Per l'esercizio della professione forense in Italia, l'avvocato «stabilito» dovrà ottenere l'iscrizione in una sezione speciale dell'albo e una volta trascorsi 3 anni, se soddisfa i requisiti previsti dalla normativa vigente, potrà considerarsi «integrato» a tutti gli effetti.
Il Tribunale di Bergamo respingeva il riesame proposto contro l'ordinanza del GUP che aveva disposto il sequestro preventivo della documentazione relativa alle controversie giudiziali patrocinate dall'indagato, in ragione del fatto che egli aveva continuato ad esercitare abusivamente la professione di avvocato, pur essendo stato definitivamente cancellato dall'Albo speciale degli Avvocati Stabiliti del COA di Caltagirone.
Contro tale pronuncia, l'indagato propone ricorso per cassazione, asserendo di essere in possesso del titolo abilitativo rilasciato dall'Ordine Professionale Rumeno, titolo che gli consente di operare in tutti gli Stati membri dell'Unione europea in quanto avente validità ai fini dell'iscrizione presso la Sezione degli avvocati stabiliti.
Con la sentenza n. 7079 del 28 febbraio 2022, la Cassazione dichiara il ricorso inammissibile.
A tal proposito, la Corte chiarisce che l'avvocato comunitario, ai sensi della normativa vigente, può svolgere attività stragiudiziale in altro Stato membro liberamente, mentre può esercitare il patrocinio in giudizio solo in maniera occasionale e previa comunicazione al COA nel cui territorio ha operato, a patto che lo faccia di concerto con un avvocato regolarmente abilitato all'esercizio della professione forense dinanzi all'autorità adita.
In tal senso, l'avvocato «stabilito» può esercitare la professione in Italia, purché abbia conseguito un titolo professionale abilitante nel proprio ordinamento, titolo che non va comunque confuso con quello di avvocato in Italia. Per esercitare la professione in Italia, infatti, l'avvocato «stabilito» dovrà ottenere l'iscrizione in una sezione speciale dell'albo costituito presso la circoscrizione del Tribunale in cui i professionisti comunitari hanno fissato la residenza o il domicilio professionale. I requisiti per tale iscrizione, invece, consistono in un vero e proprio rinvio all'ordinamento di origine del professionista.
Alla luce di ciò, il professionista stabilito sarà iscritto in due albi: quello speciale in Italia e quello del Paese di provenienza. Una volta trascorsi 3 anni dall'iscrizione, poi, il professionista che abbia esercitato effettivamente e in via continuativa la professione in Italia diventa a tutti gli effetti «integrato» nel sistema.
Ora, tenendo conto che, come evidenziato dal GUP, il ricorrente non aveva ma conseguito idonea abilitazione e per questo era stato radiato dall'Albo, e che il medesimo ha proposto ricorso fuori dai casi consentiti dalla legge, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con la ordinanza in epigrafe il Tribunale di Bergamo ha respinto il riesame avverso l'ordinanza emessa dal Giudice per l'udienza preliminare di quella città il 22 marzo 2019 nei confronti di M.F., avente ad oggetto il sequestro preventivo (di tipo impeditivo) di documentazione relativa a controversie giudiziali patrocinate dallo stesso F.. Stando al tenore della imputazione provvisoria, si contesta all'indagato di avere esercitato abusivamente la professione di avvocato perché, pur essendo stato definitivamente cancellato dall'albo speciale degli Avvocati Stabiliti dell'Ordine degli Avvocati di Caltagirone in esito alla sentenza emessa da questa Corte di legittimità, Sez. U civili, n. 3706 del 2019, ha continuato ad operare svolgendo attività difensiva nei confronti di più soggetti in diverse vertenze giudiziali.
2. Ricorre l'indagato, con atto sottoscritto dal difensore di fiducia, avv. O.P., in cui articola un unico, complesso motivo avente ad oggetto la violazione dell'articolo 125 cod. proc. pen. per "inconsistenza logica della motivazione". Assume la difesa che l'avocat F. è in possesso del titolo abilitativo rilasciato dall'Ordine Professionale Rumeno, denominato Uniunea Nationa/a a Barorilor din Romania (BOTA), che gli consente di operare in tutti gli Stati dell'Unione siccome valevole per la iscrizione nella Sezione degli avvocati stabiliti. Di detto titolo le Sezioni Unite civili sopra citate hanno ritenuto essere sindacabile, se non la validità, l'idoneità, attraverso il sistema di cooperazione interstatuale della piattaforma IMI; di contro, la categoria della inidoneità è priva di ogni fondamento normativo. La inidoneità che prescinde dalla validità - si assume - di fatto ostacola l'esercizio delle libertà del soggetto garantite dal Trattato dell'Unione, ossia il diritto di stabilimento e la libertà di prestazione, e ha dato la stura ad applicazioni discriminatorie, perché disomogenee, da parte degli Ordini Professionali (avendo alcuni iscritto i soggetti in possesso della detta qualifica, altri, provveduto alla cancellazione), così da frustrare il conseguimento dello scopo delle direttive europee in materia. Il ricorrente ha inoltre svolto attività giudiziale e stragiudiziale con carattere di temporaneità, mediante l'apertura di uno "studio legale" (tale denominato); l'avvalimento di una tale "infrastruttura" per lo svolgimento delle prestazioni - diversamente da quale che si legge nell'ordinanza - non è interdetto in sede penale ad un avvocato comunitario, essendo semmai suscettibile di essere sanzionata in ambito disciplinare.
Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile perché proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge.
2. E ormai consolidato il principio in forza del quale il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge; categoria nell'ambito della quale devono comprendersi sia gli "errores in iudicando" e gli "errores in procedendo", sia quei vizi della motivazione che siano così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656). La pretesa inconsistenza logica dell'ordinanza impugnata, assimilabile ad una mera apparenza motivazionale, non sussiste, evidenziando il discorso giustificativo della decisione un contenuto articolato, scevro da profili di illogicità, del tutto coerente nella sua sequenza argomentativa, anche in rapporto alle risultanze investigative. Correttamente il Tribunale, nel ritenere la sussistenza del delitto di cui all'articolo 348 cod. pen., ha rimarcato, ancor prima della avvenuta cancellazione del ricorrente dalla Sezione speciale degli Avvocati Stabiliti del Foro di Caltagirone - divenuta definitiva per effetto della sentenza delle S.U civili n. 3706 del 29 gennaio 2019 - la mancanza di un titolo abilitante conseguito in uno Stato Membro della Unione Europea, che costituisce precondizione per l'esercizio del diritto di stabilimento. Ed invero non ha valenza abilitante l'iscrizione all'associazione Honourable Society of the M.T., documentata dal ricorrente, e parimenti il titolo e.ci. BOTA, giacché l'unica istituzione indicata dalla Romania come competente in materia di iscrizione nell'albo degli avvocati stabiliti è l'UNBR. Al riguardo, si è opportunamente evidenziato come la disciplina di cui alla legge 9 febbraio 1982, n. 31, che ha attuato la direttiva n. 77/249, regolativa della prestazione di servizi legali da parte di cittadini degli stati membri dell'Unione europea, stabilisce che l'avvocato comunitario può svolgere liberamente attività stragiudiziale in altro stato membro, mentre potrà esercitare il patrocinio in giudizio in maniera occasionale, previa comunicazione dell'assunzione dell'incarico (tra gli altri), al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati nel cui territorio ha operato ed a condizione che operi di concerto con un avvocato regolarmente abilitato all'esercizio della professione innanzi all'autorità adita. Sul punto la sentenza delle SU civili cit. nei confronti dell'indagato ha affermato che: "Con il d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 96 è stata pienamente recepita nel nostro ordinamento, in adempimento degli obblighi derivanti all'Italia dalla sua posizione di membro dell'Unione Europea, la direttiva 16 febbraio 1998 n. 98/5, concernente misure dirette a facilitare l'esercizio permanente della professione forense all'interno di uno Stato membro diverso da quello nel quale è stata acquisita la qualifica professionale, in evidente linea di continuità verso la completa attuazione del Titolo III della Parte III del Trattato istitutivo della Comunità europea. Il decreto introduce, ai fini della possibilità di esercizio della professione in Italia, due figure di avvocati «comunitari», alla base delle quali è posto l'ottenimento di un titolo professionale equiparabile a quello italiano nel proprio Paese di origine e, quindi, l'abilitazione all'effettivo esercizio della professione in quello Stato (...). La prima figura di legale straniero esistente nel nostro ordinamento è l'avvocato «stabilito» il quale, purché abbia conseguito un titolo professionale che lo abiliti all'esercizio della professione forense nel proprio ordinamento, può esercitare in Italia la professione di avvocato utilizzando, però, il titolo di origine (e rispettando, naturalmente, le ulteriori previsioni del decreto), titolo che va indicato per intero nella lingua o in una delle lingue ufficiali dello Stato membro di provenienza; il titolo, inoltre, deve essere utilizzato in modo comprensibile e tale da evitare confusione con il titolo di avvocato (che è prerogativa dei professionisti italiani o di quella particolare categoria di avvocati comunitari «stabiliti» che abbia raggiunto l'«integrazione»). La possibilità di esercizio quale avvocato «stabilito» comporta che il legale straniero deve ottenere l'iscrizione in una sezione speciale dell'albo costituito nella circoscrizione del Tribunale in cui i professionisti comunitari, che intendono esercitare stabilmente in Italia, hanno fissato la residenza o il domicilio professionale. I requisiti per tale iscrizione consistono in un vero e proprio rimando all'ordinamento di origine del professionista: da un lato, infatti, l'ottenimento della stessa è subordinato all'iscrizione del cittadino comunitario presso la competente organizzazione o Autorità nello Stato di origine; dall'altro lato, l'avvocato «stabilito» deve successivamente presentare al Consiglio dell'ordine competente (come sopra individuato), con cadenza annuale, un attestato di iscrizione all'organizzazione professionale di appartenenza, o una dichiarazione sostitutiva, di data non anteriore a tre mesi. In definitiva, il professionista stabilito si troverà iscritto in due diversi albi: quello speciale in Italia e quello del Paese di provenienza. Decorso un triennio dalla data di iscrizione nell'albo speciale sopra accennato, l'avvocato «stabilito» che abbia esercitato regolarmente ed effettivamente la professione in Italia, esercizio che abbia avuto ad oggetto anche il diritto italiano, diventa a tutti gli effetti «integrato» nel nostro sistema. Il professionista comunitario avrà allora diritto ad ottenere l'iscrizione non più soltanto nella sezione speciale dell'albo degli avvocati, ma anche nell'albo comune che raccoglie ed abilita i legali italiani. L'iscrizione, come hanno avuto modo di precisare queste Sezioni Unite (Cass. 22 dicembre 2011 n. 28340), costituisce un atto vincolato, subordinato alla ricorrenza dei presupposti stabiliti dalla direttiva europea e dalla normativa italiana, individuati principalmente nella cittadinanza comunitaria e nell'iscrizione all'organizzazione professionale dello Stato di origine. Tuttavia lo scopo della direttiva 98/5 è, a norma del suo art. 1, primo comma, quello «di facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato ... in uno Stato membro diverso da quello nel quale è stata acquista la qualificazione professionale» e non già quello di regolare «l'accesso alla professione di avvocato» in detto Stato membro (considerando no. 7), né può consentire l'elusione delle normative nazionali che disciplinano l'accesso alla professione forense per il tramite di un esame statale di abilitazione, per cui appare conforme al diritto europeo il riconoscimento del potere/dovere in capo alle competenti autorità nazionali di valutare in concreto, nel rispetto dei principi eurounitari, se l'atto di esercizio del diritto di stabilimento non avvenga in forme abusive dello stesso diritto dell'Unione, ferma restando la possibilità di un controllo giurisdizionale dell'attività amministrativa condotta a seguito del ricorso dell'interessato. Di conseguenza, qualora nel valutare le singole domande di iscrizione all'albo degli avvocati stabiliti i Consigli dell'Ordine rilevino la carenza dei requisiti necessari a tal fine dovranno negare l'iscrizione. Parimenti, qualora la carenza dei requisiti venga rilevata dopo l'iscrizione, dovranno procedere alla cancellazione". Nella giurisprudenza penale, l'impostazione delle Sezioni Unite civili trova riscontro in una risalente pronuncia di questa Corte, in forza della quale commette il reato di esercizio abusivo di una professione (art.348 cod pen. ) il soggetto che spenda il titolo di avvocato ed apra in Italia uno studio legale, ancorché abilitato in Francia a esercitare la professione di "Avocat", se non abbia ottemperato alle condizioni normative previste dall'art. 2 della legge 9 febbraio 1982, n. 31 - che, peraltro, gli consentirebbero di esercitare la professione in Italia con carattere di temporaneità e con espresso divieto di stabilire nel territorio della Repubblica uno "studio" - o se non abbia seguito il procedimento di cui al d. lgs. 27 gennaio 1992, n. 115 per il riconoscimento del titolo in Italia. (Sez. 6, n. 715 del 16/12/1999, dep. 2000, L., Rv. 215323). Più di recente, si è affermato che, ai fini della abilitazione all'esercizio dell'assistenza difensiva in un procedimento giurisdizionale davanti all'autorità giudiziaria italiana da parte di legale cittadino di uno Stato membro dell'Unione Europea, costituisce presupposto indispensabile la formale comunicazione prescritta dall'art. 9 della legge 9 febbraio 1982, n. 31, diretta al presidente dell'ordine degli avvocati nella cui circoscrizione l'attività deve essere svolta, in difetto della quale il professionista - pur nominato difensore dell'imputato - non è abilitato a svolgere attività defensionale, dovendo, quindi, l'autorità procedente prescindere da tale nomina." (Cass. Sez. 5, n. 39199 del 14/05/2015, D., Rv. 265105). L'ordinanza in scrutinio ha, dunque, fatto corretta applicazione dei principi regolativi della materia ed ha coerentemente enunciato le ragioni per le quali il F. persista nello svolgimento autonomo dell'attività forense, sia giudiziale che stragiudiziale, in maniera continuativa - per sua stessa ammissione, da circa dieci anni - come è dato evincere dal numero e dalla tipologia di pratiche che sono state sequestrate. Anche in punto di elemento soggettivo - che impegna questa Corte ad una valutazione sommaria, perché sommario in questo ambito deve risultare l'accertamento del "fumus" del reato ipotizzato relativamente ai diversi elementi di struttura della fattispecie incriminatrice - non si registra alcuna carenza motivazionale, essendosi evidenziato come, a fronte della vicenda personale del ricorrente - che non ha mai conseguito una idonea abilitazione, è stato poi radiato dall'Albo, è risultato soccombente nel giudizio innanzi alla Corte di Cassazione - egli non possa ragionevolmente affermare di avere agito nella convinzione di essere in possesso di un titolo abilitativo valido, ancorché non idoneo. Alla inammissibilità consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e della somma che si ritiene equo determinare nella misura indicata in dispositivo in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.