Quando i genitori non sono in grado di assicurare al figlio quel minimo di cure materiali, di calore affettivo e di aiuto psicologico indispensabili allo sviluppo e alla formazione della sua personalità, a patto che tale situazione non sia dovuta a cause di forza maggiore di carattere transitorio.
Svolgimento del processo
Con sentenza depositata il 5 marzo 2018 la Corte d'Appello di Milano - sezione Minorenni - in riforma della sentenza n. 63/2017, depositata il 17.3.2017, del Tribunale per i Minorenni di Milano, ha dichiarato lo stato di adottabilità della minore M. S.. nata il 23/12/2014.
Il giudice di secondo grado ha evidenziato, preliminarmente, che la madre della minore, P. P., è stata condannata in via definitiva per il delitto di omicidio volontario alla pena di anni 18 di reclusione e da dicembre 2017 è in carcere per espiare la pena residua di anni diciassette, mesi 6 e giorni cinque di reclusione, nonché tre anni di libertà vigilata. Inoltre, dopo aver evidenziato insanabili contraddizioni logiche contenute nella sentenza di primo grado in ordine alla capacità di recupero della capacità genitoriale, la Corte d'Appello ha, altresì, rilevato, che tenuto conto che la sig.ra P. dovrà stare in carcere per moltissimo tempo e non potrà occuparsi della bambina, non appare in alcun modo prevedibile se la stessa riuscirà a compiere un percorso concreto di rivisitazione del proprio comportamento e di potenziamento delle sue scarse capacità genitoriali in carcere, in tempi compatibili con le impellenti necessità attuali di cura, educazione ed effetto della piccola M. per la costruzione di una sana identità personale.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione P. P. affidandolo a tre motivi.
Le altre parti non hanno svolto difese.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli artt.8 comma 4° e 10 comma 2° L. n. 184/1983, nonché degli artt. 24 e 110 Cost., per mancato rispetto del principio del contraddittorio e correlato diritto di difesa.
Lamenta la ricorrente che è stato leso il proprio diritto di difesa nonché di partecipazione al giudizio di secondo grado, non avendo più avuto dal settembre 2016 un difensore, il quale aveva rinunciato al mandato con comunicazione del 22 settembre 2016. Si duole che la Corte d'Appello avrebbe dovuto rilevare in prima udienza la carenza di difesa della ricorrente ed avrebbe dovuto immediatamente nominarne un difensore d'ufficio al fine di garantirle una difesa sostanziale, tanto più che la Corte era conoscenza del suo stato di detenzione.
Inoltre, tenuto conto che il procedimento di adottabilità, per la natura delicatissima degli interessi in gioco, è assimilabile più ad un procedimento penale che ad uno civile, al fine di assicurare la effettività della tutela della parte assistita, ove il difensore originariamente officiato non intenda, o non è in condizione, di proseguire nel suo incarico e l'interessato non provveda egli stesso ad avvicendarlo, il giudice ha l'obbligo, come nel processo penale, di nominare un difensore d'ufficio.
2. Il motivo è infondato.
Va preliminarmente osservato che la legge 28 marzo 2001 n. 149, entrata in vigore per la parte processuale il 1° luglio 2007, ha previsto l'assistenza legale obbligatoria nei procedimenti volti a dichiarare lo stato di adottabilità e in quelli relativi alla potestà dei genitori.
In particolare, ai sensi del modificato art. 8, comma 4, della legge n. 184/1983, il procedimento di adottabilità "deve svolgersi fin dall'inizio con l'assistenza legale del minore e dei genitori o degli altri parenti" entro il quarto grado che abbiano rapporti significativi con il minore. Il successivo art. 10 prevede che, all'atto dell'apertura del procedimento, il presidente del tribunale per i minorenni inviti i genitori (o, in mancanza, i parenti) a nominare un difensore, informandoli della nomina di un difensore d'ufficio nel caso non vi provvedano.
Nonostante la legge n. 184/1913, nella sua versione novellata, disciplini, all'art. 10 comma 4°, il procedimento di nomina del difensore d'ufficio (ove i genitori ed il minore non siano muniti di legale) nella sola fase del primo grado del giudizio di adottabilità, facendo esclusivamente riferimento alla figura del Presidente del Tribunale per i Minorenni, non vi è dubbio che l'assistenza legale obbligatoria dei genitori e del minore non possa essere circoscritta al primo grado del giudizio, ma deve estendersi anche ai gradi successivi.
Una tale interpretazione si impone sia alla luce del tenore letterale dell'art. 8 comma 4° L. 184/1983 che, come già sopra anticipato, nel disporre che il procedimento di adottabilità "deve svolgersi fin dall'inizio con l'assistenza legale del minore e dei genitori o degli altri parenti", ha fatto inequivocabilmente riferimento al procedimento di adottabilità nella sua interezza, sia alla luce dell'art. 24 comma 2° della Cost., che dispone che la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
Va, tuttavia, osservato che disporre, come fa l'art. 8 comma 4° legge cit., che il procedimento di adottabilità debba svolgersi sin dall'inizio con l'assistenza di un legale non vuol dire che in tale procedimento sia obbligatoria la costituzione in giudizio del legale dei genitori e del minore e che il difensore debba necessariamente partecipare ad ogni udienza, non essendo dato rinvenire nella legge sull'adozione alcuna norma che preveda tale adempimenti, come, è, invece, è disciplinato nel processo penale.
In proposito, in tema di udienza preliminare, l'art. 420 comma 1° cod. proc. pen. dispone che "l'udienza si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del pubblico ministero e del difensore dell'imputato".
In tema di atti introduttivi al dibattimento, l'art. 484 cod. proc. pen. dispone al comma 1° che" prima dell'inizio del dibattimento, il presidente controlla la regolare costituzione delle parti, e il comma 2° che "qualora il difensore dell'imputato non sia presente, il presidente designa come sostituto altro difensore a norma dell'art. 97 comma 4°". Tale norma, a sua volta, prevede che "quando è richiesta la presenza del difensore e quello di fiducia o di ufficio nominato a norma dei commi 2 e 3 non è stato reperito, il giudice designa come sostituto un altro difensore immediatamente reperibile per il quale si applicano le disposizioni di cui all'art. 102" (ovvero il sostituto esercita i diritti e assume i doveri del difensore).
Dunque, nel processo penale è obbligatoria la costituzione in giudizio e la partecipazione del difensore (di fiducia o d'ufficio) ad ogni udienza.
Il legislatore della legge sull'adozione, pur avvertendo la necessità di assicurare l'effettività della difesa dei genitori e del minore nel giudizio di adottabilità, attraverso la previsione della nomina a questi soggetti di un difensore d'ufficio, ove non ne siano muniti, non ha inteso riprodurre la disciplina del processo penale, né sussistono i presupposti per un'applicazione analogica di tale normativa nel procedimento di adottabilità, attesa la diversità funzionale e degli interessi tutelati nei due diversi procedimenti (la libertà personale nel processo penale).
Il difensore dei genitori e del minore non è dunque obbligato a costituirsi in giudizio ed a partecipare ad ogni udienza del procedimento di adottabilità, avendo il potere di esercitare discrezionalmente il proprio mandato difensivo come meglio crede.
Effettuata questa doverosa premessa, va osservato che, nel caso di specie, la odierna ricorrente era difesa nel giudizio di primo grado dall'avv. D. P. (giusta procura alle liti depositata il 14 ottobre 2016), la quale, ha rinunciato al mandato con atto depositato in cancelleria lo stesso giorno. Nonostante la rinuncia, l'avv. P., che non era mai stata sostituita, ha depositato una memoria conclusiva davanti al Tribunale per i Minorenni di Milano in data 28 febbraio 2017.
Nessun dubbio che la legale rinunciante, essendo ancora titolare dello ius postulandi, fosse comunque abilitata a depositare una memoria nell'interesse della signora P..
In proposito, va osservato che questa Corte (Cass. 17649/2010; vedi anche Cass. 23324/2012) già in passato ha enunciato il principio di diritto secondo cui "le vicende della "procura alle liti" sono disciplinate, dall'art. 85 cod. proc. civ., in guisa diversa dalla disciplina della procura al compimento di atti di diritto sostanziale, perché, mentre nella disciplina sostanziale è previsto che chi ha conferito i poteri può revocarli (o chi li ha ricevuti, dismetterli) con efficacia immediata, invece nè la revoca nè la rinuncia privano - di per sè - il difensore della capacità di compiere o di ricevere atti, atteso che i poteri attribuiti dalla legge processuale al procuratore non sono quelli che liberamente determina chi conferisce la procura, ma sono attribuiti dalla legge al procuratore che la parte si limita a designare. Ne consegue che, in base all'art. 85 cod. proc. civ., ciò che priva il procuratore della capacità di compiere o ricevere atti, non sono dunque la revoca o la rinuncia di per sé soli, bensì il fatto che alla revoca o alla rinuncia si accompagni la sostituzione del difensore". Anche recentemente, questa Corte ha ribadito il principio di diritto secondo cui la rinuncia al mandato - al pari della revoca della procura - non ha effetto nei confronti dell'altra parte finché non sia avvenuta la sostituzione del difensore e non esime il difensore rinunciante, sino a quando non ha informato il cliente, dal compimento di quelle attività difensive immanenti, connesse alla funzione di procuratore presente in udienza (Cass.28004/2021).
Si pone, a questo punto, la questione se, in una situazione, come quella di specie, caratterizzata dalla assenza di una normativa speciale riguardante specificamente il procedimento di adottabilità, in base ai principi generali che regolano la materia della difesa tecnica nel processo civile, possa ritenersi che la ricorrente fosse munita di un difensore nel giudizio di secondo grado o se, in caso negativo, il Presidente del Collegio del grado di appello fosse tenuto a nominarle un difensore d'ufficio.
In ordine a tale questione, se è pur vero che l'art. 83 ult. comma cod. proc. civ. dispone che la procura speciale si presume conferita soltanto per un determinato grado del processo, quando nell'atto non è espressa volontà diversa, tuttavia, non può escludersi che, nel caso di specie, all'avv. P. fosse stata rilasciata procura per ogni stato e grado del processo.
Sul punto, la ricorrente nulla ha dedotto, avendo la stessa dato (erroneamente) per scontato che, nei rapporti tra difensore e cliente, la rinuncia all'incarico produca immediatamente i propri effetti nel momento in cui viene comunicata alla cliente (e non nel diverso momento in cui il legale viene sostituito), con la conseguenza che, secondo le allegazioni della ricorrente, il rapporto professionale con l'avv. P. non sarebbe cessato neppure eventualmente al termine del giudizio di primo di primo grado (ove la procura speciale fosse stata conferita per un solo grado), ma addirittura prima, in data 22 settembre 2016, con la comunicazione della rinuncia all'incarico da parte del legale.
Deve, pertanto, ritenersi, in difetto di qualsiasi allegazione da parte della ricorrente di una eventuale limitazione del mandato difensivo conferito all'avv. P. al solo giudizio di primo grado, che, come implicitamente ritenuto dalla Corte d'Appello (che ha dato atto, a pag. 2 della sentenza impugnata, della notifica da parte del P.M. dell'atto di appello ai genitori nel domicilio eletto presso i difensori e della mancata costituzione degli stessi in quel grado) la ricorrente fosse regolarmente munita di legale anche nel secondo grado del giudizio.
Va, peraltro, evidenziato che la P. non ha impugnato la decisione di appello, sul punto in cui fa riferimento alla procura depositata e al fatto che l'avv. P. «ha continuato ad assistere la P. per l'intero procedimento, sino alla sua conclusione e non è stato mai sostituita dalla madre della minore».
La circostanza che il legale della ricorrente, rinunciante# ma consapevole di non essere mai sostituito, non si sia costituito nel giudizio di secondo grado e non abbia partecipato alle relative udienze, non dà luogo, alla luce di quanto sopra illustrato, e in difetto di una normativa speciale che preveda una diversa disciplina, ad una violazione del diritto di difesa.
3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 1,2,8,10 e 15 L. n. 184/1983, 3 e31 Coste 8 CEDU., sul rilievo che la sentenza impugnata ha statuito lo stato di abbandono di M. senza considerare preminente il significativo legame affettivo rilevato da tutti gli operatori(CTU, Spazio Neutro e Comunità) ed il trauma che avrebbe subito la minore per un'eventuale rescissione del legame.
Si duole la ricorrente che la Corte d'Appello ha statuito lo stato di abbandono senza motivare adeguatamente la necessarietà della rescissione del legame con la famiglia biologica, e ciò in relazione al fatto che l'art. 8 CEDU precisa che le misure volte a spezzare il legame tra un bambino e la sua famiglia possono essere applicate solo in casi assolutamente eccezionali.
4. Il motivo è inammissibile.
Va osservato che se è pur vero che la ricorrente, nell'invocare la prioritaria esigenza dei figli di vivere, nei limiti del possibile, con i genitori biologici, afferma un principio sancito dall'art. 1 L. n. 184 del 198 (rafforzato dalla consolidata interpretazione dell'art. 8 CEDU), la stessa non considera, tuttavia, che la situazione di abbandono, quale presupposto necessario per la dichiarazione dello stato di adottabilità, è configurabile quando si accerti che la vita offerta al minore dai congiunti sia inadeguata al normale sviluppo psico-fisico, così che la rescissione del legame familiare diviene uno strumento necessario per evitare per il bambino un più grave pregiudizio (Cass. 10 luglio 2014 n. 15861, 29 marzo 2011, n. 7115; 26 gennaio 2011, n. 1838; 31 marzo 2010, n. 7959; 1 febbraio 2005, n. 1996; 7 febbraio 2002, n. 1674).
Lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità ricorre, pertanto, allorquando i genitori non siano in grado di assicurare al minore quel minimo di cure materiali, di calore affettivo e di aiuto psicologico indispensabili allo sviluppo e alla formazione della sua personalità, senza che tale situazione sia dovuta a motivi di carattere transitorio (art. 8 I. 184/1983), considerati in base ad una valutazione che, involgendo un accertamento di fatto, spetta al giudice di merito (Cass. 11171/2019).
Nel caso di specie, la Corte d'Appello non ha fatto omesso di motivare la necessarietà della rescissione del legame con la famiglia biologica, e, in particolare, con la madre, indicando in modo dettagliato e persuasivo le ragioni per le quali ha ritenuto di disattendere le opposte conclusioni cui era pervenuto il Tribunale per i Minorenni di Milano.
In particolare, in primo luogo, la Corte d'Appello ha messo in luce che anche la sentenza di primo grado, in conformità alle conclusioni della consulenza tecnica d'ufficio svolta in primo grado, aveva evidenziato che "entrambi i genitori, in ragione delle proprie caratteristiche personologiche, tendenti ad agiti impulsivi, scarsamente riflessivi, poco protettivi per la bambina, ad oggi non appaiono nelle condizioni di prendersi adeguatamente cura della figlia al di fuori di un contesto protezione .......non va dimenticato che nelle pregresse esperienze genitoriali di entrambi si rinvengono fattori a rischio che non possono in questa sede essere sottovalutati, essendo la madre stata dichiarata decaduta rispetto ai figli di una precedente unione".
Il giudice di secondo grado ha coerentemente motivato il contrasto logico insanabile che ha ritenuto di rinvenire nella sentenza di primo grado, la quale (sempre in adesione alla CTU), da un lato, aveva valutato che le carenze genitoriali erano reversibili e compatibili con un progetto di affido eterofamiliare (di cui non era, peraltro, stata nemmeno indicata la durata) che garantisse la continuità di relazione con i genitori, e, dall'altro, aveva espressamente previsto che il progetto di collocamento eterofamiliare avvenisse con particolari cautele (inconciliabili con il progetto stesso), ovvero trasferendo la bambina presso gli affidatari con modalità protette, mantenendo segreto il luogo di collocamento ed evitando i contatti tra genitori biologici ed affidatari, e ciò in relazione alla previsione concreta che i genitori avrebbero osteggiato il progetto con tutte le loro forze e con modalità oppositive e violente che erano per loro consuete.
La Corte d'Appello ha rimarcato che il progetto di affido etero familiare, istituto finalizzato a fronteggiare una situazione di difficoltà temporanea della famiglia, era, nel caso di specie, stato scelto per un periodo "sine die" per far fronte ad una situazione di criticità affatto transitoria, e ciò non solo in relazione al lungo periodo di carcerazione che la madre avrebbe dovuto probabilmente affrontare (residua condanna di anni 17 e mesi circa di reclusione, oltre tre anni di libertà vigilata). Dunque, le gravissime carenze dei genitori non erano prevedibilmente reversibili in tempi compatibili con le pressanti esigenze evolutive della minore.
Il giudice di secondo grado ha dato, altresì, atto che, successivamente alla pronuncia della sentenza di primo grado che aveva rigettato l'istanza di dichiarazione di adottabilità della minore (17.3.2017), dalla relazione del servizio Sercop inviata al P.M. a fine marzo 2017 emergevano le gravi minacce perpetrate dai genitori verso gli operatori incaricati di reperire una famiglia affidataria alla minore, la quale era stata poi collocata con modalità protette, al fine di tutelare la stessa minore e la nuova famiglia dai genitori biologici.
La Corte ha evidenziato, alla luce di una successiva relazione aggiornata del Sercop del gennaio 2018, l'inidoneità dei genitori a formulare un pensiero autocritico, avendo la tendenza ad attribuire all'esterno le cause delle proprie difficoltà familiari e genitoriali, in un atteggiamento caratterizzato da una minimizzazione delle proprie responsabilità. D'altra parte, la P. si era sempre dimostrata incapace di collaborare nella comunità ove era stata collocata con la figlia sin dal 2016.
Infine, come già anticipato nella parte narrativa, la Corte d'Appello ha sottolineato che, tenuto conto che la ricorrente dovrà stare in carcere per moltissimo tempo e non potrà occuparsi della bambina, non appare in alcun modo prevedibile se la stessa riuscirà a compiere un percorso concreto di rivisitazione del proprio comportamento e di potenziamento delle sue scarse capacità genitoriali in carcere, in tempi compatibili con le impellenti necessità attuali di cura, educazione ed effetto della piccola M. per la costruzione di una sana identità personale.
In conclusione, il giudice d'appello, tenuto conto dell'interesse della bambina a crescere in un contesto stabile, accogliente ed educativo che la sua famiglia d'origine non era in nessun modo in grado di garantirle, della mancanza di consapevolezza da parte dei genitori dei loro gravissimi limiti come persone e genitori, del loro comportamento aggressivo e minaccioso, ha valutato integrato lo stato di abbandono materiale e morale ritenendo che la protrazione del legame tra i genitori e la minore avrebbe esposto quest'ultima al concreto rischio di non riuscire a godere della serenità e della stabilità indispensabile per la sua crescita.
La corposa motivazione della Corte di Appello, riassunta in questa sede nei suoi passaggi più significativi - a differenza di quanto sostenuto dalla ricorrente – ha adeguatamente argomentato la necessarietà della rescissione del legame della minore con la famiglia biologica: con tale l'articolato percorso argomentativo della sentenza impugnata la ricorrente non ha ritenuto di confrontarsi minimamente, limitandosi a svolgere genericamente censure di merito, in quanto finalizzate a sollecitare una diversa valutazione del materiale probatorio esaminato dalla Corte d'Appello ed a prospettare una diversa ricostruzione dei fatti.
Va, infine, evidenziato che lo stato di detenzione della ricorrente non è un fatto idoneo ad integrare gli estremi della situazione di forza maggiore di carattere transitorio ipotizzata dal primo comma dell'art. 8 legge 184/83 (situazione che, trascendendo la condotta e la volontà del soggetto obbligato, giustifica la mancata assistenza del minore), dovendosi tale "status libertatis" ritenere senz'altro imputabile alla condotta criminosa del genitore, volutamente posta in essere nella consapevolezza di una possibile carcerazione (Cass. 6853/1997; Cass. 2672/1998; Cass. 2774/1999).
In conclusione, coerentemente, la Corte d'Appello ha evidenziato lo stato di abbandono materiale e morale del minore, suffragato sia dall'assenza di una figura paterna - G. S., oltre a non avere dimostrato interesse per la minore M., tanto è vero che non ha neppure impugnato la declaratoria dello stato di adottabilità della minore, è stato descritto come persona violenta che ha riportato condanna per maltrattamenti ai danni dei figli avuti da precedenti relazioni - sia dall'assenza di figure vicariali alternative (nonni, zii, o altri).
5. Con il terzo motivo è stato dedotto l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 comma 1° n. 5 cod. proc. civ. , sia in relazione al mancato espletamento della rinnovazione della CTU, sia in ordine alla valutazione del Tribunale sulla carcerazione della madre, oltre al vizio motivazionale su tali aspetti.
Va preliminarmente osservato che questa Corte (vedi Cass. n. 326/2020), ha anche recentemente affermato che la consulenza tecnica d'ufficio è mezzo istruttorio diverso dalla prova vera e propria, sottratto alla disponibilità delle parti e affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell'ausiliario e potendo la motivazione dell'eventuale diniego del giudice di ammissione del mezzo essere anche implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato. Tali considerazioni valgono anche relativamente alla valutazione del giudice di non disporre il rinnovo, richiesto da una delle parti, della consulenza d'ufficio già espletata.
Ciò premesso, le censure della ricorrente sono comunque generiche, non avendo la stessa neppure precisato le ragioni in base alle quali aveva richiesto la rinnovazione della CTU.
Anche la censura secondo cui la Corte d'Appello avrebbe omesso la valutazione svolta dal giudice di primo grado sulla carcerazione della madre è parimenti generica, non avendo la ricorrente neppure precisato quale tipo di valutazione avrebbe fatto il tribunale sul suo stato di detenzione. In ogni caso, non è stata spiegata dalla ricorrente la decisività di tale questione, né allegato "dove e "come" la stessa avrebbe formato oggetto di discussione tra le parti.
Non si liquidano le spese di litndo gli intimati svolto difese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003.