La banalità del movente che ha portato alla lite e il fatto che l'agente avrebbe potuto infliggere ulteriori coltellate e si è astenuto dal farlo non escludono la finalità omicida.
Il GUP presso il Tribunale di Agrigento dichiarava l'odierno ricorrente colpevole del reato di lesioni personali ai danni di un connazionale, commesso presso il Centro di accoglienza per migranti di Lampedusa, e del porto ingiustificato del coltello con il quale ha posto in essere la condotta addebitata.
Il P.M. impugnava la suddetta pronuncia in ordine alla...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza 10 giugno 2019 il G.u.p. del Tribunale di Agrigento, all'esito del giudizio abbreviato, dichiarava N.C. colpevole di concorso nei reati:
1) di lesione personale ai danni del connazionale W.D., commesso nel Centro di accoglienza per migranti di Lampedusa il 18 febbraio 2018, così derubricata l'originaria imputazione di tentato omicidio;
2) del contestuale porto ingiustificato del coltello, strumentale alla realizzazione del delitto.
Riconosciuto tra i reati il vincolo della continuazione, il primo giudice condannava N.C., con la diminuente del rito, alla pena finale di due anni e quattro mesi di reclusione.
2. Proponeva appello il Pubblico ministero in ordine all'operata riqualificazione e la Corte territoriale, con la sentenza in epigrafe, in suo accoglimento dichiarava N.C. colpevole del tentato omicidio inizialmente contestato, elevando la pena complessivamente inflittagli a dieci anni e quattro mesi di reclusione, applicando le pene accessorie di legge e confermando nel resto.
3. Secondo quanto ricostruito in sede di merito, sulla base di testimonianze oculari, all'interno del Centro di Lampedusa una lite tra alcuni stranieri, ivi soggiornanti, originata da banali motivi, era degenerata in aggressione fisica. H.L. (separatamente giudicato) era passato da iniziali ingiurie verbali alle vie di fatto, sferrando contro W.D. alcuni pugni. In tale contesto si era inserito l'imputato il quale, armato di coltello a punta, la cui impugnatura era avvolta in un panno, aveva più volte colpito la vittima in parti diverse del corpo. In particolare, due ferite penetranti erano state inferte in emitorace desto e sinistro. Altre ferite avevano interessato lo sterno. W.D. era stato quindi trasferito in eliambulanza all'Ospedale civico di Palermo, venendo qui ricoverato in prognosi riservata, poi favorevolmente sciolta grazie alle cure efficacemente prestate.
4. Nelle descritte modalità della condotta, la Corte territoriale ravvisava, quanto al capo 1), il reato di tentato omicidio. Trattavasi di condotta tale da mettere in attuale e concreto pericolo il bene della vita umana, protetto dalla norma incriminatrice, e l'atteggiamento psicologico dell'agente era diretto ad offendere tale bene, come desumibile dal mezzo impiegato, dalla reiterazione dei colpi e dalle sedi corporee attinte.
5. N.C. ricorre per cassazione, tramite il difensore di fiducia, articolando un unico motivo. In esso si deduce vizio della motivazione sotto concorrenti profili. La Corte territoriale, anzitutto, avrebbe riconosciuto la banalità dei motivi da cui la lite originava - H.L. si era sentito offeso dai riferimenti operati alla sua provenienza geografica - senza tuttavia considerare che trattavasi di movente inadeguato a giustificare un omicidio. Il giudice di merito avrebbe inoltre dimenticato che H.L. era chiamato a rispondere, nel separato processo celebrato secondo il rito ordinario, di concorso nel tentato omicidio, in quanto egli avrebbe immobilizzato alle spalle la vittima, consentendo a N.C. di sferrare le sue coltellate. È evidente allora che, se l'imputato realmente avesse voluto uccidere, avrebbe portato facilmente a termine il compito. Tale volontà evidentemente mancava, come dimostrerebbe anche il fatto che l'imputato non infierì ulteriormente sul corpo della vittima ormai in terra, pur non essendo alcuno intervenuto ad impedirlo. Il giudice di merito avrebbe infine omesso di considerare che la vittima non si sarebbe mai trovata in reale pericolo di vita, come emerso anche in sede peritale. Già due giorni dopo l'occorso W.D. era in grado di rispondere alle domande degli inquirenti, e cinque giorni dopo - tolti i tubi di drenaggio delle ferite - egli avrebbe addirittura lasciato di nascosto l'ospedale, facendo perdere le sue tracce.
6. Il giudizio di cassazione si è svolto a trattazione scritta, ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è manifestamente infondato, giacché la sentenza impugnata ha ineccepibilmente ravvisato, nella condotta in giudiziale vaglio, contestata al capo
1) della rubrica, gli estremi dell'omicidio tentato, specularmente escludendo la configurabilità della mera lesione personale.
2. Il discrimine tra le due fattispecie sta, come è evidente, nel diverso elemento psicologico che sorregge l'azione (v. già Sez. 1, n. 51056 del 27/11/2013, T., Rv. 257881-01; Sez. 1, n. 37516 del 22/09/2010, B., Rv. 248550-01; Sez. 1, n. 1950 del 20/05/1987, dep. 1988, Incamicia, Rv. 177610-01), diretta nell'un caso a cagionare la morte, senza esaurire la carica offensiva nell'evento minore, l'unico, nell'ipotesi alternativa, attinto dal dolo. Nella giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1, n. 11928 del 29/11/2018, dep. 2019, C., Rv. 275012-01; Sez. 5, n. 7341 del 21/01/2015, S., Rv. 262768-01; Sez. 5, n. 36422 del 17/05/2011, B., Rv. 250932-01; Sez. 2, n. 41649 del 05/11/2010, V., Rv. 248829-01) è costante l'affermazione per cui, ai fini dell'accertamento dell'animus necandi, rilevi l'idoneità causale degli atti compiuti al conseguimento dell'obiettivo delittuoso, nonché l'univocità della loro destinazione, da apprezzarsi con valutazione ex ante in rapporto alle circostanze di fatto ed alle modalità della condotta.
3. Il requisito dell'idoneità è quello che è stato anzitutto oggetto di opportuna valutazione ad opera della sentenza impugnata. Quest'ultima ha esaustivamente ritenuto che colpi ripetuti e intensi sferrati al torace, a sorpresa, oltretutto nei confronti di persona chiaramente impossibilitata a difendersi, secondo quanto riconosciuto dallo stesso ricorrente, fossero di sicuro in condizione di provocare obiettivamente la morte. Il fatto che, non essendo questa intervenuta, la vittima non si sia neppure a posteriori trovata in pericolo di vita, quand'anche riscontrato, non escluderebbe il predicato requisito, ossia la pericolosità ex ante della condotta rispetto al bene protetto della vita, in base al ridetto principio della necessità di effettuazione della c.d. prognosi postuma (che richiede ci si collochi nella medesima posizione dell'agente all'inizio dell'attività delittuosa, e si valuti, in base alle conoscenze da parte sua disponibili, se gli atti posti in essere fossero in grado di realizzare il reato); tenuto presente che la scarsa entità, e finanche l'inesistenza, delle lesioni provocate alla persona offesa non sono circostanze idonee ad escludere, di per sé, l'intenzione omicida, in quanto esse sono rapportabili anche a fattori indipendenti dalla volontà dell'agente (Sez. 1, n. 52043 del 10/06/2014, Vaghi, Rv. 261702-01).
4. La direzione non equivoca degli atti - che non indica uno standard probatorio, ma una caratteristica oggettiva della condotta, nel senso che gli atti posti in essere debbono di per sé rivelare l'intenzione dell'agente (Sez. 5, n. 18981 del 22/02/2017, M., Rv. 269932-01; Sez. 5, n. 4033 del 24/11/2015, dep. 2016, Z., Rv. 267563-01; Sez. 1, n. 9284 del 10/01/2014, L., Rv. 259249-01; Sez. 1, n. 9411 del 07/01/2010, M., Rv. 246620-01; Sez. 1, n. 40058 del 24/09/2008, C., Rv. 241649-01) - è venuta quindi all'attenzione del giudice territoriale, le cui considerazioni sul punto superano anche, palesemente, il vaglio di legittimità. Alla reiterazione e forza dei colpi, certamente volute, e al loro direzionamento verso parti del corpo per eccellenza vitali, si sono unite la scelta di uno strumento micidiale di offesa e la rapida progressione dell'azione.
5. L'idoneità ed univocità della condotta esecutiva tipica, rispetto al tentato omicidio, appaiono in tal modo inappuntabilmente argomentate. Resta da aggiungere, da un lato, che la banalità del movente non è certo una ragione per escludere la finalità omicida, afiunde dimostrata. Piuttosto, essa rileva quale circostanza aggravante della condotta, ex art. 61, primo comma, n. 1) cod. pen. (in termini, Sez. 5, n. 25940 del 30/06/2020, M., Rv. 280103-02), esattamente contestata e ritenuta dal giudice di merito. D'altro lato, neppure vale ad escludere la volontà omicida il solo fatto che l'imputato avrebbe potuto infliggere ulteriori coltellate, e si è astenuto dal farlo, una volta appurato che, per le modalità operative, per l'arma impiegata e per le altre caratteristiche della condotta sopra delineate, la parte di essa già sviluppata era perfettamente in grado di raggiungere l'obiettivo, mentre la morte della vittima non si è verificata per cause indipendenti dalla volontà dell'agente (Sez. 1, n. 45332 del 02/07/2019, P., Rv. 277151-01). Il meccanismo causale, capace di produrre l'evento, si era ormai innestato, restando altresì esclusa qualsivoglia possibilità di ravvisare, nel mancato progredire della condotta stessa, i requisiti della desistenza scriminante (Sez. 5, n. 17241 del 20/01/2020, P., Rv. 279170-01; Sez. 1, n. 42749 del 02/10/2007, P., Rv. 238112-01).
6. In quanto manifestamente infondato in ogni suo aspetto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile (art. 606, comma 3, cod. proc. pen.). Alla declaratoria di inammissibilità segue (art. 616 cod. proc. pen.) la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e - per i profili di colpa correlati all'irritualità dell'impugnazione (Corte cost., sentenza n. 186 del 2000) - di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.