A seguito di condanna per il delitto di turbatio sacrorum, l'imputato ricorre per cassazione lamentando l'assenza nella sua condotta degli elementi richiesti dalla fattispecie di reato, non sussistendo né impedimento né turbamento della processione religiosa. Nello specifico si evidenzia che la sosta di pochi secondi del fercolo, effettuata dal ricorrente dinnanzi...
Svolgimento del processo
1.Il sig. L.G. ricorre per l'annullamento della sentenza de 19/06/2020 della Corte di appello di Palermo che, rigettando la sue impugnazione, ha confermato la condanna alla pena di sei mesi di reclusione, inflitta con sentenza del 23/10/2018 del Tribunale di Termini Imerese per il reato, di cui all'art. 405 cod. pen., contestato come commesso in Corleone 31/05/2016.
1.1. Con il primo motivo deduce, ai sensi dell'art. 606, lett. b), cod. proc pen., l'erronea applicazione dell'art. 405 cod. pen., non sussistendo l'impedimento, né il turbamento della processione in onore di San Giovanni Apostolo ed Evangelista; la sosta di pochi secondi del fercolo da parte dei fedeli - afferma - non può essere ritenuta interruzione di funzione religiosa o turbativa della stessa in assenza di segni manifesti quali "inchini", soste lunghe, ossequ alle persone, specifiche preghiere "ad personam" che nemmeno il capo d imputazione ipotizza. Padre D.M., ministro di culto presente alla processione, aveva dichiarato che lo svolgimento della funzione religiosa non aveva subito alcun impedimento, né turbativa. Il fatto è stato frainteso perché si era trattato - prosegue - di una comune consuetudine usata dai fedeli per riposare o per attendere il cambio da altri confratelli. In conclusione, la rappresentazione del fatto non corrisponde alla previsione della norma la cui applicazione si è basata sul presupposto dell'accertamento di un fatto diverso da quello contemplato nella fattispecie.
1.2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell'art. 606, lett. d), cod. proc pen., la mancata assunzione di una prova decisiva, in particolare, della testimonianza di Mons. M.P., Arcivescovo della diocesi di Monreale, indicato nella lista depositata dalla difesa il 07/03/2017. L'Arcivescovo aveva avviato un'indagine interna sull'accaduto ed avrebbe potuto fornire un valido contributo di conoscenza sullo svolgimento dei fatti, sulle regole di svolgimento delle processioni nelle vie cittadine, sulle abitudini tenute dalle confraternite , su ruolo dei "capo-vara" e su altri particolari che avrebbero certamente fotto luce, sulla vicenda.
Motivi della decisione
2.Il ricorso è infondato
3. L'imputato risponde del reato di "turbatio sacrorum" cui all’art 405 cod. pen. perché «nel corso della processione religiosa in onore di San Giovanni Apostolo ed Evangelista, svoltasi in luogo pubblico e con l'assistenza di un ministro del culto di una confessione religiosa, ordinando ai portatori del fercolo di sostare, per ben due volte, innanzi all'abitazione di B.A.M., coniuge di S.R., capo dell'associazione di tipo mafioso denominata "Cosa nostra' in segno di ossequio e rispetto nei confronti dei predetti e dei componenti della loro famiglia, turbava l'esercizio della funzione religiosa corrompendola del suo regolare svolgimento. In Corleone in data 31 maggio 2016».
3.1. Secondo la concorde ricostruzione dei Giudici di merito, durante la processione del Santo, il fercolo aveva sostato per alcuni secondi in. corrispondenza dell'abitazione dei coniugi R./B. senza che ve ne fosse ragione alcuna (viabilità, calca dei fedeli, necessità di rinfrancare i portatori de fercolo o di raccogliere offerte); la sosta era stata ordinata dal "capo vara", odierno imputato, figlio della cugina della B.. Le "soste", ognuna da pochissimi secondi, erano state due, l'una in corrispondenza del civico (omissis) e: via
(omissis), l'altra immediatamente dopo, al civico (omissis) della stessa via. Al momento del passaggio della processione l'abitazione era insolitamente, illuminata, le finestre aperte e vi erano affacciate due sorelle della B. e una sorella del R. (nelle processioni svoltesi negli anni precedenti l’abitazione era sempre rimasta chiusa durante il passaggio della processione).
3.2. Secondo il primo Giudice, l'imputato aveva «effettivamente turbato il regolare svolgimento della processione di San Giovanni che ha avuto luogo a Corleone il 31.05.2016, fermando per ben due volte il fercolo in corrispondenza dell'abitazione della B., alterandone il normale iter temporale e formale, alla presenza di un ministro di culto impegnato nella stessa e delle forze dell'Ordine, che si determinavano ad abbandonare subitaneamente quella che non era più l'iniziale manifestazione della devozione popolare in onore di un Santo, ma manifestazione di riaffermazione della influenza di una famiglia sul territorio, cui pure il simulacro del Santo doveva tributare rispetto». Conclusione: condivisa dalla Corte di appello sulla scorta della concorde ricostruzione delle vicenda da parte dei due rappresentanti delle Forze dell'Ordine (Polizia di Stato e·Carabinieri) che stavano prendendo parte alla processione per motivi istituzionali (per poi abbandonarla dopo l'episodio in questione in segno di dissociazione; «la conducenza (in fatto e logica) - afferma la Corte territoriale - della ricostruzione rassegnata dai nominati operanti di P.G. va ricondotta alla non controversa posizione rispettivamente mantenuta durante la marcia: gli agenti di P.S. subito dopo il simulacro del Santo ed i Militari dell'Arma nella zona anteriore al corteo. Donde la concreta, assoluta [p]ercepibilità in tempo reale degli accadimenti alla loro portata». Vero è - aggiungono i Giudici distrettuali - che «il corteo [aveva] fatto una sosta, allorché una anziana donna su una sedia a rotelle voleva abbracciare il Santo, tuttavia ciò, a ben vedere, non vale a confutare l’ipotesi accusatoria, in quanto, al contrario, ha contribuito a distinguere la natura autentica delle soste realmente effettuate dal corteo. E del resto, anche gli altri testi citati dalla difesa - che per altro sono risultati situati davanti al fercolo e quindi in posizione tale da non poter registrare quanto accadeva immediatamente dietro - adducendo che il corteo si fermava per consentire di compattare le fila, hanno consentito di differenziare siffatte generiche occasioni di sosta da quelle specificate con dovizia di particolari dagli anzidetti operanti di pol. giud.».
4. Tanto premesso, il primo motivo è infondato.
4.1.11 reato di "turbatio sacrorum" di cui all'art. 405 cod. pen. Può essere perfezionato da due condotte antigiuridiche: l'impedimento della funzione, consistente nell'ostacolare l'inizio o l'esercizio della stessa fino a determinare le cessazione, oppure la turbativa della funzione stessa, che si verifica quando il suo svolgimento non avviene in modo regolare (Sez. 3, n. ;:0739 de 13/03/2003, Rv. 225740 - 01; Sez. 3, n. 369 del 06/03/1967, Rv. 104093 - 01). La processione, avendo la finalità di esaltare il sentimento religioso e di rendere omaggio anche fuori del tempio alla divinità, alla Madonna ed ai santi, costituisce una pratica religiosa tutelata dall'art. 405 cod. pen. a condizione che vi sia come nel caso in esame, l'assistenza di un ministro del culto cattolico (Sez. , 11, 987 del 17/06/1968, Rv. 108850 - 01).
4.2. Esclusa, nel caso di specie, l'ipotesi dell'impedimento (che l’editto accusatorio nemmeno ipotizza), nella giurisprudenza della Corte di cassazione integra la condotta del "turbamento" il collocamento dei tavolini in strada al fine, di imporre una sosta della processione dinanzi ad un esercizio commerciale (Sez. 6, n. 8055 del 12/01/2021, Rv. 281050 - 02), il manifestare con grida all'interno della Chiesa, proferendo ingiurie alle autorità civili presenti a un funerale (Sez. 6, n. 28030 del 03/06/2009, Rv. 244281 - 01), il semplice distogliere l'attenzione dei fedeli o il denigrare la figura del ministro del culto (Sez. 3, n. 621 de 11/05/1967, Rv. 104861; Sez. 3, n. 369 del 06/03/1967, Rv. 104093), il gettare a terra l'ostia consacrata e calpestarla, generando "un trambusto" tra i detenuti presenti alla celebrazione della messa in carcere con conseguente allontanamento del detenuto che veniva ricondotto nella cella (Sez. 3 n. Z; 337 del 18/03/2021, n.m.), nel pregare ad alta voce al fine di coprire la voce dei celebranti e degli altri fedeli ed insultando e minacciando reiteratemente celebranti e gli altri fedeli presenti alle funzioni (Sez. 3, n. 3072 del 08/09/2016, dep. 2017, n.m.).
4.3. Nell'originaria impostazione codicistica (che, sul piano storico, seguiva da poco più di un anno la sottoscrizione dei Patti Lateranensi dell'11 febbraio 1929), il Capo Primo del Titolo IV del Libro secondo nel quale era inserito il delitto di "turbatio sacrorum" era intitolato «Dei delitti contro la religione dello Stato e i culti ammessi». L'art. 405 cod. pen. era a sua volta intitolato «Turbamento di funzioni religiose del culto cattolico»; i delitti contro i culti ammessi nello Stato, erano separatamente sanzionati dall'art. 406 con pene meno severe. Il legislatore fascista aveva così innovato profondamente rispetto a quello liberale del 1889 che, con il codice Zanardelli, aveva inserito il delitto tra quelli contro le. libertà ed, in particolare, contro «la libertà dei culti». All'epoca, la Corte di cassazione aveva ricondotto la libertà religiosa al «diritto naturale de le libertà» (Corte di cassazione, 28 maggio 1892, in Il Foro italiano, 1892, parte II col. 420) laddove il precedente codice penale sabaudo del 1859 considerava tale: reato come un'offesa alla religione dello Stato e agli altri culti da esso tollerati. Il Codice Rocco, come detto, aveva invece ricondotto il reato di "turbatio sacrorum" tra quelli contro la religione dello Stato. La dottrina dell'epoca non nutriva dubbi sul fatto che la religione non potesse essere considerata un affare individuale de quale lo Stato potesse disinteressarsi: la religione, in quanto fenomeno che lega gli uomini a Dio e tra loro stessi, è fondamento di ogni comunità e, di conseguenza, è fondamento dello Stato che deve difenderla come se difendesse sé stesso. L'attentato alla religione consacrata dai Patti Lateranensi come religione di Stato era considerato alla stregua di un attentato allo Stata, a sue, essersi fatto paladino e garante del libero e pubblico esercizio ciel culto riconosciuto dall'art. 1 del Concordato.
4.4. La Costituzione repubblicana, dato atto che lo Stato e la Chiesa cattolica
sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani (art. 7, Cost.), ha riconosciuto a tutti il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitare in privato o in pubblico il culto, all'unica condizione che non si tratti di riti contrari a buon costume (art. 19, Cast.). In tal modo, il diritto alla libertà religiosa, nelle, sue varie manifestazioni, è stato ricondotto nell'alveo dei diritti individuali di libertà "positiva" (cd. "libertà di"); in dottrina si è rimarcata la mancata previsione di specifici doveri di protezione di tale diritto (non performato, a livello costituzionale, sotto l'aspetto delle cd. libertà "negative", strutturate cioè come "libertà da") e di concreti limiti all'agire dei pubblici poteri, ma quel che in questa sede rileva è lo spostamento, a fini penalistici, del baricentro di tale libertà dallo Stato - ormai laico e non confessionale - all'individuo: la libertà religiosa non è più affare proprio del primo, ma diritto positivo del secondo.
4.5. Nonostante la rivoluzione copernicana operata dalla Costituzione del ‘48, (che aveva ribaltato i termini del rapporto Stato-individuo facendo della persona il fine dello Stato e non viceversa), secondo le più risalenti pronunce del giudice delle leggi si riteneva ancora che il delitto di cui all'art. 405, cod. pen., continuasse, al pari degli altri "Delitti contro le confessioni religiose", a tutelare non tanto la libertà religiosa individuale, quanto l'idea religiosa in sé considerata che trascendeva l'esercizio di un diritto individuale e costituiva uno dei valori morali e sociali attinenti all'interesse oltre che del singolo della collettività (Corte cost., sent. n. 125 del 1957). Solo un ventennio dopo si sarebbe fatta strada l'idea che il sentimento religioso, quale vive nell'intimo della coscienza individuale e si estende anche a gruppi più o meno numerosi di persone leqate tra loro dal vincolo della professione di una fede comune, è da considerare tra beni costituzionalmente rilevanti, come risulta coordinando gli artt. 2, 8 e 19 Cost., ed è indirettamente confermato anche dal primo comma de ll'art. 3 e dall'art. 20 (Corte cost. sent. n. 188 del 1975). Ancor più recentemente, la Corte costituzionale ha affermato che in attuazione del principio costituzionale della laicità e non confessionalità dello Stato - che non significa indifferenza di fronte all'esperienza religiosa, ma comporta equidistanza e imparzialità della legislazione rispetto a tutte le confessioni religiose - la protezione del sentimento religioso è venuta ad assumere il significato di un corollario del diritto costituzionale di libertà di religione, corollario che, naturalmente, deve abbracciare allo stesso modo l'esperienza religiosa di tutti coloro che la vivono, nella sua dimensione individuale e comunitaria, indipendentemente dai diversi contenuti di fede delle diverse confessioni (Corte cost. sent. n. 329 del_ 1997, nonché sent. n. 327 del 2002 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 405 cod. pen., nella parte in cui, per i fatti di turbamento delle funzioni religiose del culto cattolico, prevedeva pene più gravi, anziché quelle diminuite previste dall'art. 406 cod. pen. per gli stessi fatti commessi contro gli altri culti).
4.6. Solo nel 2006 (legge n. 85 del 2006), il legislatore ha riformato il Titolo IV del Libro II, intitolando il Capo Primo «Dei delitti contro le confessioni religiose» (art. 10), sostituendo gli artt. 403 e 404, cod. pen. (artt. 7 e 8 della legge), modificando l'art. 406 (art. 9) e abrogando l'art. 405 cod. pen Sparisce, così, anche sul piano grafico, ogni riferimento alla «religione dello Stato» per far posto alle «confessioni religiose» tutelate in ogni loro manifestazione ed, espressione, singola e collettiva.
4.7. La peculiarità del bene tutelato dal delitto di cui all'art. 406 cod. pen performa la condotta del turbare l'esercizio di una funzione, cerimonia o pratica religiosa, in termini diversi dal turbamento, per esempio, della regolarità di un ufficio o di un servizio pubblico o di pubblica necessità integrante la fattispecie del reato di cui all'art. 340 cod. pen. La diversità dell'oggetto della condotta di "turbatio sacrarum" esclude che per la sua integrazione sia necessaria, come conseguenza, la materiale discontinuità nell'esercizio della funzione religiosa o un ritardo o un suo diverso svolgimento (si pensi alla non programmata deviazione del percorso della processione); anche il coprire ad alta voce le preghiera dei fedeli integra, come visto, il reato di cui all'art. 405 cod. pen, anche se (e nonostante che) la funzione religiosa non ne venga "turbata" nel suo svolgersi. Ciò che viene in rilievo è la dimensione "spirituale" del bene protetto le cui tutela non consiste tanto (e solo) nell'assicurare la materiale regolarità della funzione religiosa, quanto anche nell'impedire che essa possa essere dissolta, utilizzata per scopi che offendono o sono in contrasto con la sensibilità reliqiose dei fedeli che vi partecipano e con i valori espressi dalla fede professata. Il "sentimento religioso", a vario modo tutelato dalle norme contenute nel Capo Primo del Titolo IV del Libro Secondo del codice penale, pur avendo una dimensione individuale ed intima, ha una sua proiezione necessariamente materiale perché si manifesta attraverso le persone (art. 403, cod. en.), cose: (art. 404 cod. pen.) e funzioni (art. 405 cod. pen.) con le quali e mediante le quali ciascun individuo (o collettività di persone) ha modo di testimoniare le propria fede, il proprio credo religioso, di alimentarlo, di coltivarlo, di viverlo. E così, la "res" oggetto di culto non rileva quale cosa che ha un interesse patrimoniale, bensì quale cosa che ha un valore simbolico-evocativo o che è strumentale all'esercizio del culto; il suo vilipendio o danneggiamento non lede tanto (o solo) il patrimonio quanto, soprattutto, il sentimento religioso delle collettività dei fedeli (art. 404 cod. pen.). Allo stesso modo, il vilipendio, del ministro di culto o della persona che lo professa, non offende la dignità dell'offeso, ma la proiezione religiosa della sua persona (art. 403 cod. pen.). In tutti questi casi è l'atteggiamento di disprezzo verso la religione che viene in rilevo: l'offesa al sentimento religioso costituisce il criterio selettivo eh e, a fronte: della identità materiale di condotte altrimenti punibili in base ad altre norme dello stesso codice penale, qualifica la condotta dell'agente.
4.8.11 turbamento di una funzione/pratica/cerimonia religiosa rileva, dunque,
non solo (e non tanto) sotto il profilo materiale ma anche sotto quello della strumentalizzazione della funzione a scopi totalmente contrari al sentimento religioso di chi vi prende parte, ai valori da esso espressi, nei quali il sentimento religioso di ciascuno si riconosce e che la funzione intende evocare e "onorare".
4.9.Nel caso di specie, si tratta di due soste effettuate senza alcuna giustificazione dinanzi alla abitazione di congiunti stretti di T.R., ordinate dal ricorrente, nella sua già indicata qualità, anch'egli imparentato con il R. stesso. In tale contesto non rileva la circostanza, ribadita a più riprese in sede di discussione orale dal difensore del ricorrente, che la moglie del R. non fosse: fisicamente presente in quel momento; rileva la materialità del gesto, che, interpretato dalla Corte di appello, con motivazione tutt'altro che illogica, come ossequio ad un esponente di spicco della criminalità mafiosa, ha strumentalizzato una processione religiosa a fini del tutti contrari al sentimento di coloro che vi partecipavano e comunque ai valori universalmente espressi e riconosciuti dalla religione cattolica, sovvertendoli completamente e integrando a tutti gli effetti il reato contestato: la processione si è fermata per rendere omaggio alle abitazione di uno storico capo-mafia e, dunque, al capo-mafia stesso. Il fatto che non sia stato effettuato il cd. "inchino" costituisce una mera variabile che non esclude, in sua assenza, la materialità del fatto: l'inchino, semmai, l'avrebbe solo, reso più grave.
5.11 secondo motivo di ricorso è inammissibile.
5.1. Secondo il costante insegnamento della Corte di cassazione, deve ritenersi "decisiva", secondo la previsione dell'art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., la prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia ovvero quella che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante (Sez. 3, n. 9878 del 21/01/2020, Rv. 278670 - 01; Sez. 4, n. 6783 del 23/01/2014, Rv. 259323 - 01; Sez. 3, n. 27581 del 15/06/2010, Rv. 248105 - 01; Sez. 6, n. 14916 del 25/03/2010, Rv. 246667 - 01; Sez. 2, n. 16354 del 28/04/2006, Rv. 234752 - 01).
5.2. Non è sufficiente pertanto affermare che il testimone (nel caso di specie, il prelato che aveva condotto un'istruttoria sulla vicenda) avrebbe potuto riferire, circostanze pertinenti all'imputazione ed è generica (oltre che esplorativa) la deduzione secondo la quale egli «avrebbe dato un valido contributo a spiegare le regole di svolgimento delle processioni nelle mie cittadine, le abitudini tenute da "capo-vara" e altri piccoli particolari che, con certezza avrebbero fatto luce sulla vicenda come l'esito delle indagini della chiesa dopo la 'notitia criminis',>.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.