Ribadendo il principio giurisprudenziale della cd. «concezione realistica del datore di lavoro», la Cassazione qualifica come tale la società capogruppo fallita anche se i contratti di somministrazione erano stati stipulati dalle società collegate alla medesima.
Il Tribunale di Salerno rigettava l'opposizione allo stato passivo presentata dalla società attrice nei confronti di una società fallita per le prestazioni di somministrazione di lavoro temporaneo eseguite su richiesta della convenuta fallita in favore delle società collegate e dalla medesima controllate. Nello specifico, il Tribunale osservava...
Svolgimento del processo
1.Con il decreto impugnato il Tribunale di Salerno ha rigettato l'opposizione allo stato passivo presentata da A. agenzia per il lavoro S.p.a. nei confronti del Fallimento A. S.p.a. in liquidazione avverso il provvedimento del g.d. con il quale era stata respinta l'istanza di ammissione al passivo del credito ammontante ad euro 3.293. 724,42 (di cui euro 2.569.995,99 in via privilegiata) avanzata dalla predetta società per prestazioni di somministrazione di lavoro temporaneo, a norma del d.lgs. n. 276/2003, eseguite su richiesta della società fallita in favore delle società collegate e controllate del cd. "gruppo A. s.p.a.". Il Tribunale ha ritenuto che tutti i contratti di somministrazione prodotti in giudizio e costituenti il titolo della pretesa creditoria azionata in giudizio dalla A. S.p.a. risultavano essere stati stipulati con varie società diverse dalla A. S.p.a. in liquidazione, e precisamente con quelle facenti parte del predetto gruppo; ha ritenuto pertanto la società fallita carente di legittimazione passiva, non potendo essere considerata la predetta società in bonis come il soggetto legittimato ad essere destinatario della richiesta di pagamento in esame, non avendo sottoscritto i ricordati contratti da cui derivavano i crediti azionati in sede fallimentare; ha osservato che, peraltro, la società opponente aveva già presentato diverse istanze di ammissione al passivo per ognuno dei fallimenti riguardanti le singole società del gruppo con cui aveva stipulato i contratti di somministrazione e che, nell'ambito delle singole procedure, i crediti risultavano essere stati ammessi al passivo per l'intero; ha evidenziato che era del tutto irrilevante ogni indagine in ordine all'esistenza o meno di un gruppo societario tra la A. S.p.a. e le singole imprese che avevano stipulato singoli contratti di somministrazione, in quanto, nonostante il gruppo esercitasse un'unica impresa, le varie società che lo componevano erano pur sempre soggetti giuridici distinti ed indipendenti l'uno dall'altro, mantenendo ciascuna società all'interno del gruppo la propria autonomia anche ai fini delle relative dichiarazioni di insolvenza; ha evidenziato che, relativamente ai contratti con i dipendenti assunti dalle singole società, quest'ultime avevano intrattenuto rapporti esclusivamente con i dipendenti formalmente assunti, per cui le relative obbligazioni non si potevano estendere alla società holding e viceversa; ha infine rilevato che lo stesso art. 31 del d.lgs. n. 276/2003 prevedeva che i gruppi di impresa - individuati ai sensi dell'art. 2359 cod. civ. e del d.lgs. n. 74/2002 - potessero delegare alla capogruppo lo svolgimento degli adempimenti in materia di lavoro, previdenza e assistenza sociale dei dipendenti per tutte le società controllate o collegate ma, al terzo comma, puntualizzava che tali disposizioni non individuassero il soggetto titolare delle obbligazioni contrattuali e normative relative ai singoli rapporti di lavoro.
2. La sentenza, pubblicata il 3.11.2015, è stata impugnata da A. agenzia per il lavoro S.p.a. con ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, cui il Fallimento A. S.p.a. in liquidazione ha resistito con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli artt. 30 d.lgs. n. 81/2015 e 2094 cod. civ., anche alla luce del principio giurisprudenziale della cd. concezione realistica del datore di lavoro. Osserva la ricorrente che la decisione impugnata sarebbe erronea laddove non avrebbe considerato che il vero datore di lavoro era quello che effettivamente aveva utilizzato le prestazioni lavorative anche se i lavoratori erano stati formalmente assunti da altri datori di lavoro, come ripetutamente affermato nella materia in esame dalla giurisprudenza di legittimità, e che invece il tribunale campano, nell'affermare la sola rilevanza del profilo formale della sussistenza del contratto di lavoro con le singole società del gruppo, non avrebbe indagato l'ingerenza della società capo gruppo, poi fallita, nella gestione del rapporto di lavoro.
2. Con il secondo mezzo si deduce, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., vizio di omessa motivazione in relazione al rigetto per irrilevanza delle istanze istruttorie per testi articolate nel ricorso per opposizione allo stato passivo. Si osserva che tale prova testimoniale sarebbe stata rivolta, invece, a dimostrare l'attività di gestione diretta da parte della società capogruppo dei rapporti di lavoro per i quali essa ricorrente aveva maturato i crediti oggetto di domanda di insinuazione al passivo.
3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per violazione degli artt. 30 d.lgs. n. 81/2015, 2094 e 2359 cod. civ., sempre alla luce del principio giurisprudenziale della "concezione realistica" del datore di lavoro. Si evidenzia l'erroneità della decisione impugnata, per contrasto con il predetto principio, laddove la stessa avrebbe affermato l'irrilevanza di ogni indagine in ordine all'esistenza o meno di un gruppo societario tra A. S.p.a. e le singole imprese che avevano stipulato i contratti di somministrazione, posto che, diversamente da quanto opinato dal tribunale, sarebbe stato necessario, invece, indagare quale fosse il reale datore di lavoro al di là del dato formale dell'intestazione dei singoli contratti di lavoro.
4. Il quarto mezzo denuncia, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell'art. 31 d.lgs. n. 276/2003, anche alla luce del principio giurisprudenziale della cd. concezione realistica del datore di lavoro. Si osserva che qualora si fosse ritenuta ulteriore ratio decidendi quella contenuta nel passaggio argomentativo ove si svalutava il dato della formale gestione amministrativa dei rapporti di lavoro da parte della capogruppo, perché ciò consentito proprio dal predetto art. 31 nei rapporti di somministrazione temporanea di lavoro, allora tale ulteriore affermazione avrebbe dovuto considerarsi erronea in quanto ciò che avrebbe rilevato era, in realtà, la concreta gestione diretta da parte della capogruppo dei singoli rapporti di lavoro.
5. Con il quinto motivo la società ricorrente articola, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., vizio di omessa motivazione in riferimento alle riferite circostanze allegate da Ali della riconducibilità delle attività svolte da quest'ultima società alla categoria dei meri adempimenti amministrativi di cui all'art. 31, 1 comma, d.lgs. n. 276/2003.
6. Il sesto mezzo denuncia, sempre ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., vizio di omessa motivazione in relazione all'asserita rilevanza dell'intervenuta insinuazione al passivo di Ali nel fallimento delle altre società del gruppo A..
7. La ricorrente propone inoltre un settimo e ultimo motivo con il quale articola, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., violazione dell'art. 2909 cod. civ., con errar in procedendo, e violazione degli artt. 96, ult. comma, e 120, ult. comma, I. fall., qualora il tribunale avesse rigettato la domanda di insinuazione per la formazione di un giudicato endofallimentare in relazione alle altre domande di ammissione al passivo nelle diverse società del gruppo.
8. Il ricorso è fondato nei limiti qui di seguito precisati.
8.1 Vanno esaminati, in ragione della stretta connessione delle questioni trattate, il primo, terzo e quarto motivo di ricorso, motivi il cui accoglimento determina invero l'assorbimento dei restanti motivi.
8.1.1 Sul punto qui in esame occorre ricordare la pacifica e non contrastata giurisprudenza espressa da questa Corte secondo la quale - in presenza di un gruppo di società - la concreta ingerenza della società capogruppo nella gestione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle società del gruppo, che ecceda il ruolo di direzione e coordinamento generale spettante alla stessa sul complesso delle attività delle società controllate, determina l'assunzione in capo alla società capogruppo della qualità di datore di lavoro, in quanto soggetto effettivamente utilizzatore della prestazione e titolare dell'organizzazione produttiva nel quale l'attività lavorativa è inserita con carattere di subordinazione (cfr. Sez. L, Sentenza n. 25270 del 29/11/2011; cfr. anche: Cass. Sez. L, Ordinanza n. 7704 del 28/03 /2018; Sez. L, Sentenza n. 267 del 09/01/2019). In realtà, merita di essere ricordato come anche di recente la giurisprudenza di questa Suprema Corte abbia ribadito che costituisce regola generale dell'ordinamento lavoristico il principio secondo cui il vero datore di lavoro è quello che effettivamente utilizza le prestazioni lavorative, anche se i lavoratori sono stati formalmente assunti da un altro (datore apparente) e prescindendosi da ogni indagine (che tra l'altro risulterebbe particolarmente difficoltosa) sull'esistenza di accordi fraudolenti (fra interponente ed interposto) (così anche SU n. 22910/2006). Regola - giova soggiungere - che si è correttamente ritenuto non abbia perduto consistenza nemmeno a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 267 del 2003, "dal momento che le forme di dissociazione fra titolarità del rapporto e destinazione effettiva della prestazione ivi previste debbono considerarsi come tipologie negoziali eccezionali, in deroga al principio che parte datoriale è solo colui su cui in concreto fa carico il rischio economico dell'impresa nonché l'organizzazione produttiva nella quale è di fatto inserito con carattere di subordinazione il lavoratore, e l'interesse soddisfatto in concreto dalle prestazioni di quest'ultimo, con la conseguenza che chi utilizza tali prestazioni deve adempiere tutte le obbligazioni a qualsiasi titolo derivanti dal rapporto di lavoro medesimo" (cfr. verbatim sempre Cass. n. 25270/2011, cit. supra; v. anche, con riferimento alla disciplina comunitaria dei licenziamenti, Corte Giust.10. 9.2009, causa C- 44/08). È stato anche precisato, sempre nel medesimo contesto decisorio, che "Se ... la giurisprudenza conferma la rilevanza che, in ambito lavoristico, assume il concetto di impresa e di datore di lavoro, individuabile, sulla base di una "concezione realistica", nel soggetto che effettivamente utilizza la prestazione di lavoro ed è titolare dell'organizzazione produttiva in cui la prestazione stessa è destinata ad inserirsi, non vi è dubbio che tale direttiva, con riferimento al fenomeno dei gruppi di società, impone una attenta valutazione degli indici utilizzabili al fine di distinguere fra la fisiologia e la patologia del fenomeno delle imprese a struttura complessa" (Cass. n. 25270/2011, cit. supra), dovendosi ricordare che "la direzione ed il coordinamento che compete alla società capogruppo, e che qualifica, ora anche in sede normativa (art. 2497 ss cc), il fenomeno dell'integrazione societaria, può evolversi in forme molteplici, che possono riflettere una ingerenza talmente pervasiva da annullare l'autonomia organizzativa delle singole società operative (accreditando un uso puramente strumentale o, in altri termini, puramente "opportunistico" della struttura di gruppo), ovvero un rilevante, ma fisiologico, livello di integrazione (che può costituire il presupposto per una valutazione differenziata che la rilevanza dell"'interesse unitario di gruppo" manifesta rispetto all'adempimento dell'obbligazioni che risultano funzionali alla realizzazione di tale interesse)" (così sempre Cass. n. 25270/2011, cit. supra). Orbene, in questo contesto, e con specifico riferimento alle problematiche lavoristiche, decisivo risulta essere il riferimento alle forme di utilizzazione del personale dipendente, potendo l'ingerenza della società dominante nella gestione del rapporto di lavoro spingersi sino al punto di determinare un'utilizzazione indistinta e promiscua della forza lavoro all'interno del gruppo (accreditando una situazione di "confusione contrattuale", tale da far constatare, in realtà, l'esistenza di una impresa unitaria, solo apparentemente organizzata in forma di gruppo: v. per tutte Cass. n. 6707/2004); ovvero, in presenza di gruppi genuini, ma fortemente integrati, determinare la destinazione della prestazione di lavoro al complesso delle società operative, secondo le note forme della prestazione cumulativa o alternativa; oppure riguardare solo la determinazione generale degli obiettivi strategici delle singole società operative, anche per ciò che riguarda le politiche del personale, ma senza alcuna incidenza sulla concreta gestione del personale e sulla destinazione della prestazione alla società che assume la veste di datore di lavoro (così Cass. n. 25270/2011, cit. supra). Con riferimento a tali molteplici fattispecie, ha avuto modo la giurisprudenza di legittimità di precisare, da un lato, come "il collegamento economico funzionale tra imprese appartenenti ad un medesimo gruppo societario non è di per sé sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato, intercorso fra una di esse ed il lavoratore, debbano estendersi anche all'altra, e che, tuttavia, in presenza di una società capogruppo, formalmente estranea al rapporto di lavoro, che si comporti come effettivo dominus, decidendo il distacco del lavoratore presso altra società del gruppo e la data del suo licenziamento anche per ragioni organizzative, va ravvisato un fenomeno di illecita interposizione di manodopera con la conseguente imputazione del rapporto di lavoro alla capogruppo" (cfr Cass. n. 19931/2010); ma anche, che "è giuridicamente possibile concepire un'impresa unitaria che alimenta varie attività formalmente affidate a soggetti diversi, il che non comporta sempre la necessità di superare lo schermo della persona giuridica, ne' di negare la pluralità di quei soggetti, ben potendo esistere un rapporto di lavoro che veda nella posizione del lavoratore un'unica persona e nella posizione del datore di lavoro più persone, rendendo così solidale l'obbligazione del datore di lavoro" (così Cass. n. 4274/2003). Occorre, pertanto, evidenziare che il provvedimento impugnato si è discostato dai principi di diritto sopra ricordati e qui di nuovo riaffermati, posto che lo stesso ha ritenuto semplicisticamente rilevante il solo profilo formale della sussistenza dei rapporti contrattuali tra i dipendenti e le singole società del gruppo, senza invece indagare, come avrebbe dovuto, l'allegata situazione di ingerenza della capogruppo nella gestione dei rapporti di lavoro per verificare la fondatezza o meno della dedotta riconducibilità, sul piano operativo e sostanziale, dei predetti rapporti di lavoro alla società capogruppo, quale reale datore di lavoro società quest'ultima che, secondo la ricostruzione dell'odierno ricorrente, avrebbe gestito direttamente i rapporti di lavoro e avrebbe usufruito altrettanto direttamente degli effetti delle prestazioni lavorative, così ponendosi - sul piano concreto e fattuale - quale soggetto al quale sarebbero state imputabili le obbligazioni attive e passive discendenti dai singoli rapporti contrattuali. Tale accertamento è tuttavia completamente mancato, anche in ragione della ritenuta irrilevanza della articolata prova testimoniale la cui ammissibilità non è stata scrutinata, invece, alla luce dei principi di diritto qui di nuovo affermati, ma valutata sulla sola base del dato formalistico della sottoscrizione dei singoli contratti di lavoro con le società del gruppo, circostanza quest'ultima che avrebbe escluso - secondo l'erronea tesi accolta nel decreto impugnato - qualsiasi riferibilità dei predetti rapporti negoziali alla società capogruppo. A ciò va aggiunto che anche l'eventuale contitolarità del rapporto di lavoro tra più imprese (capogruppo e società collegata o controllata) avrebbe determinato, sul piano della legittimazione passiva, un'obbligazione solidale di pagamento (cfr. Cass. Sez. L, Sentenza n. 267 del 09/01/2019), che avrebbe dunque legittimato la presentazione di più istanze di ammissione al passivo per quante fossero le predette società in bonis alle quali imputare i singoli rapporti di lavoro, di talché non risulta determinante neanche la riferita presentazione, nel caso di specie, di più domande di ammissione come argomento a sostegno dell'affermato difetto della legittimazione passiva della società oggi in fallimento in relazione alla domanda di insinuazione al passivo qui in esame.
P.Q.M.
accoglie il primo, terzo e quarto motivo di ricorso; dichiara assorbiti i restanti; cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia al Tribunale di Salerno, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.