La Commissione speciale del Consiglio di Stato ha espresso parere favorevole sullo schema di Decreto Legislativo avente ad oggetto le modifiche al Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza con alcuni suggerimenti.
La Commissione speciale del Consiglio di Stato ha espresso parere favorevole sullo schema di Decreto Legislativo sulle modifiche al Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza in attuazione della Direttiva 2019/1023/UE (parere n. 832 del 13 maggio 2022).
Tale Direttiva si pone quale obiettivo quello dell'armonizzazione delle procedure nazionali in materia di ristrutturazione preventiva e di insolvenza delle imprese in deficit di liquidità, in modo tale da assicurare il funzionamento corretto del mercato interno nonché l'esercizio delle libertà fondamentali di stabilimento e di circolazione di capitali.
A fronte di ciò, l'Italia ha provveduto ad adeguare la normativa interna con il
Se, da un lato, il Consiglio di Stato ha condiviso numerose delle scelte adottate dal Governo, d'altra parte ha espresso specifiche osservazioni che riguardano, a titolo meramente esemplificativo, i seguenti punti:
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In ultimo, si evidenzia che l'art. 390 del Codice prevede che ai procedimenti di insolvenza pendenti alla data di entrata in vigore del Codice debba applicarsi il R.D. n. 267/1942. A tal proposito, la Commissione speciale suggerisce una sospensione della procedura e l'apertura di una finestra temporale volta alla verifica della possibilità di superare lo stato di crisi tramite le procedure disciplinate dal Codice. In ogni caso, la Commissione ritiene opportuno introdurre norme transitorie da applicare solo alle procedure già in corso alla data di entrata in vigore del Codice.
Consiglio di Stato, Adunanza della Commissione speciale, parere (1° aprile 2022) 13 maggio 2022, n. 832
Premesso
1. Con nota n. 2878 del 18 marzo 2022, l’Ufficio Legislativo del Ministero della giustizia ha inviato, per il prescritto parere, lo schema di decreto legislativo indicato in epigrafe, unitamente alla relazione firmata dalla Ministra della giustizia, al testo bollinato dalla Ragioneria Generale dello Stato con attestazione della insussistenza di oneri finanziari aggiuntivi, alla relazione tecnico-normativa. Con nota del 25 marzo 2022 è stata trasmessa la relazione di impatto della regolamentazione (AIR), verificata dal Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio. In data 19 aprile 2022 sono pervenuti i concerti, d’ordine dei rispettivi Ministri, dei Ministeri degli affari esteri, dell’economia e delle finanze, dello sviluppo economico e del lavoro.
Il testo si compone di cinquanta articoli suddivisi nel Capo I, concernente le modifiche al codice della crisi di impresa di cui al decreto legislativo n. 14 del 2019 e nel Capo II, relativo alle disposizioni di coordinamento e alle abrogazioni.
1.1. In data 1 aprile 2022 la Commissione speciale ha svolto l’audizione del Capo di gabinetto e di funzionari del Ministero della giustizia, nonché di rappresentanti degli altri Ministeri interessati.
In data 11 aprile 2022 l’Ufficio Legislativo del Ministero della giustizia ha inviato una nota contenente chiarimenti su specifici punti oggetto della predetta audizione.
2. Lo schema di decreto legislativo è volto al recepimento della direttiva 2019/1023/UE, che richiede di prevedere quadri di ristrutturazione preventiva finalizzati ad impedire l’insolvenza, di delineare procedure di esdebitazione per l’imprenditore insolvente e di introdurre misure di maggiore efficienza nelle relative procedure e per il quale la originaria scadenza del 17 luglio 2021 è stata prorogata al 17 luglio 2022 in accoglimento della richiesta del Governo formulata ai sensi dell’articolo 32, § 2, della stessa direttiva.
2.1. La delega legislativa è stata conferita dalla legge n. 53 del 2021, recante “Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea - legge di delegazione europea 2019-2020”, ai sensi della legge n. 234 del 2012, concernente “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche di Unione europea”.
L’articolo 1 della legge n. 53 delega il Governo ad adottare i decreti legislativi per il recepimento delle direttive di cui all’allegato A (che reca al numero 22 la direttiva 2019/1023/UE), secondo i termini, le procedure, i principi e i criteri direttivi di cui agli articoli 31 e 32 della legge n. 234, “nonché secondo quelli specifici dettati dalla presente legge”.
2.2. Pertanto, il decreto legislativo deve essere adottato su proposta del Presidente del Consiglio o del Ministro per gli affari europei e del Ministro con competenza prevalente nella materia, di concerto con il Ministro degli affari esteri e con i Ministri interessati in relazione all’oggetto della direttiva. In ragione di quanto disposto dall’art. 31, commi 1 e 3 e tenuto conto del fatto che sullo schema deve essere acquisito il parere delle competenti commissioni parlamentari, il termine per l’adozione del decreto legislativo risulta fissato al 17 giugno 2022.
3. L’art. 32 stabilisce, tra i principi e criteri direttivi generali, che i decreti legislativi siano informati alla massima semplificazione dei procedimenti e delle modalità di organizzazione, che le occorrenti modificazioni alle discipline vigenti siano introdotte anche attraverso il riassetto e la semplificazione normativi, che non siano previsti livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive, che il recepimento di direttive che modificano precedenti direttive già attuate con legge o con decreto legislativo abbia luogo attraverso la modificazione di tali atti normativi.
La legge n. 53 non prevede specifici criteri aggiuntivi.
Considerato
I. Profili generali
1. Non si può non rilevare che la materia in esame sia stata oggetto negli ultimi anni di interventi normativi ravvicinati che non hanno giovato alla coerenza complessiva e alla chiarezza della disciplina normativa. Del resto, la delega prevista dalla legge n. 155 del 2017 si prefiggeva in primo luogo l’obiettivo di giungere alla definizione di un quadro normativo unitario e la relazione illustrativa del decreto legislativo n. 14 del 2019 definiva l’intervento come “espressione dell’esigenza, ormai indifferibile, di operare in modo sistematico ed organico la riforma della materia dell’insolvenza e delle procedure concorsuali”. La stessa relazione rilevava che a partire dal decreto legislativo n. 5 del 2006 si erano succedute modifiche normative “di natura episodica ed emergenziale” che hanno generato difficoltà applicative e accentuato il divario tra le disposizioni riformate e quelle rimaste invariate, che risentono ancora di una impostazione nata in un contesto temporale e politico ben lontano dall’attuale”.
2. È quindi condivisibile, e coerente anche con i criteri direttivi della delega di cui alla legge n. 234, la scelta del Governo di recepire la direttiva attraverso una serie di modifiche al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al decreto legislativo n. 14 del 2019, la cui entrata in vigore è prevista, allo stato, per il 16 maggio 2022 (art. 389, comma 1), salvo che per le disposizioni già entrate in vigore elencate dall’articolo 389 comma 2 (relative alle modifiche della disciplina dell’amministrazione straordinaria, alla istituzione dell’albo per gli incarichi affidati dal tribunale, alle modalità per la realizzazione dell’area web riservata, alla certificazione dei debiti contributivi, assicurativi e tributari, alle modifiche in materia di spese di giustizia, ad alcune modifiche al codice civile e alla normativa inerente gli immobili da costruire). Il Codice è stato peraltro già modificato con il decreto legislativo n. 147 del 2020, emanato in base alla delega contenuta nella legge n. 20 del 2019.
3. È altresì opportuna, proprio per evitare l’entrata in vigore in tempi ravvicinati di diversi testi normativi, la scelta di prevedere che le disposizioni contenute nello schema in esame siano vigenti simultaneamente al decreto legislativo n. 14. Tuttavia, come ipotizzato dal Ministero della giustizia nella nota trasmessa in data 11 aprile 2022, a questo fine, considerati i tempi per la conclusione del procedimento di delega, è necessario posticipare il termine previsto dall’art. 389, comma 1, al 15 luglio 2022, per consentire l’entrata in vigore contestuale, nel testo modificato, dell’intero Codice, compreso il Titolo II. Si auspica quindi un intervento legislativo urgente in tal senso.
4. L’attuazione della direttiva 2019/1023/UE è stata inserita tra gli interventi prioritari previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza al fine di potenziare i meccanismi di allerta, di completare la digitalizzazione delle procedure anche attraverso la realizzazione di una piattaforma on-line e di specializzare gli organi competenti per le procedure concorsuali. Con i decreti legge n. 118 e n. 152 del 2021 sono stati già realizzati alcuni interventi prioritari. In particolare, il decreto legge n. 118 ha disciplinato l’istituto della composizione negoziata e istituito la piattaforma telematica nazionale. Con la legge n. 233 del 2021, di conversione del decreto-legge 152 del 2021, sono stati introdotti gli articoli 30-ter (interoperabilità tra la piattaforma telematica nazionale per la composizione negoziata per la soluzione delle crisi d’impresa e altre banche di dati), l’articolo 30-quater (scambio di documentazione e di dati contenuti nella piattaforma telematica nazionale per la composizione negoziata per la soluzione delle crisi d’impresa tra l’imprenditore e i creditori), l’articolo 30-quinquies (istituzione di un programma informatico per la sostenibilità del debito e l’elaborazione di piani di rateizzazione automatici nell’ambito della composizione negoziata per la soluzione delle crisi d’impresa) e l’articolo 30-sexies (segnalazioni dei creditori pubblici qualificati). Tali disposizioni sono in vigore dal 1 gennaio 2022. Opportunamente lo schema in esame ne trasfonde il contenuto nel Codice di cui al decreto legislativo n. 14 del 2019.
5. Nella relazione AIR viene evidenziato che le disposizioni dello schema recepiscono largamente l’esito dei lavori della Commissione di studio istituita con decreto della Ministra della giustizia del 22 aprile 2021, alla quale hanno partecipato esperti designati dal Ministero dell’economia e delle finanze, dal Ministero dello sviluppo economico e dal Ministero del lavoro e che, nel corso della elaborazione del testo, l’Ufficio Legislativo del Ministero della giustizia ha consultato, anche per le vie brevi, gli Uffici Legislativi degli altri Ministeri concertanti e la Ragioneria Generale dello Stato. Quanto al contesto nel quale viene ad inserirsi l’intervento normativo in esame, la relazione ha individuato nel deficit di liquidità (stima dei fabbisogni di liquidità delle imprese in relazione all’evoluzione del fatturato e dei costi) e nel deficit di capitale (patrimonio inferiore al limite legale) due indicatori utili per la quantificazione delle imprese in difficoltà, considerate quali destinatarie principali del provvedimento. Inoltre, in apposite tabelle, è stimato il numero delle società di capitali “vulnerabili”, gli stadi di attività delle società a tre anni dall’entrata in stato di crisi, le percentuali di utilizzazione delle diverse procedure concorsuali, la loro durata, il rapporto tra fallimenti e ciclo economico.
Si tratta di un complesso di indicazioni di carattere quantitativo che consente di precisare in modo adeguato la platea di riferimento dell’intervento e, soprattutto, di circostanziare gli indicatori che permetteranno di verificare il raggiungimento degli obiettivi; indicatori identificati nel numero delle imprese che faranno ricorso al concordato in continuità, al piano di ristrutturazione e al concordato minore, nella durata media delle procedure e nel grado di soddisfacimento dei creditori.
5.1. Si deve quindi esprimere una valutazione positiva sulla analisi della regolazione, quale è rappresentata dalla relazione suddetta, che appare corrispondere pienamente alla finalità di tale strumento anche e soprattutto perché si presenta idonea a favorire quella circolarità della valutazione (analisi preventiva, monitoraggio e verifica, eventuali interventi correttivi) la cui importanza è stata più volte sottolineata da questo Consiglio (cfr. n. Cons. St., Sez. Norm. n. 1583 del 2021, Sez. Norm. n. 1784 del 2016, Comm. Spec. n. 839 del 2016, Comm. Spec. 855 del 2016, Comm. Spec. n. 890 del 2016, Comm. Spec. n. 929 del 2016, Comm. Spec. 1075 del 2016, Comm. Spec. 1142 del 2016, Comm. Spec. n. 1640 del 2016, Sez. Norm. n. 1458 del 2017).
6. Con il regolamento 2015/848/UE l’Unione Europea ha definito le caratteristiche e le finalità delle procedure di insolvenza distinguendo tra quelle caratterizzate dallo spossessamento del debitore e dalla nomina di un amministratore, quelle relative alle situazioni di probabilità dell’insolvenza, nelle quali il debitore mantiene il controllo dei propri affari anche se sotto la sorveglianza di una autorità giudiziaria o amministrativa e quelle che prevedano la sospensione delle azioni esecutive individuali per la durata della procedura. Già con la raccomandazione 2014/135/UE la Commissione Europea aveva individuato l’esigenza che alle imprese in difficoltà finanziarie fosse data la possibilità di accedere a quadri nazionali di ristrutturazione volti a prevenire l’insolvenza.
Come indicato negli stessi atti normativi europei la durata eccessiva delle ristrutturazioni concorsuali e il basso livello di soddisfacimento dei creditori sono all’origine di tali interventi normativi e delle sollecitazioni agli Stati nazionali.
6.1. Sulla base di questa impostazione la legge n. 155 del 2017 ha delegato il Governo a riformare l’intera disciplina della crisi d’impresa e dell’insolvenza, prevedendo tra i criteri direttivi la introduzione della definizione dello stato di crisi, inteso come probabilità di futura insolvenza e la priorità per i meccanismi di superamento della crisi in grado di assicurare la continuità aziendale, anche in modo indiretto.
Con il decreto legislativo n. 14 del 2019 si è data attuazione alla delega attraverso la predisposizione di un quadro normativo unitario. Nella prima parte del Codice è stata ridefinita, in particolare, la materia propria della crisi d’impresa e dell’insolvenza, dell’esdebitazione e del sovraindebitamento, raggruppando in dieci titoli la disciplina dei possibili strumenti di risoluzione. Il testo introduce istituti nuovi o radicalmente modificati rispetto alla disciplina vigente, individuando procedure di allerta e composizione assistita della crisi ad iniziativa del debitore di natura non giudiziale e procedure di composizione concordata ad iniziativa del debitore, dei creditori e dell’autorità giudiziaria volte a fronteggiare le crisi di impresa. Vengono previsti i piani di risanamento, gli accordi di ristrutturazione dei debiti, gli accordi di ristrutturazione con intermediari e ridefiniti il concordato preventivo e la procedura di liquidazione giudiziale in sostituzione del fallimento.
6.2. Il Codice di cui al decreto legislativo n. 14 è stato oggetto di un primo intervento correttivo attraverso il decreto legislativo n. 147 del 2020. Le modifiche hanno riguardato, oltre alla definizione di crisi contenuta all’articolo 2, la fissazione di nuove soglie per la segnalazione da parte dell’Agenzia delle entrate prevista dall’articolo 15, il rafforzamento del ruolo del pubblico ministero (articolo 38), la durata delle misure protettive di cui agli articoli 54 e 55, il contenuto dei piani attestati di risanamento (articoli 56 e seguenti), gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa di cui all’articolo 61, l’esecuzione del piano di ristrutturazione dei debiti, il concordato preventivo e modifiche puntuali concernenti la disciplina della revocatoria fallimentare, l’accertamento del passivo, l’esdebitazione e l’albo dei gestori delle crisi.
Con parere n. 1940 del 2018, reso dalla Commissione speciale in data 5 dicembre 2018, questo Consiglio si è pronunciato sullo schema del decreto legislativo n. 14 e, successivamente, la Sezione per gli Atti Normativi ha formulato il parere n. 811 del 2020 sullo schema di decreto legislativo recante le disposizioni integrative e correttive. Si richiamano pertanto la ricostruzione del quadro normativo interno ed europeo, nonché le considerazioni di carattere generale, contenute in tali pareri.
7. Con la direttiva 2019/1023/UE si mira a rafforzare l’armonizzazione delle procedure nazionali in materia di ristrutturazione preventiva e insolvenza per garantire il corretto funzionamento del mercato interno e l’esercizio delle libertà fondamentali di circolazione dei capitali e di stabilimento.
Si persegue in particolare l’obiettivo di definire da parte degli Stati membri procedure idonee sia in sede giudiziale che extragiudiziale a consentire al debitore un precoce risanamento attraverso i quadri di ristrutturazione preventiva con gli obiettivi di evitare il default di imprese sane, ma in difficoltà finanziarie e, nel contempo, di tutelare sia i lavoratori che i creditori.
Va sottolineato che gli strumenti di risanamento preventivo sono infatti espressamente finalizzati a “impedire la perdita di posti di lavoro nonché la perdita di conoscenze e competenze e massimizzare il valore totale per i creditori, rispetto a quanto avrebbero ricevuto in caso di liquidazione degli attivi della società …” (considerando 2 della direttiva). Essi vanno perciò considerati nel contesto delle misure volte a favorire la prosecuzione dell’attività delle imprese con problemi di carattere finanziario di natura contingente. Tra queste si deve ricordare la sospensione dell’applicazione delle norme del codice civile relative alla ricapitalizzazione delle perdite di esercizio e allo scioglimento delle società prevista dall’articolo 6 del decreto legge n. 23 del 2020 a seguito dell’emergenza COVID (e precedentemente dall’articolo 46 del decreto-legge n. 189 del 2016 per le imprese colpite dagli eventi sismici). È significativo da questo punto di vista che la disciplina di supporto alla continuità operativa delle imprese sia considerata estendibile anche alla loro partecipazione alle procedure di evidenza pubblica in deroga alle previsioni del d.P.R., n. 207/2010 (cfr. Cons. St. sez. I, n. 804 del 2022).
7.1. Come condivisibilmente sottolineato dalle relazioni di accompagnamento allo schema, nonostante le previsioni contenute nei decreti legge n. 118 e n. 151, l’insieme delle esigenze di armonizzazione alla base della direttiva 2019/1023/UE porta ad escludere che si potesse non intervenire con ulteriori misure di correzione e di coordinamento. Al tempo stesso, gli strumenti già vigenti di “allerta precoce” hanno consentito di non introdurre meccanismi ulteriori rispetto alla composizione negoziata. Per ciò che si riferisce ai quadri di ristrutturazione si è intervenuti soprattutto adeguando la disciplina del concordato preventivo in continuità aziendale e istituendo il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione. Correttivi volti all’attuazione di specifici punti della direttiva, tenendo conto del contesto regolatorio vigente, sono stati poi previsti, tra l’altro, con riferimento alla nomina del professionista della ristrutturazione, alla sospensione delle azioni esecutive individuali, alle ristrutturazioni trasversali e alla possibilità di risarcimento nei casi di omologazione in presenza di opposizioni fondate.
7.1.1. Al riguardo si rappresenta la necessità che, al fine di consentire una visione d’insieme del recepimento della direttiva, l’Amministrazione predisponga, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 31, comma 2, della legge n. 234 de 2012, una “tabella di concordanza” tra le disposizioni dello schema di decreto legislativo e quelle della direttiva. Non si tratta solo di dar corso ad un adempimento formale, ma di realizzare uno strumento per i destinatari delle norme e gli operatori utile a chiarire in modo puntuale le scelte compiute dal legislatore nazionale in rapporto alla disciplina europea.
II. I principi generali del Titolo I e la composizione negoziata del Titolo II del Codice, anche in rapporto con la direttiva
1. Gli articoli da 1 a 11 del codice, recanti i primi due disposizioni generali, tra le quali rientrano le definizioni, e gli altri i principi generali - come sostituiti modificati o integrati dallo schema del decreto legislativo del Governo (artt. da 1 a 5) - risultano in gran parte non riferibili direttamente o indirettamente alla composizione negoziata. Infatti, alla stessa sono direttamente riferibili solo alcuni articoli (artt. 1, 3, 5-bis, 9 e 10); altri sono formulati considerando espressamente solo i quadri di ristrutturazione preventiva (artt. 8, 11, e l’art. 4, anche mediante il richiamo come eccezioni di due articoli della composizione negoziata); infine, altri articoli, sono formulati non prendendo in considerazione la composizione negoziata (artt. 5, 6 e 7).
2. La scelta del Governo, come emerge anche dalla nota integrativa, è stata quella di distinguere lo strumento extragiudiziario della composizione negoziata, non essendo lo stesso inserito nel procedimento giurisdizionale unitario, applicabile alle altre procedure, e si collega al differente rapporto con la direttiva, atteso che la prima non ne costituisce diretta attuazione pur essendo in linea con i principi della stessa.
3. Questa Commissione speciale concorda con entrambe le ragioni che hanno indotto alla differenziazione. Tuttavia, rileva l’effetto che tale scelta ha comportato sulla formulazione dei principi generali e sulla loro funzione all’interno del Codice.
4. In accordo con l‘amministrazione, si ritiene che la composizione negoziata, di per sé, non rientri nei quadri di ristrutturazione preventiva, con la conseguenza che non deve essere disciplinata nel rispetto di tutti i principi del Titolo II della direttiva, pur inserendosi a pieno titolo negli obiettivi della direttiva e nei principi da questa enunciati.
Infatti, la composizione negoziata si colloca nell’ampio ambito di armonizzazione sul piano del rafforzamento degli strumenti di allerta precoce, volti ad individuare il prima possibile situazioni economico finanziarie tali da rendere concretamente probabile l’insolvenza del debitore. Su tale sfondo, il diritto interno si arricchisce mediante uno strumento extragiudiziario per ricercare una soluzione della crisi anticipata, che sia in grado di evitare ove possibile anche il ricorso ai quadri di ristrutturazione preventiva, oltre che le procedure di insolvenza.
Il legislatore italiano, introducendo la composizione negoziata – prima, con i d.l. nn. 118 e 152 del 2021, in sede di legislazione d’urgenza per far fronte alle crisi delle imprese innescate dalla pandemia, poi trasponendo le norme nello schema di decreto legislativo – in sostituzione della originaria composizione assistita, ha operato nel contesto di tutti i principi di cui all’art. 3 della direttiva, concernenti l’allerta precoce e l’accesso alle informazioni, e ha individuato un diverso strumento extragiudiziario, ritenendolo funzionale all’obiettivo di consentire al debitore di ricercare repentinamente una soluzione extragiudiziaria della crisi, peraltro rifacendosi ad alcuni principi cardine che la direttiva pone per le procedure di ristrutturazione nei titoli II, IV e V.
4.1. Nel disciplinare tale strumento extragiudiziario preventivo, il Governo ha dato attuazione a tutti i principi del Titolo I, in tema di allerta precoce e accesso alle informazioni (art. 3).
Poi, prendendo a modello alcuni dei principi posti dal Titolo II, ha delineato uno strumento che, nell’arco delle potenzialità conoscitive derivanti dai veri e propri strumenti di allerta, potesse operare su un piano temporale antecedente all’utilizzo dei quadri di ristrutturazione preventiva per pervenire ad una soluzione extragiudiziaria della crisi con il consenso dei creditori, attribuendo ad un esperto terzo, nominato da una commissione mista presso la camera di commercio, il ruolo di agevolatore delle trattative.
4.2. In particolare, nel declinare il quadro normativo della composizione negoziata ha ripreso alcuni dei principi posti dal Titolo II, così elencabili: - la verifica della sostenibilità economica finalizzata ad escludere il debitore che non ha prospettive di pervenirvi; - il carattere extragiudiziale dello strumento, combinato con il carattere volontario, al quale l’imprenditore di qualunque dimensione può accedere, facendo salvi i quadri di ristrutturazione e prima di ricorrere agli stessi; - l’individuazione di strumenti di garanzia per l’imprenditore e per i creditori che partecipano alla trattativa extragiudiziaria; - le necessarie parentesi giudiziarie, collegate alle misure protettive e cautelari, per la salvaguardia dei diritti del debitore e dei creditori (art. 4 §§ 1, 3, 5, 6 e 6); - l’assenza dello spossessamento del debitore, che continua a gestire l’impresa (art. 5 § 1); - la sospensione delle azioni esecutive individuali (art. 6 §§ 1, 3, 6, 7, 8 e 9); - la lista di controllo particolareggiata per il piano di risanamento idoneo alle verifiche di sostenibilità in ordine alla possibilità di superare la crisi (ispirato dall’art. 8 § 2); - il diritto di informazione e consultazione dei lavoratori (art. 13 § 1, lett. b); - la tutela dei nuovi finanziamenti necessari per la continuità aziendale e per la migliore soddisfazione dei creditori, autorizzati dal giudice, attraverso la prededucibilità nelle eventuali successive procedure di insolvenza (art. 17 § 4); - la tutela del pagamento degli onorari dell’esperto, attraverso la prededucibilità nelle eventuali successive procedure di insolvenza (art. 18 § 4, lett. b).
Infine, il Governo ha ripreso estensivamente alcuni principi contenuti nei titoli IV e V della direttiva, in tema di: - formazione, rapidità ed efficienza nella trattazione delle controversie, rispetto ai giudici che trattano gli innesti giudiziari (art. 25); - formazione, trasparenza ed equità nelle procedure di nomina, possibilità di opposizioni alla nomina da parte del debitore e creditori, vigilanza sulle effettive competenze, compenso collegato al raggiungimento efficace dell’obiettivo, rispetto agli esperti nominati nella fase extragiudiziaria (artt. 26 e 27); - monitoraggio sulla nuova disciplina (art. 29).
5. Entro queste coordinate comunitarie, il tessuto normativo predisposto dal Governo per la composizione negoziata si caratterizza: - per il perseguimento del risanamento precoce dell’impresa mediante uno strumento extragiudiziario offerto alla scelta dell’imprenditore (di qualunque dimensione), che è posto in grado di rilevare prontamente la crisi (che può essere di diversa entità, anche grave), con gli strumenti di allerta, quando sussistono concrete possibilità di un superamento consensuale in tempi brevi; - per la continuità nella gestione dell’impresa durante le trattative con i creditori, agevolate da un esperto, subito presente, non potendosi configurare una composizione negoziata senza la nomina accettata dall’esperto, che valuta la percorribilità del concreto superamento della crisi insieme ai creditori; - per il bilanciamento della gestione dell’impresa con la presenza dell’esperto per supportare il percorso intrapreso e, nel contempo, e per rilevare prontamente la mancanza delle condizioni per il superamento della crisi; - per la immediata presenza dei creditori interessati e la loro tutela, garantita dall’immediato intervento del giudice, quando l’imprenditore chiede misure protettive e dalla possibilità dei creditori di chiederne la revoca, attraverso fasi incidentali giurisdizionali.
In particolare, la mancanza di condizioni per proseguire il percorso negoziale è costantemente valutata dall’esperto nel corso delle trattative e, alla luce di questa valutazione, l’esperto individua gli atti potenzialmente contrari agli interessi creditori, esprimendo un dissenso reso pubblico e conosciuto dal giudice. La stessa autorizzazione di nuovi finanziamenti da parte del giudice è effettuata sulla base delle loro funzionalità alla continuità aziendale, unitamente alla migliore soddisfazione dei creditori, con conservazione degli effetti nell’ambito delle successive ordinarie procedure di crisi o di insolvenza qualora le trattative non hanno esito positivo, ma restando comunque ferma la responsabilità dell’imprenditore. Infine, per l’ipotesi di esito infruttuoso delle trattative, attestata dall’esperto, oltre all’accesso alle ordinarie procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza, si prevede la possibilità di accedere a strumenti di regolazione della crisi più vantaggiosi degli ordinari, (quali il concordato semplificato se l’imprenditore si è comportato secondo buona fede e correttezza, o la richiesta di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti più vantaggioso) per incentivare l’utilizzazione preventiva del percorso extragiudiziario.
5.1. In definitiva, si tratta di uno strumento temporaneo volto a prevenire il ricorso alle ordinarie procedure di risoluzione della crisi e dell’insolvenza salvando l’impresa e che all’esito, se negativo, da un lato non preclude l’accesso alle procedure ordinarie, dall’altro favorisce quelle più rapide tra queste. In tal modo la composizione negoziata, quale possibile strumento di primo utilizzo delle opportunità offerte dalle misure di allerta, nell’ambito del percorso di armonizzazione europeo, persegue l’obiettivo di evitare la crisi dell’impresa (art. 3 della direttiva) anche utilizzando quei principi derivanti dagli articoli della direttiva (cfr. § 4.1.), compatibili con un percorso extragiudiziario che vede da subito coinvolto un terzo agevolatore delle trattative insieme ai creditori e al giudice nei soli innesti giurisdizionali necessari, tutti a presidio della persistenza della percorribilità delle trattative.
6. Secondo questa Commissione speciale, quanto si è detto a proposito dell’inserimento di questo strumento extragiudiziario nel contesto di armonizzazione comunitario, unitamente al carattere di novità che lo stesso assume rispetto all’ordinamento interno, fa emergere l’esigenza di un raccordo con i principi generali del Codice. Invece, lo schema di decreto legislativo ha introdotto un nuovo principio e ne ha sostituiti sette, riferendoli o solo direttamente ai quadri di ristrutturazione preventiva oppure, comunque, prescindendo dalla composizione negoziata.
6.1. Generalmente, la scelta di formulare i principi generali che precedono le varie disposizioni di un codice, mette in luce la volontà del legislatore di collocare tutte le disposizioni in un quadro organico, che possono convivere con altri principi generali settoriali. D’altra parte, la tecnica legislativa dell'impiego dei principi orienta lo sviluppo del percorso interpretativo secondo traiettorie coerenti con gli obiettivi e i valori di cui i principi formulati dovrebbero essere espressione, quali finalità dichiarate dal legislatore. Senza trascurare che i principi generali agevolano il confronto con analoghi principi vigenti in altri settori, facilitando un più armonico coordinamento tra settori diversi dell’ordinamento.
6.2. La Commissione speciale è consapevole che i principi generali dal Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza convivono con principi settoriali che presidiano solo la disciplina dei relativi settori. Tuttavia, per le ragioni dette, ritiene necessario un raccordo degli stessi con il nuovo strumento della composizione negoziata.
Nello spirito di proficua collaborazione, si sottopongono alla valutazione dell’amministrazione gli adattamenti ritenuti necessari nella parte del parere che ha per oggetto i singoli articoli.
III. La sistematica del Titolo II del Codice
1. Lo schema di decreto legislativo (art. 6) ha sostituito l’intero Titolo II, trasfondendo nel Codice i due decreti legge del 2021 nelle parti che avevano affrontato la crisi delle imprese, implementando gli strumenti di allerta e introducendo un nuovo strumento extragiudiziario di risoluzione della crisi, provvedendo, altresì, alle relative abrogazioni (artt. 45 e 46 dello schema di decreto). Inoltre, ha abrogato gli artt. 3, 4 e 5 del d.lgs. n. 147 del 2020, che avevano modificato alcuni articoli, facenti parte dello stesso titolo, del d.lgs. n. 14 del 2019.
2. Il consolidamento della legislazione emergenziale nel Codice della crisi, certamente necessario, avrebbe dovuto comportare non solo un consolidamento formale, ma anche l’utilizzo di una modalità di redazione - tendenzialmente omogenea al Codice - nel rispetto di criteri ormai consolidati di qualità della regolazione, in senso formale e sostanziale, finalizzata alla semplificazione, chiarezza, coerenza e certezza delle regole e, quindi, una effettiva semplificazione sostanziale delle regole (Commissione speciale n. 855 del 2016 e n. 782 del 2017). Peraltro, la stessa legge delega (art. 32, lett. a) e b) della l. n. 234 del 2012, al quale rinvia l’art. 1 della l. n. 53 del 2021) richiede che i decreti legislativi siano informati alla massima semplificazione dei procedimenti e delle modalità di organizzazione e che le occorrenti modificazioni alle discipline vigenti siano introdotte anche attraverso il riassetto e la semplificazione normativi.
2.1. Invece, la trasfusione integrale e letterale degli articoli rilevanti dei due decreti legge nel Titolo II del Codice ha comportato: articoli con molti commi; commi composti da molti periodi, con conseguente non facile individuazione del periodo cui si rinvia; contenuti eterogenei all’interno del singolo articolo e all’interno del singolo comma. Inoltre, la trasfusione effettuata ha inciso anche nell’ordine di successione degli articoli che compongono il Titolo II. Con la conseguenza, per fare solo un esempio, che gli articoli contenenti le segnalazioni e il programma informatico per la verifica della sostenibilità del debito sono collocati nell’ultimo capo del Titolo II.
2.2. L’effetto dell’utilizzo di tale tecnica comporta, quantomeno, una difficoltà dell’interprete nel cogliere la portata precettiva della singola disposizione e nello stabilire i collegamenti tra disposizioni, anche strettamente collegate tra loro. Così come la collocazione in un capo piuttosto che in un altro di una disposizione può concorrere alla sostenibilità di un percorso interpretativo della stessa.
2.3. Né appare decisiva la giustificazione, rappresentata dall’amministrazione nel corso dell’audizione, di avere privilegiato il mantenimento del testo delle norme dei decreti legge per favorire gli operatori del diritto che di tali norme hanno già fatto applicazione. La stessa, infatti, è facilmente superabile accompagnando il decreto legislativo con una tavola di corrispondenza tra gli articoli interessati.
3. Questa Commissione speciale non può non riconoscere che la riformulazione dell’intero Titolo potrebbe incidere sui tempi ravvicinati di scadenza della direttiva, tuttavia si invita il Governo a verificarne la concreta percorribilità con un ulteriore impegno organizzativo.
4. Con spirito di proficua collaborazione, nella parte del parere concernente l’articolato, si è provveduto ad alcune riformulazioni ritenute necessarie per favorire l’emersione dei contenuti precettivi delle disposizioni del Titolo II. Tuttavia, la riformulazione di molti altri articoli del Titolo necessiterebbe di un intervento ben più radicale.
5. Quanto alla sistematica interna al Titolo, di seguito si sottopone alla valutazione dell’amministrazione una possibile diversa sistematica dello stesso, con la riformulazione della rubrica del Titolo II, dei capi, delle sezioni e dei singoli articoli, ove funzionali all’obiettivo.
Si precisa che, per comodità espositiva, nella successione degli articoli secondo la sistematica proposta si utilizza una numerazione progressiva ipotetica, con l’indicazione della rubrica proposta, e di seguito a ciascun articolo sono individuati l’articolo o gli articoli di provenienza, con la numerazione corrispondente a quella dello schema di decreto.
Titolo II (Strumenti di allerta e di supporto per il superamento della crisi, la composizione negoziale e l’esperto)
Capo I (Segnalazioni per la anticipata emersione della crisi): Art. 1 (Segnalazione dell'organo di controllo) Art. 25-octies; Art. 2 (Segnalazioni dei creditori pubblici qualificati) Art. 25-novies; Art. 3 (Obblighi di comunicazione per banche e intermediari finanziari) Art. 25-decies.
Capo II (Strumento negoziale per il superamento della crisi e mezzi tecnici di supporto): Art. 4 (Composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa) Art. 12; Art. 5 (Limiti di accesso alla composizione negoziata) Art. 25-quinquies; Art. 6 (Istituzione della piattaforma telematica nazionale e programma informatico) Art. 13, commi 1 e 2; Art. 7 (Interoperabilità della piattaforma con altre banche di dati e accesso dell’esperto e dei creditori) Art. 14 e Art. 15; Art. 8 (Test pratico e piano di rateizzazione) Art. 25-undecies.
Capo III (Esperti): Art. 9 (Selezione e nomina degli esperti) Art. 13, commi da 3 a 9; Art. 10 (Doveri dell’esperto e delle parti) Art. 16.
In questo capo potrebbe essere anticipato l’attuale art. 25-ter, che disciplina il compenso dell’esperto. Allo stato è collocato unitamente alla disciplina della composizione negoziata perché i criteri individuati per il compenso sono più rapidamente comprensibili all’esito della disciplina della sua attività.
Capo IV (Composizione negoziata): Art. 11 (Accesso alla composizione negoziata e regole della negoziazione) Art. 17 e Art. 22, comma 2, come prospettato nelle osservazioni formali concernenti i singoli articoli; Art. 12 (Misure protettive) Art. 18; Art. 13 (Procedimento relativo alle misure protettive e cautelari) Art. 19; Art. 14 (Sospensione di obblighi e di cause di scioglimento) Art. 20; Art. 15 (Gestione dell'impresa in pendenza delle trattative) Art. 21; Art. 16 (Autorizzazioni del Tribunale) Art. 22, commi 1 e 3; Art. 17 (Conclusione delle trattative) Art. 23; Art. 18 (Misure premiali) Art. 25-bis; Art. 19 (Conservazione degli effetti) Art. 24; Art. 20 (Trattative e gruppo di imprese) Art. 25; Art. 21 (Imprese sotto soglia) Art. 25-quater; Art. 22 (Compenso esperto) Art. 25-ter.
Capo V (Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio): Art. 23 (Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio) Art. 25-sexies; Art. 24 (Disciplina della liquidazione del patrimonio) art. 25-septies.
6. Infine, atteso che le disposizioni trasfuse nel Titolo II del codice sono già entrate in vigore, si invita l’amministrazione a verificare l’eventuale necessità o meno di disposizioni transitorie. Tra queste si segnala l’ipotesi che cambi il sistema di calcolo del compenso dell’esperto, come suggerito nelle osservazioni concernenti l’art. 25-ter.
IV. Il recepimento del Titolo II della direttiva
1.Il Titolo II della direttiva introduce l’obbligo per gli Stati membri di prevedere una disciplina, indicata come “quadri di ristrutturazione preventiva” (“preventive restructuring frameworks”), consistente nell’insieme delle misure da garantire al debitore, per il quale sussiste una probabilità di insolvenza, “al fine di impedire l’insolvenza e di garantire la sostenibilità economica del debitore” (artt. 1, § 1, lett. a) e 4, § 1, il quale ultimo specifica le finalità di “tutelare i posti di lavoro e preservare l’attività imprenditoriale”).
Va sottolineato che la direttiva non definisce il “quadro di ristrutturazione preventiva”, limitandosi a precisare che deve consentire al debitore “la ristrutturazione”, per le finalità sopra dette (art. 4 § 1), e a rimettere agli Stati membri di delineare la relativa disciplina, che può avere ad oggetto “una o più procedure” ovvero soltanto “misure o disposizioni”, realizzabili in parte anche in sede extragiudiziale e senza carattere esclusivo.
Infatti, gli Stati membri possono prevedere sia altre disposizioni volte ad evitare l’insolvenza che “quadri di ristrutturazione” ulteriori, non necessariamente rispondenti ai principi della direttiva (art. 4, § 5, primo periodo), sempreché, nel recepimento di quest’ultima, si “conferiscano in modo coerente ai debitori e alle altre parti interessate i diritti e le garanzie” di cui al Titolo II della direttiva (art. 4, § 5, secondo periodo).
2. La scelta attuata con lo schema di decreto legislativo di recepimento mediante modifica del Codice della crisi e dell’insolvenza emerge solo parzialmente dalla definizione di “quadri di ristrutturazione preventiva” introdotta all’art. 2, lett. m-bis), che recepisce letteralmente, sia pure in parte, la definizione di “ristrutturazione” contenuta nell’articolo 2, § 1, numero 1, della direttiva (“misure che intendono ristrutturare le attività del debitore che includono la modifica della composizione, delle condizioni o della struttura delle attività e delle passività del debitore o di qualsiasi altra parte della struttura del capitale del debitore, quali la vendita di attività o parti dell’impresa, e, se previsto dal diritto nazionale, la vendita dell’impresa in regime di continuità aziendale, come pure eventuali cambiamenti operativi necessari, o una combinazione di questi elementi”).
2.1. La relazione illustrativa lascia intendere in diversi suoi passaggi che ci sarebbe una sostanziale equiparazione tra le misure attualmente individuate come “quadri di ristrutturazione preventiva” e gli strumenti di regolazione della crisi diversi dalle procedure liquidatorie già disciplinati dal testo del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 e succ. mod.
In realtà, alcuni di questi strumenti possono consistere anche in ristrutturazioni formali basate su accordi contrattuali, come ad esempio le convenzioni di moratoria, che, pur essendo volte al “risanamento dell’impresa”, non ne comportano una “ristrutturazione” nei termini definiti dalla direttiva.
2.2. Si vuole significare che manca nella relazione una chiara ed esplicita presa di posizione su quali degli strumenti di “regolazione della crisi” già presenti nel Codice (e fatto salvo quanto si dirà a proposito del “piano di ristrutturazione soggetto a omologazione” di nuova introduzione) si intendano specificamente destinati a dare attuazione alle disposizioni del Titolo II della direttiva sui “Quadri di ristrutturazione preventiva”, così come già disciplinati nel testo originario del d.lgs. n. 14 del 2019 (o modificato dal d.lgs. n. 147 del 2020) ovvero alla stregua della disciplina introdotta col presente schema di decreto di recepimento; invece, come detto trattando della composizione negoziata della crisi, è stato chiarito già nella definizione di cui all’art. 2, lett. m - bis), che “tra i quadri di ristrutturazione non è compresa la composizione negoziata”.
3. Malgrado detta mancata esplicitazione, l’intervento di recepimento va favorevolmente apprezzato poiché consente di affermare che - fatto salvo qualche profilo di incompletezza o di parziale disallineamento dai principi della direttiva (che sarà evidenziato nella trattazione dei singoli articoli) - la disciplina complessivamente dettata dal Codice della crisi e dell’insolvenza, come modificato con lo schema di decreto legislativo, è in grado di garantire che “qualora sussista una probabilità di insolvenza, il debitore abbia accesso a un quadro di ristrutturazione preventiva che gli consenta la ristrutturazione”, ai sensi e per gli scopi dell’art. 4, § 1, della direttiva.
4. La direttiva non definisce i debitori cui si applicano i quadri di ristrutturazione preventiva, ma chiarisce all’articolo 1, § 2, le imprese cui i quadri di ristrutturazione non si applicano e, alla lettera h), in particolare che essi non si applicano ad “una persona fisica diversa da un imprenditore”.
Vi è poi la possibilità per gli Stati membri di limitare l’applicazione dei quadri di ristrutturazione preventiva alle persone giuridiche (art. 1, § 4, comma 2), ma si tratta di opzione non esercitata dall’Italia.
Ne consegue che, per verificare la completezza del recepimento della direttiva dal punto di vista soggettivo, almeno un quadro di ristrutturazione preventiva rispondente alle disposizioni di cui al Titolo II della direttiva deve essere accessibile da tutti i soggetti che rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 1, § 1, lett. a) e § 2, della direttiva.
La relazione illustrativa specifica che questo risultato è garantito dalla disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti e del concordato preventivo in continuità, quale risulta anche dalla combinazione dei due istituti, resa possibile dal c.d. procedimento unitario di cui agli artt. 37 e seg. del Codice.
4.1. Dal punto di vista dell’ambito di applicazione soggettivo, si tratta di procedure applicabili agli imprenditori commerciali sopra soglia, individuali e collettivi, nonché gli accordi di ristrutturazione anche agli imprenditori agricoli sopra soglia.
Quanto invece agli imprenditori contemplati nell’articolo 2, comma 1, lettera c), del Codice, in particolare alle imprese minori, si ritiene che il concordato minore disciplinato dagli artt. 74 e seguenti del Codice risponda ai principali requisiti richiesti dalla direttiva per potersi ascrivere ai quadri di ristrutturazione conformi a quest’ultima. Sarebbe stata però opportuna un’apposita riflessione sul punto nella relazione illustrativa, precisando anche per quali dei requisiti richiesti dalla direttiva risultino o meno esercitate opzioni derogatorie consentite per le imprese minori (come, ad esempio, è, ai sensi dell’art. 9, § 4, della direttiva, per la formazione delle classi, che l’art. 74, comma 3, del Codice prevede, nel concordato minore, come obbligatoria solo per i creditori titolari di garanzie prestate da terzi; ovvero per il meccanismo di ristrutturazione trasversale dei debiti, di cui al Considerando 58).
4.1.1 Residua qualche profilo problematico riguardante l’imprenditore agricolo (su cui si veda già Cons. Stato, Comm. Speciale, parere 12 dicembre 2018, n. 2854, pagg. 24 e seg., relativo allo Schema del Codice della crisi e dell’insolvenza), per il quale il concordato minore non è rispondente ad alcune delle prescrizioni della direttiva quando si tratti di imprese agricole sopra soglia. Per queste ultime, però, è consentita la conclusione di accordi di ristrutturazione dei debiti ai sensi degli artt. 57 e seg., operando tuttavia la preclusione all’accesso al concordato preventivo in continuità (nel quale è garantita, dopo le modifiche apportate dallo schema di decreto, la ristrutturazione trasversale dei debiti). I dubbi di imperfetto recepimento della direttiva per le imprese agricole non minori derivano quindi dall’impossibilità di realizzare il collegamento tra le due procedure che, come riconosciuto anche nella relazione, assicura l’insieme di tutele richiesto dalla direttiva.
5. Dal punto di vista del presupposto oggettivo per accedere ad un quadro di ristrutturazione preventiva, la direttiva richiede la “probabilità d’insolvenza” (art. 4, § 1).
Si tratta di presupposto coincidente con quello di “crisi” come definita dall’articolo 2, comma 1, lett. a, del Codice, ma anche con quello di “sovraindebitamento”, che alla “crisi” rimanda ai sensi dello stesso articolo 2, comma 1, lettera c), vale a dire dello stato dell’impresa, in presenza del quale è consentito l’accesso rispettivamente agli accordi di ristrutturazione dei debiti e al concordato preventivo in continuità, nonché al concordato minore.
6. In definitiva, tenuto conto altresì che uno dei principali presupposti del quadro di ristrutturazione preventiva “unionale” delineato dall’articolo 5 (Debitore non spossessato) della direttiva, cioè il mantenimento da parte del debitore del controllo “totale o almeno parziale dei suoi attivi e della gestione corrente dell’impresa” è garantito sia dal concordato minore che dagli accordi di ristrutturazione e dal concordato in continuità aziendale, resta confermato che l’ordinamento interno è stato dotato di quadri di ristrutturazione che “conferiscono in modo coerente ai debitori e alle parti interessate i diritti e le garanzie” di cui al Titolo II della direttiva (così come richiesto dall’art. 4, § 5, comma 2).
6.1. Giova sottolineare che gli accordi in esecuzione dei piani attestati di risanamento ai sensi dell’art. 56 possono servire allo scopo di realizzare in sede extragiudiziale i diritti e le garanzie della direttiva. Tuttavia, va tenuto presente che il recepimento di quest’ultima non è compromesso dalla mancata piena rispondenza della procedura di ristrutturazione a tutti gli aspetti regolati dalla direttiva: come detto, infatti, l’articolo 4, § 5, della direttiva, fa salvi eventuali quadri di ristrutturazione previsti dal diritto nazionale.
Parimenti sono fatte salve, dallo stesso articolo 4, § 1, “altre soluzioni volte a evitare l’insolvenza”, che, come alcuni degli strumenti di regolazione della crisi di diritto interno, esulano dai quadri di ristrutturazione preventiva.
Dal momento che la disciplina sui quadri di ristrutturazione preventiva indicata dalla direttiva non ha carattere esclusivo, non vi può essere alcuna incompatibilità con quest’ultima della disciplina dei diversi strumenti già previsti dal legislatore italiano per regolare le situazioni di crisi o di insolvenza, in aggiunta agli accordi di ristrutturazione dei debiti, al concordato in continuità e al concordato minore (direttamente interessati dal recepimento).
7. Piuttosto, va considerato che, pur a fronte del gran numero di strumenti nazionali adattabili alle previsioni della direttiva e pur a seguito del recepimento di questa realizzato con l’adattamento e la modifica del procedimento unitario, degli accordi di ristrutturazione dei debiti e del concordato preventivo in continuità aziendale (oltre che del concordato minore), il legislatore delegato ha previsto l’ulteriore strumento del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione degli artt. 64-bis e 64-ter, mediante introduzione del capo I-bis nel Titolo IV del Codice.
Rinviando all’esame di tali ultimi articoli per taluni specifici profili di criticità, merita qui sottolineare che l’articolo 1 della legge n. 53 del 2021 delega il Governo ad adottare i decreti legislativi per il recepimento della direttiva, secondo i termini, le procedure, i principi e i criteri direttivi di cui agli articoli 31 e 32 della legge n. 234 del 2012, “nonché secondo quelli specifici dettati dalla presente legge”.
L’art. 32 stabilisce, tra i principi e criteri direttivi generali, che i decreti legislativi siano informati alla massima semplificazione dei procedimenti e delle modalità di organizzazione, che le occorrenti modificazioni alle discipline vigenti siano introdotte anche attraverso il riassetto e la semplificazione normativi, che non siano previsti livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive, che il recepimento di direttive che modificano precedenti direttive già attuate con legge o con decreto legislativo abbia luogo attraverso la modificazione di tali atti normativi. La legge n. 53 non prevede specifici criteri aggiuntivi.
7.1 L’introduzione di un ulteriore strumento di regolazione della crisi d’impresa, col mantenimento della continuità aziendale, contestuale peraltro al recepimento nel Codice degli ulteriori istituti aventi analoghe finalità già disciplinati dal d.l. n. 118 del 2020, quali possibili esiti della composizione negoziata della crisi, contrasta con i richiamati principi e criteri direttivi della legge di delegazione europea. Per un verso, infatti, appare frustrata la finalità di semplificazione normativa, per altro verso si introducono profili di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalla direttiva, senza peraltro adeguata motivazione, come meglio si dirà a commento dell’istituto di nuova introduzione.
Pur consapevoli della complessità del recepimento, dato che le regole poste dal Titolo II della direttiva sono riferibili in parte all’uno in parte all’altro dei diversi strumenti di regolazione della crisi di diritto interno come già disciplinati dal Codice della crisi e dell’insolvenza, si ritiene che sarebbe stato sufficiente l’adattamento realizzato mediante le suddette innovazioni agli accordi di ristrutturazione dei debiti e al concordato preventivo in continuità aziendale.
8. Si coglie l’occasione per segnalare che l’introduzione nel Codice della disciplina della composizione negoziata della crisi e delle previsioni dei suoi possibili esiti avrebbe richiesto una maggiore attenzione nel coordinamento tra questi e i quadri di ristrutturazione preventiva e gli altri strumento di regolazione della crisi previsti nel Codice o introdotti ex novo (come è per il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione).
In disparte i profili di difettoso coordinamento delle norme e dei procedimenti, che saranno segnalati nella parte dedicata al commento dei singoli articoli, è un dato oggettivo la moltiplicazione degli strumenti regolatori della crisi, con parziali possibili sovrapposizioni e difficoltà di individuazione dei presupposti per l’accesso all’uno o all’altro.
Ne è risultata una disciplina complessivamente poco intellegibile e comunque non in linea con gli obiettivi di semplificazione perseguiti dalla direttiva.
Ribadendo, allo stato, la condivisione per la scelta di allineare i tempi di entrata in vigore del Codice con quelli di recepimento della direttiva, si auspica che l’esperienza applicativa a venire possa favorire comunque un futuro intervento di correzione e semplificazione.
V. La formazione degli esperti della composizione negoziata
1. L’art. 13, comma 4 del Codice subordina l’iscrizione del professionista nell’elenco degli esperti ad una specifica formazione e ne demanda i contenuti ad un decreto dirigenziale. La disposizione, che è stata trasfusa nel Codice dallo schema di decreto legislativo, è già entrata in vigore perché contenuta nel d.l. n. 118 del 2021, convertito, con modificazione, dalla l. n. 147 del 2021. Il decreto dirigenziale del 28 settembre 2021, che ha definito i contenuti della piattaforma telematica nazionale, ha anche individuato i contenuti della formazione.
1.1. È condivisibile la scelta del Governo di prevedere tale formazione così ispirandosi, rispetto ad una nuova figura professionale che opera in sede extragiudiziaria, ad un principio che nel diritto europeo è riferito ai professionisti nominati, da un’autorità giudiziaria o amministrativa, per occuparsi delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione (art. 26 § 1 lett. a).
2. Ritiene la Commissione speciale che, trattandosi di un requisito per l’iscrizione all’elenco degli esperti, da aggiornarsi dopo il primo popolamento con cadenza annuale, appare opportuno che nello schema di decreto siano individuati i soggetti deputati ad organizzare la formazione, i quali potrebbero essere gli ordini professionali e le camere di commercio. Così come è opportuno che sia previsto il carattere permanente della formazione, rivolta agli aspiranti professionisti che intendano iscriversi nell’elenco degli esperti.
2.1. Queste conclusioni si fondano sul carattere essenziale che la formazione potrà svolgere al fine di favorire l’utilizzo del percorso extragiudiziario nel superamento della crisi. Infatti, l’esperto, secondo gli obiettivi del legislatore, dovrebbe svolgere nella composizione negoziata un ruolo di agevolatore delle trattive tra le parti.
Tale ruolo è nuovo nella regolamentazione normativa, ma è sicuramente presente nel mondo delle imprese, almeno delle grandi imprese. Sono necessarie non solo competenze specialistiche tradizionali giuridiche nei vari rami rilevanti (dal diritto dei contratti al diritto della crisi, dal diritto sindacale al diritto processuale) e non solo competenze economiche e aziendalistiche. Per il buon esito delle trattative appare necessaria l’apertura e la disponibilità al confronto, anche con fornitori, clienti e lavoratori dell’impresa, nella ricerca della migliore soluzione per preservare il valore dell’impresa; in definitiva, un’arte della facilitazione, che comporta e ha necessità della pratica sul campo della quale una buona formazione costituisce il presupposto.
VI. La formazione degli imprenditori
Del tutto assente nello schema di decreto legislativo è la previsione di una formazione rivolta verso gli imprenditori, la cui utilità sarebbe ragionevolmente molto alta, soprattutto verso le piccole e medie imprese e soprattutto in riferimento al nuovo percorso extragiudiziario della composizione negoziata della crisi. Questa tipologia di imprenditori, in particolare, avrebbe la possibilità di cogliere in pieno le potenzialità offerte dagli strumenti di allerta precoce che lo schema di decreto ha rafforzato e implementato: dalle segnalazioni interne (art. 25-octies) a quelle dei creditori pubblici qualificati (art. 25-nonies), alle comunicazioni delle banche (art. 25-decies), all’utilizzazione della lista di controllo (art. 13, comma 2) e del programma informatico di verifica della sostenibilità del debito e per l’elaborazione dei piani di rateizzazione automatici (art. 25-undecies). Inoltre, la formazione degli imprenditori contribuirebbe a rendere effettivo l’accesso alle informazioni aggiornate sugli strumenti di allerta precoce e sulle procedure per superare la crisi disciplinate dal Codice e dalle leggi speciali, che è garantito dalla pubblicazione delle stesse nei siti istituzionali del Ministero della giustizia e dello sviluppo economico (art. 5-bis). La formazione degli imprenditori potrebbe ben essere attribuita alle camere di commercio, così radicate sull’intero territorio.
VII. La formazione dei magistrati
1. Del tutto assente nello schema di decreto legislativo è la previsione di una formazione rivolta ai giudici che si occupano delle procedure della crisi e dell’insolvenza.
1.1. La direttiva (art. 25, lett. a) richiede che gli Stati membri provvedano affinché i membri delle autorità giudiziarie che si occupano delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione ricevano una formazione adeguata e possiedano le competenze necessarie per adempiere alle loro responsabilità. Non casualmente tal principio è associato (lett. b) a quello dell’efficienza per pervenire ad un espletamento in tempi rapidi delle procedure. Peraltro, il rafforzamento della specializzazione dei magistrati in funzione dell’efficienza e dei tempi rapidi rientra pienamente tra gli obblighi assunti dall’Italia con il PNRR.
1.2. L’amministrazione, con la nota integrativa, ha messo in luce che il legislatore è intervenuto di recente, con l’art. 35-ter del d.l. n. 152 del 2021, prevedendo: - l’obbligo della frequenza di corsi organizzati dalla Scuola Superiore della magistratura; attività che è stata avviata in modo da essere “diffusa” e “continua” anche con nuove modalità telematiche; - misure volte ad incentivare i magistrati alla trattazione di queste controversie, attraverso un punteggio aggiuntivo nella partecipazione ai bandi di concorso ordinari e attraverso un criterio di prevalenza, basato sulla positiva esperienza maturata, nell'assegnazione di posti che comportano la trattazione di procedimenti in materia di procedure concorsuali.
2. Questa Commissione speciale ritiene che il rilievo della formazione e specializzazione dei magistrati nell’ambito dell’armonizzazione della legislazione europea, nonché gli obblighi derivanti dal PNRR, supportino l’esigenza di inserire la disposizione nel Codice e di renderla applicabile a tutti i magistrati che se ne occupano, compresi quelli della fase incidentale giudiziaria, che si innesta nel corso delle trattative della composizione negoziata.
L’art. 35-ter cit., infatti, nella sua formulazione letterale “giudici delegati alle procedure concorsuali” appare riferibile ai soli magistrati delle sezioni fallimentari. Invece, dovrebbe riguardare anche quelli delle sezioni specializzate in materia di imprese, nonché quelli che, in concreto, sull’intero territorio nazionale si occupano della crisi di impresa.
Infine, nell’apprezzare favorevolmente la disponibilità dell’amministrazione ad inserire una specifica disposizione nel Codice, si sottopone alla valutazione la possibilità dell’inserimento nel Titolo X (Disposizioni per l'attuazione del codice della crisi e dell'insolvenza, norme di coordinamento e disciplina transitoria).
VIII. Il monitoraggio
1. L’articolo 353, come modificato dallo schema di decreto (art. 39, comma 3), demanda ad un decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per lo sviluppo economico, da emanarsi entro un anno dall’entrata in vigore, l’istituzione di un osservatorio permanente, anche ai fini della relazione al Parlamento (art. 355), “sull'efficienza delle misure e degli strumenti previsti dal titolo II”.
2. Da tempo questo Consiglio ha messo in rilievo l’attività di monitoraggio e di valutazione ex post dell’impatto della regolazione, anche quale punto di partenza essenziale per i successivi interventi correttivi; tanto più quando gli interventi normativi sono innovativi.
2.1. Ai fini della valutazione dell’impatto della nuova composizione negoziata nella economia del Paese e degli strumenti di supporto a disposizione degli imprenditori per la celere emersione dello stato di crisi, rilevano le informazioni e i dati conoscitivi risultanti dalla piattaforma telematica nazionale (art. 13, comma 1 e comma 2), gestita dalle camere di commercio. Questa è oramai operativa dal novembre 2021, essendo stato adottato il 28 settembre 2021 il decreto dirigenziale che ne ha definito i contenuti.
2.2. Questa Commissione speciale, in esito alla nota integrativa pervenuta dall’amministrazione, prende favorevolmente atto che, proprio sui dati ricavabili dalla piattaforma, è stato predisposto uno strumento di costante monitoraggio focalizzato sull’andamento dell’applicazione in concreto del nuovo strumento della composizione negoziata, mediante una convenzione, in fase di stipulazione tra il Ministero della giustizia e il sistema camerale, finalizzata a consentire – oltre ad una efficace vigilanza sulla piattaforma telematica, secondo le previsioni dell’art. 13, comma 1 – l’analisi dei dati statistici provenienti da Unioncamere con cadenza semestrale.
3. Tuttavia, rileva l’assenza di analoghi strumenti di monitoraggio che riguardino gli altri strumenti innovativi introdotti per la regolazione della crisi dell’impresa, quali gli accordi di ristrutturazione dei debiti e il concordato preventivo in continuità aziendale, e invita il Governo a prevederli. Inoltre, si segnala l’eccessiva lunghezza del termine, previsto dall’art. 353, per l’istituzione di un osservatorio permanente, nonché l’opportunità dell’ampliamento dell’attività di osservazione agli atri strumenti innovati.
IX. La tecnica della novella al Codice rispetto al d.lgs. n. 147 del 2020
1.L’amministrazione ha seguito due metodi diversi di novella rispetto agli articoli del Codice, già oggetto di intervento da parte del d.lgs. n. 147 del 2020, che costituisce il primo correttivo.
Con il primo, lo schema di decreto interviene direttamente sull’originario Codice per sostituirne l’articolo e abroga l’articolo del decreto legislativo correttivo che lo aveva sostituito (l’articolo 12, comma 4 dello schema di decreto sostituisce l’art. 44 del Codice e con l’art. 47 dello schema abroga l’art. 7, comma 5, del primo correttivo; l’articolo 12, comma 7 dello schema sostituisce l’art. 48 del Codice e con l’art. 47 dello schema abroga l’art. 7, comma 7, del primo correttivo). Questo è il metodo seguito tutte le volte che lo schema di decreto ha sostituito integralmente l’articolo.
Con il secondo metodo, lo schema di decreto apporta modifiche all’articolo del Codice come sostituito o modificato dal decreto legislativo correttivo e non abroga il corrispondente articolo del decreto legislativo correttivo (l’articolo 11, comma 3 dello schema di decreto modifica l’art. 38, come sostituito dall’art. 7, comma 1, del primo correttivo e non abroga quest’ultimo. Lo stesso metodo è seguito per altri articoli del Codice: artt. 39, 43, 57, 63 e altri ancora).
2. In mancanza di esplicitazione delle ragioni della scelta nella relazione, si può presumere che è adottato il primo metodo quando l’intervento è del tipo sostitutivo e il secondo quando è del tipo modificativo. Questa Commissione speciale rileva che, trattandosi di correttivo ad un codice, sarebbe stato opportuno procedere utilizzando unicamente il metodo della sostituzione e abrogazione che avrebbe determinato un riordino normativo, tanto più che il Codice da modificarsi non è ancora entrato in vigore.
X. Gli articoli del Codice oggetto di osservazioni.
Per chiarezza espositiva si precisa che il commento verrà fatto riferendosi agli articoli del Codice e terrà conto del testo di ciascuno come risulta sostituito o modificato con lo schema di decreto.
Articolo 2 (Definizioni)
Lett. a) “crisi”
La definizione dello schema è stata modificata dallo schema di decreto correttivo (art. 1, comma 1, lett. a) per tener conto delle innovazioni introdotte, rispetto al rilievo che hanno i flussi di cassa prospettici in funzione della rilevazione tempestiva della crisi, risultante tra i principi generali tra gli obblighi dei soggetti (art. 3).
Si reputa opportuna un ulteriore integrazione per mettere in risalto: che la definizione di “crisi” è riferibile ai possibili diversi gradi di intensità, dallo stato di pre-crisi alla crisi, alla insolvenza; che a tutte queste situazioni è riferibile un possibile percorso negoziato per il superamento della crisi; che il mancato superamento conduce agli istituti di regolazione della crisi, anche preventivi, per evitare l’insolvenza, nonché a quelli propri per regolare l’insolvenza. In definitiva all’intero Codice.
La definizione potrebbe essere così riformulata:
“lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza, che si manifesta con diversi gradi di intensità, attraverso l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi;”.
Lett. b) “insolvenza”
La definizione non è stata modificata dallo schema di decreto.
Potrebbe essere opportuna una minimale integrazione per collegarla alla definizione di crisi proposta e alla negativa evoluzione dello stato di crisi, rispetto alla probabilità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.
La definizione potrebbe essere così riformulata:
“lo stato di crisi del debitore che si manifesta con gravi inadempimenti o altri fatti esteriori i quali dimostrino come altamente probabile che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni;”.
Lett. m-bis) “quadri di ristrutturazione preventiva”
Nello schema di decreto la nuova definizione introdotta (art. 1, comma 1, lett. d) si chiude con la precisazione che tra i quadri non rientra la composizione negoziata.
Tanto rispecchia il metodo prescelto dall’amministrazione di mettere in risalto la differenza tra uno strumento meramente negoziale, salvo i necessari innesti giurisdizionali, e gli altri strumenti, anche preventivi, nei quali assume prevalente rilievo, tra l’altro, la regolamentazione giudiziale.
Nell’ottica assunta da questa Commissione speciale di far emergere anche nelle definizioni i collegamenti tra gli istituti regolati dal Codice, la definizione potrebbe essere così riformulata:
“le misure e le procedure volte al risanamento dell'impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sue attività e passività o del capitale, che, a richiesta del debitore, possono essere precedute dalla composizione negoziata della crisi;”.
Lett. o) “professionista indipendente”
L’amministrazione ha modificato con lo schema di decreto (art. 1, comma 1, lett. f) la definizione al solo fine di adeguarla alle innovazioni apportate nell’ambito delle procedure di regolazione della crisi di impresa, riferendo l’incarico, attribuito dal debitore al professionista, all’ambito dei quadri di ristrutturazione preventiva. Mentre, ha lasciato invariata la previsione originaria quanto ai requisiti richiesti per la nomina. L’individuazione dei requisiti in una definizione è disomogenea rispetto alle altre definizioni e fuoriesce dalla funzione propria delle stesse. Pertanto, sarebbe opportuno che i requisiti trovassero la propria collocazione nel titolo di interesse del codice.
Lett. o)-bis “esperto”
1. Ritiene la Commissione speciale che sarebbe opportuno aggiungere questa definizione, proprio in ragione delle innovazioni apportate con l’introduzione dell’istituto della composizione negoziata.
Nella regolamentazione della composizione negoziata, l’amministrazione ha attribuito un ruolo essenziale all’“esperto indipendente”. Ha regolato la selezione degli aspiranti per accedere all’elenco, ha individuato i requisiti richiesti, ha disciplinato la procedura della nomina. Infine, ha definito i contorni del ruolo svolto quale agevolatore delle trattative e, nel contempo, garante della finalizzazione delle stesse al superamento della crisi dell’impresa. Tuttavia, non ha previsto la corrispondente definizione nell’elenco dell’art. 2.
Pertanto, appare necessaria l’introduzione della definizione dell’esperto nominato nell’ambito della composizione negoziata, che potrebbe essere così formulata:
“il professionista indipendente iscritto in un elenco e nominato da una commissione mista, che indirizza ed agevola le trattative nell’ambito della composizione negoziata della crisi;”
2. L’amministrazione potrebbe, inoltre, valutare l’opportunità di qualificare l’esperto come terzo, anche al fine di evitare l’utilizzo della stessa qualificazione di “indipendente”, già utilizzata rispetto ad una diversa tipologia di professionista nella lett. o) (cfr. osservazioni relative all’articolo 12).
2.1. In definitiva, la definizione potrebbe essere quella di “esperto terzo”.
Lett. p) “misure protettive”
Lo schema di decreto ha lasciato invariata la definizione: “le misure temporanee richieste dal debitore per evitare che determinate azioni dei creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell'insolvenza;”
L’amministrazione non ha modificato la definizione, già oggetto dell’intervento con il d.lgs. n. 147 del 2020 (primo correttivo), al fine di adeguarla alle innovazioni apportate con lo schema di decreto. La conseguenza è che è restato invariato il riferimento delle misure protettive alla sola “regolazione della crisi o dell’insolvenza”.
Atteso che le misure protettive sono previste nello schema anche nella composizione negoziata, la definizione potrebbe essere così riformulata:
“le misure temporanee richieste dal debitore per evitare che determinate azioni dei creditori possano pregiudicare sin dalla fase delle trattative il buon esito delle iniziative assunte, anche prima dei quadri di ristrutturazione preventiva e delle procedure di insolvenza, per la regolazione della crisi o dell'insolvenza;”.
Lett. q) “misure cautelari”
L’amministrazione ha modificato con lo schema di decreto (art. 1, comma 1, lett. g) la definizione al fine di adeguarla alle innovazioni apportate nell’ambito delle procedure di regolazione della crisi di impresa, riferendo le misure cautelari solamente ai quadri di ristrutturazione preventiva e alle procedure di insolvenza.
Nel disciplinare la composizione negoziata, l’art. 19, come sostituito dallo schema di decreto (art. 6, comma 1, che ha sostituito l’intero Titolo II) ha previsto la possibile richiesta al tribunale di “provvedimenti cautelari necessari per condurre a termine le trattative”.
La definizione potrebbe essere così riformulata per includere anche queste misure cautelari:
“i provvedimenti cautelari emessi dal giudice competente a tutela del patrimonio o dell'impresa del debitore, che appaiano secondo le circostanze più idonei ad assicurare provvisoriamente il buon esito delle trattative e gli effetti dei quadri di ristrutturazione preventiva e delle procedure di insolvenza;”
Capo II (Principi generali)
Sezione I (Obblighi dei soggetti che partecipano alla regolazione della crisi o dell'insolvenza)
Articolo 3 (Adeguatezza degli assetti in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa)
L’articolo è stato sostituito dall’art. 2, comma 1, dello schema di decreto.
Rubrica
Potrebbe essere opportuno conservare l’originaria rubrica “doveri del debitore”, integrandola con la finalizzazione degli stessi alla tempestiva rilevazione della crisi, così riformulando la rubrica:
“Doveri del debitore in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa”
In collegamento con l’articolo 24, si rinvia alle relative osservazioni.
Articolo 4 (Doveri delle parti)
1.L’articolo è stato sostituito dall’art. 2, comma 2, dello schema di decreto.
L’amministrazione, nel comma 1, ha individuato i generali doveri di buona fede e correttezza in capo al debitore e ai creditori, precisando che “resta fermo quanto previsto dagli articoli 16 e 21” propri della regolamentazione della composizione negoziata. Poi, ha ripetuto il principio generale nell’art. 16, comma 4, concernente la composizione negoziata.
Inoltre, avendo fatto salvi gli articoli specificamente dedicati alla composizione negoziata, in generale non ha dato alcun rilievo all’esperto, e inoltre: - ha formulato le lett. a), b) e c) del comma 2, riferendole esclusivamente a tutte le altre procedure diverse dalla composizione negoziata; - in particolare, ha differenziato il dovere di gestire il patrimonio o l’impresa in capo al debitore durante le trattative nella lett. c), prevedendo regole specifiche per la composizione negoziata (art. 16, comma 5 e art. 21, comma 1, in particolare); - rispetto al coinvolgimento dei sindacati, ha formulato il comma 3 con esclusivo riferimento ai quadri di ristrutturazione, ripetendo lo stesso principio, con meri adattamenti nell’art. 16, comma 8; - rispetto ai doveri dei creditori, ha formulato il comma 4, con esclusivo riferimento alle procedure diverse dalla composizione negoziata, tralasciando la collaborazione dei creditori con l’esperto nell’ambito delle trattative svolte durante la composizione negoziata.
2. Con l’obiettivo di riferire l’articolo in argomento anche alla composizione negoziata, appare sufficiente un raccordo minimale in tutti i commi, in modo che sia chiaro che si riferiscono anche alla composizione negoziata, con l’eccezione del comma 2, lett. c). In considerazione della diversa finalità della gestione del patrimonio e dell’impresa da parte del debitore nel corso delle trattative della composizione negoziata, rispetto alla formulazione della lett. c) del comma 2, quest’ultima resta invariata e si richiamano gli articoli relativi alla composizione negoziata (in particolare, art. 16, comma 5 e art. 21) nella stessa lettera c), spostando l’originaria previsione collocata nell’ultimo periodo del comma 1.
2.1. Sugli altri commi dell’articolo 4 sono stati effettuati raccordi: - con l’art. 16, comma 8, per includere l’esperto nelle consultazioni con i sindacati durante la composizione negoziata; - con l’art. 16, comma 2 e 6, per riferire il dovere di collaborazione dei creditori anche nei confronti dell’esperto.
3. Anche per facilitarne la lettura finale, si propone la riformulazione dell’intero articolo. Alla auspicata adozione della riformulazione si collegherebbe solo l’espunzione del comma 8 nell’articolo 16, del tutto ripetitivo a parte la presenza dell’esperto; mentre le previsioni di dettaglio dell’art. 21 non avrebbero bisogno di modifiche. Valuterà l’amministrazione se espungere anche l’art. 16, comma 4.
3.1. Si propone la riformulazione che segue:
“1. Nell'accesso alla composizione negoziata e ai quadri di ristrutturazione preventiva, nel corso delle rispettive trattative e nel corso dei procedimenti dei quadri di ristrutturazione preventiva, debitore e creditori devono comportarsi secondo buona fede e correttezza.
2. Il debitore ha il dovere di:
a) illustrare la propria situazione in modo completo, veritiero e trasparente, fornendo ai creditori tutte le informazioni necessarie e appropriate nel corso delle trattive, sia durante la composizione negoziata anche nei confronti dell’esperto, sia rispetto al quadro di ristrutturazione preventiva prescelto;
b) assumere tempestivamente le iniziative idonee alla rapida individuazione delle soluzioni per il superamento della crisi durante la composizione negoziata e per la definizione della procedura nei quadri di ristrutturazione preventiva, anche al fine di non pregiudicare i diritti dei creditori;
c) aggiungere di seguito al primo periodo, il seguente: “Resta fermo quanto previsto dagli articoli 16 comma 5 e dall’art. 21.”;
3. Ove non siano previste dalla legge o dai contratti collettivi di cui all'articolo 2, comma i, lettera g), del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 25, diverse procedure di informazione e consultazione, il datore di lavoro, che occupa complessivamente più di quindici dipendenti, informa, con comunicazione scritta, trasmessa anche tramite posta elettronica certificata, i soggetti sindacali di cui all'articolo 47, comma 1, della legge 29 dicembre 1990, n. 428, delle rilevanti determinazioni, che incidono sui rapporti di lavoro di una pluralità di lavoratori, anche solo per quanto riguarda l'organizzazione del lavoro o le modalità di svolgimento delle prestazioni, assunte nel corso delle trattative delle composizione negoziata e prima della predisposizione del piano nell'ambito di un quadro di ristrutturazione preventiva. I soggetti sindacali, entro tre giorni dalla ricezione dell'informativa, possono chiedere all'imprenditore un incontro. La conseguente consultazione deve avere inizio entro cinque giorni dal ricevimento dell'istanza e, salvo diverso accordo tra i partecipanti, si intende esaurita decorsi dieci giorni dal suo inizio. La consultazione si svolge, nella composizione negoziata anche con la partecipazione dell’esperto, con vincolo di riservatezza rispetto alle informazioni qualificate come tali dal datore di lavoro o dai suoi rappresentanti nel legittimo interesse dell'impresa.
4. I creditori hanno il dovere di collaborare lealmente con il debitore, con l’esperto nella composizione negoziata, e con gli organi nominati dall'autorità giudiziaria e amministrativa nei quadri di ristrutturazione preventiva, nonché di rispettare l'obbligo di riservatezza sulla situazione del debitore, sulle iniziative da questi assunte e sulle informazioni acquisite.”.
4. Nel merito delle disposizioni, si chiede all’amministrazione di rivalutare il comma 3, attinente alle consultazioni sindacali.
4.1. La disciplina è identica sia nella formulazione del principio generale dell’art. 4, sia nell’art. 16, comma 8, specifico della composizione negoziata. In entrambi i casi, la ratio si rinviene nella direttiva (art. 3 §3), che prevede l’informazione dei rappresentanti dei lavoratori sulle “procedure” e sulle “misure di ristrutturazione”. Lo schema di decreto collega l’informazione alla assunzione di “rilevanti determinazioni che incidono sui rapporti di lavoro di una pluralità di lavoratori, anche solo per quanto riguarda l'organizzazione del lavoro o le modalità di svolgimento delle prestazioni”. In entrambi i casi, il coinvolgimento dei soggetti sindacali deve avvenire nel corso delle trattative: - nell’art. 4, “prima della predisposizione del piano nell'ambito di un quadro di ristrutturazione preventiva”; - nell’art. 16, comma 8, “se nel corso della composizione negoziata sono assunte rilevanti determinazioni”.
4.2. Fermo restando che l’obbligo è posto in via residuale, come risulta chiaro dall’incipit della disposizione, la Commissione speciale rileva la rigidità del criterio dimensionale che è idoneo a far sorgere l’obbligo di coinvolgimento sindacale, anche in considerazione del numero molto basso di quindici dipendenti. Si chiede, pertanto, di rivalutare tale presupposto ancorandolo, per così dire, al “peso specifico” dell’incidenza delle determinazioni dell’impresa sui rapporti di lavoro e, comunque, rivalutando, il numero dei dipendenti che appare molto basso.
Art. 5 (Trasparenza ed efficienza delle nomine e trattazione prioritaria delle controversie)
1. L’articolo è stato sostituito dall’art. 2, comma 3, dello schema di decreto.
L’amministrazione nel comma 1 – rifacendosi ad un principio della direttiva direttamente riferibile ai quadri di ristrutturazione (art. 26, lett. b) – ha individuato i criteri che devono guidare la nomina dei professionisti e ha individuato l’autorità di vigilanza in ordine al rispetto di tali criteri nel presidente del tribunale. Nel comma 2, sempre rifacendosi allo stesso articolo della direttiva, ha stabilito il principio della trattazione prioritaria nella trattazione delle controversie “in cui è parte un organo nominato dall'autorità giudiziaria o amministrativa nei quadri di ristrutturazione preventiva o nelle procedure di insolvenza o comunque un soggetto nei cui confronti è aperta una procedura prevista dal presente codice”.
1.2. Appare evidente che le disposizioni del comma 1 non possono riferirsi anche alla nomina degli esperti nominati nell’ambito della composizione negoziata e che quelle del comma 2 potrebbero riferirsi con qualche forzatura interpretativa anche agli “innesti” giurisdizionali presenti nella composizione negoziata nella parte in cui si dice “o comunque un soggetto nei cui confronti è aperta una procedura prevista dal presente codice”.
3. Con l’obiettivo di rendere la norma di principio riferibile anche all’esperto nominato nella composizione negoziata, si propone una riformulazione integrata, che comprende una vigilanza che non è disciplinata nello schema di decreto nell’articolo che concerne gli esperti (art. 13, comma 7, terzo periodo al quale si rinvia):
“1. Le nomine dei professionisti effettuate dalla commissione per la composizione negoziata, dall'autorità giudiziaria o amministrativa e dagli organi da esse nominati devono assicurare il rispetto di criteri di trasparenza, rotazione ed efficienza.
2. Il segretario generale della camera di commercio vigila sull’osservanza dei suddetti principi e ne assicura l'attuazione mediante protocolli generali redatti con il coinvolgimento dei rappresentanti dei componenti della commissione provenienti dalla magistratura e dalla prefettura.
3. Il presidente del tribunale o, nei tribunali suddivisi in sezioni, il presidente della sezione cui è assegnata la trattazione dei quadri di ristrutturazione preventiva o delle procedure di insolvenza vigila sull'osservanza dei suddetti principi e ne assicura l'attuazione mediante l'adozione di protocolli condivisi con i giudici della sezione.
4. Le controversie in cui partecipa l’esperto oppure un organo nominato dall'autorità giudiziaria o amministrativa o comunque un soggetto nei cui confronti è aperta la composizione negoziata o una procedura prevista dal presente codice sono trattate con priorità. Il capo dell'ufficio giudiziario trasmette annualmente al presidente della corte d'appello i dati relativi al numero e alla durata dei suddetti procedimenti, indicando le disposizioni adottate per assicurarne la celere trattazione. Il presidente della corte d'appello ne dà atto nella relazione sull'amministrazione della giustizia.”.
Sezione II (Accesso alle informazioni ed economicità delle procedure)
La rubrica della Sezione II risulta così sostituita: “Accesso alle informazioni ed economicità delle procedure”.
La rubrica dell’art. 5-bis così risulta: “Accesso alle informazioni e lista di controllo”.
1.1. Per la rubrica della Sezione II, ritiene la Commissione speciale che il termine “Accesso” possa essere conservato perché utilizzato nella direttiva. Peraltro, in raccordo alle osservazioni di cui all’art. 6 alle quali si rinvia, andrebbe modificata, sostituendo “economicità delle procedure” con “crediti prededucibili”.
1.2. Per la rubrica dell’articolo 5-bis, ritiene la Commissione speciale che sarebbe opportuno non utilizzare il termine “accesso”, apparendo non appropriato quando si tratta di pubblicazioni online, atteso che nell’ordinamento è regolamentato l’“accesso” a richiesta, e propone di sostituirlo con “Pubblicazione delle”.
Articolo 5-bis (Accesso alle informazioni e lista di controllo)
1. L’amministrazione, in conformità alla direttiva (art. 3, §3 e 4), ha previsto la pubblicazione, attraverso una sezione dedicata dei siti istituzionali del Ministero della giustizia e dello sviluppo economico, delle informazioni pertinenti gli strumenti per la anticipata emersione della crisi, i quadri di ristrutturazione preventiva e le procedure di esdebitazione previsti dal Codice e dalle leggi speciali (comma 1).
Con il comma 2 ha disposto la pubblicazione sui due siti anche di “una lista di controllo particolareggiata, adeguata anche alle esigenze delle micro, piccole e medie imprese, che contiene indicazioni operative per la redazione dei piani di risanamento, demandando la definizione del contenuto ad un decreto dirigenziale del Ministero della giustizia.
2. Quanto al comma 1, appare opportuna l’integrazione nel senso di rendere riferibile la disposizione anche alla composizione negoziata, tanto più che il decreto dirigenziale previsto autonomamente nell’ultimo periodo del comma 2 ben può essere riferibile anche alla composizione negoziata e, quindi, all’attuale articolo 13, comma 2. Inoltre, si tratta della pubblicità di informazioni utili agli imprenditori liberamente accessibili dai siti, mentre l’accesso alla piattaforma telematica, dove pure si trova la lista di controllo, ha un accesso circoscritto, salva l’area pubblica, quale emerge dal decreto dirigenziale del 28 settembre 2021, che ha definito i contenuti della piattaforma telematica.
2.1. Sulla base delle considerazioni che precedono: - nel comma 1, dopo “crisi”, aggiungere “sulla composizione negoziata”; - nel comma 2, valuti l’amministrazione se inserire, “di cui all’articolo 13, comma 2”, dopo “particolareggiata”, espungendo l’ultimo periodo.
3. Quanto, invece alla parte in cui la direttiva rimette agli Stati membri la possibilità di rendere disponibile la lista almeno in un’altra lingua, in particolare una lingua utilizzata nel mondo degli affari a livello internazionale, si invita l’amministrazione a valutare favorevolmente la pubblicazione anche in un’altra lingua utilizzata nel mondo degli affari, non solo della lista riferibile alla composizione negoziata ma di tutte le informazioni considerate nel comma 1.
Articolo 6 (Prededucibilità dei crediti)
1. L’articolo è stato sostituito dall’art. 3, comma 3, dello schema di decreto.
La disposizione contiene l’elenco dei crediti prededucibili che sono specifici delle procedure attinenti ai quadri di ristrutturazione e a quelle di insolvenza, i quali si aggiungono ai crediti già qualificati come prededucibili dalla legge.
1.1. Lo stesso Codice, nelle innovazioni apportate con lo schema di decreto, prevede espressamente un credito prededucibile della composizione negoziata, costituito dal compenso dell’esperto (art. 25-ter, comma 12), tanto sulla base della ratio che fonda l’elenco dell’articolo 6, comma 1, lett. a), b) e c).
1.2. In un’altra disposizione, che disciplina la composizione negoziata, si attribuisce il rango della prededucibilità ad un elenco di crediti quando i finanziamenti all’imprenditore sono stati autorizzati dal giudice, previa valutazione della loro funzionalità rispetto alla continuità aziendale oltre che rispetto alla migliore soddisfazione dei creditori (art. 22, comma 1, lett. a), b) e c). Questa previsione si collega alla ratio della previsione dell’art. 6, comma 1, lett. d).
1.3. Naturalmente, tutti i crediti prededucibili rilevano nelle procedure di insolvenza e, rispetto alla composizione negoziata, solo se e quando il debitore, successivamente, faccia ingresso in una procedura concorsuale.
2. Nell’ottica del collegamento tra principi generali e il Titolo II, ma mantenendo la differenziazione che lo schema di decreto correttivo persegue, l’art. 6 potrebbe essere integrato con il richiamo di questi altri crediti prededucibili in un comma distinto, secondo l’ipotesi che segue:
“Sono prededucibili i crediti autorizzati dal giudice ai sensi dell’articolo 22, comma 1, lett. a), b) e c), nonché il credito dell’esperto, ai sensi dell’articolo 25-ter.”.
Sezione III (Principi di carattere processuale)
Articolo 7 (Trattazione unitaria delle domande di accesso ai quadri di ristrutturazione preventiva e alle procedure di insolvenza)
1. L’art. 4, comma 1, dello schema di decreto legislativo interviene sull’art. 7 del Codice, non solo inserendo nella rubrica, dopo “Trattazione unitaria delle domande” la nuova dizione “di accesso ai quadri di ristrutturazione preventiva e alle procedure di insolvenza” in luogo di quella precedente “di regolazione della crisi o dell’insolvenza”, ma anche razionalizzando i principi generali del c.d. procedimento unitario, la cui disciplina si rinviene negli articoli 40 e 41, perciò opportunamente richiamati dal primo comma novellato.
2. L’articolo, come sostituito dallo schema, dà attuazione, col primo e il secondo comma, all’art. 2, comma 1, lett. g), della legge delega n. 155 del 2017, che attribuisce al legislatore delegato il compito di “dare priorità di trattazione, fatti salvi i casi di abuso, alle proposte che comportino il superamento della crisi assicurando la continuità aziendale, anche tramite un diverso imprenditore, purché funzionali al miglior soddisfacimento dei creditori e purché la valutazione di convenienza sia illustrata nel piano, riservando la liquidazione giudiziale ai casi nei quali non sia proposta un’idonea soluzione alternativa”.
Si tratta, all’evidenza, di principi e criteri direttivi in linea con i principi della direttiva n. 2019/1023/UE.
3. Il secondo comma dell’articolo 7 è stato coerentemente modificato al fine di garantire, nel caso di pluralità di domande, la trattazione prioritaria delle domande di regolazione della crisi con strumenti diversi da quelli liquidatori, prescrivendone l’“esame”, allo scopo di valutarne in primo luogo l’ammissibilità, sia dal punto di vista formale (lettera a), che dal punto di vista sostanziale (lettere b e c) , in conformità al recepimento dei principi contenuti negli articoli 9, 10 e 11 della direttiva nella procedura di concordato preventivo in continuità aziendale, come detto nella relazione illustrativa.
4. La modifica del terzo comma realizza un migliore coordinamento con i successivi articoli 73 e 83, rispetto al testo originario, perché individua queste ultime specifiche ipotesi di “conversione” del procedimento unitario in procedura liquidatoria, distinguendo, in coerenza con l’articolo 65, comma 2, del Codice, la disciplina applicabile al consumatore (cui non si applica il Titolo II della direttiva concernente i quadri di ristrutturazione preventiva: articolo 1, § 2, lett. h, e § 4) e ai debitori di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c), del Codice, assoggettati al concordato minore (che è un quadro di ristrutturazione preventiva cui va invece applicata la direttiva, sia pure con la deroga alla formazione obbligatoria delle classi consentita dall’articolo 9, § 4).
Viene altresì realizzato un miglior coordinamento con l’articolo 49, chiarendo che il procedimento unitario può concludersi con l’apertura della liquidazione giudiziale, su istanza dei soggetti legittimati, sia quando la domanda diretta a regolare la crisi o l’insolvenza con strumenti diversi “non è accolta”, sia quando “è inammissibile o improcedibile”.
4.1. Tuttavia, risulta piuttosto generico l’inciso finale che estende la disciplina ai “casi di revoca o inutile decorso dei termini concessi dal giudice”.
Poiché le modalità procedurali e i presupposti della dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale sono disciplinate nel dettaglio dall’articolo 49, compresi, al secondo comma, i casi “di revoca o di inutile decorso dei termini concessi dal giudice”, si suggerisce - a meno che non si intenda fare riferimento a termini diversi da quelli di cui all’articolo 44, che però andrebbero specificati - di mantenere l’inciso di “e nei casi previsti dall’articolo 49, comma 2”.
4.2. Pertanto, si valuti se riformulare il secondo periodo dell’articolo 7, comma 3, nei seguenti termini: “Allo stesso modo il tribunale procede in tutti i casi in cui la domanda è inammissibile o improcedibile e nei casi previsti dall’articolo 49, comma 2”.
5. L’articolo 7 in argomento è riferibile al solo c.d. procedimento unitario, restando del tutto estranea allo stesso la composizione negoziata per la parte che riguarda gli “innesti giudiziari”, previsti rispetto alla richiesta di misure protettive e cautelari. Posta l’esigenza che i principi di un codice siano, almeno potenzialmente, riferibili all’intero codice, o quantomeno, come nel caso della composizione negoziata, quando si introduce uno strumento nuovo e per certi versi atipico, salvi gli adattamenti necessari, l’obiettivo è quello della percorribilità di un principio che affermi la priorità e la rapidità della trattazione giudiziaria delle controversie concernenti le misure protettive e cautelari della composizione negoziata. Inoltre, anche rispetto a questa tipologia di controversie si pone l’esigenza di assicurare una trattazione efficiente, la cui realizzazione potrebbe essere perseguita assicurando che tutte le domande inerenti a una impresa confluiscano nello stesso procedimento. L’esigenza trova fondamento nella circostanza che la fase giudiziaria interviene nel corso di trattative tra le parti, alla ricerca di un accordo per superare la crisi senza accedere a una delle procedure del procedimento unitario, con una impresa che continua a essere gestita dal debitore, pur nell’ambito dei percorsi per agevolare le trattative indicati dall’esperto, con un conseguente naturale possibile mutamento dello stato della crisi nel corso del tempo.
5.1. La composizione negoziata, pur non rientrando nel c.d. procedimento unitario perché non riconducibile all’ambito dei quadri di ristrutturazione, è pur sempre un percorso extragiudiziario con parentesi giurisdizionali, senza tralasciare l’art. 25, lett. b) della direttiva, anche se non direttamente riferibile alla composizione negoziata, che richiede oltre alla rapidità anche l’efficienza delle procedure.
5.2. Per perseguire questo obiettivo, l’amministrazione potrebbe valutare la possibilità di integrare l’articolo 7 con un comma aggiuntivo finale e di effettuare un rinvio a questo nell’articolo 19, aggiungendo un comma.
Sulla base di tali considerazioni si formula la proposta che segue:
Comma x. “I ricorsi di cui all’articolo 19 sono trattati unitariamente e quelli sopravvenuti sono riuniti al precedente.”
Articolo 8 (Durata massima delle misure protettive)
1. L’articolo è stato sostituito dall’art. 4, comma 2, dello schema di decreto, delimitando il campo di operatività della durata massima mediante l’introduzione dell’espressione “fino alla omologazione del quadro di ristrutturazione o alla apertura della procedura di insolvenza”. Tanto in attuazione dell’art. 6 §8 della direttiva, facente parte del Titolo II concernente i quadri di ristrutturazione preventiva.
All’evidenza la disposizione è riferibile solo alla fase che precede l’omologazione di un quadro di ristrutturazione o l’apertura di una procedura di insolvenza.
2. Tuttavia, nel Codice sono previste misure protettive durante il corso delle trattative della composizione negoziata, qualora siano richieste dall’imprenditore. Per questo appare necessario raccordare l’articolo con le misure protettive di cui all’articolo 18, atteso che il termine massimo previsto dalla direttiva è indubbiamente riferibile anche alla fase delle trattative che si svolgono durante la composizione negoziata e non solo a quelle che si svolgono in procedure eventualmente successive. Il termine massimo si riferisce, in definitiva, al tempo di operatività delle misure protettive consentito in favore dell’imprenditore, nel bilanciamento dei contrapposti interessi dei creditori. La conseguenza è che considera le misure protettive nella loro totalità. Se si opinasse diversamente, mediante l’introduzione di uno strumento extragiudiziario in cui possono operare, se richieste, misure protettive, si finirebbe per violare il termine massimo previsto dalla direttiva.
Poiché dalla disciplina specifica (art. 19, commi 4 e 5), che concerne la composizione negoziata, non appare desumibile chiaramente questo principio è opportuno l’inserimento nell’ambito dei principi generali.
2.1. A tal fine si propone l’integrazione che segue: alla fine del periodo, aggiungere: “tenuto conto anche delle misure protettive applicate ai sensi dell’articolo 18.”.
Articolo 11 (Attribuzione della giurisdizione)
1. L’articolo, come sostituito dall’art. 5, comma 1 dello schema di decreto, è riferibile solo alle domande giudiziali concernenti i quadri di ristrutturazione preventiva e le procedure di insolvenza.
1.1. La Commissione speciale ritiene necessario un raccordo incrociato tra l’art. 11 e l’art. 19, per estendere la parte dell’articolo 11 e dell’art. 26 che è riferibile anche alle “domande” che si innestano nel percorso di composizione negoziata, mediante l’introduzione di un comma aggiuntivo nell’articolo 19 e l’introduzione di un comma di mero rinvio nell’art. 11.
Infatti, alle domande che si innestano nella composizione negoziata, oltre all’articolo 11, si applicano anche le eccezioni che l’art. 26 disciplina solo per l’ammissione a un quadro di ristrutturazione preventiva e per l’assoggettamento a una procedura di insolvenza, con conseguente collegamento anche con i primi tre commi dell’art. 26. Inoltre, per queste domande è diversa la procedura di impugnazione, che è quella prevista dall’articolo 19, comma 7, con conseguente necessità di differenziare il richiamo che l’articolo 11 effettua con l’articolo 51.
2. L’articolo potrebbe essere così integrato con un comma aggiuntivo:
“1. Alla domanda di misure protettive e cautelari inerenti la composizione negoziata si applica l’articolo 19, comma xx.”
Titolo II (Composizione negoziata della crisi, piattaforma unica nazionale, concordato semplificato e segnalazioni per la anticipata emersione della crisi)
Come si è detto nella parte generale, l’art. 6 dello schema di decreto ha sostituito l’intero Titolo II della parte prima del codice.
Articolo 12 (Composizione negoziata per la soluzione della crisi d'impresa)
Comma 1
1. Valuti l’Amministrazione l’opportunità di espungere la qualificazione dell’esperto come “indipendente”. L’indipendenza dell’esperto è perseguita e assicurata da disposizioni specifiche dello schema di decreto e non è necessario che emerga nella denominazione. Peraltro, tale qualificazione è già utilizzata nel Codice (art. 2, comma 1, lett. o) per individuare il professionista che, al contrario dell’esperto, è incaricato dal debitore nell’ambito di uno dei quadri di ristrutturazione preventiva. In quest’ultimo caso si spiega l’opportunità di far emergere il carattere indipendente proprio per via della nomina da parte del debitore. Naturalmente, la qualificazione di indipendente andrebbe espunta in ogni altro articolo che la contiene.
2. Al fine di mettere in risalto che la modalità per accedere alla composizione negoziata scelta dal Governo è quella di chiedere la nomina di un esperto, si sottopone all’Amministrazione la riformulazione che segue:
“1. L'imprenditore commerciale e agricolo può chiedere la nomina di un esperto al segretario generale della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, nel cui ambito territoriale si trova la sede legale dell'impresa, quando si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rendono probabile la crisi o l'insolvenza e risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell'impresa”.
Comma 2
La disposizione individua il nucleo essenziale della funzione svolta dall’esperto, consistente nell’agevolare le trattative, per rendere chiaro sino a che punto può spingersi la ricerca di una soluzione per il superamento della crisi. A tal fine precisa che si può trasferire alche l’azienda o rami di essa.
Poiché tale trasferimento è subordinato alla autorizzazione del giudice, dall’articolo 22, comma 1, lett. d) sarebbe opportuno un richiamo di questo articolo nel secondo comma.
Il comma potrebbe essere così riformulato:
“2. L'esperto agevola le trattative tra l'imprenditore, i creditori ed eventuali altri soggetti interessati, al fine di individuare una soluzione per il superamento della crisi, anche mediante il trasferimento dell'azienda o di rami di essa, previa autorizzazione del tribunale, ai sensi dell’articolo 22, comma 1, lett. d).”
Comma 3
1. Il comma in esame esclude l’applicabilità dell’art. 38 del Codice alla composizione negoziata.
La relazione illustrativa afferma che, nel trasporre la corrispondente disposizione dell’art. 3 del d.l. n. 158 del 2021, che disciplina la composizione negoziata, è stato aggiunto il comma 3, il quale “chiarisce e precisa” l’inapplicabilità dell’art. 38 alla composizione negoziata “in coerenza con la sua natura negoziale e stragiudiziale”. Tanto è stato ribadito in sede di audizione.
2. L’art. 25-sexies, comma 2, che disciplina il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, prevede espressamente (comma 2) che il ricorso presentato dall’imprenditore per chiedere l’omologazione del concordato è comunicato al P.M. Si tratta di una procedura di regolazione della crisi ad hoc, subordinata a un comportamento secondo correttezza e buona fede tenuto dall’imprenditore nel corso delle trattative e risultante dalla relazione finale dell’esperto. A essa l’imprenditore può ricorrere nel caso di mancato esito auspicato delle trattative svolte nel corso della composizione negoziata.
2.1. La specifica previsione della comunicazione al P.M. è coerente con il carattere di procedura di regolazione della crisi che ha il concordato semplificato. Infatti, non sarebbe stato applicabile l’art. 38, comma 3, e conseguentemente, il comma 4 dell’art. 38, essendo questo unicamente applicabile ai “procedimenti per l'accesso ai quadri di ristrutturazione preventiva o a una procedura di insolvenza”.
2.2. Rispetto alle altre procedure di regolazione della crisi cui l’imprenditore può accedere in caso di esito negativo delle trattive (art. 23, comma 2, e comma 3, lett. c) - secondo le conclusioni delle osservazioni svolte rispetto a tale articolo, cui si rinvia – l’amministrazione non ha previsto la comunicazione al P.M. del ricorso, essendo alle stesse direttamente applicabile l’art. 38, commi 3 e 4.
2.2.1. Il problema dell’applicabilità dell’art. 38, commi 3 e 4, non si pone per gli accordi stipulati da imprenditore e creditori in caso di esito positivo della crisi e, quindi, nei casi del comma 1, lett. a), b) e c) e del comma 3, lett. a) (per la quale si rinvia alle osservazioni relative all’art. 23).
3. La conseguenza di questa ricostruzione è che la questione si incentra sull’applicabilità o meno dell’art. 38, comma 2 (conseguenzialmente del comma 1) nel corso dello svolgimento delle trattative per pervenire alla composizione negoziata.
4. Questa Commissione speciale concorda con la tesi dell’amministrazione, secondo cui la indubbia natura extragiudiziaria della composizione negoziata non rende direttamente applicabile l’art. 38 a tutta la fase delle trattative. Si tratta, infatti, di un percorso extragiudiziario intrapreso da debitore e creditori, facilitati da un esperto terzo anche nel contatto con fornitori, clienti e dipendenti dell’impresa, nella ricerca di una soluzione alla crisi che salvi l’impresa, evitando che la gestione della stessa da parte del debitore avvenga attraverso condotte potenzialmente pregiudizievoli per gli interessi dei creditori. Quindi, per esempio, non sarebbe ipotizzabile una segnalazione al P.M. da parte dell’esperto o, in ipotesi, da parte di uno dei creditori durante l’ordinario corso delle trattative.
4.1. Tuttavia, l’esistenza degli “incidenti giurisdizionali”, necessari tutte le volte che l’imprenditore abbia chiesto le misure protettive di cui all’art. 18, pone il problema dell’applicabilità del comma 2 dell’art. 38 rispetto al giudice dell’incidente giurisdizionale.
4.2. Infatti, la necessità di misure protettive e cautelari per rendere concretamente praticabile il percorso extragiudiziario, comporta l’intervento del tribunale a garanzia della finalizzazione delle misure al superamento della crisi, in collegamento con lo stato economico finanziario della stessa. Emerge, così, il ruolo valutativo del giudice nell’analizzare le scelte dell’imprenditore e la situazione in concreto dell’impresa, sia pure al di fuori degli schemi tradizionali delle procedure della crisi e con il supporto della relazione dell’esperto e, eventualmente, dell’ausiliario. Di conseguenza, rispetto alle parentesi giurisdizionali inserite nel percorso extragiudiziario, rileva il tema della segnalazione al P.M. da parte del giudice del procedimento civile che abbia rilevato l’esistenza dello stato di insolvenza (artt. 6 e 7 della LF e art. 38, commi 1 e 2, del Codice).
5. Su questo profilo è necessario che l’amministrazione compia una scelta chiara per evitare inevitabili contenziosi. Potrebbe optare per escludere espressamente l’applicabilità del solo comma 2, e di conseguenza del comma 3, nella consapevolezza di introdurre una eccezione nell’ordinamento. Potrebbe optare, naturalmente, per una disposizione che delimiti i confini del potere del giudice civile di rilevare lo stato di insolvenza, collegandola, sia pure con formulazione generale, alla emersione documentata dello stato di insolvenza, quale potrebbe emergere dai dati obiettivi risultanti dagli atti processuali, compresa la relazione finale dell’esperto. Questa scelta, in definitiva, potrebbe essere funzionale a scongiurare interventi del P.M. quando non vi sono ragioni di tutela di interessi collettivi perché l’impresa, benché in uno stato avanzato della crisi, ha ancora delle oggettive possibilità di superarla.
Articolo 13 (Istituzione della piattaforma telematica nazionale e nomina dell'esperto)
Comma 2, primo periodo
Sarebbe opportuno spostare alla fine del periodo “accessibile da parte dell'imprenditore e dei professionisti dallo stesso incaricati” al fine di evitare di indurre il dubbio che l’imprenditore e i professionisti dallo stesso incaricati non possano accedere al protocollo di conduzione della composizione negoziata, atteso che l’utilità della conoscenza di essa può sussistere anche prima di aver scelto di presentare istanza per l’accesso alla composizione negoziata.
Comma 3
La disposizione individua, tra l’altro, i requisiti professionali che devono possedere coloro che aspirano all’iscrizione nell’elenco degli esperti. Nell’elencazione dei requisiti, distinti a seconda che i professionisti siano o meno iscritti negli albi professionali, cui si collega il diverso destinatario della domanda – rispettivamente l’ordine professionale di appartenenza e la camera di commercio – emerge l’utilizzazione di una delimitazione generica per individuare una categoria di aspiranti. Infatti, rispetto a coloro che siano iscritti da almeno cinque anni all'albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e all'albo degli avvocati, è richiesta la documentazione “di aver maturato precedenti esperienze nel campo della ristrutturazione aziendale e della crisi d'impresa”.
Una delimitazione così generica consente l’utilizzo di criteri di selezione non omogeni sul territorio, con conseguente iniquità, come è avvalorato dalla circostanza che il Ministero della giustizia ha avvertito l’esigenza di dettare apposite linee guida rispetto all’identica previsione, contenuta nel d.l. n. 158 del 2021, convertito nella l. n. 147 del 2021.
Pertanto, si ritiene opportuno che l’Amministrazione provveda a una categorizzazione delle esperienze professionali ritenute rilevanti.
Comma 5, quarto, quinto e sesto periodo
Nel procedimento per l’iscrizione degli esperti, provenienti dal canale degli ordini professionali e da quello della camera di commercio, non risulta chiaramente chi decide sulla iscrizione all’elenco. Dalla successione dei periodi quinto e sesto sembra potersi dedurre che a decidere sono i responsabili della formazione dell’elenco unico.
Si invita l’amministrazione a eliminare tale incertezza.
Comma 5, quinto periodo
L’elenco degli esperti è istituito presso ogni sede capoluogo di regione della camera di commercio (comma 1) e, secondo la disposizione in argomento, gli ordini professionali e le camere di commercio, con riferimento ai dati dei diversi iscritti rispettivamente raccolti, designano i responsabili della formazione, della tenuta e dell'aggiornamento dei dati confluiti nell'elenco unico.
Poiché la direttiva, anche se non direttamente riferibile alla composizione negoziata (art. 27 §1), richiede che gli Stati membri predispongano “appropriati meccanismi di vigilanza e regolamentazione per garantire che il lavoro dei professionisti sia oggetto di una vigilanza efficace, in modo da assicurare che i loro servizi siano prestati in modo efficace e competente” si potrebbe prevedere la vigilanza sull’elenco rimettendola in capo al segretario generale della camera di commercio.
Comma 5, terzultimo periodo
La disposizione, nel disciplinare le modalità di costituzione dell’elenco degli esperti, prevede per il primo popolamento l’inserimento dei nominativi sino alla data del 16 maggio 2022, coincidente con l’entrata in vigore del Codice individuata dallo schema di decreto. Si raccomanda all’Amministrazione l’adeguamento della disposizione in ragione del previsto differimento dell’entrata in vigore del Codice.
Comma 7, terzo periodo
La disposizione individua i criteri che la commissione deve seguire nella nomina dell’esperto, quali rotazione, trasparenza – assicurata anche dalla pubblicazione online - ed efficienza.
Si osserva l’assenza di ogni forma di vigilanza sul rispetto di tali criteri, al contrario di quanto stabilito per i professionisti nominati nell’ambito delle procedure dei quadri preventivi e di insolvenza (cfr. art. 5).
In questo caso, tenendo conto della circostanza che la nomina dell’esperto è attribuita alla commissione mista, la vigilanza potrebbe ben essere attribuita al segretario generale della camera di commercio.
Naturalmente, tale integrazione non sarà necessaria se si opta per la proposta di riformulazione degli articoli concernenti i principi generali, essendo stata inserita nell’art. 5.
Comma 7, ultimo periodo
Lo schema di decreto, nell’elencare i criteri che guidano la scelta dell’esperto da parte della commissione, correttamente li individua nella rotazione, trasparenza e numero degli incarichi, nonché nella complessiva esperienza formativa risultante dalla scheda sintetica predisposta dalla camera di commercio e dal curriculum vitae. Emerge, invece, la totale assenza di rilievo dell’attività in concreto svolta quale esperto nell’ambito della composizione negoziata e ai risultati della stessa, in funzione delle future nomine, e la totale assenza di tale profilo rispetto agli incarichi già svolti in ambiti analoghi.
In considerazione della circostanza che la direttiva (art. 27 §1), anche se non direttamente riferibile alla composizione negoziata, richiede che gli Stati membri predispongano “appropriati meccanismi di vigilanza e regolamentazione per garantire che il lavoro dei professionisti sia oggetto di una vigilanza efficace, in modo da assicurare che i loro servizi siano prestati in modo efficace e competente”, e che una regolamentazione a ciò finalizzata è prevista nell’art. 358, in riferimento ai professionisti nominati dall’autorità giudiziaria nelle altre procedure regolate dal Codice, appare opportuno l’inserimento di un profilo specifico anche per gli esperti che prenda in considerazione l’attività in concreto svolta quale esperto nell’ambito della composizione negoziata.
A tal fine, si potrebbe ipotizzare una implementazione del contenuto della “scheda sintetica contenente le informazioni utili alla individuazione del profilo dell'esperto”, prevista solo per i professionisti selezionati dagli ordini professionali (comma 5, quarto periodo), previa estensione della stessa ai professionisti selezionati dalle camere di commercio. Tale scheda potrebbe essere implementata, a cura delle camere di commercio, con gli esiti delle composizioni negoziate in cui gli esperti hanno svolto l’incarico conferito.
Comma 8, primo periodo
1. La disposizione attribuisce alla commissione che nomina l’esperto la verifica del “regolare deposito dell’istanza secondo quanto previsto dall'articolo 17”. Si tratta dell’istanza presentata dall’imprenditore per accedere alla composizione negoziata.
L’art. 17 richiamato, oltre al contenuto della domanda e alle modalità di presentazione (commi 1 e 2), prevede (comma 3) un lungo elenco di allegati, necessari ed evidentemente finalizzati alla dimostrazione dell’esistenza delle condizioni per poter accedere alla procedura. Il rinvio generico all’art. 17, effettuato dallo schema di decreto, può ingenerare dubbi sull’ambito di controllo attribuito alla commissione al momento della nomina dell’esperto, senza il quale non ci può essere composizione negoziata. Infatti, il riferimento alla “regolarità” del deposito potrebbe indurre a ipotizzare un controllo meramente formale.
1.1. Invece, in senso contrario induce un’altra disposizione dello stesso art. 13 (comma 7, secondo periodo). Questa attribuisce al segretario generale della camera di commercio il controllo sulla completezza della istanza, disciplina la possibile interlocuzione con l’imprenditore per l’integrazione, quale condizione dell’esame della stessa, posto che - decorso inutilmente il termine di trenta giorni concesso all’istante – “l’istanza non è esaminata e l’imprenditore può riproporla”. Allora, può ritenersi che la commissione procede alla nomina dell’esperto solo dopo avere valutato nel merito l’istanza, comprensiva degli allegati indicati nell’art. 17, comma 3, che contengono tutte le informazioni che il legislatore ha ritenuto idonee a valutare la percorribilità di un percorso di superamento della crisi. Tuttavia, nella scarna disposizione in esame si disciplina solo la modalità di decisione: a maggioranza con il coordinamento del membro più anziano.
1.2. Pertanto, si ritiene necessaria una integrazione con i possibili esiti, costituiti dall’alternativa tra la nomina dell’esperto, che implica una valutazione positiva dell’istanza di accesso alla composizione negoziata, e l’archiviazione della stessa, e inoltre il richiamo specifico dell’art. 17, comma 3.
1.3. Peraltro, solo in una previsione espressa dell’archiviazione può trovare fondamento la disposizione, contenuta nell’art. 17, comma 9, secondo la quale “l'imprenditore non può presentare una nuova istanza prima di un anno dall'archiviazione”. Né può indurre a conclusioni diverse la circostanza che il comma 9 in argomento faccia riferimento all’istanza di cui all’art. 12, comma 1. Secondo quanto emerge dallo stesso schema di decreto, c’è una sola istanza, quella corredata dagli allegati, mentre nell’art. 12 l’istanza rileva solo come modalità di accesso alla composizione negoziata, con la conseguenza che il richiamo dovrebbe sempre essere fatto sempre all’art. 17 e non all’art. 12.
Articolo 16 (Requisiti di indipendenza e doveri dell'esperto e delle parti)
Comma 2, secondo periodo
La disposizione secondo cui “Non è equiparabile al professionista indipendente di cui all’articolo 2, comma 1, lettera o).”, appare inutile e sarebbe opportuno espungerla, atteso che il professionista indipendente, nonostante debba possedere alcuni requisiti non dissimili da quelli richiesti all’esperto, è figura radicalmente diversa dall’esperto sulla base della disciplina di dettaglio prevista per quest’ultimo dallo schema di decreto.
Comma 3, primo periodo
La previsione iniziale “Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 19, comma 4,” appare superflua, atteso che l’articolo 19 e l’articolo 16 contengono due disposizioni oggettivamente incompatibili. Nel primo si prevede, in positivo, quale è l’oggetto della audizione dinanzi al giudice, consistente nel rendere “il proprio parere sulla funzionalità delle misure ai fini del buon esito della trattativa”, mentre nella disposizione in argomento si stabilisce su che cosa non può essere interrogato sia dall’autorità giudiziaria che amministrativa.
Comma 4
Si potrebbe espungere in collegamento con le osservazioni relative all’articolo 4.
Comma 6, ultimo periodo
1. La disposizione, nell’occuparsi del ruolo di quei creditori che hanno sicuramente un peso rilevante nello svolgimento delle trattative finalizzate al superamento della crisi, quali sono certamente le banche e gli intermediari finanziari, ha in primo luogo ritenuto necessaria una loro partecipazione attiva e informata. Con il secondo periodo ha precisato che “L'accesso alla composizione negoziata della crisi non costituisce di per sé causa di revoca degli affidamenti bancari concessi all'imprenditore.”
2. Secondo questa Commissione speciale, tale precisazione appare troppo debole anche solo considerando il rapporto con il primo periodo, dove è previsto un vero e proprio obbligo di partecipazione attiva, il quale non può non riferirsi a una partecipazione per così dire “costruttiva” e mirata al perseguimento dello scopo.
Per queste ragione, si chiede all’amministrazione di valutare una riformulazione che possa essere più stringente e volta a evitare possibili revoche di affidamenti bancari, anche solo occasionati dalla conoscenza dello stato dell’impresa del quale questi creditori siano venuti a conoscenza proprio in virtù della partecipazione alle trattative avviate nell’ambito della composizione negoziata. L’obiettivo di una diversa formulazione potrebbe essere quello di individuare un criterio più stringente sulla base del quale il giudice – adito con la richiesta di una misura cautelare durante lo svolgimento delle trattative della composizione negoziale per essere intervenuta la revoca di un affidamento della banca che partecipa alle stesse – possa valutare insieme all’esperto la non coerenza della revoca di un finanziamento rispetto allo stato delle trattative e alle concrete prospettive delle stesse.
In tale direzione il primo periodo potrebbe così continuare: “e non possono revocare affidamenti bancari concessi all'imprenditore se non sulla base di una motivazione che dia conto dello stato delle trattative e della concreta impossibilità di pervenire al superamento della crisi”.
Comma 8
Espungere, in collegamento con le osservazioni e la riformulazione dell’articolo 4. Comunque, si rinvia alla osservazione di merito svolta nell’art. 4 (§4.)
Articolo 17 (Accesso alla composizione negoziata e suo funzionamento)
Comma 3, lett. c) e lett. d)
Per il coordinamento della lett. d) con l’art. 25-quinquies, si rinvia alle osservazioni concernenti quest’ultimo articolo.
Appare opportuno che, secondo le regole generali, queste dichiarazioni dell’imprenditore siano rese ai sensi del d.P.R. n. 445 del 2000. Pertanto, si suggerisce una integrazione in tal senso.
Comma 4
L’incipit, con una formulazione non limpida, appare richiedere che l’esperto nominato dalla commissione di cui all’art. 13 accetti solo dopo aver lui stesso effettuato una previa “verifica” della sussistenza dei suoi requisiti di indipendenza, richiesti dall’art. 16, comma 1, e previa verifica sul proprio tempo disponibile per svolgere l’incarico conferitogli.
Si osserva che la finalità che appare perseguita dall’amministrazione potrebbe essere soddisfatta, almeno in ordine ai requisiti, secondo le regole generali e, quindi, mediante una autodichiarazione ai sensi del d.P.R. n. 445 del 2000. Inoltre, è evidente che la disposizione troverebbe più idonea collocazione nell’articolo 16 e dovrebbe seguire immediatamente la nomina da parte della commissione.
Comma 5
Nell’ambito di un procedimento scandito da tempi molto ravvicinati, che l’amministrazione ha previsto ispirandosi all’art. 25 lett. b), della direttiva – anche se lo stesso non è direttamente riferibile alla composizione negoziata - è opportuno far emergere la necessità di chiudere la procedura appena non si ravvisino le condizioni ed è, altresì, opportuno che sia previsto un termine anche per l’archiviazione da parte del segretario generale della camera di commercio
Si sottopone all’attenzione dell’amministrazione una riformulazione semplificata, con il suddetto termine.
“5. L'esperto convoca senza indugio l'imprenditore, che può farsi assistere da consulenti, per valutare l'esistenza di una concreta prospettiva di risanamento, anche alla luce delle informazioni assunte dall'organo di controllo e dal revisore legale, ove in carica. Se ritiene che le prospettive di risanamento sono concrete l'esperto incontra le altre parti interessate e prospetta le possibili strategie di intervento, fissando i successivi incontri con cadenza periodica ravvicinata. Appena non ravvisa concrete prospettive di risanamento, in esito al primo incontro oppure in qualunque momento successivo, informa l'imprenditore e il segretario generale della camera di commercio, il quale dispone l'archiviazione dell'istanza di composizione negoziata entro cinque giorni.”
Comma 6
La disposizione disciplina l’ipotesi che le parti, ricevuta la comunicazione della convocazione da parte dell’esperto già nominato, formulino osservazioni concernenti l’indipendenza dello stesso al segretario generale della camera di commercio, il quale investe la commissione che lo ha nominato ai fini della valutazione dell’opportunità della sostituzione. Sempre al fine di accelerare la procedura nella sua fase iniziale, sarebbe opportuno: - dopo “riferisce” inserire “senza indugio”; - alla fine aggiungere “entro cinque giorni”.
Comma 9, secondo periodo
Per poter riproporre una istanza di accesso dopo che la composizione negoziata sia stata archiviata, si prevede un termine più breve (di quattro mesi) se l’archiviazione è stata richiesta dallo stesso imprenditore mediante l’accesso alla piattaforma telematica, rispetto al termine ordinario (di un anno) per l’archiviazione disposta dal segretario generale.
Al fine di favorire un esercizio consapevole e mirato della procedura, sarebbe opportuno collegare il termine breve all’ipotesi in cui è lo stesso imprenditore a chiedere l’archiviazione dell’istanza, specificando che la domanda deve essere presentata prima che la commissione sia investita dell’esame della stessa.
Articolo 18 (Misure protettive)
1. Secondo il disposto del comma 4, dalla pubblicazione nel registro delle imprese dell'istanza per l’accesso alla composizione negoziata, unitamente alla richiesta di misure protettive e all’accettazione dell’esperto, discende il rilevante effetto protettivo costituito dal divieto di pronunciare la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale o di accertamento dello stato di insolvenza sino alla conclusione delle trattative o all'archiviazione, a meno che il tribunale non revochi le misure protettive.
1.1. Lo stesso comma 4 dispone che “Restano fermi i provvedimenti già concessi ai sensi dell’articolo 54, comma 1.”. E, quindi, ai sensi del primo periodo del comma richiamato dell’art. 54, “i provvedimenti cautelari, inclusa la nomina di un custode dell'azienda o del patrimonio, che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente l’attuazione delle sentenze di omologazione dei quadri di ristrutturazione preventiva e di apertura delle procedure di insolvenza.”.
Si tratta delle misure cautelari già concesse in quei procedimenti per l’apertura della liquidazione giudiziale o per l'accertamento dello stato di insolvenza pendenti nei confronti dell’imprenditore, promossi da creditori e P.M., la cui esistenza l’imprenditore, che chiede di essere ammesso alla composizione negoziata, deve dichiarare al momento della presentazione dell’istanza (art. 17, comma 3, lett. d).
La precisazione normativa che restano ferme tali misure cautelari di un altro procedimento, malgrado la pubblicazione dell’istanza suddetta, con la quale si avvia il percorso extragiudiziario e operano le misure protettive, è quanto mai opportuna per evitare incertezze interpretative. La scelta di mantenere l’efficacia delle misure cautelari già concesse in altro giudizio senza l’indicazione di un termine ad quem si giustifica se adeguatamente coordinata con le previsioni procedimentali del successivo art. 19, comma 4, secondo quanto si dirà a commento di quest’ultima disposizione, anche in riferimento all’art. 54, comma 1, penultimo periodo.
Articolo 19 (Procedimento relativo alle misure protettive e cautelari)
Comma 1 e comma 3, in collegamento con l’art. 18, comma 1.
1. L’imprenditore può chiedere le misure protettive del patrimonio contestualmente all’istanza di accesso alla composizione negoziata, oppure successivamente, quando la composizione negoziata è stata già ritualmente avviata.
L’art. 18, comma 1, prevede che “L'istanza di applicazione delle misure protettive è pubblicata nel registro delle imprese unitamente all'accettazione dell'esperto”. Nello stesso comma e nei successivi commi 4 e 5 dell’art. 18 sono individuati i rilevanti effetti di protezione che conseguono alla pubblicazione.
1.1. Secondo la previsione dell’art. 19, comma 1, l’imprenditore, nello stesso giorno in cui è stata pubblicata nel registro delle imprese l’istanza suddetta, chiede la conferma o la modifica delle misure protettive e, ove occorre, l'adozione dei provvedimenti cautelari necessari per condurre a termine le trattative, presentando ricorso al tribunale.
1.2. Inoltre, sempre l’art. 19, comma 1, ultimo periodo, prevede che l'omesso o il ritardato deposito del ricorso è causa di inefficacia delle misure previste dall'articolo 18, comma 1; disposizione che si collega a quella del successivo comma 3, terzo periodo, secondo la quale il tribunale, se verifica che il ricorso non è stato depositato nel termine previsto, dichiara l'inefficacia delle misure protettive senza fissare l'udienza.
1.3. Infine, secondo quanto disposto dall’art. 19, comma 3, ultimo periodo, in collegamento con il precedente comma 1, gli effetti protettivi dell’art. 18 cessano anche se, nel termine di dieci giorni decorrenti dal deposito del ricorso, il giudice non provvede alla fissazione dell’udienza per la trattazione del ricorso.
2. Questa Commissione speciale, rilevate alcune criticità nelle disposizioni in argomento, sottopone all’amministrazione le osservazioni che seguono.
2.1. In generale, si rileva che è condivisibile l’obiettivo perseguito dall’amministrazione, che è quello di contemperare l'interesse del debitore all’immediata protezione del patrimonio in vista delle trattative o nel corso delle trattative, con l’opposto interesse di tutela dei creditori, anche in considerazione della finalità di evitare che un utilizzo strumentale e abusivo della protezione pregiudichi o quantomeno comprometta i diritti di questi ultimi. Tuttavia, si ritiene che l’obiettivo possa essere realizzato attenuando gli effetti negativi sul debitore.
2.2. In questa direzione rileva, innanzitutto, la disposizione (art. 19, comma 3, u.p.) con la quale si fanno dipendere gli effetti delle misure protettive dalla diligenza nell’organizzazione degli uffici giudiziari o del singolo giudice, prevedendo l’inefficacia delle stesse qualora il giudice non fissi l’udienza, con decreto, entro dieci giorni dal deposito del ricorso. È evidente che l’esercizio di un diritto a tutela costituzionale dipenderebbe solo dall’efficienza dell’ufficio giudiziario, senza considerare eventuali profili di non imputabilità del ricorrente.
2.3. Un secondo profilo attiene alla scelta di far coincidere il giorno in cui l’istanza è pubblicata nel registro delle imprese con il giorno in cui deve essere depositato il ricorso giurisdizionale.
2.3.1. Sulla base delle stesse disposizioni dello schema di decreto può dirsi che, in astratto e ordinariamente, l’imprenditore può essere in grado di pubblicare l’istanza, con l’accettazione dell’esperto, e nello stesso giorno depositare il ricorso al giudice.
Infatti, se chiede le misure protettive unitamente all’istanza di nomina dell’esperto, che costituisce la modalità di accesso alla procedura, è in possesso degli elementi utili per procedere alla pubblicazione appena l’esperto sia stato nominato e abbia accettato, posto che l’esperto, nell’accettare la nomina – entro due giorni dall’esito positivo della decisione della commissione – la pubblica nella piattaforma telematica e, contestualmente, la comunica all’imprenditore (art. 17, comma 4). A maggior ragione, quando l’imprenditore chiede le misure protettive successivamente, nel corso della procedura già avviata, l’accettazione dell’esperto preesiste, né l’art. 18 prevede una specifica accettazione riferita unicamente alla richiesta delle misure. In definitiva, con attività del tutto telematica, l’imprenditore inserisce nella piattaforma l’istanza e, sempre telematicamente, provvede alla pubblicazione della stessa nel registro delle imprese. Il ricorso giurisdizionale, ragionevolmente predisposto prima, può quindi essere depositato presso l’ufficio del giudice, sempre telematicamente.
2.3.2. Tuttavia, in ragione della consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha più volte valutato la ragionevolezza o meno del termine per l’esercizio del diritto, si invita l’amministrazione a valutare l’opportunità dell’introduzione di un termine molto breve per il deposito del ricorso e, in ogni caso, a valutare l’introduzione di una disposizione che dia rilevanza alla non imputabilità dell’omesso o ritardato deposito, anche in considerazione della circostanza che la procedura è destinata a svolgersi solo in via telematica.
2.4. Un altro profilo di criticità attiene alla dichiarazione di inefficacia delle misure protettive che il giudice dichiara senza fissare l’udienza per la trattazione qualora il ricorso non sia stato depositato nello stesso giorno della pubblicazione dell’istanza nel registro delle imprese (art. 19, comma 3, terzo periodo e comma 1).
2.4.1. In mancanza di ulteriori specificazioni nella disposizione dello schema, deve presumersi che il giudice, decidendo senza fissare l’udienza, provvede con decreto. Allora è necessario prevedere il reclamo, così come nel comma 7 dello stesso articolo è previsto rispetto all’ordinanza.
Comma 3 e comma 4
Secondo la previsione del comma 3, il decreto del tribunale con il quale il giudice fissa l’udienza è notificato dal ricorrente alle parti interessate, secondo le modalità indicate dal tribunale, ex art. 151 c.p.c.
Secondo la previsione del comma 4, “il tribunale, sentite le parti e chiamato l'esperto a esprimere il proprio parere sulla funzionalità delle misure richieste ad assicurare il buon esito delle trattative” procede all’istruzione.
Ritiene la Commissione speciale che l’espressione utilizzata nella disposizione, secondo la quale l’esperto è “chiamato”, potrebbe essere interpretata nel senso che è l’ufficio giudiziario a disporne la citazione, qualora il giudice ne ravvisi la necessità. Invece, in un procedimento contrassegnato da una tempistica accelerata e in una materia caratterizzata da competenze specialistiche, è ragionevole presumere che la presenza dell’esperto sia sempre necessaria. Pertanto, sarebbe opportuno prevedere, nel comma 3, una comunicazione del decreto di fissazione dell’udienza all’esperto da parte del ricorrente, nonché specificare, nel comma 4, che il parere dell’esperto è assunto sempre. Tanto potrebbe essere idoneo a scongiurare rinvii nella trattazione per la necessità di conoscere il parere dell’esperto sulla funzionalità delle misure richieste.
Nel comma 3, si potrebbe effettuare l’inserimento che segue: sostituire l’inizio del secondo periodo sino a “ricorrente” compreso, con: “Il ricorrente comunica il decreto all’esperto e lo notifica...”.
Nel comma 4, nel primo rigo, sostituire “chiamato l’” con “assunto sempre il parere dell’”.
Comma 4, in rapporto all’art. 18, comma 4, ultimo periodo, e all’art. 54, comma 1
1. Il comma 1 dell’art. 19 consente al debitore di chiedere, oltre alla conferma o modifica delle misure protettive di cui all’art. 18, anche “ove occorre”, l’adozione dei provvedimenti cautelari necessari per condurre a termine le trattative; in correlazione, il comma 4 dell’articolo 19 prevede che il tribunale “[…] procede agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai provvedimenti cautelari richiesti ai sensi del comma 1 […]”, dovendo anche sentire i terzi se i provvedimenti richiesti incidono sui loro diritti, e quindi provvede con ordinanza.
Il penultimo periodo del comma 4, con una formulazione piuttosto involuta, lascia intendere che con tale ordinanza il tribunale provvede sulle richieste del debitore e stabilisce la durata delle misure protettive e, “se occorre”, dei provvedimenti cautelari “disposti” (id est, che vengono disposti con l’ordinanza medesima).
Segue l’inciso che chiude il penultimo periodo, nei seguenti termini: “tenendo conto delle misure eventualmente già concesse ai sensi dell’articolo 54, comma 1”, cioè delle misure cautelari che, richieste e ottenute dal P.M. o dai creditori nel procedimento di apertura di liquidazione giudiziale già pendente quando è stata presentata l’istanza di composizione negoziata, “restano ferme” ai sensi dell’art. 18, comma 4.
2. La disposizione, anche considerato il tenore dell’inciso finale, non appare idonea a chiarire se le misure cautelari “già concesse ai sensi dell’articolo 54, comma 1” possono essere modificate o revocate dal giudice della composizione negoziata; anzi, imponendo a quest’ultimo di “tenerne conto”, senza null’altro aggiungere sembra escludere che possa adottare provvedimenti di modifica o di revoca di misure disposte in un procedimento giudiziario, cui l’incidente dell’art. 19 dovrebbe restare estraneo.
2.1. La lacuna normativa è ancor più evidente se si considera che nemmeno l’art. 54, comma 1, disciplina la sorte delle misure cautelari già concesse qualora, in pendenza di procedimento di apertura di liquidazione giudiziale, l’imprenditore presenti un’istanza di composizione negoziata.
Infatti l’art. 54, comma 1, penultimo periodo, prevede la diversa fattispecie - su cui si rinvia al commento all’art. 54 - nella quale le misure cautelari vengano concesse dopo la presentazione di tale istanza (“Le misure cautelari possono essere concesse anche dopo la pubblicazione dell’istanza di cui all’articolo 18, comma 1, tenuto conto delle misure eventualmente già concesse o confermate ai sensi dell’articolo 19”).
3. Per via interpretativa la lacuna sopra evidenziata potrebbe essere colmata mediante l’applicazione dell’art. 669 decies c.p.c. (non menzionato dall’art. 54, comma 1, terzo periodo, tra le norme non applicabili del procedimento cautelare uniforme), che consente la revoca o la modifica delle misure cautelari in caso di mutamento delle circostanze da parte dello stesso giudice che le ha disposte.
3.1. Tuttavia, si invita l’amministrazione a realizzare un migliore raccordo tra le norme e tra i procedimenti, prevedendo – se si intende perseguire tale finalità – la facoltà del debitore di chiedere la revoca della misura cautelare già disposta, ove ritenuta di ostacolo per condurre a termine le trattative, e precisando nell’una norma o nell’altra quale sia il giudice competente a provvedere.
Peraltro, in mancanza di ogni riserva di compatibilità rispetto alle trattative avviate per il superamento della crisi in via extragiudiziaria, non si può escludere che il Governo abbia inteso perseguire il diverso obiettivo di mantenere comunque ferme le misure cautelari già concesse, nel senso di escluderne la revocabilità in caso di ricorso alla composizione negoziata, ma tale opzione – distonica rispetto al sistema – andrebbe a maggior ragione chiarita per via normativa.
Commi 4 penultimo periodo, prima parte e 5, in rapporto all’articolo 17, comma 7
1. L’art. 19, nel disciplinare la durata delle misure protettive e cautelari, stabilisce un termine minimo di trenta giorni e un termine massimo di centoventi giorni (comma 4, penultimo periodo, prima parte). Si prevede la possibilità di una proroga (comma 5), la quale può essere concessa su istanza delle parti, purché sia acquisito il parere dell’esperto, “per il tempo necessario ad assicurare il buon esito delle trattative”. Il comma si chiude con la previsione che la durata complessiva delle misure non può superare i duecentoquaranta giorni. Quest’ultima previsione della “durata complessiva delle misure”, posta in un periodo autonomo, induce a ritenere che tale periodo di tempo non si riferisca alla sola proroga ma al tempo complessivo includente i centoventi giorni iniziali.
1.1. L’art. 17, nel disciplinare i tempi della durata dell’incarico conferito all’esperto, individua in centottanta giorni dalla accettazione della nomina il limite oltre il quale l’incarico si considera concluso, se non sono state individuate soluzioni adeguate (art. 17, comma 7, primo periodo). L’incarico può proseguire, per non oltre centottanta giorni, solo se “tutte le parti lo richiedono e l'esperto vi acconsente, oppure quando la prosecuzione dell'incarico è resa necessaria dal ricorso dell'imprenditore al tribunale ai sensi degli articoli 19 e 22.” (art. 17, comma 7, secondo periodo). Dovendosi ragionevolmente escludere che il riferimento dell’art. 17 agli articoli 19 e 22, valga a richiamare meramente il tempo occorso per ottenere una decisione del tribunale, si può ritenere che la possibile proroga dell’incarico all’esperto si fonda sulla esistenza di misure protettive e cautelari (art. 19) e sulla esistenza di autorizzazioni chieste al tribunale ai sensi dell’art. 22, come sembra possa desumersi dalla congiunzione nel richiamo dei due articoli. La conseguenza è che a fondamento della proroga dell’incarico all’esperto vi è la stessa ratio che fonda la proroga delle misure protettive e cautelari, venendo in rilievo le condizioni esistenti in concreto per il buon esito delle trattative.
2. Se la durata massima delle misure protettive e cautelari (240 giorni come individuato sulla base del comma 5 dell’art. 19) e la durata massima dell’incarico all’esperto (360 giorni, secondo il comma 7 dell’art. 17) è individuata sulla base della esistenza delle stesse condizioni che consentono di ipotizzare un esito favorevole delle trattative, non si ravvede una ragione giustificativa del diverso termine di durata massima, che potrebbe condurre alla scadenza delle misure protettive in un tempo in cui le trattative sono in corso e l’esperto è nell’esercizio delle proprie funzioni, con conseguente incidenza negativa sul possibile esito positivo della composizione negoziata.
D’altra parte, l’allungamento del termine massimo delle misure protettive, sino a pervenire a complessivi dodici mesi, da un lato sarebbe compatibile con l’art. 6 §8 della direttiva, dall’altro favorirebbe un utilizzo consapevole e non strumentale delle stesse da parte dell’imprenditore nel corso delle trattative della composizione negoziata, posto che, in caso di esito negativo di questa, l’avvenuto utilizzo per il tempo massimo finirebbe per precluderne l’utilizzo nelle possibili e successive procedure giudiziarie per così dire “ordinarie” (cfr. art. 8). In tal caso si rimetterebbe all’imprenditore la scelta su quando consumare i vantaggi che derivano dalle misure protettive.
2.1. Sulla base di queste considerazioni, si invita l’amministrazione, qualora ritenesse condivisibili tali conclusioni, a rivalutare la possibilità di un termine complessivo sino a dodici mesi quale periodo massimo di operatività delle misure protettive nel corso della composizione negoziata.
3. Resta da considerare l’ipotesi che l’amministrazione, nello stabilire il termine di 240 giorni nell’ultimo periodo dell’art. 19, comma 5, abbia inteso riferirlo solo al periodo massimo di proroga.
In tal caso, questo si sommerebbe ai possibili 120 iniziali e sarebbe necessaria solo una riformulazione del comma 5, espungendo l’ultimo periodo e aggiungendo nel primo periodo, secondo rigo, dopo “prorogare” l’espressione che segue: “, per un termine non superiore a duecentoquaranta giorni,”.
Comma 6
La disposizione disciplina le ipotesi in cui il giudice può revocare le misure protettive e cautelari, oltre che abbreviarne la durata, in funzione della loro non idoneità ad assicurare il buon esito delle trattative o della loro sproporzione rispetto al pregiudizio arrecato ai creditori istanti. Inoltre, si prevede la revoca “in ogni caso a seguito dell'archiviazione”.
A fini di maggiore chiarezza, appare opportuno esplicitare che si tratta della archiviazione della composizione negoziata disposta dal segretario generale della camera di commercio e richiamare la disposizione che la prevede, aggiungendo, dopo “archiviazione”, “della composizione negoziata ai sensi dell’articolo 17, comma 5 e 8”.
Comma 7
1. La disposizione in esame svolge una funzione di raccordo tra la disciplina del procedimento dinanzi al giudice per le misure protettive e cautelari della composizione negoziata per molti versi speciale, risultante dagli altri commi dello stesso articolo, e la disciplina del codice di rito concernente i procedimenti cautelari, innanzitutto attraverso un rinvio generale prevedendo che “I procedimenti disciplinati dal presente articolo si svolgono nella forma prevista dagli articoli 669-bis e seguenti del codice di procedura civile”. Inoltre, individua i commi di due articoli del codice di rito che non si applicano (669-octies, primo, secondo e terzo comma, 669-nonies, primo comma); esclusione che è chiaramente riconducibile all’assenza del necessario giudizio di merito per i giudizi concernenti le misure protettive e cautelari. Infine, prevede che il tribunale decide in composizione monocratica, con ordinanza comunicata dalla cancelleria al registro delle imprese entro il giorno successivo e che il reclamo avverso la stessa è proposto ai sensi dell'articolo 669-terdecies del codice di rito.
2. Questa Commissione speciale, nell’ottica di accelerazione dei procedimenti in argomento, sottopone alla valutazione dell’amministrazione l’opportunità di prevedere che la cancelleria provveda nello stesso giorno alla comunicazione della ordinanza al registro delle imprese, data la rilevanza che tali ordinanze assumono e la disponibilità di sistemi telematici; peraltro, tale previsione potrebbe essere estesa anche ad altri articoli del codice che non sono oggetto dello schema di decreto proprio perché si tratta solo di tener conto della informatizzazione del sistema.
Comma aggiuntivo
Sulla base delle osservazioni e delle proposte da valutare rappresentate nell’articolo 7, si propone il comma aggiuntivo che segue:
x“Ai ricorsi si applica l’articolo 7, comma x.”.
Comma aggiuntivo
Sulla base delle osservazioni svolte in riferimento all’articolo 11, si propone il comma aggiuntivo che segue:
xx“1. Per l’attribuzione della giurisdizione si applicano l’articolo 11, comma 1 e comma 2, primo e terzo periodo e l’articolo 26, commi 1, 2 e 3, con il procedimento di cui al comma 7.”.
Articolo 22 (Autorizzazioni del tribunale e rinegoziazione dei contratti)
Comma 1
1. La disposizione, nell’individuare gli atti che necessitano dell’autorizzazione del tribunale ai fini della verifica della loro funzionalità rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori, elenca (nelle lett. a), b) e c) tre tipologie di finanziamenti. Per ciascuna tipologia, qualifica i finanziamenti come “prededucibili ai sensi dell'articolo 6”.
1.1. L’articolo 6, collocato tra i principi generali del tiolo I, capo II, individua i crediti prededucibili nel Codice, che si aggiungono a quelli già qualificati come tali dalla legge.
Secondo una tecnica seguita dallo schema di decreto anche per altri articoli contenenti i principi generali, le disposizioni dell’art. 6 non sono direttamente riconducibili alla composizione negoziata. Va considerato, inoltre, che in un altro articolo specifico della procedura in argomento (art. 25-ter, comma 12) è qualificato come prededucibile il compenso dell’esperto. Pertanto, si rinvia al raccordo proposto nelle osservazioni relative all’art. 6.
Comma 2
1. La disposizione prevede che l’esperto possa invitare le parti alla rideterminazione, secondo buona fede, del contenuto dei contratti a esecuzione continuata o periodica oppure a esecuzione differita, qualora la prestazione sia divenuta eccessivamente onerosa o si sia alterato l’equilibrio del rapporto in ragione di circostanze sopravvenute. Nel contempo, richiama il dovere delle parti di collaborare al fine di pervenire alla rideterminazione del contenuto del contratto o all’adeguamento delle prestazioni alle condizioni mutate.
1.1. È evidente che tale previsione attiene alla attività dell’esperto e ai possibili accordi stipulati tra le parti durante le trattative e funzionali alla prosecuzione delle stesse; così come è evidente che il giudice non è coinvolto in nessun modo, tantomeno al fine di autorizzare l’eventuale accordo. Infatti, si tratta di accordi che, anche su invito dell’esperto oltre che nell’esercizio della propria autonomia contrattuale, le parti possono stipulare durante il percorso di negoziazione volto al superamento della crisi e proprio per favorirne il buon esito. Naturalmente, sono radicalmente diversi da quelli finali che consentono la chiusura delle trattative e la fine della composizione negoziata (art. 23, comma 1, come eventualmente integrato sulla base delle osservazioni concernenti lo stesso).
1.2. D’altra parte, la ragione della collocazione di tale previsione nell’articolo 22 la si rinviene esaminando il modo in cui è stata effettuata la trasfusione dall’art. 10, comma 2 del d.l. n. 118 del 2021. Nel decreto legge, l’invito da parte dell’esperto alla rinegoziazione della stessa tipologia di contratti, qualora la prestazione fosse divenuta eccessivamente onerosa per effetto della pandemia, è disciplinato nello stesso articolo che elenca le autorizzazioni del tribunale e prevede, nello stesso comma, la previsione della rideterminazione a opera del giudice, su richiesta dell’imprenditore, in mancanza di accordo.
Nella relazione illustrativa si dà atto della volontà del Governo di non inserire nel Codice la rideterminazione giudiziale del contenuto dei contratti, per essere la stessa collegata all’emergenza sanitaria, destinata a esaurirsi nel tempo. Coerentemente, lo schema di decreto legislativo (art. 45, comma 1, lett. b), n. 2) ha modificato il primo periodo dell’art. 10, comma 2, per collegarlo all’esperto della composizione negoziata e non ha abrogato il secondo periodo dello stesso comma, restato vigente per le composizioni negoziate solo in collegamento con la pandemia cui fa espresso riferimento il primo periodo.
1.3. In conclusione, si tratta di un mero refuso e allo stato attuale della sistematica del Titolo II, troverà idonea collocazione nell’articolo 17, comma 5, insieme alla previsione delle strategie individuate dall’esperto.
Articolo 23 (Conclusione delle trattative)
1. In generale, deve dirsi, come emergerà dal prosieguo delle osservazioni, che la tripartizione della disposizione in tre commi e i contenuti di ciascuno dei commi articolati in più lettere (il comma 1 e il comma 3) non coincide con la distinzione netta – che sarebbe preferibile ai fini di chiarezza – tra esiti favorevoli delle trattative svolte durante il percorso della composizione negoziata che si concludono con un accordo extragiudiziario ed esiti negativi delle stesse, che aprono le porte alle procedure di regolazione della crisi, per così dire ordinarie, e alle procedure liquidatorie, nonché alla procedura specifica prevista come possibile esito della composizione negoziata, costituita dal concordato semplificato liquidatorio. Inoltre, sarebbe opportuna la collocazione del comma 2 nell’attuale comma 3 perché l’unica differenza rispetto alla procedura ordinaria ivi regolata è la “misura premiale”.
1.1. Allo stato, dati i dubbi interpretativi emersi (cfr. diverse opzioni possibili circa la lett. b) del comma 1 e la lett. a) del comma 3), emerge l’opportunità di un intervento chiarificatore da parte della amministrazione.
1.2. Comunque, una diversa collocazione delle conclusioni delle trattative, renderebbe necessario un raccordo con quegli articoli che, a diversi fini, hanno richiamato congiuntamente l’art. 23, comma 1 e comma 2, sulla base del presupposto che le soluzioni della crisi individuate dal comma 1 e dal comma 2 costituiscono gli esiti positivi della crisi (per esempio, cfr. art. 25-ter, comma 6 per la determinazione del compenso dell’esperto; art. 25-bis, per gli effetti premiali; 25-sexies, primo comma, per il concordato semplificato). Conseguente, sarebbe l’esigenza di una attenta rilettura delle disposizioni del Titolo II, che si raccomanda all’amministrazione di effettuare.
2. Quanto agli effetti degli esiti in esame, si fa rinvio alle osservazioni concernenti l’art. 24.
Comma 1, lett. a) e articolo 25-bis, comma 1
1. La disposizione posta nella lett. a), nell’individuare una delle soluzioni positive della crisi raggiunta mediante un accordo con uno o più creditori, subordina gli effetti fiscali premiali previsti dall’articolo 25-bis, comma 1, alla condizione che dalla relazione finale dell'esperto risulti che l’accordo è idoneo ad assicurare la continuità aziendale per un periodo non inferiore a due anni.
L’art. 25-bis, comma 1, prevede che gli interessi maturati sui debiti tributari nel periodo delle trattative sono ridotti alla misura legale se le trattative si concludono, non solo con l’accordo di cui alla lett. a), ma anche in tutte le ipotesi di conclusione delle trattative previste dal comma 1 e dal comma 2.
1.1. Atteso che l’art. 25-bis prevede una misura premiale rispetto a trattative che conducono a esiti diversi, il mero richiamo dello stesso nella sola lett. a) del comma 1 - e non anche nelle altre ipotesi – offusca l’effetto premiale attribuibile all’accordo raggiunto.
1.2. Alternativamente, potrebbe ipotizzarsi: - che gli effetti premiali permangono per il periodo di due anni, quale periodo di continuità aziendale assicurato dall’esperto; - che in questa sola ipotesi gli effetti premiali previsti per il periodo delle trattative si consolidano definitivamente, mentre nelle altre ipotesi richiamate dall’art. 25-bis, comma 1, le riduzioni previste per il periodo delle trattative cessano di operare nel caso di sopravvenienza dell’apertura della procedura di liquidazione giudiziale o di liquidazione controllata o di accertamento dello stato di insolvenza (art. 25-bis comma 6). Conclusione, quest’ultima, che potrebbe spiegare il richiamo dell’art. 25-bis, nella sola ipotesi della lett. a).
1.3. Sulla base delle osservazioni che precedono, si chiede all’amministrazione di valutare la necessità, o meno, di riformulare la lettera a) in modo da eliminare il possibile equivoco.
Comma 1, lett. b)
1. La disposizione individua una convenzione di moratoria, quale uno dei possibili esiti delle trattative svolte durante la composizione negoziata ed è accomunata agli altri esiti favorevoli individuati dalle altre lettere dello stesso comma dal costituire un esito positivo della composizione negoziata. In questo contesto, la precisazione che si tratta di una convenzione di moratoria “ai sensi dell'articolo 62”, non è univoco.
1.1. Stante il rinvio solo “ai sensi” di questo articolo, non è chiaro se l’esito debba essere una convenzione completamente sovrapponibile alla previsione cui si rinvia e, quindi, efficace anche nei confronti dei creditori non aderenti, che abbia per contenuto qualunque misura idonea a fare temporaneamente fronte alla crisi dell’impresa che non comporti rinuncia al credito (comma 1), a condizione che siano rispettate le garanzie a favore dei non aderenti individuate dal comma 2, con la tutela dell’opposizione al tribunale. In tal caso, non è di immediata percezione la ratio sulla base della quale questo esito della composizione negoziata sia individuato come positivo, emergendo tuttalpiù la finalità indiretta di favorire la convenzione di moratoria. 1.1.1. In alternativa, si può ipotizzare che il rinvio “ai sensi” alluda solo al contenuto della convenzione di moratoria e ai suoi effetti, escludendo l’opposizione dinanzi al tribunale proprio per essere la convenzione intervenuta all’esito del percorso extragiudiziario della trattativa agevolata da un esperto e non all’esito di una ordinaria trattativa; in una situazione, quindi, in cui la veridicità dei dati aziendali, l’idoneità a disciplinare provvisoriamente gli effetti della crisi e la ricorrenza delle condizioni di garanzia per i creditori non aderenti siano state attestate da un esperto all’esito delle trattative.
1.2. In ragione delle alternative prospettate, si chiede all’amministrazione di meglio precisare la portata del rinvio, soprattutto in riferimento all’opposizione. Comunque, si chiede di raccordare la disposizione con l’esperto, che è proprio della composizione negoziata, in luogo del professionista indipendente, nominato dal debitore (secondo la definizione dell’art. 2, comma 1, lett. o), previsto nell’art. 62.
Comma 3, lett. a)
1. In collegamento con il comma 1, va messa in rilievo quella che a prima vista appare una collocazione non idonea della lett. a) nel comma 3.
1.1. Mentre il comma 1 elenca gli esiti positivi delle trattative in sede di composizione negoziata, collocazione cui si collega la ratio di altre disposizioni, quella in argomento prevede, quale alternativa al buon esito delle trattative, la predisposizione di un piano attestato di risanamento di cui all’art. 56; articolo non modificato nello schema di decreto.
Si tratta di uno strumento stragiudiziale non soggetto a omologazione, come emerge chiaramente dalla collocazione nella sezione I, contrapposta alla sezione II, che individua gli strumenti extragiudiziari soggetti alla omologazione. Quindi, quando l’esito delle trattative è un piano attestato di risanamento che ha i contenuti dell’articolo 56, la composizione si chiude con le trattative e ne costituisce il buon esito. Quindi la previsione andrebbe spostata nel comma 1. Peraltro, sarebbe necessario un adattamento alla composizione negoziata rispetto al comma 4 dello stesso art. 56. Questo, infatti, richiede che l’attestazione sia effettuata da un professionista indipendente, mentre alle trattative che siano eventualmente approdate a quel piano ha indubbiamente partecipato l’esperto.
1.2. In alternativa, si può ipotizzare che l’amministrazione, nel collocare questa ipotesi di soluzione nel comma 3, concernente solo l’esito negativo delle trattative in sede di composizione negoziata, abbia inteso riferirsi proprio alla fattispecie disciplinata dall’art. 56, nella quale è il professionista indipendente che attesta il piano di risanamento, perché l’esperto – al contrario di quanto necessario per integrare la conclusione delle trattative prevista nel comma 1, lett. c) – non ha sottoscritto l’accordo. In tal caso, la previsione della lett. a) del comma 3, risulterebbe ben collocata e si aggiungerebbe a tutti gli esiti ordinari della crisi di impresa, dai quadri di ristrutturazione preventiva alle procedure di insolvenza, in quanto strumenti non preclusi dall’esito negativo delle trattative.
1.2.1. Se l’intento dell’amministrazione fosse quest’ultimo, sarebbe opportuno anticipare nell’incipit del comma 3, che si tratta di esiti negativi delle trattative (cfr. osservazione formale).
Comma 2
1. La disposizione prevede la possibilità che l'imprenditore, all'esito delle trattative, chieda l'omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi degli articoli 57, 60 e 61 e prevede una misura di favore (la diversa percentuale di cui all’articolo 61, comma 2, lettera c), se il raggiungimento dell’accordo di ristrutturazione risulta dalla relazione finale dell'esperto.
1.1. All’evidenza, si tratta di uno strumento di regolazione della crisi che necessita del procedimento dinanzi all’autorità giudiziaria e che, sulla base della ripartizione tra commi contenuta nello schema di decreto, troverebbe idonea collocazione nell’attuale comma 3. D’altra parte, la stessa relazione sottolinea che, a differenza del comma 1, che ha per oggetto la conclusione di accordi “interamente stragiudiziali”, il comma 2 prevede l’ipotesi di un accordo di ristrutturazione dei debiti secondo la disciplina del Codice. Con la conseguenza che l’unica differenza consiste nella previsione favorevole suddetta, per essere l’accordo intervenuto all’esito delle trattative, garantite dall’esperto.
Comma 2, comma 3, lett. c) e procedimento unitario ai sensi dell’art. 40
1. Gli esiti delle trattative individuati nel comma 2 e nella lett. c) del comma 3 (della esclusione della lett. a) del comma 3, si è detto; la lett. b) dello stesso comma si differenzia perché individua come possibile esito delle trattative uno strumento liquidatorio specifico della composizione negoziata) sono accomunati dal necessario ricorso al giudice quando le trattative della composizione negoziata non sono approdate a un esito extragiudiziario. Ciò nei casi: - di accordo di ristrutturazione dei debiti soggetto a omologazione (comma 2); - di possibilità di accedere a un qualunque quadro o procedura di insolvenza (comma 3, lett. c). Né questo tratto comune è messo in discussione dalla previsione di favore volte a incentivare l’utilizzo della composizione negoziata, individuata nello stesso articolo 23, comma 2, consistente nella riduzione della percentuale dei creditori aderenti se il raggiungimento dell’accordo risulta dalla relazione dell’esperto rispetto all’art. 57.
2. Il necessario ricorso al giudice nei casi in esame – cioè gli esiti delle trattative individuati nel comma 2 e nella lett. c) del comma 3 – fa emergere una criticità nel raccordo con la disciplina ordinaria del procedimento unico, regolata dall’art. 40, comma 10.
Nel disciplinare l’accesso alla composizione negoziata, si prevede la necessaria dichiarazione dell’imprenditore in ordine alla pendenza nei suoi confronti di ricorsi per l’apertura della liquidazione giudiziale o per l’accertamento dello stato di insolvenza (art. 17, comma 3, lett. d). Questi processi restano pendenti, anche se è preclusa la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale o di accertamento dello stato di insolvenza sino a che persistono le misure protettive (art. 18 comma 4 e art. 19, comma 6), sino all’archiviazione della composizione negoziata (art. 18, comma 4 e art. 17, commi 5 e 8) e sono tra loro collegati per le misure cautelari, nel senso che: - le misure già concesse nei primi restano anche dopo l’apertura della composizione negoziata, e lo stesso giudice può emetterne di nuove anche durante la composizione negoziata (art. 54, comma 1, penultimo periodo) tenendo conto di quelle concesse o confermate ai sensi dell’art. 19; - che il giudice della composizione negoziata nel decidere sulle misure chieste in quella sede, tiene conto di quelle eventualmente già concesse nel corso di quei procedimenti pendenti (art. 19, comma 4 penultimo periodo).
2.1. L’art. 40, nel disciplinare la domanda di accesso ai quadri di ristrutturazione preventiva e alla liquidazione giudiziale, nel comma 10 dispone che “Nel caso di pendenza di un procedimento per la apertura della liquidazione giudiziale introdotto da un soggetto diverso dal debitore, la domanda di accesso a un quadro di ristrutturazione preventiva è proposta nel medesimo procedimento, a pena di inammissibilità, entro la prima udienza e non può essere proposta autonomamente sino alla conclusione del primo procedimento”.
Appare evidente che – a prescindere dalla osservazione attinente propriamente solo a questo comma svolta nell’articolo 40 – l’imprenditore sarebbe impossibilitato a utilizzare il procedimento unitario, quando, all’esito negativo della trattativa in sede di composizione negoziata, deve rivolgersi al tribunale per una delle soluzioni incentivate dall’art. 23 (comma 2), oppure per tutta l’ampia gamma di casi di cui allo stesso art. 23, comma 3, lett. c). Infatti, da un lato può essere stata pronunciata la sentenza di liquidazione per essere venute meno le condizioni di cui all’art. 18, comma 4, dall’altro avrebbe dovuto proporre la domanda entro la prima udienza e, comunque, gli è vietato di proporla autonomamente sino a che il giudizio di liquidazione giudiziale pendente non sia concluso.
2.1.1. Ne consegue la necessità di un raccordo e l’individuazione di termini diversi rispetto a tale ipotesi se si vuole che all’esito negativo della composizione negoziata sia ancora possibile l’utilizzo dei quadri di ristrutturazione per favorire la composizione della crisi. Salvo che l’amministrazione esponga nella relazione le ragioni che possano giustificare tale scelta, la quale presuppone il favore verso procedure liquidatorie piuttosto che verso procedure di regolazione della crisi, in contraddizione con lo spirito della direttiva.
Articolo 24 (Conservazione degli effetti)
1. La disposizione prevede regole valevoli solamente per la fase delle trattative della composizione negoziata caratterizzata dalla presenza dell’esperto, così escludendo dall’ambito di applicazione qualunque trattativa avviata tra le parti prima dell’istanza pubblicata nel registro delle imprese (art. 18, comma 1).
1.1. In questo articolo, l’affermazione in positivo della responsabilità personale dell’imprenditore che ha gestito l’impresa per gli atti compiuti (comma 4) nel periodo temporale assunto come rilevante, si coniuga: a) con la disciplina (comma 1) delle condizioni necessarie affinché conservino effetti gli atti autorizzati dal tribunale ai sensi dell’art. 22; b) con la disciplina delle azioni revocatorie rispetto ad atti, pagamenti e garanzie, posti in essere dall’imprenditore non spossessato (commi 2 e 3); c) con la condizione necessaria affinché i reati di bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice non si applichino ai pagamenti e alle operazioni compiute dall’imprenditore.
1.2. Gli atti autorizzati dal tribunale ai sensi dell’art. 22 sono preservati a condizione che l’imprenditore, nel caso di esito negativo delle stesse trattative, abbia positivamente concluso una delle procedure di regolazione della crisi, oppure abbia aperto una procedura liquidatoria, anche semplificata quale quella specifica per la composizione negoziata prevista dall’art. 25-sexies.
1.3. Gli atti posti in essere dall’imprenditore sono sottratti alle azioni revocatorie a condizione che siano stati coerenti rispetto all’andamento, allo stato delle trattative e alle prospettive di risanamento esistenti al momento in cui sono statti compiuti (comma 2). Sono, invece, assoggettati completamente alle stesse azioni quando risulta pubblicato nel registro delle imprese il dissenso dell’esperto e quando il tribunale ha rigettato la richiesta di autorizzazione (comma 3). In tal modo, si differenzia la gestione dell’impresa, a seconda: - che sia ordinariamente volta a evitare il pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell’attività in vista del superamento della crisi, secondo l’art. 21, comma 1, primo periodo; - che si debba prendere in considerazione il prevalente interesse dei creditori, risultando già lo stato di insolvenza e, nel contempo, risultando concrete prospettive di superamento dello stesso, secondo l’art. 21, comma 1, secondo periodo.
1.3.1. Rispetto al comma 2, si invita a valutare se si intende escludere solo l’azione revocatoria di cui all’art. 116, comma 2, espressamente richiamato, e non anche le ipotesi di cui al comma 1 dello stesso articolo.
Rispetto al comma 3, il richiamo dell’art. 165, dovrebbe essere limitato al solo comma 2.
1.4. La condizione affinché i reati di bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice non si applichino ai pagamenti e alle operazioni compiute dall’imprenditore nello stesso periodo di trattative è individuata – oltre che nell’intervenuta autorizzazione del tribunale – ancora una volta, rispetto alla loro coerenza con l’andamento delle trattative e le prospettive di risanamento dell’impresa, come valutata dall’esperto “ai sensi dell'articolo 17, comma 5” (comma 5).
1.4.1. In proposito, si osserva che non rileva solo la valutazione dell’esperto in ordine all’assenza di concrete prospettive di superamento della crisi, segnalata oltre che all’imprenditore anche al segretario generale della camera di commercio, ai fini dell’archiviazione della composizione negoziata (art. 17, comma 5, ultimo periodo). Rileva, anche la valutazione dell’esperto rispetto agli atti di straordinaria amministrazione dell’imprenditore, come non coerenti con le trattative in corso e con le prospettive di risanamento e, comunque, come idonei ad arrecare pregiudizio ai creditori (art. 21, commi 2 e 3). Ipotesi, queste, che legittimano l’esperto a pubblicare il proprio dissenso nel registro delle imprese e che lo obbligano a farlo se ravvisa il pregiudizio dei creditori (comma 4 dello stesso art. 21).
1.4.2. Sulla base di tali considerazioni questa Commissione speciale ritiene che nel comma 5 sia necessario l’espresso richiamo, oltre che all’art. 17, comma 5, ultimo periodo, anche dell’art. 21 comma 4, al fine di perimetrare i confini di operatività della condizione per la non applicabilità dei reati di bancarotta.
2. In riferimento all’articolo in argomento, resta da aggiungere che l’amministrazione potrebbe valutare se integrare il comma 4, specificando che si tratta di responsabilità civile.
3. La complessiva regolamentazione sopra descritta rispetto al periodo delle trattative, appare in sintonia con i tratti peculiari della composizione negoziata, quale strumento extragiudiziario offerto alla scelta dell’imprenditore, posto in grado di rilevare prontamente la crisi con gli strumenti di allerta, quando sussistono concrete possibilità di un superamento consensuale in tempi brevi. In particolare, si rileva la compatibilità con: - la continuità nella gestione dell’impresa durante le trattative con i creditori; - la presenza costante dell’esperto, che valuta la percorribilità del concreto superamento della crisi insieme ai creditori e rileva prontamente la mancanza delle condizioni per il suo superamento, nonché gli atti potenzialmente contrari agli interessi creditori, esprimendo un dissenso reso pubblico e conosciuto dal giudice; - la tutela dei creditori interessati, garantita dall’immediato intervento del giudice, attraverso fasi incidentali giurisdizionali; - l’autorizzazione di nuovi finanziamenti da parte del giudice, con conservazione degli effetti nell’ambito delle successive ordinarie procedure di crisi o di insolvenza qualora le trattative non hanno esito positivo, mantenendo ferma la responsabilità dell’imprenditore; - la possibilità di accedere anche a strumenti di regolazione della crisi più vantaggiosi degli ordinari, quali il concordato semplificato se l’imprenditore si è comportato secondo buona fede e correttezza, o la richiesta di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti più vantaggioso, per incentivare l’utilizzazione preventiva del percorso extragiudiziario.
3.1. Si potrebbe allora trarre la conclusione che, nella disciplina delle condizioni previste per sottrarre gli atti compiuti durante le trattative alle azioni revocatorie e nella disciplina delle condizioni previste per la non applicabilità dei reati di bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice ai pagamenti e alle operazioni compiute dall’imprenditore nello stesso periodo, non sia ravvisabile una irragionevole condizione di favore per l’imprenditore che sceglie il nuovo strumento. Piuttosto, appare ravvisabile una scelta coerente con i tratti essenziali della composizione negoziata, che si colloca lungo una direttrice di continuità – senza per questo voler offuscare le sostanziali differenze - rispetto alla regolazione degli esiti delle procedure a carattere giudiziario: - si pensi alla esclusione delle azioni revocatorie su atti in esecuzione del piano attestato di risanamento (art. 56), prevista dall’art. 166, comma 3, lett. d), dove il professionista indipendente assume un “peso” analogo a quello dell’esperto; - si pensi all’esclusione dei reati di bancarotta per gli atti in esecuzione di procedure ordinarie di risoluzione della crisi omologati dal giudice (art. 324), dove l’omologazione assume un “peso”, certamente diverso, ma non totalmente dissimile dalla garanzia che nella composizione negoziata è assicurata dalla possibilità per i creditori di chiedere e ottenere l’intervento del giudice a tutela dei loro diritti.
4. Parallelamente, rispetto agli esiti possibili delle trattative disciplinati dall’art. 23, si potrebbe ravvisare una analoga linea di continuità con l’art. 324 nella sottrazione ai reati di bancarotta degli atti in esecuzione di strumenti di regolazione della crisi giudiziari, anche preventivi. Infatti, quando il percorso extragiudiziario svolto durante la composizione negoziata conduce all’esito positivo ottimale, costituito da un accordo contenente un piano di risanamento coerente con il superamento della crisi o dell’insolvenza, sottoscritto dai creditori e dall’esperto, oltre che dall’imprenditore, gli effetti previsti (art. 23, comma 1, lett. c) sono gli stessi che il Codice prevede all’art. 56, per il caso di piano attestato di risanamento proposto dall’imprenditore ai creditori e attestato dal professionista indipendente, nel caso di esito totalmente negativo delle trattative, come mette in luce anche la relazione (art. 23, comma 3, lett. a), considerando l’ipotesi alternativa di cui si è detto nelle osservazioni concernenti tale articolo). Peraltro, che il piano attestato di risanamento di cui all’art. 56, proposto dall’imprenditore in esito alle infruttuose trattative svolte durante la composizione negoziata, sia autonomamente riconducibile all’art. 324, non può dubitarsi sulla base della espressa previsione normativa, ivi contenuta.
4.1. Né può porsi il problema della mancata ricomprensione nell’art. 324 degli ulteriori accordi previsti dall’art. 23, comma 1, che la relazione riconduce ad accordi extragiudiziari (impregiudicate le osservazioni specifiche svolte relativamente a essi), atteso che né la lettera a), né la lett. b) sono risolutivi della crisi dell’impresa, essendo il primo astrattamente idoneo ad assicurare la continuità aziendale per almeno due anni e il secondo a consentire una convenzione di moratoria adatta a disciplinare in via provvisoria gli effetti della crisi e non a risolverla. Invece, in caso di esito negativo della composizione negoziata, la possibilità di accedere a uno dei quadri di ristrutturazione preventiva (comma 3, lett. c) rientra direttamente nella previsione dell’art. 324, per l’ipotesi che si pervenga alla relativa omologazione.
5. Solo per completezza, resta da esaminare l’area della possibile rilevanza penale della condotta dell’imprenditore, che precede l’esercizio della opzione di utilizzare lo strumento extragiudiziario della composizione negoziata, qualora l’utilizzo di questo non sia approdato a una delle soluzioni rientranti nella non applicabilità dei reati di bancarotta, delle quali si è detto, ed è aperta una procedura di liquidazione giudiziale. In particolare, tale profilo rileva rispetto ai doveri dell’imprenditore di adottare le misure idonee e, se collettivo, di istituire un assetto organizzativo idoneo a consentire la rilevazione tempestiva della crisi, secondo le previsioni dell’articolo 3.
5.1. Questo principio generale, come sostituito dall’art. 2, comma 1, dello schema di decreto, direttamente riferibile anche alla composizione negoziata (cfr. § 2 del considerato), attua la direttiva (art. 3, §1 e 2, lett. a) nella parte in cui ricollega gli obblighi dell’imprenditore all’utilizzo degli strumenti di allerta precoce messi a disposizione di tutti gli imprenditori, quali la lista di controllo particolareggiata per effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento, e ai meccanismi di allerta individuati nel Titolo II del Codice.
5.2. In questa disposizione, i segnali di allarme della crisi di impresa, quali, a titolo di esempio, la verifica della non sostenibilità dei debiti in assenza di prospettive di continuità aziendale per i successivi dodici mesi (secondo la definizione introdotta con la modifica della lett. a) dell’art. 2), sono temperati dal rilievo attribuito, oltre al tempo trascorso dalla scadenza, a un rapporto, diverso a seconda delle tipologie di debiti, che ne consente l’ancoramento a elementi qualitativi, quali, a titolo di esempio, la percentuale dei debiti scaduti sul totale delle esposizioni (comma 4, let. c), pur risentendo delle criticità rilevate rispetto ai creditori qualificati (cfr. osservazioni all’art. 25-nonies). Soprattutto, la disposizione in esame introduce un parametro elastico, secondo il quale gli squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario rilevanti al fine di adottare le misure e gli assetti organizzativi idonei a consentire la rilevazione tempestiva della crisi, ai sensi dell’art. 2086 cod. civ., vanno comunque rapportati oltre che alle caratteristiche specifiche dell’impresa alla tipologia dell’attività del debitore (comma 3, lett. a).
5.3. In definitiva, potrebbe concludersi nel senso che la disposizione in esame, dando contenuto al dovere degli imprenditori, individuali e collettivi, di adeguare l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile alla natura e alle dimensioni dell’impresa finalizzato alla rilevazione tempestiva della crisi, previsto dall’art. 2086 cod. civ. (come modificato proprio dal Codice della crisi), consente di perimetrare quali segnali di allarme in rapporto con la clausola elastica, qualora sottovalutati dall’imprenditore, possano astrattamente rientrare nell’area di rilevanza penale. In questa direzione opera sicuramente il criterio elastico, che consente di rapportare gli squilibri emersi dai vari indicatori con le caratteristiche specifiche dell’impresa e con la tipologia dell’attività esercitata, così temperando la valenza del singolo segnale di allarme individuato dal comma 4.
5.3.1. Inoltre, assumendo come punto di vista le fattispecie penali astrattamente rilevanti, emerge la necessaria verifica di compatibilità nell’applicazione, alla mancata tempestiva rilevazione della crisi, della fattispecie penale della bancarotta fraudolenta, che ha per oggetto pagamenti e simulazione di titoli di prelazione, anche precedenti alle trattative, che siano effettuati allo scopo di favorire qualche creditore a danno di altri (art. 322, comma 3). Mentre, per la bancarotta semplice appaiono assumere rilievo, secondo l’angolo visuale assunto, solo le previsioni secondo le quali l’imprenditore “ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare l’apertura della liquidazione giudiziale” oppure “ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione di apertura della propria liquidazione giudiziale, o con altra grave colpa.” (art. 323, comma 1, lett. c) e d).
5.4. In conclusione, sulla base delle considerazioni che precedono, sembra potersi concludere che la disciplina introdotta dallo schema di decreto rispetto a tutte le imprese e in riferimento agli obblighi di adottare misure e assetti organizzativi idonei a rilevare tempestivamente lo stato di crisi dell’impresa, non abbia ampliato i margini di discrezionalità dell’autorità giudiziaria penale nel sindacare, in un momento successivo e quando l’impresa sia in liquidazione, l’eventuale mancata considerazione da parte degli imprenditori dei segnali di allarme emersi nel momento iniziale della crisi.
Articolo 25-ter (Compenso dell'esperto)
1. Il comma 1, che costituisce il perno dell’articolo in esame, prevede otto scaglioni in rapporto all’ammontare dell’attivo dell’impresa debitrice (comma 9) e, rispetto a ogni scaglione, individua una percentuale fissa del compenso.
Questo meccanismo di calcolo opera all’interno di un massimo di euro 400.000,00 e di un minimo di euro 4.000,00 (comma 3), con l’unica radicale eccezione (comma 8), che fissa il compenso a euro 500,00 se l’imprenditore non si presenta nel giorno della convocazione o se la composizione negoziata è archiviata subito dopo il primo incontro. Inoltre, è individuato un compenso fisso orario per la partecipazione alle consultazioni sindacali durante le trattative della composizione negoziata (art. 16, comma 8).
1.1. La regola centrale posta dal comma 1 è poi utilizzata come base per le rideterminazioni in aumento, in caso di vendita del complesso aziendale o di individuazione di un acquirente da parte dell’esperto, o rapportate al numero crescente dei creditori e delle parti interessate¿che partecipano alle trattative, o in diminuzione per un solo caso (comma 4).
1.2. Infine, coerentemente con la previsione della direttiva (art. 27 §4) anche se non direttamente riferibile alla composizione negoziata, secondo la quale la disciplina della remunerazione deve perseguire l’obiettivo di un espletamento efficiente delle procedure, si prevede un aumentato del 100 per cento in tutti i casi in cui l’esito delle trattative conduce alla conclusione del contratto, della convenzione o degli accordi (art. 23,¿commi¿1¿e 2), con un ulteriore incremento del 10 per cento per il caso in cui l’esperto sottoscrive l’accordo (art. 23, comma 1, lettera¿c); esiti, che costituiscono le soluzioni auspicate dal legislatore per la composizione negoziata.
2. Risulta evidente che l’individuazione di una percentuale unica operante rispetto a ciascun scaglione determinato sulla base dell’attivo (comma 1) e il criterio della rideterminazione dell’importo in aumento ed, eccezionalmente in diminuzione, sulla base della ragionevole presunzione che l’attività dell’esperto è stata più complessa se il numero delle parti è stato alto o molto basso, non sono da soli idonei a consentire che la determinazione del compenso tenga conto anche dell’attività in concreto svolta rispetto ai risultati perseguiti. È assente, infatti, ogni riferimento al parametro elastico della diligenza e dell’impegno nello svolgimento in concreto dell’attività dell’esperto.
2.1. Pertanto, la disposizione potrebbe essere modificata prevedendo per ciascun scaglione una percentuale minima e una massima, secondo il metodo utilizzato per molti professionisti, e all’interno di questi valori percentuali opererebbero criteri elastici quali l’opera prestata, la sua complessità, la diligenza e sollecitudine nell’espletamento dell’incarico in collegamento con i risultati ottenuti.
3. Quanto alla liquidazione del compenso (comma 11), la disposizione in argomento lo rimette in via ordinaria all’accordo delle parti, coerentemente con il carattere extragiudiziale della composizione negoziata. In mancanza dell’accordo la liquidazione è attribuita alla commissione a composizione mista che nomina l’esperto (art. 13, comma 6).
Pur nella consapevolezza che nell’ordinamento sono presenti fattispecie – per il compenso del curatore e per il commissario giudiziale, secondo l’art. 137 del Codice – nelle quali la determinazione del compenso non è reclamabile, si rimette alla amministrazione di valutare l’opportunità dell’introduzione di un reclamo. In tal direzione rileva, sia pure indirettamente la direttiva (art. 27 §4, secondo periodo), secondo la quale “Gli Stati membri provvedono affinché siano istituite procedure adeguate per risolvere eventuali controversie in materia di remunerazione.”.
Si potrebbe, per esempio, ipotizzare un reclamo al segretario della camera di commercio competente.
4. Infine, in riferimento al comma 12, andrebbe espunto “ai sensi dell’art. 6”.
Come si è detto nelle osservazioni concernenti l’art. 22, l’articolo 6, collocato tra i principi generali del Titolo I, capo II, individua i crediti prededucibili nel Codice, che si aggiungono a quelli già qualificati come tali dalla legge e non sono riferibili alla composizione negoziata. La prededucibilità del compenso dell’esperto è sufficiente che sia prevista nell’articolo in commento. Inoltre, nei raccordi tra principi generali e Titolo II, si è prospettato il richiamo, nell’art. 6 della previsione in argomento.
Articolo 25-quater (Imprese sotto soglia)
1. La disciplina delle “imprese sotto soglia”, quale risulta dalla disposizione in argomento, presenta alcune criticità che ne consiglierebbero una completa riformulazione da parte dell’amministrazione.
2. In primo luogo, andrebbe modificata la rubrica, perché se, come ritiene questa Commissione speciale, l’impresa sotto soglia corrisponde alla definizione di “impresa minore”, contenuta nell’art. 2, comma 1, lett. d), va utilizzata tale definizione.
3. Una prima criticità si rileva nella individuazione dei soggetti che possono accedere alla procedura semplificata.
La disposizione (comma 1) li individua utilizzando il rinvio alla definizione di “sovraindebitamento”, di cui all’art. 2, comma 1, lett. c), ed estrapolando “l’imprenditore commerciale e agricolo” dall’insieme più ampio dei soggetti cui è riferibile il sovraindebitamento, dove non emerge il richiamo alla dimensione dell’impresa (come rilevato nel parere di questo Consiglio n. 2854 del 2018). L’utilizzo di questa tecnica indiretta non appare adeguato. Se l’intento dell’amministrazione, come appare certo, è quello di consentire l’accesso a questo strumento solo agli imprenditori minori, compresi quelli agricoli, per far risultare chiaramente i soggetti ai quali essa è rivolta sarebbe necessario cambiare in tal modo l’incipit del comma 1: “L’imprenditore minore, anche agricolo, di cui all’articolo 2, comma 1, lett. d)”.
4. Una seconda criticità attiene a un profilo essenziale nella composizione negoziata, che è costituito dalla richiesta di accesso alla procedura extragiudiziaria mediante la contestuale richiesta della nomina di un esperto.
In questa direzione rileva:
- la previsione (comma 2) che l’istanza per l’accesso possa essere presentata, secondo la scelta dell’istante, sia all’organismo di composizione della crisi (OCC), il quale svolge i compiti previsti dal Codice nell’ambito della composizione assistita della crisi da sovraindebitamento, sia alla camera di commercio, come accade per l’accesso alla composizione negoziata “ordinaria”;
- la convivenza non risolta di queste due procedure possibili all’interno dell’articolo in argomento;
- infatti, l’individuazione della disciplina applicabile per l’istanza presentata alla camera di commercio risulta dal richiamo, solo in quanto compatibili, dei commi 3 e 4, dell’art. 13, attinenti all’istituzione dell’albo degli esperti presso le camere di commercio, alle modalità della sua formazione con i requisiti necessari per l’iscrizione nello stesso, mentre nulla si dice, neanche mediante richiamo, per l’istanza da proporre all’OCC;
- l’ultimo periodo del comma 2, si limita a disporre che “La nomina dell'esperto avviene a cura del soggetto al quale è presentata l'istanza.”, ma, non sono richiamati, neanche nei limiti di compatibilità, i commi 6, 7 e 8 dell’art. 13, che disciplinano la nomina dell’esperto da parte della commissione istituita presso la camera di commercio; tantomeno vi è qualche richiamo alla nomina da parte dell’OCC.
4.1. La conseguenza è che non risulta chiaramente individuata la procedura di nomina per nessuna delle due procedure e il comma 4 si limita a richiamare l’articolo che concerne l’accettazione (art. 17, comma 4).
5. Una terza criticità attiene all’esito delle trattative nel rapporto con il corrispondente articolo 23, relativo alla composizione ordinaria (comma 4). Infatti, da un lato si inseriscono esiti diversi da quelli previsti nell’articolo 23 (lett. b) e c), dall’altro, si riproducono (con le lett. a) e d) esiti già previsti nell’articolo 23, e si riproduce anche il comma 2 dell’art. 23 (con la lett. e). Quest’ultimo, peraltro, non è applicabile alle imprese minori, in quanto domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi degli artt. 57, 60 e 61.
6. In riferimento al comma 7, si rileva che l’utilizzo della tecnica del richiamo della disciplina contenuta in altri articoli, condizionato dalla verifica di “compatibilità”, sempre potenziale fonte di problemi in sede di applicazione, è tanto più grave nella regolamentazione di una nuova procedura.
Nell’articolo in esame, la tecnica seguita è stata, per di più, mista. Così, rispetto alla disciplina della composizione negoziata contenuta nel Titolo II del Codice: - si richiamano direttamente solo alcuni commi di un articolo (art. 17); si riproducono alcune delle previsioni contenute in un articolo (art. 23); si richiamano a condizione di compatibilità molti articoli, ma solo alcuni commi (3 e 4) dell’articolo 13, lasciandone fuori altri (1 e 2), nonostante regolino anche i contenuti della piattaforma telematica nazionale, molti dei quali riferibili anche all’impresa minore. Peraltro, la tecnica “a condizione di compatibilità” consente di dedurre che gli articoli del Titolo II non richiamati neanche nei limiti della compatibilità non si applichino.
7. In conclusione, in esito all’esame complessivo dell’art. 25-quater, si prospetta all’amministrazione la valutazione di una scelta tecnica diversa per regolare l’istituto della composizione negoziata “semplificata”.
7.1. L’articolo dovrebbe contenere solo le norme derogatorie rispetto alla disciplina ordinaria, unitamente al richiamo dell’articolo cui si deroga. Tanto vale sicuramente: - per i soggetti che vi possono accedere (comma 1); - per gli allegati all’istanza solo per la lett. b) dell’art. 17, comma 3. Questo metodo consentirebbe la sicura diretta applicabilità delle disposizioni che regolano la composizione negoziata ordinaria.
Inoltre, la disciplina del possibile esito delle trattative (commi 4 e 6), andrebbe raccordata rispetto all’art. 23, escludendo la lett. e) di quest’ultimo articolo, per le ragioni esposte.
Infine, si invita l’amministrazione a rivalutare la scelta della doppia strada per l’accesso alla composizione negoziata mediante la nomina di un esperto, che appare foriera solo di complicazioni applicative.
Articolo 25-quinquies (Limiti di accesso alla composizione negoziata)
1. Si rileva un difetto di coordinamento tra la disposizione che disciplina l’istanza di accesso alla composizione negoziata, contenente la contestuale richiesta di nomina di un esperto (art. 17, comma 1), richiedendo (comma 3) il contestuale deposito di documentazione a supporto della serietà della stessa, e la disposizione (art. 25- quinquies) che, corrispondentemente, individua i limiti di accesso alla procedura.
L’imprenditore, nel presentare l’istanza, deve dichiarare (art. 17, comma 3) di non aver già proposto egli stesso ricorsi (quali la ristrutturazione preventiva e la liquidazione giudiziale (art. 40, nonché le connesse domande per integrare la documentazione e per ottenere le corrispondenti misure protettive e cautelari, artt. 44 e 54), che presuppongono una condizione di squilibrio patrimoniale o economico-patrimoniale in uno stato più avanzato che non rende ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa in via stragiudiziale. Corrispondentemente, l’avvenuta presentazione di tali ricorsi preclude l’accesso alla composizione negoziata (art. 25-quiquies) primo periodo. Tuttavia, solo in quest’ultimo è individuata come causa di non ammissione alla composizione negoziata anche la presentazione del ricorso per accedere al concordato minore per sovraindebitamento (art. 74), senza che nelle relazioni si rinvengano ragioni a fondamento di tale disallineamento.
1.1. Secondo la Commissione speciale, il difetto di coordinamento è superabile adeguando l’articolo 17, comma 3 alle previsioni dell’articolo 25-quinquies, posto che il concordato minore si riferisce alle imprese minori, le quali non sono ammesse agli altri quadri di ristrutturazione.
Art. 25-nonies (Segnalazioni dei creditori pubblici qualificati)
1. La disposizione trasfonde l’art. 30-sexies, del d.l. n. 152 del 2021, nel suo contenuto originario, e introduce l’INAIL tra i creditori qualificati. Si pone in diretta attuazione della direttiva (art. 3 §2, lett. a), quale strumento di allerta dell’imprenditore finalizzato alla sollecita emersione della crisi, disciplinando le segnalazioni che i creditori pubblici qualificati inviano all'imprenditore, in presenza di determinati livelli di esposizione debitoria nei loro confronti. Con la segnalazione, il creditore invita l’imprenditore a valutare se sussistono i presupposti per avviare il percorso extragiudiziario della composizione negoziata (comma 3).
1.1. Ai fini delle segnalazioni rilevano il ritardo nel pagamento – generalmente di 90 giorni – e l’importo complessivo dei debiti in ritardo. Quanto all’applicabilità, si riproduce la tempistica individuata nel decreto legge in riferimento all’anno 2022 rispetto agli accertamenti risultanti ai creditori.
2. Rileva la Commissione speciale che, in assenza di ogni esplicazione nella relazione, appaiono molto bassi gli importi dei crediti che assumono rilievo ai fini della segnalazione, restati anch’essi invariati rispetto alla originaria previsione del decreto legge. Infatti, se si eccettuano i crediti in riscossione (comma 1, lett. d), l’importo è di euro 5.000,00 e di 15.000,00 solo per il ritardo nel versamento dei contributi previdenziali. Essi, inoltre, operano in modo del tutto autonomo rispetto alle dimensioni dell’impresa; profilo che fa emergere la inadeguatezza del mero parametro quantitativo, evidente soprattutto rispetto all’IVA (comma 1, lett. c).
2.1. Pertanto, si invita l’amministrazione a valutare la portata attuale del criterio, che appare risentire di valutazioni effettuate nel periodo della crisi pandemica, dando rilievo alle dimensioni dell’impresa e rideterminando gli importi rilevanti in modo che essi possano perseguire efficacemente l’obiettivo di allerta dello stato di crisi.
3. Si raccomanda all’amministrazione, inoltre, di adeguare i periodi antecedenti all’applicazione delle segnalazioni, tenendo conto della effettiva entrata in vigore del Codice, cui è attualmente collegata l’entrata in vigore dello schema di decreto legislativo.
TITOLO III (artt. da 26 a 55)
Il Titolo III della Parte Prima del Codice è modificato dagli articoli da 7 a 13 dello schema di decreto legislativo.
Si interviene sulla rubrica del Titolo (art. 7 dello schema), sull’art. 26, in tema di giurisdizione (art. 8 dello schema), sugli artt. 27, 28 e 30 in tema di competenza (art. 9 dello schema), sulla rubrica del Capo IV (art. 10 dello schema) e sulla rubrica della Sezione I, nonché sugli artt. 37, 38 e 39 della stessa Sezione, in tema di iniziativa per l’accesso ai quadri di ristrutturazione preventiva e alla liquidazione giudiziale (art. 11 dello schema), apportando le modifiche rese necessarie dalla introduzione della nuova dizione di “quadri di ristrutturazione preventiva”, cui si aggiunge quella delle “procedure di insolvenza”, in luogo della dizione originaria di “procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza”.
Articolo 27 (Competenza per materia e per territorio)
Si segnala – pur non attenendo alla legge di delegazione europea, bensì alla disciplina interna in tema di individuazione del giudice competente – che il testo del primo comma dell’articolo coincide con la disciplina attualmente vigente, che ha creato contrasti giurisprudenziali (cfr. Cass., sez. VI-I, ord. n. 19618 del 2021), per il superamento dei quali potrebbe essere utile un intervento normativo con eventuale decreto “correttivo”.
Articolo 39 (Obblighi del debitore che chiede l’accesso a un quadro di ristrutturazione preventiva o a una procedura di insolvenza)
Il comma 3 non è stato modificato con lo schema di decreto legislativo. Tuttavia, a seguito delle modifiche introdotte all’articolo 44, cui l’art. 39, comma 3, rinvia, è necessario realizzare un migliore coordinamento tra le due disposizioni, dato che, a differenza che nel vigore del testo precedente dell’art. 44, vi è attualmente perfetta coincidenza tra le fattispecie disciplinate da entrambe le disposizioni (che riguardano, in sintesi, la domanda di accesso ai quadri di ristrutturazione – accordi di ristrutturazione, piano di ristrutturazione soggetto a omologazione e concordato in continuità – con riserva di presentare la proposta, il piano e gli accordi, secondo il modulo attualmente previsto dall’art. 161, comma 6, della legge fallimentare, concernente il c.d. concordato in bianco o con riserva).
Pertanto, anche tenuto conto di quanto si dirà a proposito dell’art. 44, si suggerisce di modificare l’incipit dell’articolo 39, comma 3, come segue: “Quando la domanda è presentata ai sensi dell’articolo 44 […]”.
Articolo 40 (Domanda di accesso ai quadri di ristrutturazione preventiva e alla liquidazione giudiziale)
1. La disposizione, pur essendo stata interamente sostituita dall’art. 12, comma 2 dello schema di decreto, presenta quali effettivi elementi di novità, oltre al secondo periodo del secondo comma (necessario per disciplinare il ricorso proposto dalle società, a seguito dell’introduzione dell’art. 120-bis), i commi quarto, nonché nono e decimo.
2. Il comma 4 chiarisce che nel caso di domanda di accesso a un giudizio di omologazione di accordi di ristrutturazione la nomina del commissario giudiziale è rimessa alla valutazione del tribunale (“Il tribunale può nominare un commissario giudiziale o confermare quello già nominato ai sensi dell’articolo 44, comma 1, lettera b”).
La disposizione è attuativa dell’articolo 5, § 2 della direttiva, che prevede che “ove occorra, la nomina da parte dell’autorità giudiziaria o amministrativa di un professionista nel campo della ristrutturazione è decisa caso per caso”.
Tuttavia non appare in linea con la direttiva la previsione di nomina obbligatoria del commissario giudiziale “in presenza di istanze per la apertura della procedura di liquidazione giudiziale” contenuta nel secondo periodo dello stesso art. 40, comma 4.
L’art. 5, § 2, della direttiva consente agli Stati membri di eccettuare “determinate situazioni in cui … possono richiedere sempre la nomina obbligatoria di tale professionista”, così come d’altronde consentito anche dal Considerando 30. Si dubita però che possa rientrare in tale eccezione una nomina obbligatoria e automatica, che prescinde dalla valutazione degli interessi delle parti in una fattispecie - quale è quella della pendenza di istanze di liquidazione giudiziale – che, di per sé, non è assimilabile ad alcuno dei casi in cui lo stesso art. 5, § 3, della direttiva impone “la nomina di un professionista nel campo della ristrutturazione per assistere il debitore e i creditori nel negoziare e redigere il piano” (sospensione generale delle azioni esecutive individuali; ristrutturazione trasversale dei debiti; nomina richiesta dal debitore o dalla maggioranza dei creditori, purché, in quest’ultimo caso, i creditori si facciano carico del costo del professionista).
Va considerato che, come la relazione illustrativa ha cura di precisare, la nomina caso per caso del commissario giudiziale non è compatibile già con due fattispecie di quadro di ristrutturazione previste dal diritto nazionale, vale a dire col concordato in continuità aziendale (caratterizzato da uno spossessamento attenuato, che impone la nomina del professionista) e col piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (per il quale la nomina del commissario giudiziale è obbligatoria, ai sensi dell’art. 64-bis, comma 4, lett. a), dello schema): solo grazie al collegamento, realizzato dal “procedimento unitario”, tra la domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione e gli altri due quadri di ristrutturazione preventiva si è riusciti ad assicurare con riguardo alla nomina del professionista il rispetto della direttiva, come richiesto dall’art. 4, § 5, ultimo inciso.
Inoltre, non va trascurato che il commissario giudiziale è sempre nominato in caso di domanda con riserva ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. b), anche quando questa riguardi l’omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti.
Pertanto, sarebbe opportuno che almeno nel caso di domanda di omologazione di questi ultimi presentata ai sensi dell’art. 40 venga pienamente attuato il divieto di nomina automatica del “professionista nel campo della ristrutturazione” dell’art. 5, § 2, poiché si tratta di uno dei principi cardine della direttiva che rinviene la sua ratio nelle finalità evidenziate dal Considerando 30.
Si suggerisce perciò di modificare l’art. 40, comma 4, ultimo periodo, aggiungendo all’eccezione ivi prevista - che introduce un limite alla discrezionalità dell’autorità giudiziaria - l’inciso finale “quando è necessaria per tutelare gli interessi delle parti istanti”.
Si valuti in conclusione se riformulare l’articolo 40, comma 4, ultimo inciso nei seguenti termini: “[…] la nomina del commissario giudiziale è disposta in presenza di istanze per l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale, quando è necessaria per tutelare gli interessi delle parti istanti”.
2.1. Il quarto comma dell’art. 40 di nuova introduzione sconta inoltre una lacuna normativa, che sarebbe auspicabile venga colmata con eventuale decreto “correttivo”.
Infatti, in disparte quanto previsto dall’art. 41 (riferito al “Procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale”) e dall’art. 48 (rispettivamente comma 1, per il concordato, e comma 4, per gli accordi di ristrutturazione), il procedimento unitario risente della mancanza di una compiuta disciplina della fase introduttiva, che va dal deposito del ricorso alla prima udienza, non essendo regolati la formazione del fascicolo, l’assegnazione alla sezione e la nomina del giudice relatore (a differenza di quanto previsto per il grado di appello dall’art. 51).
Dato ciò, non è chiaro in quale momento processuale e con quali modalità si addivenga alla nomina del commissario giudiziale ai sensi dell’art. 40, comma 4, dal momento che – a differenza di quanto invece previsto dall’art. 44, comma 1, lett. b), riguardante la domanda con riserva, dall’art. 47, comma 2, riguardante l’apertura del concordato preventivo, dall’art. 64-bis, comma 4, riguardante il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione – non vi è, per la domanda di accesso al giudizio di omologazione degli accordi di ristrutturazione, una fase di ammissione che preceda l’omologazione ai sensi dell’art. 48, comma 4.
Sarebbe perciò necessario specificare la forma e il momento del provvedimento di nomina del commissario giudiziale da adottarsi dal tribunale qualora ritenga di procedervi prima del giudizio di omologazione, nel quale lo stesso art. 48, comma 4, contempla presenza e audizione del commissario giudiziale “se nominato”.
3. I commi 9 e 10 introdotti ex novo nell’art. 40 regolano i rapporti tra le domande nell’ambito del procedimento unitario e sono da raccordare con i principi generali sulla trattazione unitaria dei procedimenti previsti dall’art. 7, come modificato dall’art. 4 dello schema di decreto.
I due commi in oggetto non precisano la forma della domanda in pendenza di altro procedimento e gli adempimenti richiesti alle parti, in specie al debitore.
Sebbene si possa ritenere implicito il rinvio ai precedenti articoli 37, 38 e 39, onde evitare incertezze interpretative (prospettate peraltro dai primi commentatori del Codice), si suggerisce di valutare se:
- riformulare il comma 9, primo periodo, nei seguenti termini: “[…] la domanda di apertura della liquidazione giudiziale è proposta, con ricorso ai sensi dell’art. 37, comma 2, e 38, comma 1, nel medesimo procedimento fino alla rimessione della causa al collegio per la decisione.”;
- riformulare il comma 10 nei seguenti termini: “[…] la domanda di accesso a un quadro di ristrutturazione preventiva è proposta, con ricorso ai sensi dell’art. 37, comma 1, e nel rispetto degli obblighi dell’art. 39, nel medesimo procedimento, a pena di inammissibilità, entro la prima udienza […]”.
4. Si osserva inoltre che non è esplicitata nella relazione illustrativa la ragione della differenza di disciplina tra il comma 9, che riguarda la domanda di apertura della liquidazione giudiziale in pendenza di un procedimento di accesso a un quadro di ristrutturazione, e il comma 10, che riguarda la domanda di accesso a un quadro di ristrutturazione in pendenza di domanda di apertura della liquidazione giudiziale proposta da soggetto diverso dal debitore.
Si riscontra, in tale seconda ipotesi, un trattamento deteriore per il debitore in riferimento ai seguenti due profili processuali:
- quanto al termine ultimo per la proposizione della domanda concorrente, che il comma 10 fissa “entro la prima udienza”, mentre il comma 9 consente la domanda di liquidazione giudiziale “fino alla rimessione della causa al collegio per la decisione”;
- quanto alla proponibilità separata della domanda concorrente, che il comma 10 preclude del tutto al debitore che voglia accedere al quadro di ristrutturazione, mentre il comma 9 consente al soggetto istante per la liquidazione giudiziale disponendo che, in tale seconda eventualità, le due domande vengano riunite.
L’art. 40, comma 10, prevede, in particolare, che, in caso di pendenza del procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale introdotto da soggetto diverso dal debitore, “la domanda di accesso a un quadro di ristrutturazione preventiva è proposta nel medesimo procedimento, a pena di inammissibilità, entro la prima udienza e non può essere proposta autonomamente sino alla conclusione del primo procedimento”.
Essa vieta la proposizione in via autonoma della domanda di accesso a un quadro di ristrutturazione preventiva anche quando sia stato soltanto depositato un ricorso ai sensi degli articoli 37, comma 2, e 38, comma 1, del Codice.
La disposizione appare distonica rispetto alla previsione generale dell’art. 7, comma 1 (“Le domanda di accesso ai quadri di ristrutturazione preventiva e alle procedure di insolvenza sono trattate in un unico procedimento e ogni domanda sopravvenuta è riunita a quella già pendente”).
Inoltre, essa non è coerente con i principi e i criteri direttivi enunciati dall’art. 2, comma 1, lett. g), della legge delega n. 155 del 2017 nella parte in cui attribuisce priorità di trattazione alle proposte che comportino il superamento della crisi assicurando la continuità aziendale, nonché con i principi della direttiva riguardanti tale priorità.
Mentre è ragionevole il termine preclusivo della proposizione della domanda di accesso ai quadri di ristrutturazione preventiva “entro la prima udienza” del procedimento pendente per la decisione sulla domanda di liquidazione giudiziale, onde evitare possibili abusi del processo da parte del debitore, meno comprensibile è il divieto di proposizione autonoma, entro lo stesso termine e quindi di riunione nel medesimo procedimento.
Si propone pertanto di valutare l’opportunità della riformulazione del comma 10, inserendo – in luogo dell’inciso “e non può essere proposta autonomamente sino alla conclusione del procedimento” – due ulteriori periodi del seguente tenore: “La domanda di accesso a un quadro di ristrutturazione preventiva può essere proposta separatamente entro lo stesso termine e il tribunale la riunisce, anche d’ufficio, al procedimento pendente.
La domanda non può essere proposta in via autonoma dopo la prima udienza e sino alla conclusione del procedimento pendente.”.
5. Per i rapporti tra l’art. 40, comma 10, e la procedura di composizione negoziata della crisi si fa rinvio a quanto esposto a commento dell’art. 23.
Articolo 43 (Rinuncia alla domanda)
1. Il comma 1, come modificato dall’art. 12, comma 3 dello schema di decreto, prevede, al primo periodo, che “in caso di rinuncia alla domanda il procedimento si estingue, fatta salva la volontà di proseguirlo manifestata dagli intervenuti e dal pubblico ministero”.
La disposizione, se letteralmente interpretata e riferita alla domanda per l’accesso ai quadri di ristrutturazione preventiva, potrebbe risultare di dubbia compatibilità con la previsione dell’art. 4, §§ 7 e 8, della direttiva.
Infatti, l’art. 4, § 7, prevede che “il quadro di ristrutturazione preventiva a norma della presente direttiva è disponibile su richiesta del debitore”; il § 8 consente la deroga “su richiesta dei creditori e dei rappresentanti dei lavoratori”, ma solo “previo accordo del debitore”; l’eccezione è derogabile, a sua volta, ma soltanto quando il debitore non sia una PMI.
Nello schema di decreto col testo a fronte della direttiva si dichiara che l’opzione dell’art. 4, § 8, della direttiva non è stata esercitata.
In mancanza di chiarimenti desumibili dalla relazione, andrebbe esplicitato a quale fattispecie si riferisca “la volontà di proseguire” il procedimento unitario “manifestata dagli intervenuti e dal pubblico ministero”, vale a dire se:
- la prosecuzione riguardi una domanda diversa da quella di accesso al quadro di ristrutturazione preventiva (in specie la domanda di apertura della liquidazione giudiziale) e a quest’ultima riunita nel procedimento unitario; se è così, sarebbe preferibile aggiungere un inciso finale, riformulando la disposizione come segue: “[…] fatta salva la volontà di proseguirlo, manifestata dagli intervenuti o dal pubblico ministero, per l’apertura della liquidazione giudiziale”;
- la prosecuzione riguardi la domanda di accesso al quadro di ristrutturazione preventiva.
In tale seconda eventualità si potrebbe profilare un contrasto con l’art. 4, § 8, della direttiva, che, come detto, richiede l’accordo del debitore.
Va peraltro tenuto presente che l’art. 9, § 1, comma 2, della direttiva consente agli Stati membri di “disporre, precisandone le condizioni, che i creditori e i professionisti nel campo della ristrutturazione abbiano il diritto di presentare piani di ristrutturazione”.
Nello schema di decreto col testo a fronte della direttiva si precisa che questa opzione non è stata esercitata per i professionisti, mentre risulta “esercitata” per i creditori dall’art. 90 del Codice. Quest’ultimo, nel testo già vigente, prevede le proposte concorrenti dei creditori. Andrebbe chiarito, in base al senso che si intende attribuire all’art. 43, quale sia la sorte delle proposte concorrenti in caso di rinuncia del debitore alla domanda ex art. 40.
2. Si suggerisce inoltre di chiarire il senso del secondo periodo dello stesso primo comma dell’art.40, aggiungendo al testo attuale: “Il pubblico ministero può rinunciare alla domanda”, la seguente precisazione: “di apertura della liquidazione giudiziale”, secondo quanto esplicitato nella relazione illustrativa.
Articolo 44 (Concessione dei termini per integrare la domanda di accesso a un quadro di ristrutturazione preventiva)
1.Sembra più coerente col testo, come sostituito dall’art. 12, comma 4, dello schema di decreto, una diversa declinazione della rubrica, pure modificata, che consenta di comprendere sin dal titolo quale sia l’effettivo contenuto della disposizione risultante dopo la sostituzione.
Si suggerisce di valutare l’opportunità di formulare la rubrica come segue: “Domanda di accesso a un quadro di ristrutturazione preventiva con riserva di deposito di documentazione” ovvero “Domanda di accesso a un quadro di ristrutturazione preventiva con riserva di integrazione documentale”.
2. Si evidenzia inoltre che la definizione della fattispecie regolata dalla norma non si rinviene né nell’art. 39, comma 3, né nel testo attuale dell’art. 44.
Quest’ultimo, a differenza del testo originario che riguardava l’accesso a ogni tipologia di concordato preventivo e di accordi di ristrutturazione, è attualmente destinato a disciplinare una particolare tipologia di domanda del debitore che dà luogo a un procedimento (corrispondente, come detto, a quello attualmente disciplinato dall’art. 161, comma 6, della legge fallimentare) che presenta profili significativi di diversità rispetto al procedimento unitario che viene introdotto dal debitore ai sensi dell’articolo 40.
Si suggerisce pertanto di riformulare la parte iniziale dell’art. 44, comma 1, come segue: “Il debitore può presentare la domanda di cui all’articolo 40 con la documentazione prevista dall’art. 39, comma 3, riservandosi di presentare la proposta, il piano e gli accordi. In tale caso, il tribunale pronuncia decreto con il quale: […]”.
Articolo 45 (Comunicazione e pubblicazione del decreto di concessione dei termini)
In conseguenza della modifica degli articoli precedenti e dell’introduzione del Capo I-bis, andrebbe modificato l’articolo 45.
Precisamente:
- il comma 1 non menziona il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione pur potendo la relativa domanda essere avanzata ai sensi dell’articolo 44, come chiarito dall’art. 44, comma 1, lett. a), nel testo modificato dallo schema di decreto legislativo;
- il comma 2 si riferisce all’“eventuale commissario”, malgrado la nomina sia obbligatoria ai sensi dell’art. 44, comma 4, lettera b).
Articolo 48 (Omologazione)
1. Trattandosi di norma che contiene disposizioni processuali, come precisato nella relazione, si suggerisce di completare la rubrica sostituendo a quella modificata dall’art. 12, comma 7, dello schema di decreto (“Omologazione”) la dizione di “Giudizio di omologazione”.
2. La relazione precisa che le disposizioni contenute nell’attuale comma 5 dell’art. 48, che consente l’omologazione degli accordi di ristrutturazione e del concordato preventivo anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria e degli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria, sono state eliminate dall’articolo 48 “per essere trasposte in due separate disposizioni: nell’articolo 63, comma 2-bis per gli accordi di ristrutturazione e nell’articolo 88, 2-bis, per il concordato preventivo”.
Si segnala che la scelta di mantenere il c.d. test di convenienza d’ufficio, in ipotesi di mancata adesione determinante dei creditori fiscali e previdenziali, effettuata con entrambe tali ultime disposizioni (al cui testo è qui sufficiente fare rinvio), non appare in linea con la previsione dell’art. 10, § 2, comma 1, lett. d) e comma 2 della direttiva (che stabiliscono che il rispetto della verifica del “migliore soddisfacimento dei creditori” dissenzienti, è esaminato dall’autorità giudiziaria “solo se il piano di ristrutturazione è stato contestato per tale motivo”). Sebbene si comprendano le ragioni di tutela dei creditori pubblici sottese a tale scelta, il rispetto della direttiva impone di privilegiare soluzioni alternative alla verifica d’ufficio.
3. Si segnala inoltre che l’art. 48, comma 6 (coincidente col comma 7 dello stesso art. 48, prima della soppressione del comma 5 disposta con lo schema di decreto), oltre al difetto di coordinamento col successivo art. 49, non chiarisce, come dovrebbe, quale sia la forma del provvedimento nel caso in cui la pronuncia sull’omologazione non sia di accoglimento della domanda di accesso al quadro di ristrutturazione preventiva (dovendo trattarsi verosimilmente di sentenza, secondo la lettura combinata dello stesso articolo 48 e degli articoli successivi), nel caso in cui la domanda di apertura della liquidazione giudiziale non sia stata proposta (o riunita) nel procedimento unitario.
L’ipotesi in cui invece la domanda di apertura della liquidazione giudiziale debba essere decisa nell’unitario procedimento andrebbe quindi tenuta distinta, chiarendosi, con adeguato coordinamento col successivo art. 49, comma 1 e 2, quale debba essere il contenuto della sentenza, che, in caso di domande riunite, pronunciando negativamente sull’omologazione, dichiara “su ricorso di uno dei soggetti legittimati, l’apertura della liquidazione giudiziale”.
Articolo 49 (Dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale)
1. Facendo seguito a quanto detto a commento dell’art. 48, si segnala che, fermi restando i principi generali di cui all’articolo 7, in caso di pendenza di più domande nel procedimento unitario, e di preferenza accordata alle procedure volontarie rispetto alla liquidazione giudiziale e alla liquidazione controllata, il primo comma dell’articolo 49 presenta una certa ambiguità sulla necessità o meno di un’apposita pronuncia giurisdizionale di inammissibilità, di improcedibilità o di non accoglimento/rigetto della domanda di accesso a una procedura di regolazione della crisi non liquidatoria, prima di dichiarare con sentenza l’apertura della liquidazione giudiziale.
Si valuti perciò se – anche tenuto conto dell’elaborazione giurisprudenziale sul tema dei rapporti fra le due pronunce, pur nell’assetto attuale di pluralità dei procedimenti (cfr. Cass. S.U. n. 1521 del 2013; Cass. S.U. nn. 9934, 9935 e 9936 del 2015; Cass. S.U. n. 27073 del 2016; Cass. S.U. n. 9146 del 2017), destinato a essere superato dal procedimento unitario – formulare più esplicitamente l’inciso iniziale, del comma 1, secondo cui il tribunale dichiara con sentenza l’apertura della liquidazione giudiziale “definite le domande di accesso a un quadro di ristrutturazione preventiva eventualmente proposte”, aggiungendo dopo la locuzione “definite”, il riferimento a un’apposita statuizione.
2. Attualmente risulta inoltre, come detto, un difetto di coordinamento con il precedente art. 48, comma 6, poiché le due disposizioni – art. 48, comma 6, e art. 49, comma 1 – sembrano riferirsi alla medesima situazione processuale, apparendo disciplinare entrambe i possibili esiti del procedimento unitario.
Articolo 51 (Impugnazioni)
1. Le sentenze del tribunale che pronunciano sull’omologazione oppure dispongono l’apertura della liquidazione giudiziale sono reclamabili alla corte di appello ai sensi dell’articolo 51.
La disposizione, nel testo originario e solo in parte modificato, dal d.lgs. n. 147 del 2020, non ha richiesto ulteriori modifiche per il recepimento dell’articolo 16 (Impugnazioni), §§ 1 e 2, della direttiva, salvo l’inserimento - attuato con l’art. 12, comma 10, lett. a) e b), dello schema di decreto - al comma 1 della fattispecie del “piano di ristrutturazione soggetto a omologazione” di nuova introduzione e la modifica al comma 14 per rendere più chiara l’applicazione, in caso di ricorso per cassazione contro la sentenza di rigetto del reclamo, la previsione dell’articolo 52.
2. Con tale ultima modifica si è previsto, dopo il primo periodo dell’art. 51, comma 14 (“Il ricorso per cassazione non sospende l’efficacia della sentenza”) che “Si applica, in quanto compatibile, l’articolo 52 se il ricorso è promosso contro la sentenza con la quale la corte di appello ha rigettato il reclamo”. Si tratta di precisazione opportuna per chiarire le incertezze interpretative dovute alla possibilità, in pendenza di ricorso per cassazione, di sospendere la liquidazione o l’esecuzione del piano o degli accordi, conseguenti alla pronuncia di primo grado, non riformata in appello.
Articolo 52 (Sospensione della liquidazione, dell’esecuzione del piano e degli accordi)
1. L’art. 52 non ha richiesto alcuna modifica per il recepimento della direttiva poiché sostanzialmente conforme alla opzione concessa agli Stati membri dall’articolo 16, § 3, della direttiva (dal momento che, pur prevedendo tale articolo della direttiva la mancanza di effetto sospensivo dell’impugnazione sull’esecuzione del piano di ristrutturazione omologato, consente agli Stati di prevederne la facoltà di sospensione, in tutto o in parte, da parte dell’autorità giudiziaria “qualora ciò sia necessario e appropriato per tutelare gli interessi di una parte”).
2. Vi è da segnalare che l’articolo 52, comma 1, poiché rimasto immutato, non è letteralmente riferito al nuovo strumento del “piano di ristrutturazione soggetto a omologazione”. Dal momento che la norma, pur richiamata dall’art. 51, comma 4, in via generale, non è specificamente richiamata per il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione dagli artt. 64 bis e 64 ter, valuti l’amministrazione se provvedere alla menzione di quest’ultimo nell’art. 52, in correlazione a quanto già previsto per l’articolo 51, comma 1.
Articolo 53 (Effetti della revoca della liquidazione giudiziale, dell’omologazione del concordato e degli accordi di ristrutturazione)
1. Il comma 5, è in linea con l’articolo 16, § 4, comma 1, lettera a), della direttiva, in punto di accoglimento del reclamo avverso l’omologazione del concordato o degli accordi di ristrutturazione dei debiti (“Gli Stati membri provvedono affinché […] l’autorità giudiziaria possa: a) annullare il piano di ristrutturazione […]”).
Con l’articolo 12, comma 11, dello schema di decreto legislativo è stato inserito il comma 5 bis, dando attuazione a quanto previsto dall’articolo 16 § 4, lettera b), della direttiva, cioè alla possibilità di confermare, anche in caso di accoglimento del reclamo, la sentenza di omologazione del concordato preventivo in continuità aziendale quando, in tale eventualità, “l’interesse generale dei creditori e dei lavoratori prevale rispetto al pregiudizio subito dal reclamante”.
Sebbene nello schema delle norme di recepimento con testo a fronte della direttiva si dia per non esercitata l’opzione di cui all’articolo 16, § 4, comma 2, della direttiva (“Gli Stati membri possono prevedere che se un piano è omologato a norma del primo comma, lettera b), sia concesso un risarcimento a qualsiasi parte che abbia subito perdite monetarie e la cui impugnazione sia stata accolta”), in realtà, come d’altronde chiarito nella relazione illustrativa, il comma 5-bis dell’art. 53 provvede proprio in tale ultimo senso.
Sebbene la disposizione della direttiva si sarebbe potuta recepire anche mediante la previsione di un indennizzo, la scelta effettuata dall’amministrazione - permanendo la differenza ben nota al diritto nazionale tra indennizzo e risarcimento - è stata di introdurre una nuova fattispecie di risarcimento del danno.
Questo va riconosciuto in favore del reclamante, limitatamente all’ipotesi di conferma della sentenza di omologazione del concordato preventivo in continuità aziendale, malgrado l’accoglimento del reclamo, sostituendosi alla tutela reale la tutela per equivalente.
Nella relazione illustrativa si dice che il risarcimento del danno “sarà posto a carico del debitore in concordato preventivo”. Tuttavia la disposizione non esplicita né i criteri di quantificazione del danno né le modalità della sua liquidazione, in riferimento al piano omologato. Trattandosi di fattispecie risarcitoria del tutto nuova nel nostro ordinamento, sarebbe opportuno valutare se precisare per via normativa i parametri di determinazione del danno e le modalità di liquidazione del risarcimento, in particolare prevedendo un’apposita modifica del piano (ove questo non contenga già una riserva di fondi destinati allo scopo).
Gli articoli 54 e 55 sono dedicati alle misure cautelari e protettive e al relativo procedimento.
Articolo 54 (Misure cautelari e protettive)
1. La relazione chiarisce che le modifiche apportate dall’art. 13, comma 1, dello schema di decreto sono funzionali, tra l’altro, all’armonizzazione con la disciplina delle misure protettive e cautelari previste dall’articolo 18, comma 1, nell’ambito della composizione negoziata.
Per i rapporti tra la disposizione in oggetto e gli artt. 18 e 19, si rinvia al commento di questi articoli.
In aggiunta a quanto ivi considerato, sembra opportuno che nell’articolo 54 comma 1, secondo periodo (che consente al giudice del procedimento di apertura della liquidazione giudiziale di concedere le misure cautelari anche dopo la pubblicazione dell’istanza di accesso alla composizione negoziata), si preveda una clausola di compatibilità più specifica, che delimiti il contenuto delle misure cautelari concedibili (evidentemente su istanza del P.M. o dei creditori) in funzione della salvaguardia del percorso extragiudiziario attraverso le trattative in corso (in specie con riguardo alla possibilità di disporre la nomina di un custode dell'azienda o del patrimonio).
In alternativa, non apparendo comunque sufficientemente definita la clausola di compatibilità ora prevista, secondo la quale il giudice del procedimento ex art. 54, tiene “conto delle misure eventualmente già concesse o confermate ai sensi dell’articolo 19”, andrebbe inserita quanto meno una previsione che renda la misura cautelare compatibile con lo stato delle trattative.
Pertanto, se non si ritiene di limitare le misure cautelari concedibili (o non concedibili) in pendenza di composizione negoziata, si suggerisce di modificare la disposizione quanto meno nei seguenti termini: “Le misure cautelari possono essere concesse anche dopo la pubblicazione dell’istanza di cui all’articolo 18, comma 1, tenuto conto dello stato delle trattative e delle misure eventualmente già concesse o confermate ai sensi dell’articolo 19”.
2. Suscita perplessità la disposizione introdotta al comma 2, terzo periodo (“Il debitore può chiedere al tribunale, con successiva istanza, ulteriori misure temporanee per evitare che determinate azioni di uno o più creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell’insolvenza, fornendo la prova di avere preventivamente informato della pendenza delle trattative o dell’intenzione di richiedere la concessione delle misure i creditori interessati dall’istanza”), che la relazione indica come di esercizio dell’opzione prevista dall’articolo 6, § 3, della direttiva.
La perplessità consegue alla considerazione che l’articolo 54, comma 2, primo periodo, così come modificato dall’art. 13, comma 1, dello schema di decreto, prevede una sospensione automatica, con la pubblicazione della domanda di cui all’articolo 40 che contenga la richiesta di sospensione delle azioni esecutive individuali, che ha portata generale, riguardante cioè tutti i creditori (“[…] i creditori non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio o sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l’attività d’impresa. […]”) .
La sospensione dell’articolo 54, comma 2, primo periodo, riguarda, in particolare, tutti i tipi di crediti (articolo 6, § 2, della direttiva) e tutti i creditori (articolo 6, § 3, prima parte, della direttiva).
A sua volta, il § 3 dell’articolo 6 della direttiva si esprime nei seguenti termini: “Gli Stati membri possono prevedere che una sospensione delle azioni esecutive individuali possa essere generale, ossia riguardare tutti i creditori, o limitata, ossia riguardare uno o più singoli creditori o categorie di creditori. In caso di sospensione limitata, essa si applica solamente ai creditori che sono stati informati, conformemente al diritto nazionale, delle trattative di cui al paragrafo 1 sul piano di ristrutturazione o della sospensione”.
Tale ultima previsione presuppone che la sospensione sia limitata dal punto di vista soggettivo, cioè riguardare “uno o più singoli creditori o categorie di creditori”, mentre la scelta del legislatore interno è stata, come detto, di estendere la sospensione delle azioni esecutive individuali a tutti i creditori.
Pertanto la norma in commento (art. 54, comma 2, terzo periodo), introducendo in ambito interno “ulteriori misure temporanee” limitate a uno o più creditori, sembra fare riferimento a misure diverse dalla “sospensione delle azioni esecutive individuali”, come definita dalla direttiva all’articolo 2, § 1, n. 4 (“la sospensione temporanea, concessa da un’autorità giudiziaria o amministrativa o applicata per previsione per legge, del diritto di un creditore di far valere un credito nei confronti del debitore, e, se previsto dal diritto nazionale, nei confronti di un terzo garante, nel contesto di una procedura giudiziaria, amministrativa o di altro tipo, o del diritto di confisca o di realizzazione stragiudiziale dell’attivo o dell’impresa del debitore”).
Così intesa, risulta estranea al possibile ambito di applicazione dell’articolo 6, § 3, della direttiva e introduce una misura in eccesso rispetto a quelle richieste dalla direttiva, in apparente contrasto col principio della delega di mantenere il livello di regolazione entro quelli minimi richiesti dalla direttiva.
Valuti l’amministrazione se, in alternativa alla previsione dell’art. 54, comma 2, primo periodo, introdurre una norma analoga a quella dell’art. 18 comma 3, che consente di limitare l’istanza originaria “a determinate iniziative intraprese dai creditori a tutela dei propri diritti o a determinati creditori o categorie di creditori”; in tal caso si giustificherebbe la previsione dell’art. 54, comma 2, terzo periodo.
3. Inoltre, l’articolo 54, comma 2, terzo periodo, pur coerente con la definizione di “misure protettive” contenuta nell’articolo 2, comma 1, lettera p), del Codice (“misure temporanee disposte dal giudice competente per evitare che determinate azioni dei creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell’insolvenza”), non stabilisce, così come quest’ultimo, quale sia il contenuto delle misure in oggetto.
Se tale indeterminatezza è compatibile con la norma definitoria, appare meno giustificabile per la disposizione che detta la disciplina delle misure temporanee “ulteriori” rispetto alla sospensione delle azioni esecutive individuali.
Pertanto, nell’articolo 54, comma 2, terzo periodo, sarebbe preferibile specificare quali azioni o tipologia di azioni ne siano oggetto, potendo l’attuale previsione riguardare letteralmente anche ogni tipologia di azioni di cognizione, con possibile incompatibilità con l’art. 24 Costituzione.
4. La relazione spiega l’introduzione del comma 4 dell’articolo 54 (interamente sostituito dall’articolo 13 dello schema di decreto) come volto a disciplinare la richiesta di misure protettive anche nel caso di domanda di accesso al piano di ristrutturazione soggetto a omologazione di cui all’art. 64-bis, laddove in effetti la disposizione si propone la diversa finalità di consentire la richiesta di misure protettive prima della presentazione di tale domanda.
D’altronde, la domanda contestuale è già disciplinata dall’articolo 54, comma 2, mediante il rinvio all’articolo 40.
Dato ciò, non è chiaro il rapporto tra l’articolo 54, comma 4, e i richiamati articoli 12 e 18, di modo che la domanda di misure protettive “anticipate” rispetto alla domanda di accesso al piano di ristrutturazione soggetto a omologazione sembra prevista come possibile solo in pendenza di composizione negoziata della crisi.
Ma in tale eventualità dovrebbe applicarsi il procedimento previsto dagli artt. 18 e 19, piuttosto che il procedimento dell’articolo 55. Questo d’altronde non richiama in alcuno dei suoi comma le misure protettive richieste ai sensi dell’articolo 54, comma 4.
In sintesi, per evitare incertezze interpretative, se si intende prevedere che l’imprenditore possa giovarsi di misure protettive prima di presentare la domanda per il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione soltanto avvalendosi della composizione negoziata della crisi, si può, alternativamente, affermare esplicitamente tale opzione legislativa ovvero eliminare del tutto il quarto comma dell’art. 54.
Articolo 55 (Procedimento).
1. Con la sostituzione integrale dell’articolo 55, a opera dell’articolo 13, comma 2, dello schema di decreto legislativo, è stata mantenuta la differenziazione del procedimento per la concessione delle misure cautelari e protettive a seconda che si tratti di:
- misure cautelari o protettive la cui operatività presuppone una pronuncia del giudice, vale a dire le misure previste dall’articolo 54, commi 1, 2, terzo periodo e 3 (art. 55, comma 2);
- misure protettive per la cui operatività immediata è sufficiente la richiesta del debitore, salvo successiva conferma (o revoca) da parte del giudice, vale a dire le misure previste dall’articolo 54, comma 2, primo e secondo periodo (art. 55, comma 3).
2. Mentre il comma 2 è stato opportunamente modificato rendendolo omogeneo alla disciplina del procedimento cautelare uniforme, al comma 3 è stata mantenuta la decisione di conferma o revoca dell’effetto protettivo prodotto ai sensi dell’articolo 54, comma 2, primo e secondo periodo, mediante decreto da adottarsi “entro trenta giorni dall’iscrizione della domanda nel registro delle imprese” (articolo 55, comma 3, primo periodo).
L’articolo 55, comma 3, quarto periodo, ha mantenuto la seguente previsione correlata al primo periodo: “Se il deposito del decreto non interviene nel termine prescritto cessano gli effetti protettivi prodotti ai sensi dell’articolo 54, comma 2”. Si viene così a fare dipendere la cessazione degli effetti protettivi da un evento indipendente dalla parte interessata o dalla decisione giudiziale, e anzi conseguente a un ritardo imputabile all’ufficio giudiziario.
Si suggerisce, pertanto, di rivedere tale soluzione per non incorrere o in un non liquet vietato al giudice o in una sorta di rigetto o di revoca implicite o silenti di misure protettive (cfr., nello stesso senso, in riferimento a una norma analoga contenuta nell’articolo 54, comma 5, del testo originario del Codice della crisi e dell’insolvenza, Cons. Stato, Commissione speciale, parere n. 2854 del 2018), oltre che in una possibile violazione del diritto di difesa del debitore incompatibile con l’art. 24 della Costituzione.
3. Intervenendo sull’articolo 55, comma 3, terzo periodo, è stato eliminato il reclamo avverso il decreto, precedentemente previsto mediante rinvio all’articolo 124. La decisione del giudice sulla conferma o revoca della misura “automatica”, cioè sulla conservazione o meno degli effetti sospensivi determinati dalla presentazione della domanda ex art. 40 con richiesta di sospensione, risulta pertanto priva di rimedio impugnatorio.
Considerato che l’art. 6 della direttiva non impone di prevedere tale rimedio per le misure protettive, la disposizione non è in contrasto con la direttiva, tuttavia essa si presenta disarmonica e foriera di disparità di trattamento in ambito interno, considerata la generalizzata previsione del reclamo al giudice superiore avverso il provvedimento che dispone misure di natura cautelare, quale è da ritenersi la sospensione in discorso.
4. Occorre inoltre rilevare che l’articolo 7, § 4, della direttiva impone di prevedere “norme che impediscono ai creditori cui si applica la sospensione di rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti essenziali o di risolverli, anticiparne la scadenza o modificarli in altro modo a danno del debitore, in relazione ai debiti sorti prima della sospensione, per la sola ragione di non essere stati pagati dal debitore. I contratti pendenti essenziali devono essere intesi come […]”.
L’articolo 7, § 5, della direttiva impone altresì di assicurare che “ai creditori non sia consentito di rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti né di risolverli, di anticiparne la scadenza o di modificarli in altro modo a danno del debitore in forza di una clausola che prevede tali misure, in ragione esclusivamente […]” della richiesta o della concessione della sospensione delle azioni esecutive individuali oppure della richiesta di apertura o dell’apertura di una procedura di ristrutturazione preventiva.
All’una e all’altra di tali previsioni è stata data attuazione con l’articolo 21, comma 1, dello schema di decreto legislativo che, intervenendo sulla Parte Prima, Titolo IV, Capo III, Sezione III del Codice, ha inserito al suo interno l’articolo 94-bis.
Si segnala quindi che le citate disposizioni della direttiva sono state attuate soltanto nel concordato preventivo in continuità aziendale (la cui disciplina è richiamata per il concordato minore), mentre la disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti non contiene alcuna norma che attui le previsioni dell’art. 7, § 4 e 5, della direttiva.
Si invita pertanto l’amministrazione a valutare l’estensione delle previsioni attualmente contenute nell’articolo 94-bis anche agli accordi di ristrutturazione dei debiti.
Titolo IV (Strumenti di regolazione della crisi)
Articolo 63 (Transazione su crediti tributari e contributivi)
L’art. 15, comma 3, dello schema di decreto ha modificato l’art. 63, oltre che nella rubrica, inserendo al suo interno il comma 2-bis, contenente la previsione corrispondente a quella dell’attuale articolo 48, comma 5.
In ordine alle perplessità suscitate dalla disposizione si rinvia al commento dell’art. 48. Da questo è stata infatti espunta la previsione – già contenuta nel comma 5 – sull’omologazione degli accordi di ristrutturazione anche in assenza di adesione dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie, mantenendo però nel testo dell’art. 63, comma 2-bis, introdotto con lo schema di decreto, la verifica d’ufficio del c.d. test di convenienza, che presenta i profili di incompatibilità con la direttiva su evidenziati.
Art. 64-bis (Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione)
1.L’art. 16 dello schema di decreto inserisce nel Titolo IV della Parte Prima del Codice un intero nuovo Capo (I-bis) dedicato al piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, che va ad ampliare il novero degli strumenti nazionali di regolazione della crisi o quadri di ristrutturazione preventiva.
Nella relazione illustrativa si motiva la scelta con la volontà di dare attuazione all’articolo 11, § 1, della direttiva “che richiede la previsione di un quadro di ristrutturazione che può prescindere dalle regole distributive delle procedure concorsuali ma che può essere omologato solo se approvato da tutte le parti interessate in ciascuna classe di voto”.
Il riferimento all’articolo 11 della direttiva appare improprio, atteso che la disposizione regola la “Ristrutturazione trasversale dei debiti”, vale a dire la fattispecie esclusa dall’ambito di applicazione dell’articolo 64-bis, perché la ristrutturazione trasversale presuppone che il piano di ristrutturazione non sia approvato da tutte le parti interessate di cui all’articolo 9, § 6, in ciascuna classe di voto.
Con la nota integrativa dell’11 aprile 2022 si è chiarito che le ragioni dell’introduzione della nuova procedura si ricavano dalla lettura combinata degli articoli 9, 10 e 11 della direttiva, di modo che, a fronte di tali disposizioni, si è ritenuto che “la direttiva richiedesse uno strumento nel quale in caso di unanimità l’intervento del tribunale fosse limitato proprio in ragione del consenso ottenuto dai creditori su una proposta che il debitore dovrebbe poter formulare senza vincoli distributivi”.
In realtà, la regola dell’unanimità posta dall’articolo 9, § 6, della direttiva è collegata non tanto al contenuto del piano (e in particolare all’assenza o meno di “vincoli distributivi”) quanto alla possibilità che, in caso di mancanza di classi dissenzienti, si possa prescindere dall’omologazione giudiziale, a meno che non ricorra un’altra delle ipotesi dell’art.10, § 1, lett. b) e c), della direttiva.
L’unanimità delle classi, d’altronde, è stata espressamente considerata con il testo dell’articolo 109, comma 5, per il concordato preventivo in continuità aziendale, come modificato dall’articolo 23 dello schema di decreto (“Il concordato in continuità aziendale è approvato se tutte le classi votano a favore”).
In correlazione, soltanto in caso di dissenso di una o più classi, tenuto conto della necessità di dare attuazione a quanto previsto dall’articolo 11 della direttiva sulla ristrutturazione trasversale dei debiti, lo stesso articolo 109, comma 5, contiene la previsione che “In caso di mancata approvazione si applica l’articolo 112, comma 2”.
Per il caso della mancanza di unanimità provvede appunto l’art. 112, come novellato dall’articolo 24 dello schema di decreto, attuativo sia dell’articolo 10 che dell’articolo 11, § 1, della direttiva.
L’articolo 10 della direttiva ha poi avuto un modesto impatto sul Codice, dal momento che l’ordinamento interno prevede sempre l’omologazione dei piani di ristrutturazione preventiva conformi al modello europeo, essendo soggetti a omologazione sia gli accordi di ristrutturazione dei debiti che il concordato preventivo in continuità aziendale (oltre che il concordato minore per le imprese sotto soglia).
Peraltro anche il “nuovo” piano di ristrutturazione soggetto a omologazione necessita dell’intervento giudiziale di omologazione, malgrado l’approvazione di tutte le classi, quindi nemmeno è utile a limitare la partecipazione dell’autorità giudiziaria, in attuazione dell’art. 4, § 6, della direttiva.
I riferimenti agli articoli 9, 10 e 11 della direttiva non forniscono perciò adeguato supporto alle finalità perseguite col nuovo piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, che la relazione illustrativa indica essere la possibilità di “distribuire il ricavato del piano senza vincoli di distribuzione, facendo salvi i diritti dei lavoratori, per i quali il pagamento è sempre assicurato entro 30 giorni dall’omologazione”, riducendo “al minimo la fase dell’ammissibilità” e fornendo “al debitore una maggiore libertà di azione”.
Orbene, quanto ai profili concernenti il giudizio di ammissibilità e l’omologazione del piano, una volta che questa sia stata prevista come necessaria, l’art. 64-bis appare non del tutto in linea con l’articolo 10, § 3, della direttiva (“Gli Stati membri assicurano che l’autorità giudiziaria o amministrativa abbia la facoltà di rifiutare di omologare il piano di ristrutturazione che risulti privo della prospettiva ragionevole di impedire l’insolvenza del debitore o di garantire la sostenibilità economica dell’impresa”) e con lo stesso articolo 10, § 2, lett. f) (che, in caso di nuovi finanziamenti, richiede la verifica giudiziale che questi siano necessari per l’attuazione del piano e non pregiudichino ingiustamente gli interessi dei creditori).
Infatti, fermo il giudizio di ammissibilità – per il quale il tribunale deve valutare “la ritualità della proposta” e verificare “la correttezza dei criteri di formazione delle classi” (comma 4, in linea con l’articolo 9, § 5, della direttiva) - per l’omologazione del piano di ristrutturazione ex art. 64-bis, il comma 9 esclude l’applicazione articolo 112, il cui comma 1, lettera f), è la norma attuativa delle citate previsioni della direttiva.
Quanto al profilo concernente la “libertà d’azione del debitore”, non trova riscontro in alcuna delle disposizioni della direttiva la scelta, effettuata col primo comma dell’articolo 64-bis, di consentire al debitore di “prevedere il soddisfacimento dei creditori, previa suddivisione in classi degli stessi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei, distribuendo il ricavato del piano anche in deroga agli articoli 2740 e 2741 del codice civile”.
Si tratta di una deroga che non è imposta dalla direttiva, la quale, sia pure nel caso di classe dissenziente, impone agli Stati membri di rispettare comunque il criterio della “priorità”, assoluta o relativa.
La (possibile) deroga ai principi della garanzia patrimoniale e del rispetto delle regole distributive proprie delle procedure concorsuali (pur se attenuata dal richiamo dell’articolo 84, comma 5, contenuto nel comma 9 dell’art. 64-bis), certamente rientra nella discrezionalità del legislatore, ma, nel caso in esame risulta estranea alla legge di delegazione europea.
In definitiva, si sollecita una riflessione sia sugli evidenziati profili di discontinuità con i principi della direttiva sia sui possibili profili di illegittimità costituzionale dell’articolo 64-bis, comma 1, in relazione all’articolo 76 della Costituzione per eccesso di delega, oltre che sui possibili profili di violazione del divieto di gold plating esposti nella parte generale sui quadri di ristrutturazione preventiva.
2.Si segnalano inoltre i seguenti profili di criticità del testo dell’articolo 64-bis.
Comma 7
1. Richiama per le “operazioni di voto” gli articoli 107, 108, 109, commi 5, 6 e 7, 110 e 111.
Risulta un difetto di coordinamento con l’articolo 109, comma 5, dal momento che lo stesso articolo 64-bis, comma 7, secondo periodo, riproduce testualmente la regola dell’articolo 109, comma 5 (“In ciascuna classe la proposta è approvata se è raggiunta la maggioranza dei crediti ammessi al voto oppure, in mancanza, se hanno votato favorevolmente i due terzi dei crediti dei creditori votanti, purché abbiano votato i creditori titolari di almeno la metà del totale dei crediti della medesima classe”), concernente il calcolo delle maggioranze (che, a sua volta, presenta le criticità che verranno segnalate a commento dell’articolo 109, comma 5, cui si rinvia).
La riproduzione integrale di parte soltanto della disposizione, dopo averla richiamata integralmente per le “operazioni di voto”, può creare incertezze interpretative. Per evitare tali incertezze, si propone di eliminare il secondo periodo del comma 7 e/o di specificare i periodi del comma 5 dell’articolo 109 contenenti regole delle operazioni di voto applicabili al piano di ristrutturazione soggetto a omologazione.
2. Infine, appare problematico il richiamo dell’articolo 111 (Mancata approvazione del concordato) che disciplina la fattispecie del mancato raggiungimento delle maggioranze, disponendo che “Se nel termine stabilito non si raggiungono le maggioranze richieste, il giudice delegato ne riferisce immediatamente al tribunale, che provvede a norma dell’articolo 49, comma 1”.
Infatti il mancato raggiungimento delle maggioranze è disciplinato in via autonoma dall’articolo 64 ter, comma 1, con specifico riferimento al piano di ristrutturazione soggetto a omologazione.
Per realizzare un coordinamento tra le due disposizioni si suggerisce di valutare l’eliminazione dall’art. 64 bis del richiamo all’articolo 111 e di richiamare tale articolo o di inserire una disposizione equivalente nell’articolo 64 ter, fatto salvo quanto si dirà a proposito di quest’ultima disposizione.
3. In definitiva, si propone la seguente riformulazione dell’art. 64-bis, comma 7: “Alle operazioni di voto si applicano gli articoli 107, 108,109 commi 5 e 6, e 110”.
Comma 8
1.Al primo periodo si suggerisce di aggiungere dopo “omologa” l’espressione “con sentenza”, anche al fine di meglio raccordare la disposizione con quella dell’art. 48, comma 5, che prevede gli adempimenti successivi e gli effetti della sentenza.
Si valuti anche l’opportunità di un rinvio esplicito all’art. 48, comma 5.
2. I periodi successivi disciplinano l’opposizione del creditore dissenziente che eccepisca il difetto di convenienza, chiedendo il relativo giudizio, in linea con quanto previsto dall’articolo 10, § 2, comma 1, lettera d), e comma 2 della direttiva.
Analogamente a quanto dispone l’articolo 112, comma 3, per il concordato in continuità aziendale, si prevede, nel terzo periodo, che “il creditore che non ha contestato il difetto di convenienza nelle osservazioni formulate ai sensi dell’articolo 107, comma 4, non può proporre l’opposizione di cui al primo periodo, se non dimostra che la mancata contestazione è dipesa da causa a lui non imputabile”.
Si invita a considerare se sia opportuno subordinare al rispetto di un termine di decadenza particolarmente breve (dieci giorni prima della data iniziale prevista per l’espressione del voto), la possibilità che i creditori dissenzienti hanno di contestare con opposizione all’omologazione la convenienza del loro soddisfacimento rispetto a quanto avrebbero percepito nell’ipotesi liquidatoria.
La disposizione è analoga a quella prevista per il concordato in continuità aziendale dall’articolo 112, comma 3, che presenta il medesimo profilo di criticità, ma attenuata nel concordato in continuità, per i crediti tributari e contributivi, oltre che dall’art. 88, dall’art. 85, comma 2 (che impone la formazione di apposita classe per i titolari di crediti tributari o previdenziali dei quali non sia previsto l’integrale pagamento).
Si evidenzia che invece queste ultime norme non sono applicabili al piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (art. 64-bis, comma 9, non richiama l’art. 85 né l’art. 88).
Si evidenzia altresì che, nella fattispecie in esame, il c.d. test di convenienza acquista notevole importanza se si considerano l’ampia deroga agli artt. 2740 e 2741 cod. civ. consentita dall’art. 64 bis, comma 1, e il rischio che possano venire pregiudicati i creditori pubblici, che non abbiano votato nella classe di appartenenza.
Si propone perciò, analogamente a quanto si dirà per l’art. 112, comma 3, l’eliminazione della norma in commento (art. 64-bis, comma 8, ultimo inciso), fermo restando il termine per proporre l’opposizione fissato dall’art. 48, comma 2.
Articolo 64-ter (Conversione del piano di ristrutturazione soggetto a omologazione in concordato preventivo)
1.La rubrica della disposizione non è coerente con l’ipotesi del comma 1, primo periodo.
Si propone pertanto di valutare se scindere l’art. 64 ter, introducendo un art. 64 quater, riformulando l’uno e l’altro come segue:
“Art. 64-ter – Mancata approvazione di tutte le classi
1. Se il piano di ristrutturazione non è approvato da tutte le classi, secondo quanto risulta dalla relazione depositata ai sensi dell’articolo 110, il debitore, entro quindici giorni dal deposito della relazione medesima, può chiedere che il tribunale accerti l’esito della votazione e omologhi il piano di ristrutturazione, se ritiene di avere ottenuto l’approvazione di tutte le classi.
2. Decorso il termine di cui al primo comma senza che il debitore abbia avanzato la richiesta ivi prevista o modificato la domanda ai sensi dell’articolo 64 quater, si applica l’articolo 111.”.
“Art. 64-quater - Conversione del piano di ristrutturazione soggetto a omologazione in concordato preventivo.
1. Se il piano di ristrutturazione non è approvato da tutte le classi, il debitore, in luogo della richiesta di cui all’articolo 64-ter, comma 1, può modificare la domanda formulando una proposta di concordato e chiedendo il provvedimento di cui all’articolo 47.
2. Il debitore può procedere allo stesso modo anche se un creditore ha contestato il difetto di convenienza nelle osservazioni formulate ai sensi dell’articolo 107, comma 4.
3. […]. Seguono i commi dell’art. 64-ter dello schema di decreto, nella diversa successione da comma 3 a comma 6 dell’introducendo art. 64-quater.”.
Articolo 70 (Omologazione del piano)
L’articolo, dettato in tema di omologazione del piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore, viene modificato dall’art. 17 comma 1 dello schema di decreto con la soppressione, al comma 7, della parola “economica” riferita alla fattibilità del piano che deve essere verificata dal giudice.
Tale modifica normativa, di coordinamento “interno” al Codice, risulta quanto mai opportuna, poiché coerente con quanto previsto nel modificato art. 47 sull’apertura del concordato preventivo e agli artt. 57 in tema di accordi di ristrutturazione dei debiti e 80 in materia di concordato minore, dove la fattibilità è essenzialmente la “non manifesta inattitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati”.
L’eliminazione della parola “economica” consente, così, di precisare la natura di giudizio complessivo del suddetto esame.
Articolo 78 (Procedimento)
1.L’articolo detta alcune norme sullo svolgimento del concordato minore e viene modificato dall’art. 18 comma 1 lettera a) dello schema di decreto con l’inserimento di disposizioni volte ad agevolare anche in tale procedura le comunicazioni e lo scambio di istanze e provvedimenti rispetto ai creditori residenti in altri Stati membri, in attuazione dell’art. 28 della direttiva che richiede agli Stati membri di provvedere “affinché nelle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione le parti coinvolte nella procedura, i professionisti e le autorità giudiziarie o amministrative possano eseguire attraverso mezzi di comunicazione elettronica, anche nelle situazioni transfrontaliere, almeno le azioni seguenti: a) insinuazione al passivo; b) presentazione di piani di ristrutturazione o di rimborso; c) notifiche ai creditori; d) presentazione di contestazioni e impugnazioni”.
1.1. Al comma 2 lettera c) dell’articolo, in relazione all’invio da parte dei creditori della dichiarazione di adesione o mancata adesione alla proposta di concordato e delle eventuali contestazioni – da effettuarsi “a mezzo di posta elettronica certificata o altro recapito certificato qualificato…” – si suggerisce di premettere alle parole “recapito certificato”, che vengono aggiunte alla norma dallo schema di decreto, le parole “servizio elettronico di”, per assicurare una completa corrispondenza con l’espressione usata dall’art. 1 comma 1-ter del Codice dell’amministrazione digitale di cui al d.lgs. n. 82/2005, espressamente richiamato.
Articolo 84 (Finalità del concordato preventivo e tipologie di piano)
1. L’articolo è integralmente sostituito dall’art. 19 comma 2 dello schema di decreto.
Illustrando i diversi tipi di concordato preventivo, la norma conferisce grande risalto al concordato in continuità, la cui regolamentazione appare volta a favorire la libertà di azione dell’imprenditore (con modifiche alle regole sulla priorità dei pagamenti e sulle maggioranze) a ridurre lo spazio di intervento del tribunale e ad accentuare, nel complesso, i tratti “privatistici” della procedura.
2. Tra le novità introdotte si segnalano come degne di particolare attenzione e approfondimento:
1) la modifica delle regole di distribuzione dell’attivo nel concordato in continuità con una doppia regola distributiva, a seconda della natura delle risorse distribuite la quale prevede che il valore di liquidazione dell’impresa sia distribuito nel pieno rispetto delle cause legittime di prelazione e, cioè, secondo la regola della priorità assoluta, mentre il valore ricavato dalla prosecuzione dell’impresa, il cd. plusvalore da continuità, possa essere distribuito osservando il criterio della priorità relativa. Dall’applicazione di tale criterio, però, in puntuale attuazione dei principi sanciti dall’art. 1 e dall’art. 13 della direttiva e della più generale “clausola di non regresso” (secondo la quale ogni intervento normativo che incida sui diritti dei lavoratori non può determinare una riduzione delle garanzie e dei diritti assicurati dal singolo ordinamento nazionale) sono comunque salvaguardati i diritti dei lavoratori, per i quali si applica sempre la regola della priorità assoluta e sono salvi i diritti pensionistici;
2) la previsione nel concordato con liquidazione del patrimonio della possibilità che le risorse esterne siano distribuite in deroga agli articoli 2740 e 2741 del codice civile “purché sia rispettato il requisito del venti per cento” (nel soddisfacimento dei creditori chirografari e dei creditori privilegiati degradati per incapienza), controlimite che non appare del tutto in grado di controbilanciare una deroga così ampia ai due principi fondamentali in tema di procedure concorsuali.
2.1. La prima delle suddette scelte, quella di differenziare la regola di ripartizione dell’attivo concordatario in base alla natura delle risorse distribuite rappresenta, in verità, un’opzione “intermedia”, effettuata nell’ambito delle possibilità offerte dall’art. 11 § 1 lett. c) della direttiva e, dunque, un’innovazione apprezzabile, in quanto in linea con le finalità dell’intervento di recepimento – rispetto al quale deve solo segnalarsi la determinazione del legislatore nazionale, evidenziata anche nella relazione allo schema del decreto, di non avvalersi della possibilità di deroga consentita dal § 2 dell’art. 11 della direttiva stessa.
2.2. La seconda previsione sulla possibilità, indicata in via “generale”, di distribuire le risorse esterne senza il necessario rispetto dei principi di cui agli articoli 2740 e 2741 c.c. inserita in tema di concordato con liquidazione del patrimonio rappresenta, al contrario, una deroga non imposta dalla fonte comunitaria.
Anche in questo più limitato caso, la possibile deroga ai principi della garanzia patrimoniale e del rispetto delle regole distributive proprie delle procedure concorsuali, introdotta con una disposizione così generale, potrebbe rientrare nella discrezionalità del legislatore, ma è suscettibile di determinare, in ipotesi, criticità a livello di rispetto dei principi costituzionali e, in particolare, dell’art. 76 della Costituzione con riguardo alla legge delega n. 155 del 2017.
3. Si segnala, inoltre, un difetto di coordinamento tra l’art. 84 comma 9, introdotto dallo schema di decreto legislativo, e l’art. 91 comma 1 del Codice, non interessato dalle modifiche di quest’ultimo.
Entrambe le norme sembrano disciplinare in maniera difforme una medesima fattispecie: la vendita dell’azienda o di uno o più rami d’azienda (con estensione della disciplina al caso di affitto), senza che la relazione evidenzi le ragioni dell’inserimento del comma 9 dell’art. 84, in aggiunta alla disposizione preesistente dell’art. 91, comma 1.
3.1.L’art. 84 comma 9 stabilisce infatti che: “9. Quando il piano prevede l’offerta da parte di un soggetto individuato, avente ad oggetto l’affitto o il trasferimento in suo favore, anche prima dell’omologazione, dell’azienda o di uno o più rami d’azienda, il commissario giudiziale verifica l’assenza di soluzioni alternative migliori sul mercato e assicura il rispetto dei principi di pubblicità e trasparenza.”
3.2.L’art. 91 comma 1, a sua volta, prevede che: “1. Il tribunale o il giudice da esso delegato, esclusivamente quando il piano di concordato comprende un'offerta irrevocabile da parte di un soggetto già individuato e avente ad oggetto il trasferimento in suo favore, anche prima dell'omologazione, verso un corrispettivo in denaro o comunque a titolo oneroso, dell'azienda o di uno o più rami d'azienda o di specifici beni, dispone che dell'offerta stessa sia data idonea pubblicità al fine di acquisire offerte concorrenti. La stessa disciplina si applica in caso di affitto d'azienda.”
Articolo 87 (Contenuto del piano di concordato)
1.La novella, inserita dall’art. 19 dello schema di decreto legislativo, irrobustisce il contenuto che il piano deve presentare, fornendo al giudice che dovrà omologarlo dei parametri di riferimento.
La scelta operata è nella direzione del caveat contenuto nel 24° Considerando della direttiva: per evitare possibili abusi dei quadri di ristrutturazione, il legislatore prevede l’indicazione dei prodromi e della cause della crisi (lett. a, b, c), nonché una “descrizione analitica” delle modalità e dei “tempi” con le quali si andrà a operare (lett. e) e del “fabbisogno finanziario” occorrente (lett. f), nonché una serie di precise indicazioni sulle parti interessate dal piano e dalle classi di debitori coinvolte (lett. l – n).
Va indubbiamente nella direzione di una maggiore efficienza della procedura disciplinata la “lett. i)”, che prefigura il “da farsi” nel caso si verifichi “uno scostamento dagli obiettivi pianificati”: una simile evenienza costituisce – sia consentita la contradictio in adiecto - una “patologia fisiologica” per iniziative che presentano, necessariamente, un congruo orizzonte di durata e si collocano in un contesto dinamico qual è quello del mercato, specie con riferimento a quelle imprese di più marcate dimensioni (sia in termini di numero di addetti che in termini di relazioni negoziali). Prefigurare, già in sede di predisposizione del piano, come operare in caso di scostamento dagli obiettivi che si prefissano consente una maggiore celerità nelle decisioni e nel controllo di quest’ultime da parte del tribunale, ove dovessero insorgere contestazioni al riguardo. La formulazione della norma in questione – nello spirito della direttiva che richiede la “flessibilità” delle procedure de quibus – non sembra precludere ulteriori iniziative che si renderanno opportune o necessarie, anche se non previste nel piano iniziale, anche laddove non previste ai sensi della “lett. i)”. Del resto, l’ultimo periodo del comma 3 della disposizione in esame lascia intendere che sono consentite anche modifiche “sostanziali” della proposta e del piano.
1.1. In proposito, questa Commissione speciale non ritiene di suggerire di esplicitare, con un’apposita previsione, quanto appena riferito, in quanto agevolmente ricavabile da un’interpretazione sistematica e teleologica dell’ordito normativo.
2. Il comma 3 persegue gli obiettivi della direttiva, coinvolgendo maggiormente i professionisti (considerando 85, 86, 87, 89, sui “meccanismi di cooperazione rafforzata tra giudici e professionisti”, e art. 26 e 27 della direttiva) e andando a specificare il contenuto dell’attestazione del professionista. Ciò nell’ottica di una responsabilizzazione della categoria che è apprezzabile, ove si persegua l’obiettivo di rendere maggiormente celeri ed efficaci le procedure in questione, anche mediante un minor ricorso al controllo giudiziale, prevenendo, però, al contempo, gli abusi che potrebbero derivare dall’allentamento di questa tipologia di controllo.
3. La norma in esame va poi letta in combinato con quella di cui all’art. 112, che disciplina il giudizio di omologazione, poiché l’art. 87 fornisce al giudice elementi e indicazioni per la valutazione che questi è chiamato a compiere in termini di ammissibilità (art. 112, lett. c) e di opportunità (art. 112, lett. f) della proposta.
Articolo 88 (Trattamento dei crediti tributari e contributivi)
1. In ordine alle perplessità suscitate dalla disposizione del comma 2-bis, introdotta dall’art. 19, comma 6, dello schema di decreto, si rinvia al commento dell’art. 48, dal quale è stata espunta la previsione – recepita nell’art. 88, comma 2-bis – sull’omologazione anche in assenza di adesione dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie.
Articolo 94-bis (Disposizioni speciali per i contratti pendenti nel concordato in continuità aziendale)
1. L’articolo, inserito dall’art. 21 dello schema di decreto legislativo, tratteggia la disciplina dei rapporti contrattuali in corso, preservandone la prosecuzione, per favorire la continuità aziendale e la risoluzione della crisi.
I due commi che compongono la disposizione perseguono, rispettivamente, le finalità enunciate nel 40 e nel 41 considerando e attuano l’art. 7 (“Conseguenze della sospensione delle azioni esecutive individuali”), §§ 4 e 5, della direttiva, vietando ai creditori di rifiutare l’adempimento dei contratti in corso di esecuzione, di provocarne la risoluzione, l’anticipazione della loro scadenza e la loro modifica in danno della controparte, “per il solo fatto del deposito della domanda di accesso al concordato in continuità aziendale, dell’emissione del decreto di cui all’art. 47 [n.d.r. di apertura del concordato preventivo] e della concessione delle misure protettive e cautelari”.
1.1. Il secondo comma, in particolare, riguardando i contratti “essenziali”, opportunamente definiti, anche mediante il riferimento specificamente enunciato a quelli “relativi alle forniture la cui interruzione impedisce la prosecuzione dell’attività del debitore”, prevede una tutela più marcata, in quanto contempla quale circostanza ostativa ad azioni pregiudizievoli alla continuazione dei rapporti contrattuali anche “il mancato pagamento di crediti anteriori rispetto alla presentazione della domanda di accesso al concordato preventivo in continuità aziendale”, oltre a far “fermo quanto previsto dal comma 1”.
1.2. Il primo comma, con l’ultima proposizione, prevede l’inefficacia di eventuali “patti contrari” (che il Considerando 40 della direttiva denomina “clausole ipso facto”).
In ragione della clausola di salvaguardia che apre il comma 2, questa disciplina si applica anche ai contratti “essenziali”.
2. Nel trasporre il § 5 dell’art. 7, della direttiva, il legislatore ha qualificato gli eventuali patti contrari come “inefficaci”.
La scelta è dipesa da ragioni di coerenza sistematica, richiamate anche nella nota del Ministero, stante l’analoga qualificazione contenuta nel comma 1 dell’art. 95 (“Disposizioni speciali per i contratti con le pubbliche amministrazioni”) del d.lgs. n. 14 del 2019.
La scelta in questione si iscrive, dunque, nel solco della continuità, tenuto conto che anche l’art. 172, comma 6, del Codice e l’art. 186-bis, comma 3, della legge n. 267 del 1942, prevedono un’analoga previsione di “inefficacia” con riferimento ai “patti contrari” o alle “clausole negoziali” che dovessero prefigurare gli effetti ostativi alla prosecuzione dei rapporti, innanzi descritti.
La soluzione proposta, invece, non ha alcuna attinenza con quelle disposizioni (cfr., ad es., gli artt. 165, 274, 290) nelle quali il riferimento all’inefficacia è operato con riferimento alla conseguenza scaturenti dall’esperimento dell’azione revocatoria.
3. Nondimeno, la coerenza sistematica delle norme componenti il Codice pone qualche perplessità se valutata in una prospettiva più ampia, che tiene conto delle categorie del codice civile sull’invalidità dei contratti e/o delle sue clausole. La previsione di un’inefficacia “rimediale”, “sganciata” dai riferimenti codicistici, potrebbe porre qualche difficoltà applicativa, specialmente in punto di individuazione delle tecniche di tutela e della relativa disciplina, andando, perciò, a discapito dell’auspicata celerità ed efficacia delle procedure di risanamento dell’impresa. Queste considerazioni valgono anche relativamente all’art. 120-quinquies, comma 3, che prevede una norma identica.
3.1. Valuterà il Ministero, nei limiti della delega di cui dispone o, in futuro, de jure condendo, se operare una modifica che tenga conto di quanto innanzi esposto.
Articolo 106 (Atti di frode e apertura della liquidazione giudiziale nel corso della procedura)
1.L’articolo è modificato dall’art. 22, comma 2, dello schema di decreto legislativo che, per quanto qui rileva, dispone come segue:
“All'articolo 106 del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, sono apportate le seguenti
modificazioni:
a) al comma 2, come modificato dall'articolo 15, comma 2, lettera b), del decreto legislativo 26 ottobre 2020, n.147, le parole “il tribunale revocato il decreto di cui all'articolo 47, comma 1, lettera d)” sono sostituite dalle seguenti: “il tribunale, revocato il decreto di cui all'articolo 47, comma 2, lettera d) […]”.
1.1. Si segnala che la modifica non trova corrispondenza nella disposizione dell’art. 106, comma 2, come modificata dal d.lgs. n. 147 del 2020, la quale risulta essere la seguente:
“2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche quando il debitore non ha effettuato tempestivamente il deposito previsto dall'articolo 47, comma 1, lettera d), o il debitore compie atti non autorizzati o comunque diretti a frodare le ragioni dei creditori, o se in qualunque momento risulta che mancano le condizioni prescritte per l'apertura del concordato previste agli articoli da 84 a 88.”
Articolo 109 (Maggioranza per l'approvazione del concordato)
1. L’articolo, sostituito dall’art. 23, comma 1, dello schema di decreto, è stato modificato essenzialmente introducendo un nuovo comma 5, riguardante le regole sul diritto di voto e sulle maggioranze necessarie per l’approvazione della proposta e del piano di concordato, nel concordato in continuità aziendale.
1.1. In merito ai criteri di raggiungimento della maggioranza in ciascuna classe, si evidenzia che non appare in linea con la previsione dell’art. 9, § 6 comma 1 della direttiva (“Il piano di ristrutturazione è adottato dalle parti interessate purché in ciascuna classe sia ottenuta la maggioranza dell’importo dei crediti e degli interessi. Inoltre gli Stati membri possono richiedere che in ciascuna classe sia ottenuta la maggioranza del numero di parti interessate”) l’alternativa contenuta nell’art. 109, comma 5, secondo periodo, secondo cui “In ciascuna classe la proposta è approvata se è raggiunta la maggioranza dei crediti ammessi al voto oppure, in mancanza, se hanno votato favorevolmente i due terzi dei crediti dei creditori votanti, purché abbiano votato i creditori titolari di almeno la metà del totale dei crediti della medesima classe”. In tale seconda eventualità, si potrebbe dare il caso che la proposta venga approvata senza che ci sia la maggioranza dell’importo dei crediti (né del numero di parti interessate, che comunque è opzione aggiuntiva). Seppure lo stesso art. 9, § 6, comma 2 della direttiva consente agli Stati membri di stabilire “le maggioranze richieste per l’adozione del piano di ristrutturazione”, è da ritenere che appunto di maggioranza si debba trattare, coerentemente a quanto previsto dal primo comma della stessa disposizione della direttiva, potendo gli Stati membri accontentarsi di una maggioranza semplice o qualificata (purché, come aggiunge, l’art. 9, § 6, comma 2, secondo periodo, non superiore al 75% dell’importo dei crediti o degli interessi di ciascuna classe o, se del caso, del numero di parti interessate di ciascuna classe). In definitiva, la regola che consente di ritenere raggiunta la maggioranza sulla base dei soli creditori votanti non è autorizzata dalla direttiva e anzi presenta i possibili profili di incompatibilità su evidenziati.
2. L’art. 109, comma 5, per tale parte, potrebbe sollevare problemi di legittimità costituzionale rispetto alla legge di delegazione europea.
Articolo 112 (Giudizio di omologazione)
1. L’art. 112, comma 3, disciplina il c.d. giudizio di convenienza previsto dalla lettera d) § 2, primo comma, dell’art. 10 della direttiva (per il quale le condizioni di omologazione fissate dal diritto interno devono prevedere: “d) nel caso vi siano creditori dissenzienti, il piano di ristrutturazione superi la verifica del miglior soddisfacimento dei creditori”). La direttiva prevede inoltre che il c.d. test di convenienza non possa essere eseguito d’ufficio ma solo su opposizione del creditore dissenziente (art. 10, § 2, comma 2: “Il rispetto del primo comma, lettera d), è esaminato da un’autorità giudiziaria o amministrativa solo se il piano di ristrutturazione è stato contestato per tale motivo”). L’art. 112, comma 3, è conforme alla direttiva. Infatti esso prevede, al primo periodo, che “Nel concordato in continuità aziendale, se con l’opposizione il creditore dissenziente eccepisce il difetto di convenienza della proposta, il tribunale omologa il concordato, quando, secondo la proposta e il piano, il credito risulta soddisfatto in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale”.
2. Fermo restando l’avvenuto corretto recepimento della direttiva, suscita perplessità la previsione del secondo periodo dell’art. 112, comma 3, secondo cui “Il creditore che non ha contestato il difetto di convenienza nelle osservazioni formulate ai sensi dell’articolo 107, comma 4, non può proporre l’opposizione di cui al primo periodo se non dimostra che la mancata contestazione è dipesa da causa a lui non imputabile”.
Come anticipato a commento dell’art. 64-bis, in tema di piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, per il quale vi è analoga disposizione (art. 64-bis, comma 8), il termine di decadenza così anticipato e così breve, considerato il testo dell’art. 107 (al quale è qui sufficiente fare rinvio), potrebbe rivelarsi pregiudizievole delle ragioni dei creditori dissenzienti.
2.1. Si suggerisce di valutare la possibilità di eliminare la disposizione in commento (art. 112, comma 3, secondo periodo), fermo restando il termine per l’opposizione all’omologazione e per la richiesta del giudizio di convenienza di cui all’art. 48, comma 2.
Articolo 120-bis (Accesso)
1. L’articolo, inserito dall’art. 25 del correttivo al d.lgs. n. 14 del 2019, è posto in apertura della Sezione VI-bis “Dei quadri di ristrutturazione preventiva delle società”.
Si tratta di una disposizione che attribuisce ampie prerogative all’organo gestorio della società, in quanto:
a) il comma 1 demanda “in via esclusiva” agli amministratori la decisione di accedere a un meccanismo di ristrutturazione preventiva e l’individuazione delle condizioni della proposta e del piano;
b) il comma 2 permette interventi radicali “ai fini del buon esito della ristrutturazione”, in quanto viene consentito di prevedere nel piano “qualsiasi modificazione dello statuto della società debitrice, ivi inclusi aumenti e riduzioni di capitale anche con limitazione o esclusione del diritto di opzione e altre modificazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci, nonché fusioni, scissioni e trasformazioni”;
c) il comma 4 salvaguarda la posizione degli amministratori che scelgono di accedere a un quadro di ristrutturazione, prevedendo l’inefficacia della loro revoca, se non ricorre una giusta causa, e disponendo che non è tale la decisione di accedere a un quadro di ristrutturazione preventiva in presenza delle condizioni di legge.
2. La disposizione si profila sicuramente coerente con il Considerando 43 e con gli artt. 9, § 3, e 12, §§ 1 e 2 e, in generale, con l’impianto teorico che sorregge tutta la direttiva, improntata alla celerità e all’efficacia dei meccanismi di soluzione della crisi di impresa.
La soluzione adottata limita, indubbiamente, i diritti patrimoniali e amministrativi della compagine sociale, tenuto altresì conto che i “detentori di strumenti di capitale” sono espressamente definiti dalla direttiva come “parti interessate” (art. 2, n. 2); dovrebbero disporre del diritto di voto sull’adozione di un piano di ristrutturazione (art. 9, § 2, salva la limitazione prevista dal § successivo); vengano limitati nelle loro iniziative, se l’impedimento o l’ostacolo opposto all’adozione, all’omologazione o all’attuazione di un piano di ristrutturazione si manifesti “irragionevole” (art. 12, §§ 1 e 2 della direttiva).
Proprio a tale ultimo riguardo, si evidenzia che la direttiva consentiva agli Stati membri di definire cosa dovesse intendersi per “impedire o ostacolare irragionevolmente”, permettendo dunque di calibrare la restrizione dei diritti sociali (art. 12, § 2, della direttiva).
Si consideri, inoltre, che l’art. 120-quater, comma 3, prevede l’opposizione dei soci all’omologazione del concordato soltanto per “far valere il pregiudizio subito rispetto all’alternativa liquidatoria”.
La scelta del legislatore è dunque improntata a un favor verso l’accesso ai quadri di ristrutturazione preventiva finanche più marcato di quello che sarebbe imposto dalle norme contenute nella direttiva.
In proposito, si osserva che la scelta effettuata, come rappresentato dal Ministero della giustizia, nella nota dell’11 aprile 2022, risulta indubbiamente coerente con l’art. 2380-bis c.c., che richiama il comma 2 dell’art. 2087, introdotto ad opera dell’art. 375, comma 2, del d.lgs. n. 14 del 2019.
3. La soluzione va favorevolmente apprezzata nella prospettiva di rendere più immediato e, dunque, conseguentemente più efficace il ricorso alle procedure di soluzione preventiva delle situazioni di difficoltà economico-finanziaria dell’imprenditore, ma andrà verificato, quando la disciplina inizierà a essere applicata, se e in che modo queste previsioni saranno accolte dalle compagini proprietarie delle società.
Titolo V (Liquidazione giudiziale)
Articolo 135 (Sostituzione del curatore)
1. Con la novella operata dall’art. 26 dello schema di decreto legislativo, si introduce, in questa disposizione, il debitore quale categoria legittimata a domandare la sostituzione del curatore. Si consente, così, a quest’ultimo l’esercizio di un controllo sull’operatore del professionista.
La novella estende altresì la tutela per i creditori.
Rispetto alla precedente formulazione che permetteva di domandare la sostituzione del curatore ai “creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi” si passa a una formulazione che si riferisce ai “creditori ammessi”.
In ragione del tenore testuale del novellato art. 135, si estende il diritto di agire in giudizio a ciascun creditore, uti singulus, il che, pur essendo apprezzabile nella prospettiva dell’ampliamento della tutela per ciascun appartenente a questa categoria, pone qualche perplessità in un’ottica di deflazione del contenzioso, auspicabile in vista del perseguimento degli obiettivi della direttiva.
1.1. In proposito, si evidenzia che l’art. 26, § 1, lett. d), della direttiva prevede la “facoltà di opporsi alla scelta o alla nomina del professionista” o di “chiedere la [sua] sostituzione”, da parte di ciascun creditore, ma circoscrive l’esperibilità della tutela “al fine di evitare qualsiasi conflitto di interessi”.
Il riferimento contenuto nella direttiva risulta assente nello schema di decreto legislativo. Il comma 1 dell’art. 135, introdotto dall’art. 26 dello schema di decreto legislativo, si riferisce infatti all’assenza di conflitto di interessi relativamente ai “creditori istanti”, prefigurando, dunque, a quel che risulta a una prima disamina, un parametro di giudizio per l’accoglimento dell’istanza di sostituzione, piuttosto che la finalità per la quale la domanda risulterebbe proponibile, da parte di “debitori e creditori”, in base alla norma della direttiva.
2. Valuti il Ministero se non risulti opportuno circoscrivere l’iniziativa processuale del debitore e dei creditori legittimati ad agire per la sostituzione del curatore, nel limite indicato dall’art. 26, § 1, lett. d), della direttiva, ossia “al fine di evitare qualsiasi conflitto di interessi”.
Si suggerisce, a tale riguardo, di aggiungere la finalità prevista dalla direttiva come incipt della disposizione prevista nello schema di decreto legislativo, in moda da riformularla in questo modo: “Al fine di evitare qualsiasi conflitto di interessi, il debitore e i creditori ammessi possono chiedere la sostituzione del curatore indicandone al tribunale le ragioni. Il tribunale, valutate le ragioni della richiesta e verificata l’assenza di conflitto di interessi in capo ai creditori istanti, provvede alla nomina del nuovo curatore”.
Articolo 158 (Crediti non pecuniari)
L’articolo stabilisce che “I crediti non scaduti aventi ad oggetto una prestazione in denaro determinata con riferimento ad altri valori o aventi per oggetto una prestazione diversa dal denaro concorrono secondo il loro valore alla data di apertura della liquidazione giudiziale”.
Tale articolo non è interessato direttamente dall’intervento di cui allo schema di decreto, ma dovrebbe essere modificato, in quanto riproduzione di una norma, l’art. 59 della Legge fallimentare, di cui la Corte Costituzionale, con diverse sentenze (C. Cost. n. 300 del 1986, nn. 204 e 567 del 1989) ha dichiarato l’illegittimità nella parte in cui non prevedeva la rivalutazione dei crediti di lavoro anche per i periodi successivi, rispettivamente con riguardo al periodo successivo alla domanda di concordato, o a quello successivo all’apertura del fallimento fino al momento in cui lo stato passivo diviene definitivo, e al periodo successivo al decreto ministeriale con cui si dispone la procedura di amministrazione straordinaria fino al momento in cui la verifica del passivo diviene definitiva.
Articolo 255 (Azioni di responsabilità)
L’articolo, oggetto di modifica da parte dell’art. 30 comma 1 dello schema di decreto nel senso dell’eliminazione, al comma 1, del riferimento alla possibilità per il curatore di esercitare “anche separatamente” le suddette azioni, elenca le azioni che il curatore, autorizzato ai sensi dell’art. 218 comma 2, può promuovere o proseguire.
Tale modifica costituisce attuazione dell’art. 25, § 1, lett. b) della direttiva che richiede agli Stati membri di provvedere affinché “il trattamento delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione avvenga in modo efficiente ai fini di un espletamento in tempi rapidi delle procedure” e intende promuovere l’economia processuale e la celerità delle procedure, rallentate molto spesso dalla lunghezza e dall’elevato numero dei giudizi che hanno dovuto essere instaurati dal curatore.
La norma non impone, ma favorisce la proposizione congiunta delle azioni di responsabilità e delle altre azioni a disposizione del curatore (nelle quali gli accertamenti da compiere possono essere spesso sovrapponibili e le conseguenze dannose delle varie fattispecie non immediatamente distinguibili).
Grazie alla soppressione delle parole “anche separatamente”, rimane la possibilità di esercizio distinto delle azioni, con eventuale successiva riunione dei giudizi in ipotesi di emersione in tempi diversi dei relativi presupposti.
Titolo VI (Disposizioni relative ai gruppi di imprese)
Articolo 285 (Contenuto del piano o dei piani di gruppo e azioni a tutela dei creditori e dei soci)
1. È il secondo degli articoli contenuti nella sezione (Parte prima, Titolo VII) dedicata alla disciplina della regolazione della crisi, o della insolvenza, dei gruppi di imprese.
Il precedente art. 284, infatti, inaugura la sezione affermando che domande di accesso al concordato preventivo o a una procedura di omologazione di accordi di ristrutturazione possano essere presentate con ricorso unitario da più imprese , in crisi o in stato di insolvenza, appartenenti al medesimo gruppo: si tratta, in particolare, della possibilità di presentare piani unitari o reciprocamente collegati o interferenti, che non fanno venir meno l’autonomia delle masse attive e passive delle singole imprese (art. 284, comma 2) e che, tuttavia, risultano idonei “a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria di ciascuna impresa e ad assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria di ognuna” (art. 284, comma 5). Secondo il dettato della norma, inoltre, la presentazione di un piano unitario deve giustificarsi “in ragione delle ragioni di maggiore convenienza, in funzione del miglior soddisfacimento dei creditori delle singole imprese”.
L’art. 285 specifica, ulteriormente, che i piani “concordatari” di gruppo possono prevedere la liquidazione di alcune imprese e la continuità aziendale di altre (comma 1), oltre che operazioni contrattuali e riorganizzative “inclusi i trasferimenti di risorse infragruppo” (comma 2); l’ammissibilità delle operazioni indicate al comma 2 viene, tuttavia, condizionata alla dimostrazione che esse “sono necessarie ai fini della continuità aziendale per le imprese per le quali essa è prevista nel piano e coerenti con l'obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori di tutte le imprese del gruppo”.
È quindi prevista la possibilità, per i creditori e i soci che si ritengono pregiudicati, di tutelarsi, a determinate condizioni, spiegando opposizione alla omologazione del piano concordatario o all’accordo di ristrutturazione, di gruppo.
2. Ciò premesso, e passando all’esame delle modificazioni apportate, dall’art. 33 dello schema, alla norma in esame, si rileva quanto segue.
Al comma 2, laddove si afferma che le operazioni contrattuali e riorganizzative, inclusi i trasferimenti di risorse infragruppo, devono essere, oltre che necessarie ai fini della continuità aziendale delle imprese per cui essa è prevista dal piano, anche coerenti con l'obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori di tutte le imprese del gruppo, viene inserito l’inciso “tenuto conto dei vantaggi compensativi derivanti alle singole imprese fermi restando gli artt. 47 e 112”. La stessa modificazione è introdotta al comma 4, al fine di stabilire che i “vantaggi compensativi derivanti alle singole imprese” debbono essere tenuti in considerazione dal tribunale ai fini dell’omologazione dei piani concordatari o dei piani di ristrutturazione di cui al comma 1, primo periodo, cioè di quei piani o accordi che prevedano sia la liquazione di alcune imprese, sia la continuità aziendale: in tal caso l’omologazione è accordata se “tenuto conto dei vantaggi compensativi derivanti alle singole imprese del gruppo… i creditori possano essere soddisfatti in misura non inferiore a quanto ricaverebbero dalla liquidazione giudiziale della singola impresa”. Tali modificazioni – si legge nella relazione trasmessa dal Ministero – si sono rese necessarie per adeguare la disciplina dei quadri di ristrutturazione dei gruppi di imprese alla disciplina del concordato, introdotta con il recepimento della c.d. “ristrutturazione trasversale”.
3. Il riferimento ai “vantaggi compensativi” era già presente nell’attuale formulazione dell’art. 285, al comma 5, ma solo con riferimento al giudizio di opposizione al concordato di gruppo, proposto dai soci. Come risulta dalla nota del Ministero, con il riferimento “ai vantaggi compensativi derivanti alle singole imprese”, si intende riprendere la nozione di vantaggi compensativi elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza nella disciplina dei gruppi di imprese. Si rileva, tuttavia, che la nozione di “vantaggi compensativi” rimane priva di una qualsiasi definizione nella norma e nel codice, e il fatto che essa sia stata elaborata in sede dottrinale, e poi recepita in sede giurisprudenziale, non toglie alla opportunità che, recependone la nozione a livello normativo, ne sia data una descrizione utile a guidare chi si avvicina alla disciplina per la prima volta, e naturalmente il gruppo di imprese nella predisposizione dei piani, il tribunale nella fase di omologazione e i soci nel valutare l’opportunità di proporre opposizione ai sensi del comma 5. L’introduzione di una definizione appare, in particolare, opportuna in vista del fatto che “i vantaggi compensativi” citati cooperano anche a definire il “miglior soddisfacimento dei creditori di tutte le imprese del gruppo”, la sussistenza del quale risulta essenziale ai fini della omologazione di piani o accordi di ristrutturazione indicati al comma 1, primo periodo.
3.1. Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione (si veda, ad esempio, l’ord. Sez. V, n. 1232 del 2021) la “c.d. "teoria dei vantaggi compensativi" si fonda sul disposto di cui all'art. 2497, comma 1, c.c., il quale consente alla società capogruppo di andare esente dalla responsabilità derivante dall'attività di direzione e coordinamento provando l'esistenza di un risultato complessivo di gruppo che, pur sacrificando l'interesse di una società a esso appartenente, determini comunque un'adeguata compensazione del sacrificio, attraverso la dimostrazione dell'aumento complessivo del valore di gruppo di cui anche la società sacrificata si possa in futuro giovare. Si tratta, quindi, di una nozione molto focalizzata sull’interesse del gruppo e sull’aumento di valore del gruppo conseguito all’esito di una serie di operazioni.
Tuttavia una simile definizione, evincibile dalle pronunce disponibili, non chiarisce in che modo i “vantaggi compensativi” influiscano sulla valutazione del “miglior soddisfacimento dei creditori di tutte le imprese del gruppo”: in particolare sorge il dubbio su come debba essere valutato questo “miglior soddisfacimento” per i creditori delle imprese del gruppo sacrificate, anche perché, rimanendo distinte le masse attive e passive delle singole imprese, non è chiaro se e come possano influire, in concreto, le operazioni infragruppo, ai fini della soddisfazione dei singoli creditori; e ciò tanto più ove si consideri - come infra meglio si dirà - che le operazioni descritte al comma 2, cioè quelle che essenzialmente possono dare luogo a trasferimenti di patrimonio tra diverse imprese del gruppo, non debbono necessariamente essere previste nei piani o accordi di gruppo, e dunque possono anche mancare.
4. Il riferimento ai “vantaggi compensativi”, effettuato al comma 2 e al comma 4 della norma in esame, potrebbe intendersi nel senso che a fronte di aumento complessivo del valore di gruppo, qualsiasi valore di liquidazione (non giudiziale) di una impresa da sacrificare possa essere ritenuto accettabile, consentendo l’omologazione del piano concordatario o dell’accordo di ristrutturazione, alla sola condizione che la liquidazione della impresa sacrificata consenta di realizzare un qualsiasi valore non inferiore a quello che si otterrebbe dalla liquidazione giudiziale della singola impresa. Diversamente il riferimento si potrebbe anche intendere nel senso che, a fronte della prospettiva di ottenere un aumento di valore del gruppo, nel senso sopra indicato, l’omologa è possibile a qualsiasi valore di liquidazione (non giudiziale) delle imprese sacrificate, ancorché inferiore a quello che si otterrebbe dalla liquidazione giudiziale della singola impresa, purché i creditori siano soddisfatti in misura pari o superiore a quella che otterrebbero dalla liquidazione giudiziale della singola impresa, grazie a trasferimenti infragruppo: tale seconda opzione suppone che i creditori della impresa sacrificata possano essere soddisfatti, all’occorrenza, anche mediante trasferimenti infragruppo, e dunque sembrerebbe compatibile con una nozione di “vantaggi compensativi” che si riferisca, specificamente, a trasferimenti di patrimonio, dalle imprese non sacrificate a quelle sacrificate, a mezzo dei quali queste ultime, ed i relativi creditori, vengono compensate del sacrificio loro imposto, funzionale a mantenere in vita il gruppo . Così intesi, i “vantaggi compensativi” integrerebbero un istituto che deroga all’art. 2740 c.c., nella misura in cui ai creditori delle imprese mantenute in vita viene sottratta una parte dei beni destinati a fungere da garanzia ai loro crediti. Non è chiaro, infine, se il richiamo ai “vantaggi compensativi” implichi che la liquidazione delle imprese da sacrificare possa avvenire in deroga ai criteri indicati all’art. 84, comma 4 e 5, risultanti dalle modifiche apportate a tale articolo dallo schema di decreto legislativo, in particolare in deroga al principio secondo cui i creditori privilegiati che vengono soddisfatti con risorse esterne (che nel caso di piani o accordi di gruppo potrebbero venire da altre imprese del gruppo) debbono essere soddisfatti in misura non inferiore al venti percento.
5. Le considerazioni che precedono intendono evidenziare che il dettato della norma, non essendovi nel Codice una definizione di “vantaggi compensativi” ai fini specifici di che trattasi, risulta di ambiguo significato, poiché non si comprende se, al fine di mantenere in vita alcune delle imprese che aderiscono al piano concordatario o accordo di ristrutturazione, i creditori di altre imprese del gruppo possano essere sacrificati senza alcun limite, se non quello individuato da quanto ricaverebbero dalla liquidazione giudiziale della singola impresa di cui sono creditori; o se, invece, la considerazione dei “vantaggi compensativi” implichi/consenta una ridistribuzione, tra tutti i creditori, del patrimonio delle imprese che continuano l’attività; infine non è chiaro se i piani/accordi di gruppo debbano comunque far conseguire al gruppo un complessivo aumento di valore.
5.1. Sarebbe, pertanto, opportuna una revisione che consenta di assegnare un significato univoco e oggettivo ai “vantaggi compensativi” di cui si è detto, e tale significato dovrebbe essere coerente con il modo in cui si sceglie di attuare, o non attuare, l’art. 11, comma 1, lett. c), della direttiva, in punto deroga al principio della priorità assoluta. In particolare, qualora si intenda espressamente consentire operazioni di depauperamento delle società per le quali è prevista la continuità aziendale, a favore dei creditori delle società delle quali il piano/accordo di gruppo prevede la liquidazione (non giudiziale), la relativa previsione dovrebbe specifica e contenere un espresso riferimento alla deroga all’art. 2740 c.c.
6. Ulteriori modificazioni sono apportate ai commi 3 e 4, arricchite dalla aggiunta di un nuovo comma 4-bis: si tratta, stando a quanto si legge nella relazione ministeriale, di modifiche funzionali a distinguere il giudizio di convenienza disciplinato dalla attuale norma, che resta per il concordato liquidatorio o con assuntore, da quello che, unitamente alla ristrutturazione trasversale, va compiuto in caso di concordato con continuità aziendale.
7. Nel testo della norma, risultante dalle menzionate modifiche, si attua una distinzione che riguarda, da una parte “l’ipotesi prevista dal comma 1, primo periodo”, d’altra parte le ipotesi “di cui al comma 1, secondo periodo”, e tale distinzione rileva sul modo in cui il tribunale deve effettuare il giudizio di convenienza di un piano concordatario o di un accordo di ristrutturazione di gruppo, al fine di poterlo omologare in caso di opposizione da parte dei creditori.
7.1. Le ipotesi di cui al comma 1, primo periodo, sono quelle in cui “Il piano o i piani concordatari di gruppo possono prevedere la liquidazione di alcune imprese e la continuazione dell’attività di altre imprese del gruppo”: in tal caso il tribunale è chiamato a effettuare, a tutela dei creditori che fanno opposizione, un giudizio di convenienza che deve considerare sia una “soglia minima”, individuata da quanto essi ricaverebbero dalla liquidazione giudiziale della singola impresa, sia “una valutazione complessiva del piano o dei piani collegati, tenuto conto dei vantaggi compensativi derivanti alle singole imprese del gruppo”. Le ipotesi di cui al comma 1, secondo periodo, invece, sono quelle in cui, “confrontando i flussi complessivi derivanti dalla continuazione dell’attività con i flussi complessivi derivanti dalla liquidazione, risulta che i creditori delle imprese del gruppo sono soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta”, e quindi a esse si applica solo la disciplina del concordato in continuità aziendale. Con riferimento a tale situazione, i creditori che si ritengono pregiudicati possono spiegare una opposizione che, secondo quanto stabilito dal nuovo comma 4 bis, deve seguire la procedura prevista dall’art. 112, commi 2, 3 e 4, ragione per cui l’unico parametro su cui si fonda il giudizio di convenienza è rappresentato dal soddisfacimento che il creditore otterrebbe dalla liquidazione giudiziale.
7.2. Si segnala che, stando alla lettera della norma, come modificata dallo schema di decreto legislativo, il giudizio di convenienza per i piani/accordi di cui al comma 1, secondo periodo, cioè i piani/accordi soggetti solo alla disciplina del concordato in continuità, come risultante dall’art. 112 del Codice modificato dallo schema, non viene effettuato anche con riferimento ai “vantaggi compensativi”(cfr. art. 112, comma 3, come modificato dallo schema di decreto legislativo): ciò appare coerente se i piani non contemplino operazioni infragruppo, ma solo la continuità aziendale di tutte le imprese che propongono, unitariamente, il piano/accordo. Tuttavia occorre rilevare che le operazioni infragruppo, indicate al comma 2, possono esistere, sempre a tenore della norma, sia nei piani/accordi di cui al comma 1, primo periodo, sia nei piani/accordi di cui al comma 2, secondo periodo: questo perché il comma 2 non effettua alcuna distinzione, riferendo la possibilità di compiere operazioni infragruppo genericamente al piano, o ai piani, concordatari. Pertanto, il giudizio di omologa ex art. 112, commi 2, 3 e 4, previsto all’art. 4-bis, potrebbe rivelarsi inadeguato e non necessariamente rispondente al “miglior interesse dei creditori di tutte le imprese”, nel caso in cui il piano o accordo da omologare (riconducibile a quelli di cui al comma 1, secondo periodo) preveda operazioni infragruppo, in particolare quando vi siano trasferimenti di patrimonio tra imprese.
7.3. Va ugualmente segnalato che all’opposto, il giudizio di convenienza che tenga conto dei “vantaggi compensativi” deve essere effettuato nei casi di cui al comma 1, primo periodo, i quali sono caratterizzati dalla necessaria coesistenza di piani liquidatori per alcune aziende, e piani con continuità aziendale per altre, ma non anche dalla necessaria presenza di operazioni infragruppo (che ai sensi del comma 2 “possono” essere previsti, e quindi rappresentano una eventualità): pertanto, secondo la lettera della norma, come modificata dall’art. 33 dello schema di decreto legislativo, la nuova disciplina del giudizio di convenienza parrebbe applicarsi anche a concordati liquidatori, e anche ai piani/accordi che non prevedano operazioni infragruppo, e non è chiaro come, in simili situazioni, debba declinarsi la valutazione dei “vantaggi compensativi”, se non nella mera considerazione che l’operazione fa conseguire al gruppo un aumento globale di valore.
7.4. Concludendo la disamina della norma si osserva che: a) così come formulata nel testo modificato dall’art. 33 dello schema, essa non pare corrispondere esattamente alle finalità palesate nella relazione ministeriale; b) la disciplina complessivamente rinveniente dopo le modifiche apportate dall’art. 33 dello schema sottende una nozione di “vantaggi compensativi” polimorfa, dovendosi considerare tali “vantaggi compensativi” sia in casi in cui sono previste operazioni infragruppo, sia quando non siano previste simili operazioni; c) il fatto che esista, in giurisprudenza, una nozione consolidata di “vantaggi compensativi” non giustifica che, nel momento in cui tale istituto viene recepito a livello normativo, non ne venga data anche una chiara definizione, e ciò vieppiù considerando che la nozione giurisprudenziale non pare adattarsi a tutte le situazioni in cui l’istituto troverebbe applicazione, e che i “vantaggi compensativi”, nelle operazioni contemplate dall’art. 285 del Codice, potrebbero consentire operazioni in deroga all’art. 2740, ragione per cui tale effetto dovrebbe essere esplicitamente ammesso o escluso dalla norma, ovviamente a seconda del modo in cui il legislatore nazionale intendere recepire la direttiva; d) sarebbe opportuno specificare, con riferimento ai piani/accordi di cui al comma 1, primo periodo, se le liquidazioni delle singole imprese da sacrificare debbano, o meno rispettare le previsioni di cui all’art. 84, come modificato dallo schema di decreto legislativo, che si riferiscono al concordato liquidatorio, in particolare i commi 4 e 5.
Titolo X (Disposizioni per l'attuazione del codice della crisi e dell'insolvenza, norme di coordinamento e disciplina transitoria)
Articolo 368 (Coordinamento con la disciplina del diritto del lavoro)
La norma in esame, al comma 4, lett. d), ha introdotto nel corpo dell’art. 47 della l. n. 428 del 1990, il comma 5-bis, relativo alla disciplina del pagamento dei crediti da trattamento di fine rapporto, che è stato modificato ad opera dell’art. 42 dello schema di decreto legislativo.
Nella versione attualmente vigente l’art. 47, comma 5-bis, cit. fa riferimento all’art. 87, comma 5 del Codice. Nella versione modificata dallo Schema, invece, la norma fa riferimento all’art. 84 del Codice, il quale, a seguito delle modifiche introdotte dallo schema di decreto legislativo, disciplina sia il concordato preventivo liquidatorio che quello con continuità aziendale.
Qualora si intenda mantenere inalterata la disciplina relativa ai crediti per trattamento di fine rapporto, il rinvio dovrebbe essere effettuato, in maniera più precisa, all’art. 84, comma 5, del Codice. Se, invece, l’intenzione è quella di introdurre una disciplina di tali crediti differenziata, a seconda della tipologia di concordato, allora ciò dovrebbe risultare in maniera più evidente dal testo della norma modificata.
Art. 390 (Disciplina transitoria)
1. La norma, recante disposizioni transitorie, prevede che ai procedimenti di insolvenza pendenti alla data di entrata in vigore del Codice si continuano ad applicare le disposizioni del R.d. n. 267 del 1942.
Tenuto conto del radicale cambiamento di impostazione introdotto dalla entrata in vigore del Codice, come modificato dallo schema del decreto legislativo, nonché del fatto che alla data di entrata in vigore del Codice molte procedure fallimentari possono trovarsi ancora a uno stadio iniziale, o comunque non essere state interessate da operazioni irreversibili, si ritiene che per i procedimenti già formalmente pendenti alla data di entrata in vigore del Codice sarebbe opportuno prevedere una sospensione della procedura, con apertura di una finestra temporale (ad esempio: di sessanta/novanta giorni) finalizzata a verificare la possibilità di superare lo stato di crisi mediante una delle procedure disciplinate dal Codice.
2. Che vi sia la necessità di evitare una cesura netta tra i procedimenti formalmente pendenti prima della data di entrata in vigore del Codice e procedimenti iniziati dopo, è reso evidente anche dall’art. 23, comma 1, del d. lgs. n. 118 del 2021, di cui non è prevista l’abrogazione: tale norma afferma l’improcedibilità, fino al 31 dicembre 2021, dei ricorsi per la risoluzione del concordato preventivo e i ricorsi per la dichiarazione di fallimento proposti nei confronti di imprenditori che hanno presentato domanda di concordato preventivo ai sensi dell'articolo 186-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, omologato in data successiva al 1° gennaio 2019, e sembra una previsione finalizzata a evitare di sottoporre al precedente regime i procedimenti più recenti e vicini nel tempo, rispetto alla entrata in vigore del nuovo Codice.
2.1. Ferma restando l’utilità della previsione richiamata al paragrafo che precede – che peraltro dovrebbe essere aggiornata con modificazione del termine che segna la fine del periodo di improcedibilità – si ritiene comunque opportuno prevedere norme transitorie destinate, specificamente, a essere applicate solo alle procedure già pendenti alla data di entrata in vigore del Codice.
In ogni caso, con riferimento alle procedure già pendenti sarebbe opportuna l’introduzione di norme che evitino l’utilizzazione dei termini “fallito” e “fallimento”.
XI. Rilievi formali
In generale, si inviata a espungere gli avverbi latini nell’aggiungere commi agli articoli e, di conseguenza, a rinumerare i commi.
(a titolo di esempio, nell’art. 113, introdurre un “comma 2” in luogo del “comma 1 bis”.
Articolo 2 (Definizioni)
In generale
Sarebbe opportuna l’introduzione di ulteriori definizioni al fine di evitare ripetizioni, nel corpo del singolo articolo, a titolo di esempio:
a) l’indicazione per esteso di leggi ricorrenti: x) “Codice di protezione di dati personali”: decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196”.
b) l’indicazione per esteso della camera di commercio, industria, artigianato, agricoltura competente: xx) “camera di commercio competente”: la camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di ciascun capoluogo di regione e delle province autonome di Trento e di Bolzano”.
Sarebbe opportuno implementare l’introduzione degli acronimi nelle definizioni, applicandolo anche agli articoli del codice non modificati dallo schema di decreto (esempi: Istituto nazionale della previdenza sociale, Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura).
Sarebbe opportuno esplicitare l’uso di termini riassuntivi e comunemente in uso quali, per esempio “Unioncamere”.
Articolo 3 (Adeguatezza degli assetti in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa)
Comma 3
lett. b), dopo “debiti” sostituire la congiunzione con il segno di interpunzione della virgola;
lett. c), dopo “necessarie” sostituire “a seguire” con “ad utilizzare”; dopo risanamento anteporre il richiamo dell’articolo al comma.
Comma 4
Dopo “allarme”, sostituire il periodo che segue con “della crisi di impresa”.
Articolo 5-bis (Accesso alle informazioni e lista di controllo)
Rubrica
Ritiene la Commissione speciale che sarebbe opportuno non utilizzare il termine “accesso” nella rubrica, apparendo non appropriato quando si tratta di pubblicazioni online, atteso che nell’ordinamento è regolamentato l’“accesso” a richiesta.
Comma 1
Sostituire “internet” con “istituzionali” nel primo e nel secondo periodo; dopo “previsti”, espungere “e disciplinati”.
Articolo 13 (Istituzione della piattaforma telematica nazionale e nomina dell'esperto)
Comma 2, secondo periodo
Nel determinare i contenuti del decreto dirigenziale, appare più adeguato sostituire “la lista” con “il contenuto della lista”.
Inoltre, per l’adozione del decreto dirigenziale la disposizione rinvia all’art. 3 del d.l. n. 118 del 2021, che è stato abrogato dall’art. 45 dello schema di decreto. Si tratta evidentemente di un refuso.
Articolo 14 (Interoperabilità tra la piattaforma telematica nazionale per la composizione negoziata per la soluzione delle crisi d'impresa e altre banche di dati)
Rubrica
Appare superflua la specificazione in rubrica della finalità della composizione negoziata, presente anche nell’articolo 15, e si potrebbe espungere “per la soluzione delle crisi d'impresa”.
Comma 1 ultimo periodo: - sostituire “consente l’accesso alle informazioni contenute nella” con “alla”; - dopo “rispetto”, sostituire l’espressione “di quanto disposto dall’articolo” con “dell’articolo”; - dopo “n. 385” aggiungere “con le modalità di accesso alle informazioni stabilite dai soggetti gestori”.
Comma 2, in conseguenza delle modifiche suggerite per il comma 1: espungere l’ultimo periodo.
Articolo 15 (Interoperabilità tra la piattaforma telematica nazionale per la composizione negoziata per la soluzione delle crisi d'impresa e altre banche di dati)
La disposizione potrebbe essere semplificata:
“1. I creditori accedono alla piattaforma telematica nazionale per inserire le informazioni sulla propria posizione creditoria e i dati eventualmente richiesti dall'esperto e per conoscere, previo consenso prestato dall'imprenditore e dal singolo creditore, ai sensi del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, e del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, i documenti e le informazioni inseriti al momento della presentazione della istanza e nel corso delle trattative.”.
Articolo 16 (Requisiti di indipendenza e doveri dell'esperto e delle parti)
In collegamento alla riformulazione proposta dell’articolo 4, espungere i commi 4 e 8.
Articolo 17 (Accesso alla composizione negoziata e suo funzionamento)
Comma 2: espungere “contenuto del”.
Comma 3: alinea, sostituire l’espressione “, al momento della presentazione dell'istanza, inserisce nella piattaforma telematica” con “allega all’istanza”; lett. c), sostituire “dell'esistenza di” con “dei”; lett. h), espungere “gestita” e sostituire “dalla” con “della”.
Comma 4, primo periodo: sostituire “al soggetto che l’ha” con “alla commissione che lo ha”.
Articolo 19 (Procedimento relativo alle misure protettive e cautelari)
Comma 1, primo periodo: sostituire “ove occorre” con “ove occorra”, in collegamento con le osservazioni concernenti tale comma.
Articolo 21 (Gestione dell'impresa in pendenza delle trattative)
Comma 5
Dopo “segnalazione”, sostituire “di cui all’” con “al giudice ai fini dell’”.
Articolo 22 (Autorizzazioni del tribunale e rinegoziazione dei contratti)
Rubrica
Espungere “e rinegoziazione dei contratti”, in ragione dello spostamento del comma 2 che si propone nelle relative osservazioni.
Comma 1
Alinea: sarebbe preferibile riformularlo per evitare il generico riferimento agli atti valutati, mettendo in risalto la richiesta e a tal fine si propone:
“Il tribunale, verificata la funzionalità della richiesta dell’imprenditore rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori, può:”.
lett. a), b) e c), aggiungere il segno di interpunzione della virgola, prima di “prededucibili”;
lett. d), sarebbe opportuno prevederla in un autonomo comma, posto che è una ipotesi distinta dai crediti prededucibili.
Articolo 23 (Conclusione delle trattative)
Comma 1
Lett. a)
È opportuno richiamare direttamente la relazione finale dell’esperto, invece dell’art. 17, comma 8, che la prevede, come è stato fatto nella formulazione del comma 2 dello stesso articolo 23
Lett. c)
Per rendere più chiaro il contenuto precettivo, potrebbe essere così riformulata:
“concludere un accordo sottoscritto dall'imprenditore, dai creditori e dall'esperto, dal quale discende l’applicazione degli articoli 166, comma 3, lettera d), e 324, se l’esperto dà atto che il piano di risanamento appare coerente con la regolazione della crisi o dell'insolvenza.”.
Comma 2
Anticipando la parte finale del periodo dopo 61, risulterebbe la riformulazione che segue: “61 e, se il raggiungimento dell'accordo risulta dalla relazione finale dell'esperto, la percentuale di cui all'articolo 61, comma 2, lettera c), è ridotta al sessanta per cento.”
Comma 3
Alinea: dopo “alternativa” aggiungere “, all’esito delle trattative”.
Lett. b), espungere “all’esito delle trattative”.
Articolo 25-sexies (Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio)
Comma 1
Per rendere esplicito il rinvio all’art. 17, comma 8, dopo “comunicazione” aggiungere “dell’esperto per l’archiviazione”.
Articolo 25-octies (Segnalazione dell’organo di controllo)
Comma 1, secondo periodo e comma 2
È opportuno sostituire “di cui all’articolo 12, comma 1” con “di composizione negoziata della crisi”, perché il rinvio ad altro articolo del codice è superfluo, trattandosi di segnalazione avente ad oggetto la ritenuta sussistenza dei presupposti per accedere allo strumento disciplinato.
Articolo 25-nonies (Segnalazioni dei creditori pubblici qualificati)
Comma 1 ultima parte e comma 2, incipit
Per omogeneità di contenuto, il periodo del comma 1 “a mezzo di posta elettronica certificata o, in mancanza, mediante raccomandata con avviso di ricevimento inviata all'indirizzo risultante dall'anagrafe tributaria” andrebbe spostato nell’incipit del comma 2 dopo “inviate”; inoltre andrebbe sostituito “inviate” con “comunicate” perché più appropriato.
Comma 1, lett. a), n. 1 e n. 2
Al fine di rendere immediatamente comprensibile l’oggetto della segnalazione, si propone:
“1) al trenta per cento di quelli dovuti nell'anno precedente e all'importo di euro 15.000, per le imprese con lavoratori subordinati e parasubordinati;
2) all'importo di euro 5.000, per le imprese senza lavoratori subordinati e parasubordinati;”
Articolo 25-decies (Obblighi di comunicazione per banche e intermediari finanziari)
Ove non si intenda introdurre la definizione di testo unico bancario, nel corpo dell’articolo l’indicazione deve essere circostanziata con l’indicazione della fonte, della data, del numero.
Articolo 25-undecies (Istituzione di programma informatico di verifica della sostenibilità del debito e per l'elaborazione di piani di rateizzazione automatici)
Rubrica
Espungere “Istituzione di”, nonché “per l’”.
Comma 1
Di conseguenza, si propone la riformulazione che segue:
“Il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento, di cui all'articolo 13, comma 2, è effettuato con un programma informatico gratuito che elabora i dati necessari per accertare la sostenibilità del debito esistente, disponibile sulla piattaforma informatica di cui all’articolo 13, comma 2.”
Si potrebbe anticipare l’ultimo periodo del comma 2.
Comma 2
La formulazione del primo periodo potrebbe essere semplificata:
“Se l'indebitamento complessivo dell'imprenditore non supera i trentamila euro e risulta sostenibile all'esito dell'elaborazione condotta dal programma informatico, lo stesso programma elabora un piano di rateizzazione. L'imprenditore comunica la rateizzazione ai creditori interessati avvertendoli che, se non manifestano il proprio dissenso entro il termine di trenta giorni dalla ricezione della comunicazione, il piano si intende approvato ed è eseguito secondo le modalità e i tempi nello stesso indicati.”
Comma 3
Potrebbe essere anticipato come comma 2.
Dopo “decreto” sostituire “non regolamentare” con “dirigenziale”, per omogeneità con altri articoli del Codice.
Art. 64-bis (Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione)
Comma 8
Si segnala un refuso, nella parte che menziona l’opposizione “di cui al primo periodo”, poiché l’opposizione è quella “di cui al secondo periodo”.
P.Q.M.
Nelle esposte considerazioni è il parere favorevole della Commissione speciale.