art. 25, comma 1, Testo unico.
Nella specie, anche il riferimento al fatto che “il posto oggetto del concorso - il Presidente Aggiunto - richieda un candidato che, da un lato abbia certe capacità nell’attività giurisdizionale e specifica esperienza nelle funzioni di legittimità […] e, dall’altro, che possieda indubbie esperienze organizzative, visto che si tratta di un posto di vertice che richiede anche tali capacità, collaborando - in sinergia con il Primo Presidente della Corte e i Presidenti di Sezione - all’organizzazione dell’intero ufficio” presenta valore aspecifico, non valendo a giustificare il maggior rilievo assegnato all’esperienza presso un ufficio territoriale rispetto a una Sezione della stessa Corte di cassazione.
Al contempo, il richiamo alla “esperienza organizzativa e direttiva decisamente superiore rispetto a quella degli altri candidati, in quanto [la dott.ssa Cassano] è stata vertice unico dell’intera Corte di Appello […] dovendo pertanto gestirne ogni aspetto organizzativo in piena autonomia ed essendone l’unica effettiva rappresentante [mentre] gli altri candidati hanno svolto funzioni direttive che, se pur significative, sono del tutto peculiari, in quanto caratterizzate dalla piena gestione solamente di una Sezione della Suprema Corte” non vale a fornire ragionevole e adeguata motivazione della poziorità della suddetta esperienza organizzativa territoriale su quella della singola Sezione della Corte di cassazione a fronte del criterio funzionale posto dall’art. 25, comma 1, Testo unico, da applicare in specie rispetto all’incarico di Presidente aggiunto.
Né tanto meno potrebbe spiegare sic et simpliciter - alla luce del suddetto criterio funzionale e della peculiarità del suindicato ruolo di Presidente aggiunto della Corte - il complessivo giudizio di prevalenza formulato, considerato il peso spettante anche agli altri indicatori specifici (su cui retro, spec. al precedente §), peraltro tutti in sé rilevanti e aventi posizione pariordinata (cfr., in termini generali, l’art. 33, comma 1, del Testo unico).
Analogamente, non risulta in sé risolutivo il richiamo, da parte della delibera, alle valutazioni espresse dal Csm (anche sul profilo organizzativo) in una precedente delibera di nomina del Primo Presidente della Corte di cassazione, considerata - oltre alla inevitabile specificità che ciascuna vicenda amministrativa presenta - la diversità del posto messo a concorso.
Per questi motivi, la delibera impugnata risulta affetta da grave vizio motivazionale in relazione alla valutazione espressa sugli indicatori specifici di cui all’art. 21 del Testo unico, e il che ne impone di per sé l’annullamento in accoglimento delle doglianze proposte dall’appellante (già invero alla luce delle censure sul giudizio di equivalenza in ordine agli indicatori sub lett. a), b) e c), cit.: cfr. retro, sub § 3.3.6.1), stante il ruolo preminente che nella valutazione comparativa assume il giudizio sui detti indicatori, con travolgimento nella specie dell’apparato giustificativo posto dal Csm a sostegno della decisione adottata.
3.3.6.3. A ciò si aggiunga peraltro che - come già anticipato - la delibera ravvisa e fa valere anche una ragione di prevalenza della dott.ssa Cassano ex art. 34, comma 2, Testo unico legata all’esperienza ordinamentale dalla stessa maturata quale componente del Csm e Presidente del Consiglio Giudiziario di Firenze (“Il giudizio di prevalenza della dott.ssa Cassano […] risulta confermato anche dalla valutazione degli elementi di preferenza di cui all’art. 34, c. 2, T.U., in quanto […] la dott.ssa Cassano è stata consigliere del C.S.M. ed è, quale Presidente della Corte d’Appello, Presidente del Consiglio Giudiziario di Firenze”; “È per tutte queste ragioni che […] la valutazione di tutti gli indicatori, sia quelli specifici che quelli generali, tenuto conto dei criteri preferenziali di cui all’art. 34 T.U., e segnatamente delle rilevanti esperienze ordinamentali, fa ritenere recessivo il profilo del dott. Spirito”; cfr. anche pag. 23 della proposta, ove si afferma che le esperienze di componente del Csm e Presidente del Consiglio Giudiziario “più esattamente […] integrano l’elemento preferenziale di cui all’art. 34 T.U. […]”; cfr. anche pag. 45 s.: “essendo il posto a concorso quello direttivo superiore giudicante di Presidente Aggiunto della Corte di Cassazione, devono altresì essere considerati gli elementi preferenziali previsti dall’art. 34 T.U.”, precisando che “Elementi preferenziali, poi, sono considerati l’avere svolto funzioni direttive di legittimità e l’avere ricoperto significative esperienze in materia ordinamentale”: di qui la valorizzazione delle “due […] ‘significative’ esperienze ordinamentali della dott.ssa Cassano”; lo stesso successivamente, pag. 54 s.: “la dott.ssa Cassano può vantare - unica fra tutti i candidati - il rilevantissimo incarico di Consigliere del C.S.M., rilevante non solamente quale indicatore generale ex art. 11, ma anche, e soprattutto, quale elemento di preferenza ai sensi dell’art. 34, c. 2, essendo esperienza ordinamentale di assoluto rilievo”).
In tal modo, il Csm ha espressamente attribuito valore in prospettiva preferenziale a dati esperienziali di natura ordinamentale, esogeni all’esercizio della funzione giudiziaria in sé.
Tuttavia, come correttamente posto in risalto dall’appellante, tali elementi non possono essere nella specie valorizzati nei suddetti termini preferenziali, considerato che - come reso esplicito dal suddetto art. 34, comma 2, Testo unico, e in linea già con il criterio di cui all’art. 25, comma 1, nonché in virtù della stessa ratio generale di adeguatezza e coerenza funzionale fra le pregresse esperienze maturate e i connotati dell’incarico da ricoprire - è possibile dare un rilievo preferenziale alla detta esperienza ordinamentale agli specifici fini del conferimento delle funzioni direttive «apicali» di legittimità, è cioè di Primo Presidente della Corte di cassazione (profilo, questo, assorbente nell’economia della doglianza formulata dall’appellante rispetto a quello incentrato sulla dedotta necessaria concorrenza dell’esperienza ordinamentale con le funzioni direttive di legittimità ai fini del giudizio preferenziale ex art. 34, comma 2, del Testo unico).
Il che ben si spiega del resto proprio alla luce del particolare ruolo, quale vertice della magistratura e membro di diritto del Csm ai sensi dell’art. 104, 3° comma, Cost., spettante al Primo Presidente, a fronte della diversa posizione e ruolo del Presidente aggiunto, in cui come osservato assume un valore essenziale e preminente la funzione di nomofilachia (cfr. anche Cons. Stato, n. 4584 del 2020, cit.).
La partecipazione quale componente del Csm (oltreché Presidente del Consiglio Giudiziario) rimane dunque ricompresa, nella specie, fra gli indicatori generali, ai sensi dell’art. 11, comma 1, Testo unico, col diverso valore che essi assumono.
Fermo quanto sopra, si rileva infine l’infondatezza del capo di doglianza con cui l’appellante afferma la rilevanza valutativa dell’esperienza presso il Csm per il conferimento dei soli uffici direttivi di merito, e non anche di legittimità, invocando a tal fine le peculiarità dell’art. 12, comma 10, d.lgs. n. 160 del 2006, che (solo) rispetto ai suddetti uffici di merito dà valore ad «ogni altro elemento, acquisito anche al di fuori del servizio in magistratura, che evidenzi l’attitudine direttiva».
L’inciso normativo non è infatti qui pertinente, considerato che l’incarico di componente del Csm ha un autonomo regime quale esperienza ordinamentale ben rilevante anche per le funzioni di legittimità, nei termini di cui agli artt. 11, comma 1 e 34, comma 2, Testo unico, a seconda del tipo d’incarico da ricoprire, e che non è in sé esclusa dalla previsione dell’art. 12, comma 11, d.lgs. n. 160 del 2006.
3.4. Per le ragioni sopra esposte, dunque, sono fondate le suddette doglianze formulate dall’appellante, dalle quali risulta l’illegittimità - nei sensi suindicati - della valutazione del Csm in relazione ai citati indicatori e parametri.
Il che è sufficiente all’annullamento della delibera, le cui conclusioni non risultano legittimamente giustificate - stanti i vizi riscontrati - dalla motivazione addotta dal Csm.
In tale contesto, sono assorbiti gli altri rilievi mossi dall’appellante - in particolare, in ordine alla mancata valorizzazione di tutti i profili della propria esperienza, di cui il Csm dà comunque conto (cfr. spec. pag. 57-62 della proposta) - considerato del resto che l’accoglimento dell’appello implica la rieffusione del potere amministrativo, nel rispetto delle competenze e attribuzioni proprie del Csm, in conformità con le superiori statuizioni.
Va infatti ribadito il principio generale, già affermato dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, che l’annullamento degli atti non esautora il Consiglio Superiore della Magistratura dall’esercizio delle funzioni attribuite dalla Costituzione e dalla legge, in particolare - nel caso di specie - di conferire gli incarichi direttivi degli uffici giudiziari, comportando invece l’obbligo di riprovvedere, tenendo conto degli specifici motivi che hanno determinato l’annullamento, restando pertanto piena (ed esclusiva) la discrezionalità delle valutazioni di merito sulla prevalenza di un candidato rispetto agli altri (cfr. Cons. Stato, n. 4584 del 2020, cit.).
4. In conclusione, per le suesposte ragioni l’appello è fondato e va accolto, con conseguente riforma della sentenza impugnata, accoglimento del ricorso di primo grado e annullamento della delibera gravata.
4.1. La particolarità della controversia e la natura degli interessi coinvolti giustificano l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado annullando il provvedimento gravato;
Compensa integralmente le spese fra le parti.