La parola al Consiglio di Stato, che nella sentenza in commento specifica con quale procedimento valutativo viene qualificata un'opera come abuso edilizio ovvero come pertinenza urbanistica.
Il Comune di Napoli ordinava all'odierno ricorrente la demolizione di alcune opere realizzate nel suo appartamento perché eseguite sine titulo. Si trattava, nello specifico, di un manufatto in muratura di circa 37 mq, della pavimentazione del lastrico solare, dell'accorpamento al vano cucina di una loggia di 4 mq chiusa con infissi in alluminio e vetri e di...
Svolgimento del processo
Ritenuto che il giudizio può essere definito con sentenza emessa ai sensi dell’art. 74 c.p.a.;
Rilevato in fatto che:
- il signor M.P. è proprietario di un appartamento ubicato al settimo piano di un fabbricato sito in Napoli, Corso S. n. (omissis);
- il Comune di Napoli, successivamente a sequestro intervenuto in data 7 maggio 2010, con determina dirigenziale n. 150 del 6 marzo 2012, ordinava al signor P. la demolizione di alcune opere ivi realizzate ¿ segnatamente: un manufatto in muratura di circa 37 mq con copertura in lamiere coibentate; pavimentazione del lastrico solare; accorpamento al vano cucina dell’appartamento di una loggia di 4 mq chiusa con infissi in alluminio e vetri; tettoie in PVC su due balconi di 3 x 1 m ciascuna – in quanto eseguiti sine titulo;
- il signor P. domandava l’annullamento di tale provvedimento, eccependo la violazione della normativa urbanistica ed edilizia, delle norme sul giusto procedimento e, in ogni caso, l’eccesso di potere per erroneità dei presupposti, derivando la struttura dall’accorpamento di due manufatti preesistenti e condonati;
- il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, con sentenza n. 3134 del 2016, respingeva il ricorso;
- avverso la predetta sentenza, il signor P. ha proposto appello, riproponendo nella sostanza le medesime questioni già sollevate nel giudizio di primo grado, sia pure adattate all’impianto motivazione della sentenza gravata;
- segnatamente, l’appellante deduce che:
i) diversamente da quanto statuito dal primo giudice, le opere realizzate non avrebbero comportato alcun aumento volumetrico o di superficie, ed avendo natura manutentiva e pertinenziale non sarebbero soggette a permesso di costruire, cosicché sarebbe stata applicabile soltanto la sanzione pecuniaria; contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure, le opere in questione non potrebbero essere considerate nella loro globalità, bensì andrebbero considerate distintamente; in particolare, per quanto concerne il manufatto di circa mq 37,00, si sarebbe in presenza di un manufatto realizzato ex novo ma solo di interventi di natura manutentiva, pertinenziale o di ristrutturazione edilizia, eseguiti a parità di volume su di una preesistente struttura che si compone di due corpi di fabbrica (uno di mq. 27,40 ed un altro di mq. 8,90), per i quali erano state presentate, in tempi diversi, due distinte domande di condono edilizio;
ii) il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che, in ragione della natura vincolata del provvedimento, sarebbe superflua e non dovuta una puntuale motivazione sull’interesse pubblico alla demolizione, quando invece la predetta circostanza non esimerebbe l’Amministrazione dal motivare adeguatamente la propria determinazione in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico alla demolizione; il mero richiamo della normativa ritenuta ostativa non sarebbe sufficiente a ritenere adempiuto l’obbligo di motivazione da parte della pubblica amministrazione;
iii) il giudice di prime cure avrebbe rigettato una censura mai mossa dall’appellante in ordine ad un presunto obbligo da parte dell’Amministrazione di effettuare una valutazione di proporzionalità della sanzione demolitoria con riferimento ad opere realizzate in zona vincolata, anche perché le opere in questione non ricadrebbero affatto in zona vincolata;
iv) l’Amministrazione avrebbe dovuto in ogni caso ottemperare all’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento nell’ipotesi di provvedimenti sanzionatori di abusi edilizi;
v) il primo giudice di prime cure avrebbe omesso di pronunciarsi sul quinto motivo del ricorso di primo grado, con il quale si lamentava la violazione dell’art. 3, comma 3, della legge n. 241 del 1990, in base al quale, qualora la motivazione di un atto risulti da altra determinazione ivi richiamata, anche quest’ultima dovrebbe essere resa disponibile al destinatario (nel caso di specie, la contestazione degli abusi rinvierebbe al contenuto delle risultanze di una istruttoria tecnica, completata il 26 febbraio 2012, senza che essa sia stata messa nella disponibilità del ricorrente);
- si è costituito in giudizio il Comune di Napoli, eccependo l’inammissibilità dell’appello per violazione del principio di specificità dei motivi di impugnazione (dettato dall’art. 101, comma 1, c.p.a.), e per il resto chiedendo il rigetto del gravame;
Motivi della decisione
- il principio della ‘ragione più liquida’, corollario del principio di economia processuale, consente di derogare all’ordine logico di esame delle questioni ¿ e quindi di tralasciare ogni valutazione pregiudiziale sulla eccepita violazione dell’art. 101, comma 1, c.p.a., per mancanza di specificità dei motivi di impugnazione ¿ e di risolvere la lite nel merito;
- preliminarmente va ricordato che, secondo la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, l’opera edilizia abusiva deve essere identificata con riferimento all’unitarietà degli interventi, anche se realizzati progressivamente e in epoche diverse, essendo altresì irrilevante la suddivisione in più unità abitative e la presentazione di istanze di condono separate (ove imputabili ad un unico centro di interessi);
- nel verificare l’unitarietà o la pluralità degli interventi edilizi, non può tenersi conto del solo profilo strutturale, afferente alle tecniche costruttive del singolo manufatto, ma deve prendersi in esame anche l’elemento funzionale, al fine di verificare se le varie opere, pur strutturalmente separate, siano, tuttavia, strumentali al perseguimento del medesimo scopo pratico (cfr., ex multis: Consiglio di Stato, sez. VI, 8 febbraio 2022, n. 883; sez. VI, 8 settembre 2021, n. 6235; sez. VI, 1 marzo 2019, n.1434);
- al fine di qualificare un intervento edilizio, consistente in una pluralità di opere, va dunque compiuto un apprezzamento globale, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi si presterebbe a comportamenti opportunistici finalizzati ad eludere (attraverso l’artificioso ‘frazionamento’) la disciplina edilizia e urbanistica;
- su queste basi, l’intervento edilizio contestato nel presente giudizio valutato nella sua globalità ¿ trattasi della realizzazione: «sul lastrico solare dell’appartamento posto al 7° piano del fabbricato, a) di un manufatto in muratura di circa mq 37,00 con copertura in lamiere coibentate impostate a circa m 2,80 dal calpestio e collegato da scala elicoidale all’appartamento sottostante; b) della pavimentazione dell’intero lastrico solare, ivi compresa la zona in cui insiste il manufatto sopra descritto; c) al 7° piano, realizzava l’accorpamento, al vano cucina dell’appartamento, di un balcone rientrante, chiudendolo con una parete di alluminio e vetri, in modo da ottenere una veranda di circa mq 4,00; d) infine, nell’apposizione, su due balconi, di tettoie in PVC su ritti in ferro dalle dimensioni di m 3,00 x 1,50 cadauno» ¿ era senza dubbio soggetto al regime del permesso di costruire;
- il manufatto di mq 37 costituisce una opera nuova, per quanto sia stata ottenuta sommando le superfici di due opere preesistenti chieste a condono (dalla lettura degli atti si apprende che, con disposizione dirigenziale n. 18318 del 12 gennaio 2010, veniva rilasciato, il condono, ai sensi della legge n. 326 del 2003, relativo alla «costruzione di una veranda chiusa su tre lati sul terrazzo di copertura di proprietà esclusiva realizzata con copertura in lamiere gregate multistrato poggiante su struttura portante in ferro e muratura in blocchi di lapil cemento», avente una superficie di mq 27,40; una precedente istanza di condono edilizio, ai sensi della legge n. 47 del 1985, aveva invece avuto ad oggetto la «costruzione di un piccolissimo corpo di fabbrica destinato a ripostiglio» al servizio dell'appartamento per cui è causa, di 8,90 mq, pratica che secondo l’appellante sarebbe stata definita ‘per silentium’);
- i due manufatti preesistenti – che prima era separati e adibiti, rispettivamente, a veranda chiusa su tre lati e ripostiglio – sono confluiti all’interno di un unico corpo di fabbrica, il quale costituisce un ‘quid novi’, per consistenza (37 mq. x 3 m. di altezza), composizione (tre vani forniti di impiantistica, piatto doccia, pavimenti, rivestimenti, infissi esterni e portoncino) e destinazione (abitativa con collegamento, tramite scala, all’appartamento sottostante), a nulla rilevando che sia stata utilizzata una metratura corrispondente a quella condonata;
- trattandosi della creazione di un organismo edilizio diverso da quello preesistente (e non della mera rinnovazione e sostituzione di parti anche strutturali dell’edificio), l’Amministrazione non aveva l’onere di annullare in autotutela i titoli abilitativi rilasciati per condono;
- con specifico riguardo alla veranda (di circa mq 4, accorpata al vano cucina dell’appartamento), è sufficiente richiamare la giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo cui le verande realizzate sulla balconata di un appartamento, determinando una variazione planivolumetrica ed architettonica dell’immobile nel quale vengono realizzate, sono senza dubbio soggette al preventivo rilascio di permesso di costruire (Consiglio di Stato sez. VI, 24 gennaio 2022, n. 469); la veranda integra un nuovo locale autonomamente utilizzabile il quale viene ad aggregarsi ad un preesistente organismo edilizio, per ciò solo trasformandolo in termini di sagoma, volume e superficie (cfr. Consiglio di Stato, Sez. II, 12 febbraio 2020 n. 1092; Sez.VI, 4 ottobre 2019 n. 6720; Sez. VI, 9 ottobre 2018 n. 5801);
- le medesime conclusioni vanno svolte in relazione alle ulteriori opere sanzionate: la pavimentazione dell'intero lastrico solare e l’apposizione, su due balconi, di tettoie in PVC su ritti in ferro dalle dimensioni di m. 3,00 x 1,50 cadauno;
- la costruzione di tettoie di consistenti dimensioni (come quelle contestate nel presente giudizio, realizzate e saldate sulla ringhiera dei balconi), comportanti una perdurante alterazione dello stato dei luoghi e incidenti per sagoma, prospetto, volumetria e materiali impiegati in modo stabile e duraturo sull'assetto urbanistico-edilizio del territorio, necessita del preventivo rilascio del permesso di costruire (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato sez. VI, 13 aprile 2021, n. 3005; Sez. IV, 8 agosto 2019, n. 5637; Sez. VI, 5 agosto 2013, n. 4086);
- la pavimentazione del lastrico solare va qualificata in relazione al manufatto (abusivo) che ne evidenzia la nuova destinazione di terrazzo a servizio dello stesso e concorre anch’essa alla modifica degli elementi tipologici formali e strutturali dell’organismo preesistente;
- per le richiamate caratteristiche di ingombro e dimensioni, deve escludersi che una siffatta complessiva trasformazione dell’assetto edilizio preesistente in termini di sagoma, volume e superficie potesse integrare una «pertinenza» in senso urbanistico;
- la qualifica di pertinenza urbanistica è infatti applicabile soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, ma non anche opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all’opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 gennaio 2016, n. 19; Sez. VI, 24 luglio 2014, n. 3952; Sez. V, 12 febbraio 2013, n. 817; Sez. IV, 2 febbraio 2012, n. 615);
- in ragione della conclamata abusività del manufatto, sono infondate le censure di difetto di motivazione del provvedimento di demolizione;
- secondo la consolidata giurisprudenza, a fronte di immobili sforniti di titolo abilitativo, l’ordine di demolizione è infatti atto dovuto e vincolato e non necessita di motivazione aggiuntiva rispetto all’indicazione dei presupposti di fatto e all’individuazione e qualificazione degli abusi edilizi, neppure quando sia trascorso un notevole lasso di tempo dalla sua realizzazione, non potendo configurarsi alcun legittimo affidamento in relazione a situazioni contra legem;
- nel caso di specie, l’ordinanza gravata riporta in modo specifico la descrizione delle opere abusive e le norme poste alla base del provvedimento di riduzione in pristino, menzionando le risultanze dell’istruttoria svolta;
- venendo poi alla censura incentrata sulla violazione delle regole in tema di contraddittorio procedimentale, è sufficiente considerare che, essendo «palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato», l’atto non è comunque annullabile ai sensi dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990 (peraltro, secondo quando dedotto dalla difesa comunale senza specifica contestazione di controparte, il ricorrente ha sottoscritto il verbale di sequestro in data 8 luglio 2010, con il quale gli veniva contestato il proseguimento dei lavori abusivi, per cui era a conoscenza del procedimento in corso);
- da ultimo, con riferimento alla lamentata violazione dell’art. 3, comma 3, della legge n. 241 del 1990, va replicato che la disposizione ¿ nella parte in cui afferma che «[s]e le ragioni della decisione risultano da altro atto dell’amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest’ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l’atto cui essa si richiama» ¿ va intesa nel senso che all’interessato deve essere garantita la possibilità di prenderne visione, di richiederne e ottenerne copia in base alla normativa sul diritto di accesso ai documenti amministrativi e di chiederne la produzione in giudizio, con la conseguenza che non sussiste per la pubblica amministrazione l’obbligo di notificare all’interessato tutti gli atti richiamati nel provvedimento, ma soltanto di indicarne gli estremi e di metterli a disposizione su richiesta dell'interessato (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 5 dicembre 2014, n. 6013; sez. IV, 10 maggio 2021, n. 3609);
- l’appello, per tutte le ragioni sopra esposte, va integralmente respinto;
- le spese di lite del secondo grado di giudizio seguono la regola generale della soccombenza;
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 9955 del 2016, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l’appellante al pagamento delle spese di lite del secondo grado di giudizio in favore del Comune di Napoli, che si liquidano in € 2.500,00, oltre accessori di legge se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.