Salvo che il datore di lavoro non dimostri che il diritto alle ferie e ai riposi settimanali è stato perso dal medesimo lavoratore perché egli non ne ha goduto nonostante l'invito ad usufruirne.
Dopo le dimissioni, una dipendente dell'INPS chiedeva dinanzi al Tribunale di Milano la condanna dell'Istituto alla corresponsione dell'indennità sostitutiva per ferie non godute, per la mancata tempestiva fruizione delle medesime e per compenso incentivante.
Il Tribunale accoglieva parzialmente il ricorso dichiarando il diritto della ex dipendente pubblica alla...
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 30 gennaio 2013 L. R.S., dipendente INPS dal 1970 al 31 luglio 2010, data di cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni, ha adito il Tribunale di Milano, chiedendo la condanna della P.A. a corrisponderle € 30.316,00 a titolo di indennità sostitutiva per ferie non godute, € 10.000,00 per mancata tempestiva fruizione delle dette ferie ed € 3.098,00 per compenso incentivante.
Il Tribunale di Milano, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 3171/2013, ha accolto il ricorso in parte, dichiarando il diritto della ricorrente alla monetizzazione delle ferie non godute per un numero di 124 giorni con l’ultima retribuzione giornaliera in godimento ed al compenso incentivante.
L’INPS ha proposto appello.
L. R. S. si è costituita e ha proposto appello incidentale.
La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 428/2016, ha accolto in parte l’appello principale, rigettando la domanda della dipendente concernente il compenso incentivante, e quello incidentale, riconoscendo il diritto di L. R. S. a percepire l’indennità sostitutiva delle ferie per 248 giorni.
L’INPS ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi. L. R. S. ha proposto ricorso incidentale sulla base di un motivo. L’INPS si è difeso con controricorso contro il ricorso incidentale.
L. R. S. ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1) Con il primo motivo l’INPS lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 2109 e 2946 c.c. per il mancato rispetto dell’art. 111, comma 7, Cost., letti alla luce dell’art. 6 CEDU.
Parte ricorrente sostiene che, diversamente da quanto affermato dalla corte territoriale, il diritto all’indennità sostitutiva delle ferie si sarebbe prescritto in dieci anni anche in corso di rapporto di lavoro.
La doglianza è infondata.
Al riguardo, si osserva che, quando il rapporto di lavoro è cessato, la fruizione effettiva delle ferie annuali retribuite cui il lavoratore ha diritto non è più possibile.
Per evitare che, a causa di detta impossibilità, il lavoratore non riesca in alcun modo a beneficiare di tale diritto, neppure in forma pecuniaria, l’art. 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88, riconosce al lavoratore il diritto a un’indennità finanziaria per i giorni di ferie annuali non goduti (sentenza del 12 giugno 2014, Bollacke, C-118/13, EU:C:2014:1755, punto 17 e giurisprudenza ivi citata).
L’art. 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88 non assoggetta il diritto a un’indennità finanziaria ad alcuna condizione diversa da quella relativa, da un lato, alla cessazione del rapporto di lavoro e, dall’altro, al mancato godimento da parte del lavoratore di tutte le ferie annuali cui aveva diritto alla data in cui detto rapporto è cessato (sentenza del 20 luglio 2016, Maschek, C-341/15, EU:C:2016:576, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).
A questo proposito, dalla giurisprudenza della Corte di giustizia UE emerge che la menzionata normativa osta a disposizioni o pratiche nazionali le quali prevedano che, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, non sia versata alcuna indennità finanziaria per ferie annuali retribuite non godute al lavoratore che non sia stato in grado di fruire di tutti le ferie annuali cui aveva diritto prima della cessazione di tale rapporto di lavoro, in particolare perché era in congedo per malattia per l’intera durata o per una parte del periodo di riferimento e/o di un periodo di riporto (sentenze del 20 gennaio 2009, Schultz-Hoff e a., C-350/06 e C-520/06, EU:C:2009:18, punto 62; del 20 luglio 2016, Maschek, C-341/15, EU:C:2016:576, punto 31, nonché del 29 novembre 2017, King, C-214/16, EU:C:2017:914, punto 65).
La Corte di giustizia UE ha dichiarato, inoltre, che l’art. 7 della direttiva 2003/88 non può essere interpretato nel senso che il diritto alle ferie annuali retribuite e, pertanto, quello all’indennità finanziaria ex paragrafo 2 di detto articolo possano estinguersi a causa del decesso del lavoratore. Ha pure precisato che, se l’obbligo di pagamento di una simile indennità dovesse estinguersi a causa della fine del rapporto di lavoro dovuta a decesso del lavoratore, tale circostanza avrebbe la conseguenza che un avvenimento fortuito comporterebbe retroattivamente la perdita totale dello stesso diritto alle ferie annuali retribuite (sentenza del 12 giugno 2014, Bollacke, C-118/13, EU:C:2014:1755, punti 25, 26 e 30).
Ciò perché l’estinzione del diritto maturato da un lavoratore alle ferie annuali retribuite o del suo correlato diritto al pagamento di un’indennità per le ferie non godute in caso di cessazione del rapporto di lavoro, senza che l’interessato abbia effettivamente avuto la possibilità di esercitare detto diritto alle ferie annuali retribuite, arrecherebbe pregiudizio alla sostanza stessa del diritto medesimo (sentenza del 19 settembre 2013, Riesame Commissione/Strack, C-579/12 RX- II, EU:C:2013:570, punto 32).
La Corte di giustizia UE ha ricordato, altresì, che il pagamento delle ferie prescritto al paragrafo 1 dell’art. 7 menzionato è volto a consentire al lavoratore di fruire effettivamente delle ferie cui ha diritto (sentenza del 16 marzo 2006, Robinson-Steele e a., C-131/04 e C-257/04, EU:C:2006:177, punto 49).
Inoltre, secondo giurisprudenza costante della Corte di giustizia UE, il diritto alle ferie annuali, sancito dall’art. 7 della direttiva 2003/88, è volto a consentire al lavoratore, da un lato, di riposarsi rispetto all’esecuzione dei compiti attribuitigli in forza del suo contratto di lavoro e, dall’altro, di beneficiare di un periodo di relax e svago (sentenza del 20 luglio 2016, Maschek, C-341/15, EU:C:2016:576, punto 34 e giurisprudenza ivi citata). Del resto, prevedendo che il periodo minimo di ferie annuali retribuite non possa essere sostituito da un’indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro, l’art. 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88 mira anche a garantire che il lavoratore possa beneficiare di un riposo effettivo, per assicurare una tutela efficace della sua sicurezza e della sua salute (sentenza del 16 marzo 2006, Robinson-Steele e a., C-131/04 e C-257/04, EU:C:2006:177, punto 60, e giurisprudenza ivi citata).
In particolare, la Corte di giustizia UE ha chiarito che l’art. 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 non osta, in linea di principio, a una normativa nazionale recante modalità di esercizio del diritto alle ferie annuali retribuite espressamente accordato da detta direttiva, che comprenda anche la perdita del diritto in questione allo scadere del periodo di riferimento o di un periodo di riporto, purché, però, il lavoratore che ha perso il diritto alle ferie annuali retribuite abbia effettivamente avuto la possibilità di esercitare questo diritto che tale direttiva gli conferisce (sentenza del 20 gennaio 2009, Schultz-Hoff e a., C- 350/06 e C-520/06, EU:C:2009:18, punto 43).
Peraltro, ha affermato che è necessario assicurarsi che l’applicazione di simili norme nazionali non possa comportare l’estinzione dei diritti alle ferie annuali retribuite maturati dal lavoratore, laddove quest’ultimo non abbia effettivamente avuto la possibilità di esercitare tali diritti.
Il lavoratore deve essere considerato, infatti, la parte debole nel rapporto di lavoro, sicché è necessario impedire al datore di lavoro di disporre della facoltà di imporgli una restrizione dei suoi diritti. Tenuto conto di tale situazione di debolezza, un simile lavoratore può essere dissuaso dal fare valere espressamente i suoi diritti nei confronti del suo datore di lavoro, dal momento, in particolare, che la loro rivendicazione potrebbe esporlo a misure adottate da quest’ultimo in grado di incidere sul rapporto di lavoro in danno di detto lavoratore (sentenza del 25 novembre 2010, Fuß, C-429/09, EU:C:2010:717, punti 80 e 81, e giurisprudenza ivi citata).
Ne deriva che il datore di lavoro è tenuto, in considerazione del carattere imperativo del diritto alle ferie annuali retribuite e al fine di assicurare l’effetto utile dell’art. 7 della direttiva 2003/88, ad assicurarsi concretamente e in piena trasparenza che il lavoratore sia effettivamente in grado di fruire delle ferie annuali retribuite, invitandolo, se necessario formalmente, a farlo, e nel contempo informandolo - in modo accurato e in tempo utile a garantire che tali ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo e il relax cui esse sono volte a contribuire - del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato. Inoltre, l’onere della prova, in proposito, incombe al datore di lavoro e, ove quest’ultimo non sia in grado di dimostrare di avere esercitato tutta la diligenza necessaria affinché il lavoratore sia effettivamente in condizione di fruire delle ferie annuali retribuite alle quali aveva diritto, si deve ritenere che l’estinzione del diritto a tali ferie alla fine del periodo di riferimento o di riporto autorizzato e, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, il correlato mancato versamento di un’indennità finanziaria per le ferie annuali non godute violino, rispettivamente, l’art. 7, paragrafo 1, e l’art. 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88 (sentenza Grande Camera, 6 novembre 2018, causa C-684/16, Max- Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften eV; per analogia, le sentenze emesse sempre dalla grande sezione il 6 novembre 2018, cause riunite C-569 e C-570/2016, Stadt Wuppertal, e causa C-619/2016, Sebastian W. Kreuziger; sentenza del 16 marzo 2006, Robinson-Steele e a., C-131/04 e C- 257/04, EU:C:2006:177, punto 68; sul punto, per il diritto interno, soprattutto in motivazione, Cass., Sez. L, n. 21780 dell’8 luglio 2022, per la quale la perdita del diritto alle ferie, ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro, può verificarsi soltanto qualora il datore di lavoro offra la prova di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie - se necessario formalmente - e di averlo nel contempo avvisato - in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire - che, in caso di mancata fruizione, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato).
Nella specie, la corte territoriale ha specificamente accertato che l’INPS non aveva adempiuto all’onere probatorio su di esso incombente, ossia non aveva provato di avere operato con la massima diligenza in modo da consentire al lavoratore di godere delle ferie maturate.
Ne consegue che, non avendo il dipendente perso il diritto al godimento del congedo, al momento della cessazione del rapporto di lavoro egli doveva percepire l’indennità in esame nella sua interezza, la prescrizione del detto diritto non potendo decorrere anteriormente a tale cessazione.
Non ignora questo Collegio l’esistenza di una risalente giurisprudenza di legittimità per la quale, sulla base della natura anche risarcitoria dell’indennità de qua, la prescrizione del diritto in questione opera pure in costanza di rapporto (Cass., Sez. L, n. 10341 dell’11 maggio 2011).
A tale proposito, occorre ricordare, però, che, secondo costante giurisprudenza eurounitaria, nell’applicare il diritto interno, i giudici nazionali sono tenuti a interpretarlo per quanto possibile alla luce del testo e dello scopo del diritto unionale vigente, così da conseguire il risultato perseguito da quest’ultimo e conformarsi pertanto all’art. 288, comma 3, TFUE (sentenza del 24 gennaio 2012, Dominguez, C-282/10, EU:C:2012:33, punto 24 e giurisprudenza ivi citata).
Il principio di interpretazione conforme esige che i giudici nazionali si adoperino al meglio nei limiti del loro potere, prendendo in considerazione il diritto interno nel suo insieme e applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest’ultimo, al fine di garantire la piena efficacia della direttiva di cui trattasi e di pervenire a una soluzione conforme allo scopo perseguito da quest’ultima (sentenza del 24 gennaio 2012, Dominguez, C-282/10, EU:C:2012:33, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).
Come altresì dichiarato dalla Corte di giustizia UE, l’esigenza di un’interpretazione conforme siffatta include, in particolare, l’obbligo, per i giudici nazionali, di modificare, se del caso, una giurisprudenza consolidata se questa si basa su un’interpretazione del diritto nazionale incompatibile con gli scopi di una direttiva. Pertanto, un giudice nazionale non può ritenere di trovarsi nell’impossibilità di interpretare una disposizione nazionale conformemente al diritto dell’Unione per il solo fatto che detta disposizione è stata costantemente interpretata in un senso che è incompatibile con tale diritto (sentenza del 17 aprile 2018, Egenberger, C-414/16, EU:C:2018:257, punti 72 e 73 e giurisprudenza ivi citata)
Nella presente controversia, l’interpretazione del diritto interno proposta dall’INPS si porrebbe in netto contrasto con quello unionale, con la conseguenza che il motivo deve essere respinto.
2) Con il secondo motivo l’INPS denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 ss. c.c., anche con riferimento all’art. 18, nn. 9, 15 e 16 CCNL 1994-1997 enti pubblici non economici, e dell’art. 10 d.lgs. n. 87 del 2003, in relazione all’art. 111, comma 7, Cost., letto alla luce dell’art. 6 CEDU.
Sostiene parte ricorrente che l’art. 10 del d.lgs. n. 66 del 2003 avrebbe rinviato, in tema di godimento delle ferie, alla contrattazione collettiva e che questa avrebbe ricollegato il diritto all’indennità oggetto del contendere alla mancata fruizione di dette ferie “per esigenze di servizio”.
Siffatte “esigenze di servizio” avrebbero dovuto essere provate, però, dal lavoratore, essendo egli il soggetto che agiva in giudizio.
La doglianza è infondata.
La decisione della S.C., Sez. IV, n. 21780 dell’8 luglio 2022, alla motivazione della quale si rinvia integralmente, ha chiarito che, dalla interpretazione del diritto interno in senso conforme al diritto dell’Unione, in particolare delle sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea della grande sezione del 6 novembre 2018, rese in cause riunite C-569 e C-570/2016, Stadt Wuppertal, in causa C-619/2016, Sebastian W. Kreuziger ed in causa C- 684/2016, Max Planck, nonché dell’art. 7 delle direttive 2003/88 e 93/104 e dell’art. 31 della Carta dei diritti fondamentali della Unione europea, deriva che:
A) le ferie annuali retribuite costituiscono un diritto fondamentale ed irrinunciabile del lavoratore e correlativamente un obbligo del datore di lavoro; il diritto alla indennità finanziaria sostitutiva delle ferie non godute al termine del rapporto di lavoro è intrinsecamente collegato al diritto alle ferie annuali retribuite;
B) è il datore di lavoro il soggetto tenuto a provare di avere adempiuto al suo obbligo di concedere le ferie annuali retribuite, dovendo sul punto darsi continuità al principio da ultimo affermato da Cass., Sez. L, n. 15652 del 14 giugno 2018;
C) la perdita del diritto alle ferie ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro può verificarsi soltanto nel caso in cui il datore di lavoro offra la prova:
- di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie, se necessario formalmente;
- di averlo nel contempo avvisato - in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire - del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato.
Inoltre, si osserva che l’art. 10, d.lgs. n. 66 del 2003, nel testo anteriore al d.lgs. n. 213 del 2004, richiamato dall’INPS a sostegno della propria tesi, prescrive, al primo comma, dopo avere stabilito che, fermo restando quanto previsto dall’art. 2109 c.c., il prestatore di lavoro ha diritto a un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane, che “I contratti collettivi di lavoro possono stabilire condizioni di miglior favore”.
Pertanto, la contrattazione collettiva non può essere letta in maniera da introdurre un trattamento deteriore per la controricorrente.
Deve trovare applicazione, nella specie, quindi, il principio per il quale è il datore di lavoro, convenuto dal dipendente per ottenere il pagamento dell’indennità finanziaria sostitutiva delle ferie non godute al termine del rapporto di lavoro, il soggetto tenuto a provare di avere adempiuto al suo obbligo di concederle.
3) Con un unico motivo di ricorso incidentale L. R. S. contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 6, del CCNI 2004 del 15 giugno 2005, nonché l’erroneo ed incompleto riconoscimento dei compensi incentivanti per gli anni 2006, 2008, 2009 e 2010 in quanto la corte territoriale avrebbe errato nell’interpretare detta clausola nel senso che le ferie utili ai fini del pagamento dei compensi incentivanti erano solo quelle destinate al recupero delle energie spese nel corso del periodo nel quale si erano consolidati i risultati produttivi che davano titolo al trattamento accessorio.
La doglianza è inammissibile.
Si rileva che, con riguardo ai contratti collettivi di lavoro relativi al pubblico impiego privatizzato, la regola posta dall’art. 63 del d.lgs. n. 165 del 2001, che consente di denunciare direttamente in sede di legittimità la violazione o falsa applicazione dei contratti ed accordi collettivi, deve intendersi limitata ai contratti ed accordi nazionali di cui all’art. 40 del predetto d.lgs., con esclusione dei contratti integrativi contemplati nello stesso articolo, in relazione ai quali il controllo di legittimità è finalizzato esclusivamente alla verifica del rispetto dei canoni legali di interpretazione e dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione sufficiente e non contraddittoria (Cass., Sez. L, n. 14449 del 9 giugno 2017).
Nella specie, L. R. S.si è limitata a prospettare un’interpretazione alternativa, rispetto a quella adottata dalla Corte d’appello di Milano, dell’art. 8 del CCNI menzionato.
Ciò non è, però, ammissibile nella presente sede, in quanto, atteso che l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale ex artt. 1362 ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati senza argomentare al riguardo, non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (Cass., Sez. 1, n. 9461 del 9 aprile 2021).
4) Il ricorso principale è rigettato, in applicazione del seguente principio di diritto:
“La prescrizione del diritto del lavoratore all’indennità sostitutiva delle ferie e dei riposi settimanali non goduti decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro, salvo che il datore di lavoro non dimostri che il diritto alle ferie ed ai riposi settimanali è stato perso dal medesimo lavoratore perché egli non ne ha goduto nonostante l’invito ad usufruirne; siffatto invito deve essere formulato in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie ed i riposi siano ancora idonei ad apportare all’interessato il riposo ed il relax cui sono finalizzati, e deve contenere l’avviso che, in ipotesi di mancato godimento, tali ferie e riposi andranno persi al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato”.
Il ricorso incidentale è dichiarato inammissibile.
Le spese di lite sono compensate, in ragione della reciproca soccombenza. Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, dell’obbligo, per l’INPS e per la ricorrente incidentale, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello prescritto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
- rigetta il ricorso principale;
- dichiara inammissibile il ricorso incidentale;
- compensa le spese di lite;
- dichiara che sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, dell’obbligo, per l’INPS e per la ricorrente incidentale, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello prescritto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.