Alla cessazione del rapporto di lavoro, chi non abbia fruito delle ferie annuali ha diritto a un'indennità sostitutiva, a meno che il datore di lavoro provi di aver posto il lavoratore nelle condizioni di esercitare il diritto in questione prima della cessazione.
La Corte d'Appello di Bari ha confermato la decisione con la quale il Tribunale aveva rigettato la domanda della lavoratrice volta ad ottenere la corresponsione dell'indennità sostitutiva per i 38 giorni di ferie maturati negli ultimi mesi del rapporto (ormai cessato) e non fruiti per via del diniego da parte del Direttore con la motivazione “per necessità...
Svolgimento del processo
1. La Corte d'Appello di Bari, confermando la pronuncia del Tribunale di Trani, ha rigettato la domanda con la quale VC, dirigente di primo livello addetta all'Unità Operativa di Medicina Interna del Presidio Ospedaliero di X, aveva domandato, nei riguardi della Azienda Sanitaria Locale X ( di seguito ASL), la corresponsione dell'indennità sostitutiva per i 38 giorni di ferie maturati negli ultimi quindici mesi del rapporto, non fruiti nonostante le istanze da essa presentate fossero state respinte dal Direttore della sua Unità Operativa con la motivazione "per necessità di servizio";
2. la Corte di merito riteneva che la lavoratrice non avesse provato che il mancato godimento delle ferie fosse dovuto ad esigenze di servizio, né quali fossero state le specifiche motivazioni che avevano determinato l'accumulo delle giornate, dovendosi anche considerare l'esiguità del tempo a disposizione dell'Azienda tra la richiesta e la fine del rapporto;
3. la VC ha proposto ricorso per cassazione con un unico motivo, cui la ASL ha opposto difese mediante controricorso;
4. la proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ., è stata notificata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio non partecipata;
Motivi della decisione
1. l'unico motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 36 della Costituzione, degli art. 2109 e 2697 c.c., dell'art. 10 d. lgs. 66/2003, dell'art. 5, co. 8, d.l. 95/2012, conv. in L. 135/2012, dell'art. 7 della Direttiva 2003/88/CE (art. 360 n. 3 c.p.c.) e con esso si sostiene che la Corte territoriale avrebbe deciso addossando alla lavoratrice oneri probatori che non le erano propri, una volta pacifico che il periodo di ferie di cui si rivendicava la monetizzazione non era stato fruito ed il rapporto era cessato;
2. il motivo è palesemente fondato, alla luce dell'assetto degli oneri probatori in subiecta materia quale consolidatosi presso questa S.C. anche in esito agli indirizzi della Corte di Giustizia UE;
3. sul tema dispiega decisiva influenza la normativa eurounitaria;
4. secondo Corte di Giustizia 6 novembre 2018, Max-Planck, infatti, «l'articolo 7 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, e l'articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale, come quella discussa nel procedimento principale, in applicazione della quale, se il lavoratore non ha chiesto, nel corso del periodo di riferimento, di poter esercitare il suo diritto alle ferie annuali retribuite, detto lavoratore perde, al termine di tale periodo - automaticamente e senza p evia verifica del fatto che egli sia stato effettivamente posto dal datore di lavoro, segnatamente con un'informazione adeguata da parte di quest'ultimo, in condizione di esercitare questo diritto»;
5. la lettura della Corte di Giustizia si coordina del resto e non contrasta con l'orientamento interpretativo della Corte Costituzionale, quale manifestato quando fu ad essa sottoposta questione di legittimità rispetto alla previsione dell'art. 5, co. 8, d.l. 95/2012 conv., con mod. in L. 135/2012 secondo cui, nell'ambito del lavoro pubblico, le ferie, riposi e i permessi «sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti» e che non si possano corrispondere «in nessun caso» trattamenti economici sostitutivi;
6. Corte Costituzionale 6 maggio 2016, n. 95, ha infatti ritenuto che la legge non fosse costituzionalmente illegittima, in quanto da interpretare nel senso che la perdita del diritto alla monetizzazione non può aversi allorquando il mancato godimento delle ferie sia incolpevole, non solo perché dovuto ad eventi imprevedibili non dovuti alla volontà del lavoratore, ma anche quando ad essere chiamata in causa sia la «capacità organizzativa del datore di lavoro», nel senso che quest'ultima va esercitata in modo da assicurare che le ferie siano effettivamente godute nel corso del rapporto, quale diritto garantito dalla Carta fondamentale (art. 36, comma terzo), dalle fonti internazionali (Convenzione dell'Organizzazione internazionale del lavoro n. 132 del 1970, concernente i congedi annuali pagati, ratificata e resa esecutiva con legge 10 aprile 1981, n. 157) e da quelle europee (art. 31, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007; direttiva 23 novembre 1993, n. 93/104/CE del Consiglio), sicché non potrebbe vanificarsi «senza alcuna compensazione economica, il godimento delle ferie compromesso ... da .... causa non imputabile al lavoratore», tra cui rientra quanto deriva dall'inadempimento del datore di lavoro ai propri obblighi organizzativi in materia, i quali non possono che essere ravvisati, per coerenza complessiva dell'ordinamento, nell'assetto sostanziale e processuale quale compiutamente delineato dalla Corte di Giustizia n i termini già sopra evidenziati;
7. sono dunque infondate le difese della ASL sviluppate sul richiamo dell'art. 5, co. 8, d.l. 95/2012, conv., con mod. in L. 135/2012 la cui interpretazione, nel quadro di cui sopra, non osta al diritto alla monetizzazione alle ferie, qualora il datore di lavoro non adempia ai propri oneri probatori;
8. nel medesimo senso, questa S.C. ha già ritenuto che «il diritto alle ferie annuali retribuite dei dirigenti pubblici, in quanto finalizzato all'effettivo godimento di un periodo di riposo e di svago dall'attività lavorativa (nel quadro dei principi di cui agli artt. 36 Cost. e 7, par. 2, della direttiva 2003/88/CE), è irrinunciabile; ne consegue che il dirigente il quale, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, non ne abbia fruito, ha diritto a un'indennità sostitutiva, a meno che il datore di lavoro dimostri di averlo messo nelle condizioni di esercitare il diritto in questione prima di tale cessazione, mediante un'adeguata informazione nonché, se del caso, invitandolo formalmente a farlo» (C. 13613/2020) ed ha ora ulteriormente precisato che anche «il potere del dirigente pubblico di organizzare autonomamente il godimento delle proprie ferie, pur se accompagnato da obblighi previsti dalla contrattazione collettiva di comunicazione al datore di lavoro della pianificazione delle attività e dei riposi, non comporta la perdita del diritto, alla cessazione del rapporto, all'indennità sostitutiva delle ferie se il datore di lavoro non dimostra di avere, in esercizio dei propri doveri di vigilanza ed indirizzo sul punto, formalmente invitato il lavoratore a fruire delle ferie e di avere assicurato altresì che l'organizzazione del lavoro e le esigenze del servizio cui il dirigente era preposto non fossero tali da impedire il loro godimento» (C. 18140/2022);
9. neppure possono rinvenirsi profili ostativi alla monetizzazione nel disposto dell'art. 10, GO, 1, d. lgs. 66/2003, richiamato nelle difese della ASL, secondo cui il periodo feriale minimo di quattro settimane «va goduto per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell'anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell'anno di maturazione»;
10. la norma va intesa infatti, in ragione del quadro interpretativo di cui sopra, come regola di disciplina delle modalità ordinarie di fruizione minima delle ferie maturate in un certo anno, senza interferenze con il diritto alla monetizzazione, alla fine del rapporto, delle ferie non godute, qualora il datore di lavoro non adempia agli oneri probatori a suo carico quali sopra delineati;
11. la perdita del diritto alle ferie, ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro, può dunque verificarsi «soltanto nel caso in cui il datore di lavoro offra la prova di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie - se necessario formalmente - e di averlo nel contempo avvisato - in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all'interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire - che, in caso di mancata fruizione, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato» (C. 21780/2022);
12. tutto ciò rende manifesta l'erroneità dell'argomentare giuridico della Corte territoriale, la quale ha valorizzato soltanto comportamenti asseritamente inerti del lavoratore, senza esaminare i comportamenti datoriali e chiudendo la causa in applicazione erronea della regola sull'onere della prova;
13. la sentenza va quindi cassata con rinvio alla medesima Corte d'Appello affinché essa decida la controversia facendo applicazione dei principi sopra esposti;
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d'Appello di Bari in diversa composizione.