Risponde penalmente chi viola le prescrizioni imposte dall'autorizzazione integrata ambientale, anche quando questa preveda obblighi di segnalazione della pericolosità del rifiuto speciale nelle zone di stoccaggio.
L'imputato veniva condannato per aver violato, in qualità di rappresentante legale di un'azienda gestrice di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, le prescrizioni stabilite nell'autorizzazione integrata ambientale (AIA) rilasciata dalla Provincia competente.
Avverso suddetto provvedimento, l'incolpato ricorre per cassazione...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza 31 maggio 2021 il tribunale di Pavia, in composizione monocratica, ha condannato il ricorrente (omissis) alla pena condizionalmente sospesa di 5.000,00 euro di ammenda, riconosciute le attenuanti generiche, per il reato di cui all'art. 29-quattuordecies, co. 3, D. Lgs. n. 152/2006 (TUA), in relazione all'art. 29-decies del medesimo d.lgs., per avere, in qualità di rappresentante legale della società (omissis), esercente l'attività di gestione di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, violato le prescrizioni stabilite nell'autorizzazione integrata ambientale (AIA) nr. 03/08 del 2.12.2008, rilasciata dalla Provincia di Pavia.
2. Avverso la sentenza il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia, articolando due motivi.
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge sotto il profilo dell'inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale (art. 606, co. 1 lett. b) c.p.p.). In sintesi, il ricorrente, con il primo motivo, deduce la violazione di legge in relazione all'art. 29-quattuordecies, d.lgs. n 152 del 2006, in quanto il giudice non avrebbe tenuto in considerazione, attesa la modifica normativa attuata con il d. lgs n. 46/2014, che la condotta contestata rientrava non nel co. 3, che prescrive a riguardo una sanzione penale, ma nel co. 2, avente ad oggetto la sola sanzione amministrativa. Ad avviso della difesa, la sentenza impugnata sarebbe del tutto priva della valutazione degli elementi fattuali della controversia oggetto di giudizio che giustifichino la rilevanza penale del fatto, valutazione che si presenta come doverosa e ancor più scrupolosa data la difficile individuazione del confine tra il co. 2 e il co. 3 dell'art 29-quattuordecies, TUA. In particolare, il prevenuto, pone l'accento su una serie di comportamenti, ad esempio l'adempimento, seppure parziale, alle prescrizioni contenute nel verbale, dai quali si desumerebbe la mancanza dell'elemento soggettivo del reato a lui ascritto.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per vizio risultante dal testo del provvedimento impugnato (art. 606, 1° comma lett. e) c.p.p.). In sintesi, con il secondo motivo, il ricorrente si duole della mancanza, nella motivazione, di un passaggio esplicativo, in ordine al ragionamento seguito dal primo giudice, sul perché il fatto costituirebbe illecito penale e non invece amministrativo. In particolare, non si comprenderebbe perché la condotta rientri nell'ipotesi di inosservanza "relativa alla gestione dei rifiuti", attesa la mancanza di una spiegazione in tal senso, non ritenendo, soddisfacente e idoneo il richiamo, nella motivazione, a fatti e circostanze estranee a quelle oggetto di contestazione.
3. In data 20.01.2022, il difensore del ricorrente ha fatto pervenire comunicazione a mezzo PEC presso la cancelleria di questa Corte, segnalando la sua assenza all'udienza odierna, e chiedendo di essere sostituito d'ufficio da un difensore immediatamente irreperibile perché si riporti ai motivi di ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è complessivamente infondato.
2. Preliminarmente deve osservarsi che non può darsi corso alla richiesta difensiva di cui all'istanza depositata in data 20.01.2022. È infatti pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che nel giudizio di cassazione non è prevista la richiesta di nomina di un sostituto del difensore che sia impossibilitato a comparire all'udienza fissata per la discussione del ricorso (tra le tante: Sez. 4, n. 12479 del 25/02/2016 - dep. 24/03/2016, Rv. 266407 - 01).
3. Tanto premesso, in merito al primo motivo, occorre precisare che il D. Lgs. 4 marzo 2014, n. 46 (recante Attuazione della direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali: G.U. Serie Generale n. 72 del 27 marzo 2014 - Suppi. Ordinario n. 27), entrato in vigore 1'11/04/2014, all'art. 7, comma 13 ha riscritto l'art. 29-quattuordecies depenalizzando molte fattispecie sanzionatorie. La nuova disciplina è, pertanto, così articolata. Il D. Lgs. n. 152 del 2006, art. 29 quattuordecies, comma 2 prevede la sola sanzione amministrativa pecuniaria da 1.500 a 15.000 Euro "salvo che il fatto costituisca reato", nei confronti di colui che pur essendo in possesso dell'autorizzazione integrata ambientale non ne osserva le prescrizioni o quelle imposte dall'autorità competente. Il successivo comma 3, invece, prevede "salvo che il fatto costituisca più grave reato" l'applicazione della sola pena dell'ammenda da 5.000 a 26.000 Euro nei confronti di colui, che pur essendo in possesso dell'autorizzazione integrata ambientale, non ne osserva le prescrizioni o quelle imposte dall'autorità competente nel caso in cui l'inosservanza: a. sia costituita da violazione dei valori limite di emissione, rilevata durante i controlli previsti nell'autorizzazione o nel corso di ispezioni di cui all'art. 29-decies, commi 4 e 7, a meno che tale violazione non sia contenuta in margini di tolleranza, in termini di frequenza ed entità, fissati nell'autorizzazione stessa; b. sia relativa alla gestione di rifiuti; c. sia relativa a scarichi recapitanti nelle aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano di cui all'articolo 94, oppure in corpi idrici posti nelle aree protette di cui alla vigente normativa. Infine, il successivo comma 4 prevede un'ammenda da 5.000 a 26.000 Euro ed arresto fino a due anni nei confronti di colui che, pur essendo in possesso dell'autorizzazione integrata ambientale, non ne osserva le prescrizioni o quelle imposte dall'autorità competente nel caso in cui l'inosservanza sia relativa: a. alla gestione di rifiuti pericolosi non autorizzati; allo scarico di sostanze pericolose di cui alle tabelle 5 e 3/A dell'Allegato 5 alla Parte Terza; c. a casi in cui il superamento dei valori limite di emissione determina anche il superamento dei valori limite di qualità dell'aria previsti dalla vigente normativa; d. all'utilizzo di combustibili non autorizzati. Rispetto al testo previgente, è stata ridotta la sanzione genericamente prevista (l'attuale comma 2 è stato infatti depenalizzato sostituendo l'ammenda di 5.000-26.000 euro, con una sanzione amministrativa pecuniaria di 1.500-15.000 euro), mentre è stata aumentata la sanzione nei casi di maggior pericolo (la sanzione massima viene prevista dal comma 4).
4. Fatte queste premesse, occorre analizzare i fatti oggetto del ricorso che occupa, ai fini della loro sussunzione in una delle fattispecie previste dai commi 2,3,4 dell'art. 29-quattuordecies, TUA, poiché sul punto, questa Corte, ha più volte affermato che «in materia di reati ambientali, a seguito delle modifiche apportate all'art. 29-quattuordecies del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, dal d.lgs. 4 marzo 2014, n. 46, recante attuazione della direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali, la condotta di chi, essendo in possesso dell'autorizzazione integrata ambientale, non ne osserva le prescrizioni è depenalizzata e costituisce illecito amministrativo, solo quando attiene a violazioni diverse da quelle previste dai commi terzo e quarto della medesima disposizione» (Cass. pen., Sez. 3, n. 40532 del 11/06/2014, dep. 01/10/2014; Sez. 3, n. 17056 del 13.12.2018 dep.18.04.2019). Ciò che si contesta all'odierno ricorrente attiene alla mancanza dell'apposita cartellonistica con indicazione dei codici CER nonché l'errato stoccaggio di rifiuti speciali pericolosi di cui al CER 13.08.02*, il tutto in violazione delle corrispondenti prescrizioni contenute nell'AIA n. 03/08 del 2.12.2008.
5. Orbene, già prima della riforma, la giurisprudenza di legittimità, in tema di gestione dei rifiuti, aveva stabilito che è chiamato a rispondere del reato previsto dall'art. 29-quattuordecies d.lgs. n. 152 del 2006, il titolare dell'autorizzazione integrata ambientale che viola le prescrizioni imposte dal provvedimento, anche quando queste si riferiscono ad obblighi di segnalazione nelle zone di stoccaggio, non potendo in alcun caso l'inosservanza di esse ritenersi circoscritta nell'ambito delle mere irregolarità amministrative, in quanto la valutazione della offensività della condotta è stata già preventivamente effettuata dal legislatore. In particolare, questa Corte, aveva ritenuto corretta l'affermazione della sussistenza del reato per l'inadeguatezza della etichettatura limitata alla sola zona di stoccaggio e non apposta anche ai singoli serbatoi e ciò in quanto detta etichettatura è funzionale alla corretta informazione sulla natura e tipologia del rifiuto a tutti i soggetti che entravano a contatto con i rifiuti, anche se estranei al reparto: altri dipendenti, gli stessi controllori o, addirittura, soggetti estranei (Cass. pen., Sez. 3, n. 4346 del 17/12/2013, dep. 2014). Questo indirizzo è stato poi avallato da recente giurisprudenza, la quale ha ritenuto che il legislatore, all'interno del medesimo art. 29-quattuordecies d.lgs. n. 152 del 2006, nel descrivere le condotte attribuibili a colui che è titolare dell'autorizzazione integrata ambientale, distingue tra l'inosservanza, in generale, di una qualsiasi delle prescrizioni del provvedimento autorizzativo, relativamente alla quale si applica la sola sanzione amministrativa, e le violazioni "qualificate", tra cui quelle concernenti la «gestione dei rifiuti», penalmente rilevanti. Ma, soprattutto, ha stabilito che "non sembra dubitabile che l'apposizione di etichettatura sui contenitori o di segnaletica nelle aree destinate al deposito dei rifiuti, proprio in quanto funzionale ad una corretta informazione sulla natura e tipologia degli stessi per tutti coloro che con i medesimi vengono in contatto, attenga alla «gestione dei rifiuti»" (Sez. 3, n. 33033, 18 settembre 2020, dep. 25 novembre 2020, non massimata).
6. L'art. 183, comma 1, lett. aa) d.lgs. 152/06 definisce lo stoccaggio come "le attività di smaltimento consistenti nelle operazioni di deposito preliminare di rifiuti di cui al punto D15 dell'Allegato B. parte quarta del decreto (e, cioè, il deposito preliminare prima di una delle operazioni di cui ai punti da D1 a D14, escluso il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti) nonché le attività di recupero consistenti nelle operazioni di messa in riserva di rifiuti di cui al punto R13 dell'Allegato C alla medesima parte quarta (e, cioè, la messa in riserva di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate nei punti da Rl a R12 escluso il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti)". Orbene, sulla base di quanto fin qui esposto, se per la mancata applicazione della cartellonistica CER negli appositi settori è stato necessario l'intervento dei giudici di legittimità, ai fini dell'inquadramento nella categoria della gestione dei rifiuti, per lo stoccaggio tale precisazione sarebbe superflua, poiché è palese, anche dalla sola lettura della definizione, la sua appartenenza.
In conclusione, è evidente che le condotte poste in essere dal sig. (omissis) siano sussumibili nell'ipotesi di cui al co. 3 art. 29-quattuordecies, TUA ed, in particolare alla lettera b) in quanto complessivamente afferenti alla "gestione dei rifiuti".
7. Sulla base di quanto fin qui dedotto, il motivo è infondato. Per il resto, il ricorrente si limita ad effettuare censure di natura fattuale, facendo leva sul comportamento posto in essere dal (omissis) subito dopo l'accertamento, volto all'adempimento delle prescrizioni impartite da A. e insistendo sulla mancanza dell'elemento soggettivo. Si rende necessario precisare, a tal proposito, che l'art. 29-quattuordecies descrive una fattispecie esclusivamente di carattere meramente formale e non sostanziale, per cui, affinché si realizzi la condotta contestata, è sufficiente che l'attività si sia svolta con inosservanza dell'autorizzazione integrata ambientale. A nulla rileva la condotta successiva, peraltro sempre lesiva sia dell'AIA che delle prescrizioni contenute nel verbale successivo all'accertamento, dovendo far esclusivo riferimento alla violazione dell'autorizzazione, per la quale è già stata chiarita, in modo inconfutabile, l'afferenza alla più generale gestione dei rifiuti, categoria onnicomprensiva di tutte le attività in essi coinvolte.
8. Il secondo motivo è invece inammissibile per le ragioni di seguito esposte. Orbene, vero è che non si rinviene in sentenza alcuna argomentazione circa la distinzione delle condotte sanzionabili amministrativamente o penalmente, ciò nonostante, attraverso la lettura della motivazione resa dallo stesso giudice, a giustificazione della pena irrogata, è facile desumere perché non si applichi, al caso di specie, l'ipotesi di cui al co. 2 dell'art. 29-quattuordecies, TUA. Ma, ciò che più rileva, è il principio per cui non può essere imputato al giudice di non essersi espresso su un'eccezione dinanzi a lui non sollevata. Tanto meno, si può proporre in questa sede, una simile doglianza. Infatti, giova ricordare l'indirizzo espresso da questa Corte per cui l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione, essere limitato, per espressa volontà del legislatore, al riscontro dell'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina; più recente Sez. 7, n. 29037 del 2020; Sez. 7, n. 29021 del 2020). Si rileva, del resto, che la seconda censura sollevata dal ricorrente è finalizzata ad ottenere una differente valutazione di elementi già presi in considerazione dal Tribunale, riducendosi ad una contestazione delle risultanze emerse dalla motivazione della sentenza, senza offrire elementi precisi, univoci, puntuali e di immediata valenza esplicativa tali da dimostrare lacune o vizi logici su punti decisivi dell'impugnazione. Invero, dall'analisi della motivazione resa dal Tribunale di Pavia, si evince una disamina dettagliata, logica e puntuale dalla condotta posta in essere dall'odierno prevenuto, sia contestuale che successiva all'accertamento, aggravata dalla persistenza della situazione di irregolarità anche a seguito di un ulteriore sopralluogo svoltasi a distanza di anni dal primo (10.01.2019), da cui il Tribunale ha tratto l'indubbia configurabilità della fattispecie penale.
9. Il ricorso dev'essere, pertanto, rigettato. A norma dell'art. 616, cod. proc. pen., al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.